SENTENZA N. 91
ANNO 1966
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 3 febbraio 1963, n. 126, concernente la disciplina della riproduzione bovina, promossi con ordinanze emesse il 21 maggio 1965 dal Pretore di Vicenza nel procedimento penale a carico di Nicoli Giovanni ed il 16 giugno 1965 dal Pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Lovison Giuseppe Antonio ed altri, iscritte rispettivamente ai nn. 113 e 163 del Registro ordinanze 1965 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 178 del 17 luglio 1965 e n. 223 del 4 settembre 1965.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 1 giugno 1966 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;
udito il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso di due procedimenti penali dinanzi ai Pretori di Vicenza e di Padova instaurati a carico rispettivamente di Nicoli Giovanni e di Lovison Giuseppe Antonio ed altri, - imputati del reato di cui agli artt. 3 e 10 della legge 3 febbraio 1963, n. 126, concernente la disciplina della riproduzione bovina, per avere adibito alla riproduzione bovini maschi per i quali non era stato richiesto ed ottenuto il prescritto attestato di abilitazione - le difese degli imputati sollevavano eccezione di illegittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 2 e 3 della citata legge in riferimento agli artt. 41 e 42 della Costituzione.
In accoglimento di tali eccezioni, con ordinanze del 21 maggio e 16 giugno 1965 i suddetti Pretori sospendevano i giudizi in corso e rimettevano gli atti a questa Corte sostenendo che le richiamate disposizioni nel demandare al Ministero per la agricoltura e per le foreste la determinazione dei requisiti genotipi, morfologici e funzionali dei bovini atti alla riproduzione da iscrivere nei libri genealogici, nel condizionare a tale iscrizione e al rilascio di un attestato l'impiego del bovino ed, infine, nel consentire alle Camere di commercio, industria ed agricoltura di vietare tale impiego in conformità delle direttive stabilite dalla Commissione zootecnica provinciale, pongono delle limitazioni alla libertà di iniziativa economica e alla facoltà di godimento della proprietà privata senza il rispetto delle riserve di legge contenute negli artt. 41, comma terzo, e 42, comma secondo, della Costituzione.
La legge in esame, secondo le ordinanze, si limiterebbe ad affermare la necessità di limitazioni, ma ne demanderebbe in concreto la determinazione al potere esecutivo centrale e alle sue diramazione (Ministero per l'agricoltura, Camere di commercio, Commissioni zooteniche) con l'inevitabile pericolo che si venga a formare una disciplina disorganica, non unitaria e contrastante nelle diverse Province.
In definitiva la legge n. 126 del 1963, emanata dal legislatore in sostituzione delle disposizioni contenute negli artt. 4, 5, 7 e 8 della legge 29 giugno 1929, dichiarate costituzionalmente illegittime per violazione della riserva di legge di cui all'art. 41 della Costituzione (sentenza n. 4 del 1962), presenterebbe i medesimi vizi di incostituzionalità avendo conferito ad organi esecutivi facoltà, ampiamente discrezionali, di limitare, sia pure per fini di utilità pubblica, delle libertà costituzionali.
Le predette ordinanze, ritualmente comunicate e notificate sono state pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica n. 178 del 17 luglio 1965 e n. 223 del 4 settembre 1965.
Nel presente giudizio dinanzi alla Corte, nessuna delle parti private si é costituita. É invece, intervenuto (limitatamente al giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Vicenza) il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato.
Nell'atto di intervento, depositato in cancelleria il 6 agosto 1965, ed in una successiva memoria, l'Avvocatura, dopo aver rilevato che la proposta questione va esaminata soltanto sotto l'aspetto della osservanza formale da parte delle norme impugnate delle riserve di legge contenute negli artt. 41 e 42 della Costituzione, afferma che tali norme sono immuni dai denunciati vizi di incostituzionalità.
L'art. 2 della legge impugnata non violerebbe in alcun modo la riserva di legge stabilita dalla Costituzione, perché ha determinato direttamente i presupposti essenziali (in sintesi purità della razza) per l'iscrizione dei bovini nei libri genealogici demandando poi all'attività normativa secondaria di mera esecuzione dell'Amministrazione una pura e semplice specificazione dei requisiti e caratteri che a ciascuna razza devono considerarsi propri. Le attribuzioni conferite al Ministero dal citato art. 2 rientrerebbero, quindi, nel naturale ambito dell'ordinaria funzione amministrativa e pienamente legittime sarebbero da considerarsi le conseguenti limitazioni delle facoltà di godimento della proprietà dei capi di bestiame di cui trattasi, in quanto dirette ad evitare un uso della proprietà contrastante con l'interesse sociale.
Nel caso degli artt. 41 e 42 della Costituzione ricorre la ipotesi della riserva relativa, la quale - come la Corte ha avuto modo di precisare - non preclude alla legge la possibilità di deferire ad autorità amministrative particolari e discrezionali poteri che incidano sui diritti economici garantiti dalle citate norme costituzionali, sempre che la stessa legge contenga criteri specifici, adeguati e sufficienti a delimitare l'ambito di tali poteri.
La legge impugnata differisce da quella relativa alla stessa materia dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 4 del 6 febbraio 1962. Quest'ultima, infatti (art. 4 della legge 29 giugno 1929, n. 1366) null'altro disponeva se non il rinvio ai regolamenti provinciali per la determinazione delle condizioni e delle procedure degli interventi rivolti a circoscrivere l'autonomia dei singoli in ordine alla proprietà e disponibilità dei bovini e, pertanto, pienamente giustificata appare la pronuncia della Corte.
La nuova legge ha colmato la lacuna legislativa, venutasi a creare per effetto di tale sentenza, disponendo l'istituzione di speciali libri genealogici, presso le Associazioni nazionali degli allevatori, nei quali vengono iscritti i bovini di razza pura che presentano cioè quelle caratteristiche di razza determinate dal Ministro dell'agricoltura in rapporto alle esigenze della selezione.
Le norme denunciate indicano compiutamente l'esercizio della attività normativa secondaria e quella di esecuzione affidata agli organi amministrativi, specificando i criteri idonei a dirigere tale attività e affidando ad organi tecnici il compito di accertare le esigenze particolari della materia dell'allevamento dei bovini.
L'Avvocatura chiede perciò che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata infondata.
Considerato in diritto
1. - La questione di costituzionalità, prospettata con le due ordinanze indicate in epigrafe, riguarda le medesime disposizioni di legge e, pertanto, le cause, congiuntamente trattate, possono essere decise con unica sentenza.
2. - Le norme impugnate sono quelle contenute negli artt. 2 e 3 della legge 3 febbraio 1963, n. 126, concernente la disciplina della riproduzione bovina, legge che é stata emanata per colmare la lacuna normativa nella materia, verificatasi a seguito della sentenza n. 4 del 6 febbraio 1962, con la quale questa Corte dichiarava l'incostituzionalità degli artt. 4, 5, 6, 7 e 8 della legge 29 giugno 1929, n. 1366, per violazione della riserva di legge di cui all'art. 41 della Costituzione.
La questione ora proposta é che anche le nuove disposizioni, le quali riservano all'autorità amministrativa la determinazione dei requisiti necessari per ottenere l'iscrizione dei bovini nei registri genealogici e subordinano l'impiego di tali bovini nella riproduzione al rilascio di un attestato di abilitazione, siano da ritenersi costituzionalmente illegittime, in riferimento agli artt. 41, comma terzo, e 42, comma secondo, della Costituzione, per aver posto delle limitazioni alla libertà di iniziativa economica e alla facoltà di godimento della proprietà privata senza il rispetto della riserva di legge stabilita dai citati precetti costituzionali.
La questione non é fondata.
Dalle norme impugnate risulta che gli strumenti ritenuti essenziali dal legislatore per migliorare il patrimonio bovino sono costituiti dai libri genealogici e dal regime di abilitazione, cui é subordinata l'attività economica di riproduzione.
Nei libri é consentita solo l'iscrizione di riproduttori selezionati la cui conformazione e le cui attitudini funzionali siano riconosciuti rispondenti all'indirizzo di miglioramento fissato per la zona interessata; con la procedura dell'attestato di abilitazione si permette l'impiego dei soli tori di pregio che dimostrino di possedere e di trasmettere in modo spiccato i caratteri morfofunzionali della rispettiva razza e siano in conseguenza capaci di esaltare le funzioni economiche della discendenza, consentendo la produzione di bestiame che fornisca più elevati rendimenti.
Ora, la censura che si muove all'art. 2 é che le limitazioni della libertà di iniziativa economica e della facoltà di godimento della proprietà dei privati allevatori restano in definitiva affidati all'assoluta discrezionalità degli organi esecutivi in quanto la norma attribuisce al Ministero per l'agricoltura e foreste la determinazione concreta dei requisiti genotipi, morfologici e funzionali corrispondenti ai caratteri di ciascuna razza.
Nel formulare tale censura non é stato tenuto presente che trattasi di materia strettamente tecnica che richiede una specifica competenza, specie se si consideri che i caratteri ed i requisiti di cui trattasi sono numerosi e diversi a seconda delle razze e, peraltro, suscettibili di continuo mutamento nel processo evolutivo zootecnico.
Ma a parte ciò, la Corte ritiene che il potere conferito non é di ampiezza tale da potersi considerare assolutamente discrezionale. L'iscrizione del bovino nei libri genealogici é subordinata a dei presupposti - quali la purità della razza, il rapporto con l'esigenza di una selezione, la provenienza della bestia da allevamenti nei quali sia in corso una azione di risanamento - nonché ad un esame - nel quale interviene anche un delegato dell'Associazione nazionale degli allevatori dei bovini alla cui razza appartiene il soggetto esaminato - che il legislatore ha puntualmente previsti proprio in funzione di una adeguata specificazione dell'ambito del potere dell'amministrazione.
Del pari sufficientemente circoscritti sono i poteri che l'art. 3 della legge impugnata demanda alla Camera di commercio, industria e agricoltura, in ordine al rilascio dell'attestato di abilitazione del bovino e alla Commissione zootecnica provinciale, in ordine alle direttive che essa può dettare nel territorio della provincia sull'impiego dei bovini nella riproduzione.
La Camera di commercio provvede o a rilasciare l'attestato, se il bovino risulti iscritto nei libri genealogici (ed a tal fine la norma dispone che la domanda di chi intende impiegare il bovino deve essere accompagnata dal relativo certificato di iscrizione al libro) o a vietare l'impiego del bovino in ottemperanza a direttive all'uopo stabilite dalla Commissione zootecnica.
Questo ultimo organo - nel quale gli interessi degli allevatori sono convenientemente tutelati per la presenza di un loro rappresentante (art. 4, comma primo, della legge) - emana le proprie direttive, alle quali é data opportuna pubblicità attraverso il deposito delle medesime presso la Camera di commercio, "in relazione alle esigenze della tutela e del miglioramento del patrimonio zootecnico della provincia, e tenendo conto - come specificato dalla norma in esame - dei caratteri genotipi e morfologici di ciascuna razza".
Per meglio intendere la portata di questa disposizione ed i compiti della Commissione é opportuno precisare che l'iscrizione nei libri genealogici é subordinata all'accertamento, nel soggetto esaminato, del possesso del minimum dei requisiti richiesti dagli schemi dei caratteri tipici delle varie razze; ma tra i soggetti iscritti vi potranno essere elementi che presentino caratteri di razza, di sanità, fecondità, robustezza e produttività superiori a quelli prescritti come minimi dagli indicati schemi. Da ciò la necessità, in vista delle finalità della legge, di assegnare poteri direttivi alle Commissioni in materia di disciplina degli accoppiamenti, sì da favorire l'impiego di quei riproduttori che abbiano dimostrato regolarità e potenza di trasmissione dei caratteri da esaltare e consolidare in ciascuna razza, e di vietare, per contro, l'attività dei soggetti che, attraverso continui e rigorosi accertamenti, abbiano rivelato di appartenere a linee di bassa produttività rispetto al valore medio del materiale migliorato della razza.
Sulla base di tali considerazioni può quindi affermarsi che nei riguardi delle impugnate disposizioni non sussistono i denunciati vizi di incostituzionalità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 3 febbraio 1963, n. 126, concernente la disciplina della riproduzione bovina, in riferimento agli articoli 41, comma terzo, e 42, comma secondo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1966.
Gaspare AMBROSINI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO
Depositata in cancelleria il 6 luglio 1966.