Sentenza n. 141 del 1967
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SENTENZA N. 141

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO,

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ’

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 505 del Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 13 gennaio 1966 dal Tribunale di Padova nel procedimento penale a carico di Garbo Giuseppe ed altri, iscritta al n. 141 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 10 settembre 1966.

Udita nella camera di consiglio del 7 novembre 1967 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel procedimento penale di appello a carico di Garbo Giuseppe ed altri il Tribunale di Padova, su istanza del pubblico ministero, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 505 del Codice penale.

Nell'ordinanza di rimessione il Tribunale osserva che, poiché la citata disposizione prevede la serrata per protesta in modo affatto generico, si pone il problema di accertare se nella sua disciplina ricadano anche casi la cui punizione risulti illegittima in relazione ai principi enunciati negli artt. 35, 39, 40 e 41 della costituzione. Posta questa premessa, il Tribunale rileva che la protesta avente la finalità di richiamare l'attenzione del legislatore sulle conseguenze negative di particolari provvedimenti rientra nei diritti del cittadino: in particolare, quella diretta contro norme che riguardano la condizione tributaria, amministrativa, ed economica dell'azienda costituisce esplicazione di un'azione sindacale legittima a norma degli artt. 35 e 39 della costituzione. Da ciò conseguirebbe, secondo l'ordinanza, anche la liceità della protesta attuata a mezzo di serrata, atteso che quest'ultima costituisce esercizio del diritto generale di libertà quando sia diretta al conseguimento di un fine economico connesso con la azienda. E poiché la precedente pronunzia della Corte sull'art. 505 del Codice penale - sentenza n. 123 del 1962 - ha avuto ad oggetto solo lo sciopero per solidarietà, il giudice a quo ravvisa la necessità di uno specifico controllo costituzionale della compatibilità della serrata per protesta con il principio di libertà sindacale e solleva la relativa questione, rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 35 e 39 della costituzione.

2. - L'ordinanza, letta nella pubblica udienza del 13 gennaio 1966, é stata ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 226 del 10 settembre 1966.

Nel presente giudizio nessuna delle parti si é costituita. La causa viene decisa, pertanto, in camera di consiglio a norma dell'art. 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 505 del Codice penale punisce lo sciopero dei lavoratori e la serrata dei datori di lavoro che siano effettuati soltanto per solidarietà o soltanto per protesta. Dall'ordinanza di rimessione risulta che la disposizione viene impugnata solo nella parte relativa alla serrata per protesta, e non anche nella parte concernente la serrata per solidarietà con gli altri datori di lavoro.

Per quanto riguarda le norme costituzionali di raffronto deve essere rilevato che il Tribunale di Padova - ancorché sia partito dalla premessa che "preliminare alla decisione di merito appare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 505 del Codice penale per quanto attiene alla serrata per protesta in relazione ai principi di cui agli artt. 35, 39, 40 e 41 della costituzione" - ha specificamente chiesto che il controllo di legittimità venga condotto in riferimento agli artt. 35 e 39 della costituzione. É quindi solo in relazione a queste due norme che la questione é stata proposta dal giudice a quo e va decisa da questa Corte.

2. - La questione, così individuata e delimitata, non può essere risolta, come mostra di ritenere il Tribunale di Padova, con una meccanica trasposizione dei motivi enunciati nella sentenza n. 123 del 1962. E ciò sia perché in quella occasione l'art. 505 del Codice penale venne esaminato solo nella parte riguardante lo sciopero di solidarietà e non anche in quella relativa allo sciopero per protesta, sia perché la valutazione costituzionale dello sciopero e della serrata va condotta con specifico riferimento alla definizione ed ai limiti dell'uno e dell'altra, atteso che solo al primo, come la Corte accertò nella sentenza n. 29 del 1960, compete la qualifica di diritto "costituzionalmente riconosciuto".

3. - L'art. 505 del Codice penale, mentre sufficientemente delimita lo scopo immediato della serrata presa in considerazione (l'avverbio "soltanto" esplicitamente esclude dalla fattispecie normativa la serrata indirizzata ad altre finalità), non specifica nella sua dizione letterale né il soggetto verso il quale la protesta é diretta, né i fatti ai quali essa vuol reagire: sicché può porsi il problema se la norma penale comprenda anche quella protesta che per l'occasione che la motiva o per il destinatario al quale si rivolge inerisca agli interessi del soggetto come parte di un rapporto di lavoro.

Ad avviso della Corte per risolvere tale dubbio occorre por mente al sistema normativo nel quale l'art. 505 del Codice penale si inserisce: più precisamente, al sistema ora in vigore quale risulta a seguito della sentenza n. 29 del 1960. La scomparsa dall'ordinamento dell'art. 502 del Codice penale - ispirato, come in quella occasione la Corte ebbe ad accertare, ai principi corporativi inconciliabili con i nuovi principi costituzionali - ha fatto venir meno la illecita penale della serrata per fini contrattuali, e di ciò l'interprete non può non tener conto nella ricostruzione ed individuazione dei precetti contenuti in tutte le altre norme penali che la contemplano. Ciò consente di attribuire all'art. 505 del Codice penale, nella parte qui considerata, un significato restrittivo che - senza che in alcun modo sia violata la lettera della legge (la quale, giova ripeterlo, nulla dice in proposito) - trova giustificazione in un ordinamento nel quale la serrata posta in essere nell'ambito del rapporto di lavoro e per influire sulla disciplina di esso é penalmente lecita. Si può concludere, perciò, che dalla previsione attuale dell'art. 505 del Codice penale esula la serrata attuata per protesta contro fatti che a quel rapporto si riferiscono.

4. - Una volta riconosciuto che l'art. 505 del Codice penale incrimina solo la serrata per protesta che venga effettuata per ragioni estranee alla disciplina del lavoro, la questione di legittimità appare non fondata.

Non pertinente, anzitutto, é il richiamo all'art. 35 della costituzione, il quale "tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni". É evidente, infatti, che il soggetto di tale previsione costituzionale é il lavoratore e non già il datore di lavoro, la cui libertà di iniziativa e di azione trova garanzia, su altro piano e con ben diverso regime, nell'art. 41 della costituzione, il quale, come innanzi si é detto, non viene qui in discussione.

Passando all'esame del profilo della questione relativo allo art. 39 della costituzione, la Corte ritiene che non vi sia dubbio che la libertà di organizzazione sindacale debba trovare il necessario suo corollario nella libertà di azione sindacale, giacché ove quest'ultima fosse rinnegata anche la prima finirebbe col ridursi ad un principio privo di contenuto e di significato. Tuttavia proprio l'intima connessione fra l'una e l'altra sta a dimostrare che l'azione sindacale deve essere definita nei termini che alla sua funzione sono coessenziali (cfr., a proposito dello sciopero, sent. n. 123 del 1962) e che vanno precisati nel quadro dei rapporti fra datori di lavoro e lavoratori: con la conseguenza che ad essa ed alla sua tutela costituzionale appaiono estranei tutti quei comportamenti che non si collochino nell'ambito di quei rapporti. Non può perciò accogliersi l'opinione del giudice a quo, secondo la quale la serrata dovrebbe essere lecita "ogni qual volta sia diretta al conseguimento di un fine economico connesso con l'attività aziendale".

Vero é che nella sentenza n. 123 del 1962 questa Corte ha ritenuto che il diritto di sciopero é legittimamente esercitabile in funzione di tutte le rivendicazioni riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme racchiuse sotto il titolo terzo della parte prima della costituzione. Ma é da considerare che ciò trova fondamento nella circostanza che le varie provvidenze previste ineriscano tutte alla qualifica del soggetto come lavoratore, laddove "il fine economico connesso con l'attività aziendale" va collegato all'interesse del soggetto considerato come imprenditore: in funzione, cioè, di un'attività che non rientra nella garanzia offerta dall'art. 39 della costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Tribunale di Padova in riferimento agli artt. 35 e 39 della costituzione - dell'art. 505 del Codice penale nella parte relativa al datore di lavoro che soltanto per protesta sospende in tutto o in parte il lavoro nei suoi stabilimenti, aziende od uffici.

 Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ’ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 15 dicembre 1967.