Sentenza n. 31 del 1966
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SENTENZA N. 31

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 29 novembre 1952, da n. 2664 a n. 2666, e 18 dicembre 1952, da n. 3104 a n. 3110, promosso con ordinanza emessa il 26 maggio 1964 dalla Corte d'appello di Cagliari nel procedimento civile vertente tra Dussoni Maria, l'Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna (E.T.F.A.S.) ed il Ministero dell'agricoltura e foreste, iscritta al n. 156 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 238 del 26 settembre 1964.

Visti gli atti di costituzione di Dussoni Maria, dell'E.T.F.A.S. e del Ministero dell'agricoltura e foreste;

udita nell'udienza pubblica del 2 febbraio 1966 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi l'avv. Antonio Sorrentino, per la Dussoni, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'E.T.F.A.S. ed il Ministero dell'agricoltura e foreste.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto di citazione notificato il 7 aprile 1953 la signora Maria Dussoni vedova Arangino conveniva davanti al Tribunale di Cagliari l'Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna (E.T.F.A.S.) ed il Ministero dell'agricoltura e foreste, chiedendo che - previa rimessione alla Corte costituzionale per la dichiarazione di illegittimità costituzionale di tre decreti 29 novembre e di sette decreti 18 dicembre 1952 del Presidente della Repubblica - l'Ente convenuto fosse condannato alla restituzione di numerose proprietà terriere espropriate ad essa attrice a favore dello stesso Ente mediante i decreti suddetti, che l'attrice asseriva viziati da eccesso di delega rispetto alla legge 21 ottobre 1950, n. 841, concernendo vaste estensioni boschive non comprese nei limiti previsti dall'art. 5 della legge stessa, perché situate ad elevata altitudine e in gran parte in suscettibili di trasformazione agraria e gravate da vincolo idrogeologico.

Il Tribunale, ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, rigettava la domanda della attrice e condannava questa nelle spese, con sentenza 17 maggio-24 luglio 1963.

La Corte d'appello di Cagliari, cui fece ricorso l'attrice con atto notificato il 20 ottobre 1963, ha riconosciuto invece parzialmente fondata la doglianza della signora Dussoni, e con ordinanza emessa il 26 maggio 1964 ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte, per il giudizio sulla legittimità costituzionale dei decreti sopra indicati.

L'ordinanza veniva notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle Camere; per disposizione del Presidente della Corte costituzionale essa era quindi pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 26 settembre 1964, n. 238.

Si costituivano in giudizio il Ministero dell'agricoltura e delle foreste e l'Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna (E.T.F.A.S.), rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, nonché la signora Maria Dussoni vedova Arangino.

Il Ministero e l'E.T.F.A.S. concludevano perché la questione di legittimità costituzionale fosse dichiarata infondata. Nelle deduzioni depositate il 15 ottobre 1964 a sostegno di tali conclusioni l'Avvocatura generale dello Stato rileva che, secondo le vedute della Corte di appello di Cagliari, il combinato disposto degli articoli 5 della legge n. 841 del 1950 e 7 della legge n. 333 del 1951 attribuirebbe al legislatore delegato un potere vincolato e non discrezionale. A parere dell'Avvocatura, che si richiama al testo di una sentenza della Corte costituzionale (n. 66 del 1957), il Governo disporrebbe invece in siffatti casi di una larga discrezionalità, deducibile dalle espressioni usate negli atti legislativi. Essa aggiunge poi alcuni rilievi, che concernono il merito, l'entità dell'esproprio e la natura e la posizione delle superfici boschive espropriate.

La difesa della signora Dussoni-Arangino dà atto nelle proprie deduzioni, che recano la data del 2 ottobre 1964, che la Cortedi appello aveva dichiarato manifestamente infondata la questione concernente l'esproprio di terreni soggetti al vincolo idrogeologico; essa rileva però che la Corte stessa ha ritenuto che l'art. 5 della "legge stralcio", consentendo soltanto l'esproprio dei boschi "in pianura o in lieve pendio", pone un limite oggettivo alla facoltà del legislatore delegato, la quale non avrebbe potuto quindi essere esercitata nei casi in cui, come nella specie, i terreni assoggettati allo scorporo presentassero una pendenza variabile dal 20 al 40 per cento. Afferma infine che da un certificato dell'Ispettorato dipartimentale del Corpo forestale della Provincia di Nuoro, prodotto in giudizio e richiamato nell'ordinanza della Corte di appello, risulterebbe che gran parte, se non la totalità, della superficie boschiva espropriata é costituita da terreni impervi e con forte pendenza.

Chiede di conseguenza che la Corte costituzionale voglia dichiarare incostituzionali i decreti presidenziali denunciati.

In data 20 gennaio 1966 le parti hanno depositato le loro memorie, nelle quali ribadiscono gli argomenti già esposti. L'Avvocatura generale dello Stato insiste sul punto che il potere degli Enti di riforma e del legislatore delegato é discrezionale, tanto a norma della c.d. "legge stralcio", quanto secondo la "legge Sila"; e sostiene, in punto di fatto, che la espropriazione a danno della signora Dussoni comprese soltanto 64 ha. di terreni boschivi, vale a dire una percentuale dell'1,40 per cento del totale, corrispondente ad Ha. 4.566: si trattava pertanto di insulae boscose sperdute in una estensione enorme, la cui esenzione dall'esproprio avrebbe pregiudicato gravemente le finalità della riforma.

La difesa della Dussoni-Arangino riafferma invece che le furono espropriati ben ha. 231.31.04 di boschi (oltre ad ha. 33.99.68 di colture equiparate), siti in una delle zone più impervie e scoscese della Sardegna, aventi pendenze variabili dal 20-25 per cento al 30-35 per cento, e perfino al 40 per cento, e soggetti a vincolo idrogeologico per ha. 64.80.80. Contesta poi che la legge conferisca all'Ente espropriante la illimitata valutazione discrezionale da esso pretesa ed esercitata al punto, da ritenere in "lieve pendio" terreni aventi una pendenza dal 20 al 40 per cento. Essa conclude, pertanto, contestando non solo la interpretazione attribuita dall'Avvocatura dello Stato alle norme vigenti ed alla sentenza della Corte costituzionale già ricordata, ma anche i dati di fatto, quantitativi e qualitativi, concernenti i beni espropriati ed insistendo nelle conclusioni già formulate.

Nella udienza pubblica del 2 febbraio 1966 i difensori delle parti hanno illustrato oralmente gli argomenti addotti nelle deduzioni e nelle memorie scritte.

 

Considerato in diritto

 

L'Avvocatura generale dello Stato e la difesa della signora Maria Dussoni vedova Arangino hanno insistito, tanto nelle memorie scritte quanto nel corso della discussione orale, sui dati di fatto concernenti i caratteri dei beni oggetto della espropriazione, sulle loro misure e, in particolare, sul grado di pendenza dei terreni espropriati.

Nella ordinanza di rimessione la Corte di appello di Cagliari non ha omesso di dare atto espressamente che "nella specie, risulta che non pochi dei terreni boschivi espropriati hanno una pendenza che varia dal 20-25 al 30-35 e 40 per cento", richiamando un certificato dell'Ispettorato dipartimentale del Corpo forestale della Provincia di Nuoro in data 10 aprile 1953.

La stessa Corte ha pure aggiunto una propria valutazione conclusiva, osservando che "trattasi, evidentemente, di pendenze per cui, anche ammesso un certo grado di discrezionalità di apprezzamento da parte del legislatore delegato, é da escludere, nel modo più assoluto, la qualificazione di lievi".

La soluzione del quesito sulla legittimità del provvedimento del legislatore delegato dipende pertanto esclusivamente dalla interpretazione della norma contenuta nell'art. 5 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (così detta legge "stralcio"), redatta nei termini seguenti: "Sono, di regola, esclusi dall'esproprio i boschi. L'Ente ha tuttavia facoltà di espropriare i boschi in pianura o in lieve pendio, suscettibili di trasformazioni agrarie ed esenti dal vincolo idrogeologico".

A quanto risulta dagli atti di causa, riguardo al vincolo idrogeologico non é sorta questione; si é discusso ampiamente, invece, a proposito del concetto di boschi "in lieve pendio", considerato dalla legge come equiparabile - ai fini della espropriazione - a quello di boschi "in pianura".

Dal testo legislativo si ricava che la regola é data dalla esclusione della espropriazione dei boschi in genere, mentre sono ammessi - in via di eccezione alla regola stessa - procedimenti espropriativi concernenti alcuni tipi di boschi in pianura. Questo termine avrebbe potuto però essere interpretato alla lettera, come richiedente un perfetto livellamento della superficie boschiva, raramente esistente in natura; e perciò la legge ha voluto equiparare ai boschi in piano quelli che si presentassero in "lieve pendio", sempre che fossero "suscettibili di trasformazioni agrarie".

Poiché si tratta di eccezioni, é fin troppo evidente che l'interprete é tenuto ad intendere queste norme nel modo più rigoroso, e quindi a considerare "lieve" solo quella pendenza, calcolata rispetto all'estensione del bosco, che si discosti in misura minima dal piano e consenta la trasformazione agraria.

Quel "certo grado di discrezionalità di apprezzamento da parte del legislatore delegato", di cui fa parola la ordinanza della Corte di appello, può essere consentito, ma solo entro i limiti tracciati dalle osservazioni esposte fin qui e conseguenti al carattere del provvedimento, eccezionale rispetto alla regola, che in via generale esclude i boschi dalla espropriazione. Né occorre soffermarsi sui motivi di tale esclusione, che risponde alla esigenza di salvare quanto più é possibile il patrimonio forestale, tanto più nei casi in cui il giudice di merito ritenga di escludere la possibilità o la convenienza della trasformazione agraria, in base al disposto dell'art. 5 della c.d. legge stralcio.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 29 novembre 1952, nn. 2664 a 2666, e 18 dicembre 1952, nn. 3104 a3110, in relazione all'art. 5 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, nelle parti in cui essi hanno compreso nella quota da espropriare alla signora Maria Dussoni vedova Arangino anche terreni boschivi con pendenze talmente elevate da non consentirne la trasformazione agraria.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA -  Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

 

Depositata in cancelleria il 28 aprile 1966.