Sentenza n. 24 del 1966
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SENTENZA N. 24

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 28 dicembre 1952, n. 4134, promosso con ordinanza emessa l'11 giugno 1964 dal Tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra De Pascalis Carlo e l'Ente per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania, iscritta al n. 143 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 212 del 29 agosto 1964.

Visti gli atti di costituzione di Carlo De Pascalis e dell'Ente di riforma fondiaria in Puglia e Lucania;

udita nell'udienza pubblica del 19 gennaio 1966 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi l'avv. Ferdinando D'Atena, per il De Pascalis, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per l'Ente di riforma fondiaria.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un giudizio promosso avanti al Tribunale di Bari da De Pascalis Carlo contro la Sezione speciale dell'Ente per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania, promosso per ottenere la riconsegna dei beni da quest'ultimo espropriati con il D.P.R. 28 dicembre 1952, n. 4134, o in subordine il risarcimento del danno, l'attore sollevava questione di legittimità costituzionale del decreto delegato di scorporo per violazione dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e, in via subordinata, dell'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333. Il Tribunale ha ritenuto che la censura di eccesso di delega denunciato dovesse ritenersi non manifestamente infondata, nella considerazione che l'Ente di riforma, nel procedere alla determinazione della consistenza patrimoniale terriera dell'attore, non aveva tenuto conto né del fatto che uno dei fondi in essa inclusi aveva cessato di appartenergli, in virtù di atto di divisione stipulato anteriormente al 15 novembre 1949, e neppure delle risultanze del lodo arbitrale che aveva fatto cessare la comunione ereditaria, e che, pur se reso esecutivo dopo la data predetta, tuttavia, traendo origine da una situazione giuridica posta in essere anteriormente, deve ritenersi idoneo a far retroagire i suoi effetti all'epoca dell'apertura della successione, ai sensi dell'art. 757 del Codice civile. Ha altresì ritenuto che egualmente non infondata fosse anche la questione sollevata in via subordinata, dato che l'espropriazione che sarebbe stata disposta oltre il valore della quota ideale spettante al condomino espropriato, configura una violazione dell'art. 8 della legge n. 333 del 1951. E poiché la risoluzione delle questioni sollevate é apparsa rilevante per la decisione della causa, il Tribunale, con ordinanza 11 giugno 1964, ha disposto la sospensione del giudizio e l'invio degli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza, comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 1964, n. 212.

Si é costituito avanti alla Corte il De Pascalis Carlo, rappresentato e difeso dagli avvocati Pansa Gabriele e D'Atena Ferdinando depositando in data 8 agosto 1964 deduzioni, poi sviluppate con memoria del 7 gennaio 1966, nelle quali ribadisce quanto già dedotto nella sede di merito circa l'opponibilità sia dell'atto di divisione debitamente trascritto prima del 15 novembre 1949, in virtù del quale il fondo Prisenna a lui espropriato doveva considerarsi passato in proprietà del fratello Giovanni, e sia ancora del successivo lodo emesso nel giudizio arbitrale promosso per comporre la controversia sorta in sede di divisione fra gli eredi dei beni paterni, perché, pur se emanato posteriormente alla data predetta, si riferisce ad una situazione giuridica anteriore ad essa, ed é pertanto produttivo dell'effetto previsto dall'art. 757 del Codice civile, secondo cui gli assegnatari delle quote materiali sono considerati proprietari delle medesime fin dal momento in cui erano entrati in comunione. Invoca a sostegno di quanto dedotto le sentenze di questa Corte nn. 2 e 9 del 1963. In via subordinata rileva che, anche a volere accogliere la tesi della permanenza dello stato di indivisione dei beni al novembre 1949, il decreto delegato sarebbe egualmente viziato per avere disposto l'esproprio della masseria Barone di Muro per l'estensione di ettari 102.71.47, mentre é provato che la quota ideale spettante al ricorrente era di ettari 64.48.06. Conclude chiedendo che sia dichiarata la illegittimità del decreto di esproprio.

Si é costituita in giudizio anche la Sezione speciale dell'Ente per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania, assistita e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, e, con deduzioni del 4 agosto 1964, ha eccepito preliminarmente la mancanza di rilevanza della questione sollevata, e nel merito la sua infondatezza, dato che per l'art. 4 della legge n. 841 la determinazione della proprietà terriera espropriabile deve essere effettuata in base alla sua consistenza al 1S novembre 1949, tenendosi conto che a quell'epoca i beni riguardanti il ricorrente erano ancora indivisi. Che, anche a volere ammettere che si possano considerare situazioni intervenute successivamente, non si potrebbe mai andare oltre il 29 ottobre 1950, data di entrata in vigore della legge stralcio, poiché a tale data gli enti erano legittimati a procedere ad esproprio della proprietà, anche se in comunione o pro indiviso, secondo le quote della tabella allegata alla legge stessa, mentre il lodo arbitrale é stato depositato presso la Pretura di Lecce il 30 ottobre 1950. Conclude chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, o comunque infondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il primo motivo dedotto a sostegno della questione di costituzionalità per eccesso di delega del D.P.R. 28 dicembre 1952, n. 4134, é fondato. Risulta infatti dagli atti che la Sezione speciale per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania, nel determinare la consistenza della proprietà terriera appartenente a Carlo De Pascalis alla data del 15 novembre 1949, vi ha incluso anche il fondo denominato "Prisenna" che, invece, in virtù dell'atto (stipulato il 18 luglio 1944 e registrato il 26 stesso mese) con cui si é proceduto alla divisione consensuale dei beni dell'eredità della madre Teresa De Pascalis deceduta nel 1927, cui concorrevano in parti uguali i due fratelli Carlo e Giovanni De Pascalis, era stato assegnato a quest'ultimo. Sicché nessun dubbio può sorgere sulla violazione dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, per non essersi tenuto conto della situazione relativa alla proprietà sussistente al 15 novembre 1949.

2. - Col secondo motivo si sostiene che sarebbe stato violato l'articolo ora menzionato perché, nella valutazione del coacervo della proprietà terriera sulla quale é stata determinata la quota di esproprio a carico dell'attore, non si é presa in considerazione la divisione dei beni provenienti dall'eredità paterna, effettuata in virtù del lodo arbitrale (posto in essere, con compromesso stipulato fra i coeredi, il 2 marzo 1950, e previo abbandono dell'azione giudiziaria divisoria che in precedenza, con atto di citazione 5 dicembre 1949, era stata promossa da uno di essi, il De Pascalis Giovanni) emesso il 29 novembre dello stesso anno, e divenuto esecutivo il giorno successivo. Si afferma che la divisione così effettuata, doveva considerarsi operativa fin dal momento dell'apertura delle successioni verificatesi negli anni 1926 e 1942, e cioè in data anteriore a quella stabilita dall'art. 4 citato, con la conseguenza dell'opponibilità del lodo stesso nei confronti della Sezione di riforma.

É da osservare al riguardo che, se non é dubbio che, in via generale, sia da attribuire al lodo emesso per regolare una divisione lo stesso carattere dichiarativo proprio di ogni atto di divisione, e di conseguenza farne scaturire l'effetto previsto dal l'art. 757 del Codice civile, che é stato invocato dall'ordinanza, non si può tuttavia ammettere l'estensibilità di tale principio ai rapporti derivanti dalle procedure di esproprio espletate in attuazione delle leggi di riforma fondiaria. La Corte ha già rilevato, con la sentenza n. 82 del 1957, che criterio fondamentale cui si ispirano tali leggi é di impedire che la stabilizzazione alla data del 15 novembre 1949 della proprietà terriera soggetta a scorporo venga a subire alcuna modificazione per volontà del privato successivamente alla data predetta, ed ha statuito che il criterio stesso debba valere anche per gli atti di divisione ereditaria, perché altrimenti potrebbe riuscire compromessa l'attuazione delle leggi in parola. Infatti, in virtù della divisione, potrebbero venire assegnati al condividente (ed anche all'infuori della sua volontà, come nel caso di divisione giudiziale) terreni non soggetti a trasformazione, oppure beni diversi dalla proprietà terriera, con l'effetto di incidere sulla quota che sarebbe stata soggetta ad esproprio. La Corte ritiene che i principi così formulati debbano essere confermati e che, pertanto, come l'appartenenza dei terreni a titolo di comunione non possa ostacolare la procedura espropriativa, così gli atti di scioglimento della comunione stessa successivi al 15 novembre 1949 non possano esplicare effetti sulla procedura già effettuata, o su quella effettuabile anche posteriormente agli atti stessi, nei limiti di tempo consentiti per la pubblicazione dei decreti di esproprio.

Il richiamo fatto dalla ordinanza alle precedenti pronunce di questa Corte n. 16 del 1962 e n. 9 del 1963 non può ritenersi pertinente poiché esse si riferiscono a questioni diverse da quella in esame. Infatti la prima dichiarò l'illegittimità costituzionale di un decreto di esproprio che non aveva tenuto conto della situazione patrimoniale verificatasi per effetto di un testamento, che, pur pubblicato ed accettato anteriormente al 15 novembre 1949, era stato redatto nel 1920 da persona poi deceduta nel 1937. La seconda riguardava la mancata considerazione delle variazioni apportate ai dati catastali per effetto di decisione della commissione censuaria comunale che, pur emessa posteriormente al 14 novembre, dichiarava l'esatta consistenza della proprietà dell'espropriato a questa data. In entrambi i casi si é fatto valere il principio, formulato in termini generali con la sentenza n. 25 del 1961, secondo il quale l'efficacia retroattiva riconosciuta dalla legge comune a eventi o atti successivi al 15 novembre 1949, non trova ostacolo nella norma dell'art. 4, purché eventi o atti siano collegati a situazioni le quali erano in via di formazione anteriormente alla data predetta.

3. - La questione sollevata col terzo motivo sarebbe da ritenere fondata se si fosse fornita la dimostrazione dell'eccedenza della quota di scorporo, determinata con il decreto presidenziale a carico di Carlo De Pascalis, rispetto a quella che si sarebbe invece dovuta stabilire, sulla base del complesso della proprietà terriera a lui spettante, quale quota ideale sui beni indivisi provenienti dalla successione ereditaria dal padre Luigi. Ma, in luogo di tale dimostrazione, l'interessato, nell'allegare la violazione dell'art. 8 della legge n. 333 del 1951, ha fatto valere solo la circostanza che al 15 novembre 1949 la masseria "Barone di Muro" era accatastata per complessivi ha. 171.97.87, ed era a lui intestata (in condominio col fratello Giovanni) solo per 3/4, mentre l'esproprio a carico di tale bene é stato effettuato per l'estensione di ha. 102.71.47, cioè in misura di gran lunga superiore alla quota ideale, che sarebbe stata pari a ha. 64.48.06. Ora l'art. 8 ha voluto salvaguardare l'interesse dei condomini di proprietà indivise richiedendo l'imputazione alla quota ereditaria della porzione espropriata al condomino assoggettato alle leggi di riforma, ma non ha escluso che l'esproprio stesso si estenda su un singolo fondo, anche per l'intera sua estensione. Tale interpretazione della norma richiamata é stata del resto già affermata dalla Corte con le sentenze nn. 41 del 1964 e 71 del 1965 che si sono riferite al principio secondo cui nelle comunioni il diritto di ciascun condomino investe tutto intero il bene indiviso, ed hanno fatta valere la considerazione che, adottandosi una diversa soluzione, potrebbe riuscire preclusa l'applicazione integrale dell'art. 4, ove uno solo dei fondi indivisi sia ubicato in zona sottoposta a trasformazione fondiaria.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale del D.P.R. 28 dicembre 1952, n. 4134, in riferimento all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, ed in relazione agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, in quanto nel procedere alla determinazione della consistenza della proprietà terriera posseduta da Carlo De Pascalis, vi ha incluso il fondo Prisenna che aveva cessato di farne parte fin dal 1944.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo, della Consulta, il 17 marzo 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in cancelleria il 23 marzo 1966.