Sentenza n. 94 del 1965
 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 94

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 87, ultimo comma, 140, ultimo comma, 165 e 296 del Testo unico della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, promosso con ordinanza emessa il 17 marzo 1964 dal Tribunale di Messina nel procedimento civile vertente tra la ditta "Comm. Vincenzo Cassaro - cantiere navale" e il Consorzio per il bacino di carenaggio di La Spezia, iscritta al n. 121 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 182 del 25 luglio 1964.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione della ditta "Comm. Vincenzo Cassaro - cantiere navale" e del Consorzio per il bacino di carenaggio di La Spezia;

udita nell'udienza pubblica del 10 novembre 1965 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi l'avv. Arturo Carlo Jemolo, per la ditta Cassaro, l'avv. Antonio Sorrentino, per il Consorzio, e il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il presente giudizio di legittimità costituzionale trae origine da una ordinanza emessa il 17 marzo-19 maggio 1964 dal Tribunale di Messina nel procedimento civile promosso dalla ditta "Comm. Vincenzo Cassaro - cantiere navale" nei confronti del Consorzio per il bacino di carenaggio di La Spezia al fine di conseguire la condanna del Consorzio all'adempimento di un contratto, con cui questo aveva commesso alla menzionata ditta, a trattativa privata, la costruzione di un bacino galleggiante. Siccome il rifiuto del Consorzio di adempiere il contratto dipendeva dal diniego del Prefetto di autorizzare la trattativa privata, la ditta Cassaro aveva sollevato in giudizio la questione circa la legittimità costituzionale degli artt. 87, ultimo comma, 140, ultimo comma, 165 e 296 del Testo unico della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383 (nel testo modificato con legge 9 giugno 1947, n. 530), per contrasto con gli artt. 5,128 e 130 e con la IX disposizione transitoria e finale della Costituzione. E il Tribunale, affermata la rilevanza della questione sul presupposto della applicabilità al Consorzio de quo dell'art. 165 del T.U. com. e prov. (il quale estende ai consorzi cui partecipino Province o Comuni le disposizioni dettate dallo stesso T.U. per la vigilanza e tutela governativa nei confronti delle Province e dei Comuni), e rigettate con diffusa motivazione le argomentazioni del Consorzio volte a contestare tale rilevanza, ha ritenuto che la questione stessa non sia manifestamente infondata, e ne ha rimesso l'esame a questa Corte.

Con le norme impugnate, rispettivamente, si assoggetta ad autorizzazione prefettizia la stipulazione di taluni contratti dei Comuni e delle Province a trattativa privata (artt. 87 e 140); si sottopongono a visto prefettizio i contratti dei Comuni e delle Province che eccedono i limiti al di là dei quali é richiesta l'autorizzazione per la trattativa privata, autorizzando il prefetto a negare, per gravi motivi, l'esecutività anche ai contratti riconosciuti regolari (art. 296); si estendono ai consorzi le disposizioni relative ai controlli sui Comuni e le Province, e quindi anche le disposizioni degli artt. 87,140 e 296 (art. 165).

L'ordinanza del Tribunale rileva che dal principio dell'autonomia dei minori enti locali, affermato negli artt. 5 e 128 della Costituzione, e dallo espresso dettato dell'art. 130 risulta che il controllo di merito nei confronti di tali enti non può essere esercitato se non attraverso il meccanismo della "richiesta di riesame"; e, contestando un'obiezione sollevata in proposito dal Consorzio, esclude che il secondo comma dell'art. 130, riguardante l'esercizio del controllo di merito mediante richiesta di riesame, debba rimanere inattuato fino all'istituzione delle Regioni: infatti il citato articolo considererebbe le Regioni soltanto nel primo comma, il quale commette ad esse il controllo di legittimità sui minori enti locali, senza occuparsi del controllo di merito. Aggiunge, d'altro canto, l'ordinanza, che, se é vero che il termine triennale assegnato dalla IX disposizione finale della Costituzione per l'adeguamento delle leggi "alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni" ha carattere meramente ordinatorio - onde, fin quando tale adeguamento non venga realizzato, non possono considerarsi abrogate le preesistenti disposizioni in materia di controllo sui minori enti locali -, ciò non esclude che, anche prima che al prescritto adeguamento si faccia luogo, quelle disposizioni possano esser riscontrate illegittime per contrasto con le norme costituzionali alle quali debbono essere adeguate: ai fini della legittimità delle leggi non é decisiva infatti la distinzione tra norme costituzionali precettive e programmatiche.

Nel deferire a questa Corte l'anzidetta questione, l'ordinanza ha soggiunto di ritenere per contro manifestamente infondata ogni altra questione, sollevata in giudizio, riflettente gli impugnati artt. 87 e 140 del T.U. comunale e provinciale.

L'ordinanza é stata notificata alle parti in causa rispettivamente il 22 e il 25 maggio 1964, e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 27 maggio. Essa é stata comunicata al Presidente del Senato il 30 maggio e a quello della Camera dei deputati il 20 giugno successivi. É stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 182 del 25 luglio 1964.

Davanti a questa Corte si sono costituiti il Consorzio, con mandato e deduzioni depositati il 4 agosto 1964, e la ditta Cassaro, con mandato e deduzioni depositati il 10 agosto 1964. Inoltre é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocato generale dello Stato, con atto depositato il 15 luglio 1964.

La ditta Cassaro sostiene, in appoggio alla tesi della illegittimità delle norme impugnate, che i controlli di merito intaccano lo stesso principio dell'autonomia e quindi sono palesemente incompatibili con gli artt. 5 e 128 della Costituzione. Aggiunge che l'art. 130 della Costituzione contiene due distinte e autonome norme: l'una indica l'autorità qualificata al controllo, l'altra la natura dei controlli ammessi; e sostiene che l'attuazione di quest'ultima - non condizionata dall'attuazione della prima - non può esser rinviata senza che le norme incompatibili con essa assumano carattere di incostituzionalità.

Il Consorzio obietta all'ordinanza di rimessione che le norme degli artt. 5 e 128 della Costituzione rimettono al legislatore ordinario la definizione dell'ambito dell'autonomia dei minori enti locali. Afferma poi che l'art. 130 ha carattere unitario: entrambi i due commi riguardano competenze regionali, e non se ne può quindi invocare l'applicazione fin quando non sia attuato l'ordinamento regionale. Ove così non fosse, dovrebbe giungersi all'assurdo di escludere, attualmente, la possibilità di qualsiasi controllo statale sugli enti locali.

Analogamente ragiona l'Avvocatura dello Stato, la quale richiama particolarmente l'attenzione sulla complessità del problema dell'adeguamento alla Costituzione della preesistente normazione in materia di autonomie locali e di controlli: complessità che esige dal legislatore una maturazione con cui appare incompatibile la pretesa della immediata operatività del secondo comma dell'art. 130 della Costituzione.

In una memoria depositata il 30 settembre scorso il Consorzio ha richiamato l'attenzione della Corte sulla importanza e la vastità del problema, unitariamente inteso, della legittimità costituzionale degli attuali controlli di merito sugli enti locali, e ha sottolineato l'opportunità di un esame e una soluzione unitaria di esso. Nondimeno non ha mancato di esprimere talune perplessità circa la rilevanza nel giudizio a quo della questione relativa alla legittimità dell'art. 296 del T. U. comunale e provinciale, dato che nel caso sottoposto al giudice a quo non era stato né chiesto, né negato un visto prefettizio; circa l'inquadrabilità di tale visto tra i controlli di merito; circa la stessa configurabilità dell'autorizzazione alla trattativa privata come controllo di merito.

Nella memoria si sottolinea, ad ogni modo, da un lato, che il controllo mediante approvazione non fa venir meno l'autonomia; dall'altro che il rifiuto dell'approvazione deve esser motivato ed é soggetto a sindacato giurisdizionale (e talvolta anche amministrativo). Si insiste poi sul carattere unitario delle disposizioni del primo e del secondo comma dell'art. 130 della Costituzione: carattere che importa che il meccanismo dei controlli previsto da tale articolo non potrà entrare in funzione, se non una volta instaurate le Regioni. Si aggiunge che altrimenti bisognerebbe ritenere una cosa palesemente inverosimile, e cioè che l'Assemblea costituente abbia inteso considerare illegittimi fin dal 1 gennaio 1948, momento di entrata in vigore della Costituzione, i controlli di merito in vigore, con conseguente mancanza di qualsiasi controllo di merito in tutto il periodo tra tale data e l'instaurazione delle Regioni. Infine si nota che, ove, del resto, si volesse pensare che la illegittimità dei controlli in vigore al momento della emanazione della Costituzione sia sopravvenuta col decorso del termine di tre anni previsto dalla IX disposizione transitoria e finale della Costituzione per l'istituzione delle Regioni, si verrebbe inevitabilmente a urtare contro la giurisprudenza secondo cui i termini contenuti nelle disposizioni transitorie e finali della Costituzione non hanno carattere perentorio.

Anche l'Avvocatura ha depositato una memoria, in data 21 ottobre scorso.

In essa si richiama l'attenzione sul carattere unitario del nuovo sistema di raccordo tra autonomie locali e controlli previsto dalla Costituzione, per ricavarne che esso non potrà entrare in funzione se non con l'istituzione delle Regioni. Si aggiunge che, avendo l'art. 72 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, stabilito che fino alla instaurazione del controllo regionale, nei confronti dei minori enti locali continueranno a esercitarsi i controlli di merito preesistenti, sarebbe vano, in mancanza di un'impugnativa di tale articolo, che ha conferito nuovo titolo alle norme contenute nelle disposizioni impugnate, portare l'esame su queste ultime. Si insiste nella tesi che il carattere ordinatorio del termine previsto dalla IX disposizione transitoria e finale della Costituzione vale a confermare la legittimità della attuale permanenza delle disposizioni stesse.

Si nota inoltre che l'autorizzazione alla trattativa privata, lungi dal concretare una forma di controllo di merito sugli atti degli enti locali, si risolverebbe in una dispensa dall'osservanza di un divieto legittimamente posto in sede di determinazione legislativa dell'ambito dell'autonomia di quegli enti.

Nei confronti dell'art. 296 del T.U. comunale e provinciale l'Avvocatura, mentre rileva anch'essa l'irrilevanza della questione di legittimità costituzionale ai fini del giudizio civile che ha dato origine alla presente controversia, aggiunge che l'articolo stesso, per la parte in cui prevede un semplice controllo di legittimità, sarebbe incontestatamente legittimo, e, per la parte in cui si possa ritenere che ammetta un controllo di merito, sarebbe da ritenere coperto dalla IX disposizione transitoria e finale della Costituzione. Peraltro sarebbe da escludere che esso preveda un controllo di merito sugli atti degli enti locali, dovendosi il potere discrezionale accordato al prefetto da quell'articolo esercitare non per ragioni inerenti alla "sostanza intrinseca dell'atto", bensì per ragioni "estranee" all'atto, quali i gravi motivi di interesse dell'ente o altri gravi motivi di interesse pubblico.

All'udienza i difensori delle parti hanno insistito nelle tesi sopra esposte.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il presente giudizio riguarda gli artt. 87, ultimo comma, e 140, ultimo comma, del T. U. comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383 - i quali consentono rispettivamente ai Comuni e alle Province di stipulare, in circostanze eccezionali, contratti a trattativa privata, ma soltanto se autorizzati dal prefetto -, l'art. 165 dello stesso T. U. - il quale estende (tra l'altro) le anzidette disposizioni ai consorzi comunali e provinciali -, l'art. 296 sempre dello stesso T. U. - il quale al primo comma subordina al visto prefettizio di legittimità l'operatività dei contratti comunali e provinciali (e quindi, tra l'altro, consente di negare il visto e non rendere operativi i contratti a trattativa privata, quando questi non siano stati autorizzati dal prefetto) e al terzo comma consente altresì al prefetto di negare il visto ai contratti "per gravi motivi di interesse dell'ente e per altri gravi motivi di interesse pubblico". Le anzidette disposizioni, attribuendo al prefetto, nei confronti dell'operato degli enti locali, controlli di merito di un tipo non ammesso dall'art. 130, secondo comma, della Costituzione - il quale non prevede altra forma di controllo di merito se non quella della "richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione" -, oltre a violare quest'ultimo precetto costituzionale, ferirebbe l'autonomia di quegli enti, garantita dagli artt. 5 e 128 della Costituzione. Né varrebbe opporre che la IX disposizione transitoria e finale della Costituzione, rimettendo alla legge di adeguare la preesistente normativa della materia "alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni", consentirebbe al preesistente sistema di sopravvivere fino alla instaurazione degli ordinamenti regionali nei singoli territori interessati: infatti tale sopravvivenza non potrebbe esser legittima se non per quella parte del sistema che non appaia in contrasto con l'uno o con l'altro precetto costituzionale.

2. - All'impugnativa vengono opposte dallo Stato e dal Consorzio due eccezioni.

La prima si richiama all'art. 72 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, sulla costituzione e il funzionamento degli organi regionali, il quale dispone che, sino a quando non saranno entrati in funzione gli organi di controllo previsti dalla legge stessa in attuazione dell'art. 130 della Costituzione, "i controlli sulle Province e sui Comuni saranno esercitati dagli organi che attualmente li esercitano, nelle forme e nei modi previsti dalle leggi vigenti". Secondo l'eccezione, la mancanza di una impugnativa di tale disposizione postcostituzionale, che ha riaffermato la vigenza delle forme di controllo di merito preesistenti, renderebbe vana l'impugnativa delle anteriori disposizioni, in cui queste ultime sono contemplate.

Il ragionamento non può essere condiviso. Il citato art. 72 si é limitato a confermare, globalmente, la vigenza delle preesistenti disposizioni in materia di controlli; ed é evidente che, volendo denunciare talune delle disposizioni così mantenute in vigore, il giudice a quo non poteva non indicare, a tal fine, le disposizioni stesse. L'intento di denunciare la vigenza attuale - confermata, del resto, dalla legge del 1953 senza carattere innovativo - risulta poi dall'ordinanza di rimessione assolutamente chiara, indipendentemente da una specifica menzione del ricordato art. 72.

3. - L'altra eccezione argomenta dal fatto che al contratto della cui operatività si discuteva nel giudizio a quo il prefetto aveva negato il visto per ragioni di legittimità (mancanza dell'autorizzazione alla trattativa privata) e non per alcuna delle ragioni di merito considerate dal terzo comma dell'art. 296 del T.U. comunale e provinciale; e ne ricava la affermazione dell'irrilevanza, ai fini del decidere, della questione di legittimità relativa a quest'ultimo comma.

Anche questa eccezione non può però essere accolta, giacché l'ordinanza di rimessione risulta motivata in ordine alla rilevanza dell'impugnativa dell'intero art. 296; e, secondo la propria costante giurisprudenza, questa Corte non può - salvo casi estremi - procedere a una valutazione della attendibilità del ragionamento fatto dal giudice a quo per motivare la rilevanza.

4. - Passando al merito, la Corte non ritiene decisivo stabilire se il riscontro della sussistenza delle "circostanze eccezionali" richieste per la concessione dell'autorizzazione alla trattativa privata di cui all'art. 87, ultimo comma, e all'art. 140, ultimo comma, del T. U. comunale e provinciale, e la verificazione della mancanza di "gravi motivi" che possano sconsigliare il rilascio del visto contrattuale ai sensi dell'art. 296, ultimo comma, rappresentino veri e propri "controlli di merito" ai sensi dell'art. 130, secondo comma, della Costituzione, ovvero -come sostengono l'Avvocatura dello Stato e la difesa del Consorzio - valutazioni attinenti all'esercizio di poteri discrezionali destinati rispettivamente ad ampliare la normale sfera di autonomia degli enti locali e a proteggere ab externo gli interessi di questi. Ai fini della decisione della presente controversia é infatti sufficiente osservare che, tanto per il dimensionamento delle autonomie locali - regionali, provinciali e comunali - voluto dalla Costituzione (artt. 5, 115-120, 128), quanto per l'instaurazione del nuovo sistema di controlli sui Comuni e le Province da essa previsto (art. 130), le norme di attuazione, contemplate dalla IX disposizione transitoria e finale della Costituzione, sono finora mancate; con la conseguenza del legittimo permanere in vita, per le autonomie come per i controlli, del sistema preesistente, la cui continuazione la ricordata disposizione IX previde - all'evidente fine di evitare periodi di carenza - appunto fino al momento dell'adeguamento di esso "alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni".

É vero che per tale adeguamento la ripetuta disposizione fissava il termine di tre anni. Ma - come questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare (e, da ultimo, con la sentenza n. 17 del corrente anno) - la mancata osservanza dei termini assegnati dalla Costituzione al Parlamento per tradurre in legislazione operante i suoi precetti non immediatamente operativi, come non basta a far considerare venuta meno, così non basta a invalidare la legislazione non aggiornata. Onde, se non si può non deprecare, ancora una volta, l'inosservanza di detti termini e il protrarsi della mancata attuazione - sicché l'ordinamento in atto si presenta notevolmente alterato rispetto a quello concepito dall'Assemblea costituente, con conseguenti squilibri e scompensi nei diversi campi della vita pubblica e privata - deve nondimeno escludersi che l'inadempimento costituzionale produca, per sé solo, l'illegittimità della legislazione non ancora assoggettata a revisione.

Fin quando le autonomie degli enti locali non avranno avuto il maggior respiro voluto dalla Costituzione, comprendendo nel quadro della riforma - come richiedono naturali esigenze di unità e di condizionamento reciproco - la revisione del sistema delle ingerenze degli enti sopraordinati, l'ordine vigente continuerà, nonostante il suo anacronismo, a vivere non illegittimamente, tanto per ciò che riguarda le autonomie, quanto per ciò che riguarda i controlli e le altre forme di vigilanza dello Stato.

Né con riferimento ai vigenti meccanismi dei controlli di merito sugli enti locali minori può dirsi - come si assume nell'ordinanza che ha dato occasione al presente giudizio - che, anche prima del riordinamento di cui si é detto, essi sarebbero diventati senz'altro illegittimi, pel solo fatto di non corrispondere alla forma del rinvio con richiesta di riesame, che é la sola previstane dal secondo comma dell'art. 130 della Costituzione. Tanto dai lavori preparatori della Costituzione, quanto dal fatto che la disposizione che se ne occupa non é stata inserita nell'art. 128 riguardante l'autonomia dei Comuni e delle Province, ma nell'art. 130 riguardante i poteri di controllo delle Regioni, si ricava infatti chiaramente che la nuova forma del controllo di merito fu concepita dai costituenti come strettamente e immediatamente connessa col passaggio alle Regioni della funzione di controllo. A ragionare diversamente - secondo l'assunto dell'ordinanza di rimessione, in base al quale l'art. 130 solo nel primo e non anche nel secondo comma riguarderebbe i controlli di competenza regionale - dovrebbe ritenersi - in contrasto con la chiara volontà dei costituenti e certamente oltre l'intenzione dei sostenitori della tesi - che il secondo comma dell'art. 130 autorizzi nei confronti degli enti minori anche controlli di merito esercitati da soggetti diversi dalla Regione, e quindi anche controlli di merito statali.

Quanto or ora si é detto esclude anche la possibilità di appellarsi, nel caso in esame, a quei precedenti, nei quali la Corte ha affermato che, anche prima dell'attuazione delle revisioni legislative previste nel tempo dalla Costituzione nei rispettivi settori, le norme preesistenti riguardanti gli istituti soggetti a revisione possono essere illegittime per contrasto con singoli precetti costituzionali. Così, per es., é stato affermato che, anche prima della emanazione delle norme di revisione delle giurisdizioni speciali previste dalla VI disposizione transitoria e finale, possono esser dichiarate illegittime quelle giurisdizioni speciali, ai cui componenti non sia assicurata l'indipendenza ai sensi dell'art. 108, secondo comma, della Costituzione (v. ancora sentenza n. 17 già citata). L'illegittimità ha potuto esser dichiarata infatti, in simili casi, con riferimento a precetti costituzionali immediatamente operanti. Invece, come si é detto, l'art. 130 della Costituzione, invocato nel caso in esame, presuppone, per poter operare, l'attuazione dell'ordinamento regionale, che, fuori dei territori delle Regioni ad autonomia speciale, finora é mancata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione, proposta con l'ordinanza indicata in epigrafe, relativa alla legittimità costituzionale degli artt. 87, ultimo comma, 140, ultimo comma, 165, 296, ultimo comma, del Testo unico della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, in riferimento agli artt. 5,128 e 130 e alla IX disposizione transitoria e finale della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 1965.