SENTENZA N. 59
ANNO 1965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, recante "Costituzione e gestione delle riserve di caccia nel territorio regionale", promosso con ricorso della Giunta provinciale di Bolzano, notificato il 13 novembre 1964, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 21 successivo ed iscritto al n. 15 del Registro ricorsi 1964.
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Presidente della Regione Trentino-Alto Adige e del Presidente della Giunta provinciale di Trento;
udita nell'udienza pubblica del 12 maggio 1965 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;
uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per la Provincia di Bolzano, l'avv. Renzo Morelli, per la Provincia di Trento, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per la Regione Trentino-Alto Adige.
Ritenuto in fatto
La Giunta provinciale di Bolzano, previa deliberazione d'urgenza, ratificata dal Consiglio nella seduta del 4 febbraio 1965, ha proposto ricorso avverso la legge della Regione Trentino- Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, sulla costituzione e gestione delle riserve di caccia nel territorio regionale, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione del 15 settembre 1964, n. 39.
Con tale legge i territori indicati in un elenco allegato, che comprende tutto il territorio regionale con la specificazione delle riserve private e delle bandite demaniali, sono stati costituiti in riserve di caccia "di diritto" e ne é stata affidata la gestione alle Sezioni provinciali di Trento e di Bolzano della Federazione italiana della caccia.
Il ricorso, notificato al Presidente della Giunta regionale, al Presidente della Giunta provinciale di Trento ed al Presidente del Consiglio dei Ministri il 13 novembre 1964 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 21 dello stesso mese, é stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 7 del 9 gennaio 1965.
Col ricorso si denunzia la violazione dell'art. 4 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige:
1) in relazione all'art. 42 della Costituzione, in quanto la costituzione della riserva sarebbe stata attuata in violazione del principio dell'ordinamento desumibile dall'art. 44 del vigente T. U. delle norme sulla caccia 5 giugno 1939, n. 1016, il quale richiede che la limitazione del diritto di proprietà dei cittadini avvenga con riguardo a singole porzioni di territorio in base ad una valutazione concreta da farsi di volta in volta e caso per caso o dispone un particolare procedimento amministrativo rivolto a determinare la competenza degli organi pubblici, le modalità da osservare per la costituzione del vincolo e i rimedi giuridici a tutela dell'interesse dei privati. All'uopo si cita la sentenza di questa Corte 2 marzo 1962, n. 13;
2) in relazione agli articoli 41, 42, 43 della Costituzione e del principio generale di libertà della iniziativa economica privata in quanto: a) le riserve operative di attività sarebbero di competenza dello Stato e non della Regione; b) nella specie non ricorrerebbero i presupposti soggettivi ed oggettivi di cui all'art. 43 della Costituzione; c) la legge regionale avrebbe dovuto limitarsi, semmai, ad istituire una riserva pubblica accompagnata dalla istituzione dell'obbligo del rilascio della concessione a chiunque ne avesse fatto richiesta (iscritti o non iscritti alla F. I. C.) ai sensi dell'art. 41 della Costituzione e dell'art. 56 del T. U. sulla caccia; d) la legge non prevede alcun indennizzo a favore dei proprietari dei terreni, in violazione dell'art. 42 della Costituzione;
3) in relazione ai principi fondamentali che si desumono dagli artt. 1 e seguenti e 11 dello Statuto e art. 67 T.U. sulla caccia, in quanto la legge regionale determina la caducazione dell'art. 67 del T.U. sulla caccia che demandava ai Comuni, quali più sicuri interpreti dei bisogni delle popolazioni locali, la facoltà di costituire le riserve di caccia in tutto il territorio del Comune ad eccezione delle zone riservate ai privati. Con ciò avrebbe violato quel principio del rispetto delle tradizioni locali che lo Statuto ha invece inteso tutelare (art. 11) e in relazione alle quali la Corte costituzionale ha giustificato il superamento di qualcuno dei limiti imposti al potere legislativo regionale e provinciale;
4) in relazione agli artt. 1 e seguenti del T.U. sulla caccia e all'art. 18 della Costituzione, in quanto la legge impugnata avrebbe violato i principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 giugno 1962, n. 69, per il fatto di avere attribuito poteri pubblici alla Federazione della caccia, sottraendoli alla Provincia e ai Comuni, e per avere sottratto, altresì, un tipo di attività ai singoli individui e ai loro raggruppamenti per demandarla in modo obbligatorio e cogente ad un ente pubblico. In proposito si cita anche la sentenza della Corte costituzionale 17 marzo 1961, n. 13, con la quale si é dichiarata la incostituzionalità di una legge che obbligava a svolgere una determinata attività (ordinamento delle professioni alpine) esclusivamente a mezzo dell'appartenenza ad una associazione;
5) in relazione agli artt. 5 e 118 della Costituzione e agli artt. 13 e 14 dello Statuto. In base ai principi che ne discendono, applicati anche in materia di caccia col D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, dovrebbe ritenersi acquisito che le funzioni amministrative in questa materia debbono essere esercitate dagli enti locali e non da un ente nazionale, quale é la Federazione nazionale della caccia;
6) in relazione agli artt. 1 e seguenti del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, in quanto la legge regionale, con l'affidare illegittimamente alla Federazione nazionale della caccia la diretta gestione della riserva ha, in effetti, attribuito a detto Ente funzioni che non rientrano nei compiti istituzionali dell'Ente stesso stabiliti dal citato T. U. del 1939, sicché in tal modo si sarebbe proceduto con legge regionale ad un mutamento della struttura dell'Ente disciplinata con legge dello Stato.
7) Si deduce, infine, la violazione dell'art. 38 dello Statuto, in quanto in base all'art. 3 della legge impugnata la disciplina della gestione della riserva, in attesa di nuove norme legislative sulla caccia, sarebbe rimessa ad un potere regolamentare indipendente da esercitarsi in futuro dalla Giunta regionale; potere che non spetta alla Giunta regionale, la quale, ai sensi dell'art. 38 dello Statuto, può emanare soltanto regolamenti esecutivi. Le emanande norme regolamentari dovrebbero sostituire le vigenti norme statali che poi sarebbero destinate a perdere la loro efficacia per effetto dell'emanazione di nuove norme legislative regionali.
La Regione, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, ha resistito al ricorso, depositando deduzioni e conclusioni in data 30 novembre 1964.
Dopo avere accennato al dubbio che il ricorso della Provincia sembrerebbe proposto "per puro spirito di chicane" per mancanza di alcun interesse concreto all'annullamento della legge impugnata, la Regione ritiene il ricorso infondato per i seguenti motivi:
a) la materia della caccia é attribuita alla competenza legislativa primaria della Regione che incontra i soli limiti della Costituzione e dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, non pure di quelli stabiliti dalle singole leggi dello Stato.
D'altra parte l'art. 5 del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, precisa che la zona delle Alpi é da considerare zona faunistica a sé stante appunto per sottrarla ai principi che regolano l'esercizio della caccia nel rimanente territorio dello Stato, per escludere che a detta zona si applichino i limiti di estensione, singola e complessiva, previsti per le bandite e le riserve, e, infine, per consentire che anche l'intero suo territorio, ad eccezione delle zone riservate ai privati, sia costituito in riserva (art. 67).
Onde la Regione non era tenuta ad osservare le forme, ed in particolare, il procedimento amministrativo, stabilito per la costituzione delle riserve nel rimanente territorio dello Stato; e del resto detto procedimento non é richiesto in senso assoluto dal citato T.U., come é dimostrato dal fatto che certe riserve risultano costituite ope legis (es. i beni già della Corona, oggi assegnati al Presidente della Repubblica) (art. 56), e i Parchi nazionali (art. 57).
b) Infondato sarebbe ugualmente il secondo motivo del ricorso col quale si deduce la violazione degli artt. 41, 42 e 43 della Costituzione.
In primo luogo la legge impugnata non ha stabilito una riserva operativa di attività a favore della Federazione della caccia, ma ha affidato alle Sezioni provinciali di questa la gestione delle riserve, ferma restando la gestione delle riserve private di caccia così come la legge nazionale affida all'azienda forestale la gestione dei Parchi nazionali.
In secondo luogo, la caccia non é un'attività economica, come pure tale non é la gestione di una riserva, onde l'una e l'altra attività non rientrano nella fattispecie normativa prevista dagli articoli 41 - 43 della Costituzione.
Né la legge impugnata, vietando ai proprietari la caccia indiscriminata sui propri fondi, li esproprierebbe, senza indennizzo, di una qualche facoltà compresa nel diritto di proprietà, giacché il nostro ordinamento considera la selvaggina una res nullius, e non, come nell'ordinamento austriaco, una pertinenza o un frutto del fondo.
Le leggi sulla caccia, d'altronde, avendo lo scopo precipuo di proteggere la fauna, sono dettate più per limitare che per consentire l'esercizio della caccia, e certamente non attribuiscono alcun diritto di caccia libera e indiscriminata al proprietario del fondo.
c) In riferimento al terzo motivo del ricorso, circa l'asserita violazione dei principi fondamentali dello Statuto speciale, l'Avvocatura ritiene che dal fatto che l'art. 11, n. 4, attribuisca alla Provincia competenza in materia di usi e costumi, non possa inferirsi che la Regione debba ripristinare, in ossequio alle tradizioni locali, gli istituti giuridici pre-unitari.
D'altra parte quando tale ripristino di antichi istituti lo Statuto ha voluto, lo ha detto esplicitamente come nel caso dei "masi chiusi" e delle "comunità familiari rette da antichi statuti e consuetudini".
Né sembra utile il richiamo all'art. 67 del T. U. perché detta norma consentiva ai Comuni di costituire in riserva il loro territorio a condizione che la gestione di essa fosse affidata alla Federazione della caccia, e pertanto essa non attribuiva ai Comuni più di quanto attribuisca loro la legge impugnata.
d) Con riferimento, poi, al quarto, quinto e sesto motivo di doglianza, l'Avvocatura sostiene che non può dirsi che la legge regionale, affidando la gestione delle riserve di diritto all'Associazione dei cacciatori, abbia sottratto funzioni amministrative ai Comuni, giacché, a parte il rilievo che la Provincia non ha alcuna competenza in materia di caccia, non applicandosi nel territorio della Regione le norme sul decentramento, é da considerare che il più volte citato T. U. sulla caccia espressamente consente (l'art. 67, anzi, fa obbligo) di concedere alla Federazione della caccia la gestione delle riserve e bandite. Onde la legge regionale impugnata avrebbe agito negli schemi della legislazione statale con l'unica differenza, peraltro imposta dal mutato clima politico e dal nuovo ordinamento costituzionale, di affidare la gestione non alle sole sezioni provinciali della Federazione, ma a queste insieme con le libere associazioni di cacciatori e nell'interesse tanto degli iscritti quanto dei non iscritti (l'art. 67 limitava il vantaggio ai soli iscritti).
Ed in particolare, per quanto attiene all'asserita violazione degli artt. 5 e 118 della Costituzione nonché degli artt. 13 e 14 dello Statuto speciale, sotto il profilo che la legge impugnata avrebbe delegato funzioni amministrative ad un ente nazionale, invece che ad un ente locale, l'Avvocatura eccepisce in primo luogo che il principio fondamentale dell'ordinamento é quello del decentramento in genere, mentre quello di decentrare le funzioni amministrative in materia di caccia a Provincia e Comune é un principio delle leggi dello Stato che la Regione non era tenuta a rispettare; ed in secondo luogo che la gestione delle riserve di diritto non sarebbe stata affidata alla Federazione nazionale, bensì alle due sezioni provinciali con la collaborazione delle libere associazioni locali, e perciò ad "enti locali", d'altronde mantenendo fermo il sistema instaurato dalla legge nazionale.
e) Infine, relativamente al settimo ed ultimo motivo del ricorso, l'Avvocatura afferma che la Regione avrebbe ugualmente agito negli schemi della legislazione statale là dove ha riservato ad un regolamento la disciplina della gestione delle riserve, in armonia con l'art. 67 del T.U. secondo cui la gestione delle riserve alpine é disciplinata con decreto ministeriale.
Ritiene poi inesatta l'affermazione che la Giunta regionale non potrebbe emanare regolamenti indipendenti, sul riflesso che l'emanazione di questi dovrebbe ritenersi compresa nell'attività amministrativa che l'art. 38, n. 2, attribuisce alla Giunta. Peraltro esclude che nella specie si sia in presenza di un vero e proprio regolamento indipendente, nella considerazione che l'affidamento della gestione delle riserve sarebbe, in sostanza, una concessione amministrativa, che non cessa di essere tale anche se disposta dalla legge, e pertanto la disciplina della concessione stessa, istituzionalmente riservata alla Giunta, regolando, con apposito disciplinare, soprattutto i rapporti tra concedente e concessionario, si concreterebbe in un atto amministrativo particolare, il quale come non ha i requisiti sostanziali del regolamento - atto amministrativo generale - così non deve averne i requisiti formali.
Ciò considerato, l'Avvocatura conclude chiedendo il rigetto del ricorso della Provincia di Bolzano.
La Provincia di Trento, costituitasi in giudizio, ha depositato le sue deduzioni il 3 dicembre 1964, sviluppandole ed illustrandole con memoria depositata il 24 marzo 1965.
Essa, premessi alcuni cenni sull'evoluzione storica del diritto di caccia nel Trentino-Alto Adige, ha ritenuto utile precisare, come, alla data di emanazione della legge regionale, tutti i comuni delle due Province avessero già costituito in riserva di caccia il territorio della loro circoscrizione ai sensi dell'art. 67 del T.U. del 1939, n. 1016, e come la legge regionale non abbia fatto altro che confermare, ope legis, le riserve medesime, senza crearne di nuove e senza modificare la loro estensione.
In ordine poi ai motivi di impugnazione della legge regionale, la Provincia di Trento, in aggiunta ad alcune controdeduzioni che risultano già svolte dall'Avvocatura dello Stato in difesa della Regione, muove le seguenti osservazioni:
a) nel procedimento amministrativo di concessione la pubblica Amministrazione per le riserve comunali (ex art. 67) non aveva alcun potere discrezionale in ordine alla valutazione dell'interesse e dell'opportunità della loro costituzione, dovendosi solo limitare ad accertare l'ubicazione del territorio nella zona delle Alpi (art. 5) e l'adempimento della condizione della cessione della gestione alla Federcaccia senza neppure richiedere il consenso dei proprietari terrieri, i quali restavano completamente estranei al procedimento amministrativo. Posto ciò, niente di nuovo la legge regionale ha stabilito rispetto alla legge nazionale;
b) la legge regionale, sostituendo alla riserva amministrativa (ex art. 67 del T. U.) la riserva di diritto, non ha apportato alcuna nuova limitazione alla proprietà privata, perché già la legge nazionale (art. 62 del T. U. del 1931, n. 117, e art. 67 del T. U. del 1939, n. 1016) aveva riconosciuta per la zona delle Alpi la facoltà di costituire in riserve tutto il territorio della circoscrizione comunale, e quindi anche i terreni privati compresi nella circoscrizione medesima; facoltà peraltro già esercitata dai Comuni della Regione.
In base alle suesposte considerazioni la Provincia di Trento chiede alla Corte costituzionale di respingere il ricorso della Provincia di Bolzano e di dichiarare la legittimità costituzionale della legge regionale impugnata.
Con memoria depositata il 25 marzo 1965, la Provincia ricorrente svolge ed illustra i propri assunti difensivi, osservando in particolare - contro il rilievo dell'Avvocatura - che i casi di riserve di diritto stabilite dalla legge dello Stato (beni già della Corona, Parchi nazionali, etc.) riguardano solo terreni di proprietà pubblica, onde, in tal caso, il principio del giusto procedimento evidentemente non ha ragione di valere, là dove tale principio non può subire deroghe quando si tratti di terreni di proprietà privata.
Insiste sul concetto che la costituzione di riserve di caccia si sostanzia in una vera e propria misura espropriativa con diritto ad indennizzo a favore del privato proprietario; afferma che l'art. 43 della Costituzione si riferisce a qualsiasi attività che astrattamente possa essere oggetto di utilizzazione economica; sottolinea che la legge regionale viola l'art. 118 della Costituzione in quanto ha usurpato una funzione amministrativa (quella di provvedere in concreto alla costituzione delle riserve di caccia) che invece risulta espressamente attribuita ai Comuni della Regione del Trentino-Alto Adige in forza della legge dello Stato (art. 67). Ribadisce che la disciplina dell'attività di gestione incide anche sui diritti dei proprietari dei fondi e pertanto non può mai avere rilevanza interna limitata ai rapporti tra concedente e concessionario, onde il regolamento, in cui si sostanzia tale disciplina, deve qualificarsi indipendente se non addirittura delegato, considerato che deve essere emanato in forza della legge regionale: tipi di regolamento inammissibili nell'ambito della Regione ai sensi degli articoli 38 e 40 dello Statuto speciale.
L'Avvocatura, con memoria depositata il 20 marzo 1965, ricorda sotto il profilo storico, che la legge austriaca 7 marzo 1849 ebbe ad abolire il diritto di caccia sui fondi altrui e che, in conseguenza, il diritto di caccia venne riconosciuto solo ai proprietari che possedessero un complesso unitario di 115 ettari di proprietà fondiaria, altrimenti tale diritto veniva assegnato al Comune che rimaneva obbligato ad affidarlo per conto dei proprietari terrieri nei confronti dei quali, poi, veniva suddiviso il ricavato dei contratti pluriennali d'affitto.
Secondo l'ordinamento austriaco, quindi, la cacciagione veniva considerata frutto del fondo e il diritto di caccia una tipica manifestazione del diritto di proprietà, a differenza dell'ordinamento giuridico italiano che qualifica la cacciagione come una res nullius e il diritto di caccia come un diritto personale di libertà e perciò pubblico subiettivo, non patrimoniale, che si sostanzia nel potere di procedere alla cattura di animali selvatici a scopo sportivo e di svago, con le limitazioni poste dall'ordinamento.
Il regime austriaco venne abrogato solo col T.U. sulla caccia del 25 gennaio 1931, che peraltro conservò le riserve comunali, e ad esso venne sostituito un regime, per così dire, intermedio tra quello riservistico austriaco e quello libero italiano con l'esigenza di tutelare il patrimonio faunistico di tutta la zona delle Alpi. Onde la facoltà riconosciuta ai Comuni della zona alpina di costituire in riserva di caccia tutto il territorio della circoscrizione, escluse le zone riservate ai privati; facoltà consentita ulteriormente dal successivo T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, il cui art. 67 pose la condizione che le riserve comunali dovessero essere cedute in gestione alle rispettive sezioni della Federazione italiana della caccia a vantaggio di tutti gli iscritti.
La gestione delle riserve venne però tenuta distinta da quella relativa all'organizzazione, ai sensi dell'art. 2 del D. M. 18 maggio 1940, che detta norme per il funzionamento delle riserve comunali. Al Comune, tuttavia, venne stabilito di corrispondere un canone, determinato dal Prefetto, che peraltro non trova alcuna giustificazione razionale nel precedente regime.
Le ragioni che hanno indotto la Regione ad emanare la legge impugnata - prosegue l'Avvocatura - risultano dalla Relazione alla legge medesima interamente trascritta nelle deduzioni.
Esse possono sintetizzarsi, tra le altre già messe in luce nelle prime deduzioni, nelle finalità di mantenere la Regione immune dalla distruzione della selvaggina, di garantire a tutti i cacciatori della Regione, iscritti e non iscritti alla Federcaccia, la continuazione dell'esercizio dello sport venatorio in modo disciplinato e responsabile, di mantenere a favore dei Comuni l'introito del canone tradizionale, opportunamente aggiornato.
Ciò premesso da un punto di vista storico, l'Avvocatura passa poi a controdedurre in ordine ai singoli motivi del ricorso della Provincia di Bolzano sviluppando le tesi già esposte ed insiste sulle conclusioni di rigetto.
Considerato in diritto
1. - Premesso che non sussistono ragioni valide per contestare l'ammissibilità del ricorso della Provincia di Bolzano e la costituzione in giudizio della Provincia di Trento, la Corte ritiene utile qualche cenno circa lo stato di diritto e di fatto già esistente nell'ambito delle Province di Trento e di Bolzano in materia di esercizio della caccia. Il sistema vigente nelle due Province in detta materia era quello della legge austriaca del 7 marzo 1849, secondo cui il diritto di caccia era riconosciuto solo al proprietario di non meno di 115 ettari, mentre per i proprietari di minori estensioni di terreno tale diritto di caccia era assegnato al Comune, cui, però, era fatto obbligo di affittarlo per conto dei proprietari terrieri, tra i quali doveva ripartire il provento.
La legge 24 giugno 1923, n. 1420 (art. 42), lasciò inalterato questo sistema; così pure fece il R.D. 4 novembre 1928, n. 2325, concernente norme per l'unificazione legislativa nei territori annessi.
Con l'art. 13 del R.D.L. 3 agosto 1928, n. 1997, che conferì al Governo la delega per l'emanazione di un nuovo testo unico delle leggi sulla caccia, fu stabilito che sarebbero state adottate le disposizioni occorrenti per l'estensione della legislazione sulla caccia alle nuove Province con gli opportuni adattamenti resi necessari dalle peculiari condizioni di quei territori e dalle loro esigenze faunistiche. Su questa base l'art. 62 del T.U. 15 gennaio 1931, n. 117, dispose che nelle Province dove era rimasta in vigore la facoltà dei Comuni di costituire riserve di caccia comunali sul territorio non riservato dei privati, tale facoltà continuava ad avere vigore limitatamente ai territori compresi nella zona delle Alpi (della quale facevano, come tuttora fanno parte, le due Province di Trento e di Bolzano nella loro intera estensione), a condizione che i Comuni concedessero tale territorio alla Associazione provinciale dei cacciatori o alle Sezioni di essa con il corrispettivo della media dei canoni del decennio anteriore alla pubblicazione di quella legge.
É pacifico in fatto che tutti i Comuni delle Province di Trento e di Bolzano, ossia dell'odierna Regione Trentino-Alto Adige, costituirono in riserva di caccia l'intero territorio della circoscrizione, escluse solo le zone riservate dei privati.
Il vigente testo unico del 1939 ha tenuto sostanzialmente ferma questa situazione (art. 67).
Istituita la Regione Trentino-Alto Adige, lo Statuto speciale ha conferito i poteri legislativi alla Regione in materia di alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna e in materia di caccia e pesca (art. 4, nn. 10 e 11). Le norme di attuazione approvate con D. P. 30 giugno 1951, n. 574, hanno disposto che la Regione dovrà uniformare la sua legislazione in materia di caccia alle esigenze di non diminuire in modo alcuno la protezione concessa attualmente alla selvaggina in dipendenza dell'appartenenza del territorio della Regione alla zona faunistica alpina (art. 21).
2. - La Provincia si lagna che la legge regionale abbia costituito di diritto in riserva di caccia l'intero territorio regionale, escluse le zone riservate dai privati, violando così il principio del giusto procedimento.
L'esigenza del giusto procedimento fu affermata da questa Corte con la invocata decisione del 2 marzo 1962, n. 13, sulla base del rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato: rispetto cui é vincolata anche la Regione Trentino-Alto Adige in virtù dell'art. 4 del suo Statuto. Ma questa esigenza non ha carattere di assolutezza. Non é, infatti, ancorata ad una inesistente "riserva" a favore dell'Amministrazione, ma é ispirata alla tutela dei diritti e degli interessi. La legge regionale allora impugnata, sostituendo una propria generale determinazione ai singoli atti amministrativi, faceva cadere di colpo quella tutela che l'ordinamento statale appresta attraverso l'espletamento dei singoli procedimenti con il seguito di controlli, di ricorsi amministrativi e rimedi giurisdizionali.
Nel caso attuale la legge regionale, come si dirà più ampiamente in seguito, nulla sottrae a chicchessia, né agli enti pubblici né ai privati proprietari, giacché, in sostanza, nulla innova rispetto alla situazione precedente. La sostituzione di una dichiarazione legislativa a quella amministrativa non ha, dunque, avuto alcun effetto lesivo nei riguardi della tutela dei diritti e degli interessi.
E pertanto la Corte, pur mantenendo fermo il proprio orientamento circa l'esigenza del giusto procedimento ai sensi della decisione sopra richiamata, giudica che in questo caso quel principio non trova applicazione.
3. - Non é fondata la censura relativa alla violazione degli articoli 41, 42 e 43 della Costituzione.
Si può, anzitutto, rilevare che é la legge nazionale che ha derogato, rispetto alla zona delle Alpi, alle norme generali del testo unico sulla caccia concernenti limiti e modalità per la costituzione delle riserve ed in particolare ha derogato alla disposizione contenuta nell'art. 44 circa l'indennità da corrispondersi al proprietario dissenziente. Queste deroghe, pur non essendo espresse, sono chiare, giacché risultano necessariamente dal fatto che tutto il territorio ricadente in quella zona, escluse le zone riservate dai privati, può essere sottoposto a riserva ai sensi dell'art. 67 del medesimo testo unico senza altre formalità o altri vincoli che non siano quelli previsti da questa disposizione. E nessuno ha contestato la legittimità costituzionale di queste norme statali.
Poiché, come si é detto, é pacifico in fatto che, in base alla legge nazionale, tutte le zone non riservate dai privati erano state costituite in riserva, la legge regionale non ha fatto altro che cristallizzare questa situazione, rendendola definitiva e permanente.
La realtà é che con questa legge nulla é stato tolto ai proprietari se non la ipotetica ma remota possibilità di riavere liberi i propri terreni nel caso che qualche Comune revocasse la costituzione della riserva, dato e non concesso che tale revoca fosse ammissibile.
Ora, se questo é l'unico effetto della legge regionale, la Corte ritiene che non ricorrano i presupposti per un raffronto della legge regionale con gli artt. 41, 42 e 43 della Costituzione; giacché la Regione non ha sostanzialmente mutato la situazione di fatto e di diritto già esistente in base alla legge nazionale.
Comunque, anche se queste considerazioni non si dovessero ritenere sufficienti, la questione resterebbe ugualmente infondata.
Il nostro ordinamento non riconosce al proprietario del terreno né un diritto a fare propria la selvaggina come pertinenza o frutto del fondo né un diritto all'esclusivo esercizio della caccia sul fondo stesso né un diritto a costituire su di esso una riserva di caccia. La facoltà di esercitare la caccia non é insita nel diritto di proprietà fondiaria, ma é un aspetto del diritto di libertà, il cui esercizio subisce limitazioni per la salvaguardia dell'incolumità delle persone, per la protezione della fauna, per la tutela delle colture e dei prodotti agricoli, per la disciplina della caccia come attività sportiva.
Costituendo in via permanente la riserva di caccia sui terreni non riservati dai privati, la legge regionale ha attuato questi fini che sono anche propri dell'ordinamento statale. Così facendo, non ha violato gli artt. 41, 42 e 43 della Costituzione.
Non ha violato gli articoli 41 e 43. Non ha creato né trasferito alcuna impresa o comunque alcuna attività di carattere economico, giacché, nell'affidare alle Sezioni della Federazione della caccia la gestione delle riserve, la Regione ha conferito ad esso l'esercizio di facoltà di carattere pubblico per il raggiungimento di fini di pubblico interesse. Si vedrà fra poco se questo conferimento sia, sotto altri aspetti, legittimo; ma é certo che non se ne può contestare la legittimità alla stregua degli artt. 41 e 43, per l'applicazione dei quali non sussistono i presupposti.
Né si ha la violazione dell'art. 42, perché nessuna espropriazione é stata effettuata, non esistendo alcun diritto da espropriare.
4. - Si esaminano ora le censure relative alla legittimità del conferimento della gestione alle Sezioni provinciali della Federazione della caccia. Tali censure sono state ripetute sotto vari aspetti in diversi motivi del ricorso. É opportuno vagliarle per gruppi.
Non sussiste contrasto tra la legge impugnata ed i principi enunciati da questa Corte con la decisione n. 69 del 1962, la quale dichiarò illegittime alcune disposizioni del testo unico delle leggi sulla caccia per contrasto con l'art. 18 della Costituzione, in quanto quelle norme violavano il diritto di libertà di associazione. Nella specie, questo diritto é pienamente riconosciuto e tutelato sia nei riguardi di altre associazioni di cacciatori sia dei cacciatori non iscritti ad alcuna associazione.
Né valgono ai fini della presente decisione le considerazioni che si leggono nella stessa sentenza circa i poteri della Federazione italiana della caccia in relazione a quelli spettanti alle Amministrazioni provinciali ed ai Comitati provinciali della caccia. La sentenza delineò la situazione della Federazione nei rapporti con lo Stato e con altri enti; e ciò fece ai fini di stabilire se fossero legittime o non le norme che imponevano l'obbligo dell'iscrizione alla Federazione. Ma la Corte non negò la legittimità delle norme relative alla istituzione ed all'ordinamento di quell'Ente.
Non si può quindi trarre da quella sentenza alcun valido argomento per contestare la legittimità della legge impugnata che affida - senza esclusività - alle Sezioni provinciali della Federazione la gestione delle riserve.
L'altra decisione ricordata dalla Provincia, quella del 1961, n. 13, non ha alcuna influenza nel caso attuale. Fu allora dichiarata l'illegittimità di alcune norme di una legge di altra Regione, in quanto avevano posto in essere un sistema tale da determinare illegittimi monopoli ed illegittime esclusioni in pregiudizio di organi e di persone non appartenenti a quella Regione. Ma la stessa sentenza dichiarò non censurabile, in linea di principio, il fatto che la Regione si avvalesse di una associazione locale.
Nella specie, si ripete, la legge regionale non solo non ha creato nuove situazioni monopolistiche, ma anzi ha aperto gli accessi ad altre associazioni di cacciatori, come ai cacciatori non iscritti ad alcuna associazione.
Non é, poi, esatto che la legge regionale non potesse affidare la gestione delle riserve alle Sezioni della Federazione, giacché avrebbe dovuto affidarla, semmai, a libere associazioni o ad individui o ai loro raggruppamenti.
Intanto, é da ricordare che nessun sostanziale contrasto sussiste tra la legge regionale e quella nazionale su questo punto, poiché anche il più volte ricordato art. 67 del testo unico non tanto consente quanto impone che la riserva "sia ceduta alla rispettiva Sezione della Federazione". Quindi anche se fosse esatto ritenere che questa norma sarebbe l'espressione di un principio generale dell'ordinamento al cui rispetto la Regione é vincolata, in nessuna violazione di tale principio sarebbe incorsa la legge regionale.
Né può dirsi che ci sia stata violazione di altri principi della Costituzione, peraltro non espressamente enunciati nel ricorso, giacché, dimostrato che non sussiste alcun attentato al diritto di libertà di associazione, non può contestarsi la legittimità della norma regionale, che non ha ritenuto di affidare a privati o a gruppi di privati l'esercizio delle riserve.
Né, infine, é fondato l'assunto che, essendo la Federazione per la caccia un ente pubblico le cui funzioni sono determinate dalla legge statale per essere esercitate nell'ambito dell'ordinamento statale, la legge regionale non avrebbe potuto attribuire alla Federazione funzioni diverse da quelle che la legge dello Stato affida a tale Ente. Si afferma, infatti, nel ricorso che tra le funzioni dell'Ente non sono comprese le attività "direttamente operative quali sono quelle che attengono alla diretta gestione della riserva di caccia".
Ora, se con ciò si vuole sostenere che le Sezioni della Federazione non potrebbero gestire riserve, si dice cosa inesatta, in quanto, come si é visto, é proprio la legge nazionale che impone la cessione delle riserve alle Sezioni (non importa se provinciali o comunali) della Federazione.
Se, poi, la tesi della Provincia fosse nel senso che la legge regionale non avrebbe potuto affidare funzioni alle Sezioni di un Ente nazionale, tale tesi sarebbe infondata, giacché, continuando le Sezioni della Federazione ad esistere e ad operare nel territorio della Regione, nulla vietava che alle Sezioni provinciali venisse affidata la gestione delle riserve.
5. - La legge impugnata non ha violato alcun diritto delle Province e dei Comuni.
Non ha sottratto nulla alle Province, non avendo queste alcun potere in materia di caccia, né in virtù dello Statuto speciale, né per effetto delle leggi statali. Basterà richiamare in proposito la sentenza di questa Corte n. 101 del 1964.
In particolare, la legge in esame non ha violato l'art. 11, n. 4, dello Statuto, che attribuisce alla Provincia di Bolzano competenza in materia di usi e costumi locali. Questa norma non ha imposto il ripristino di tutti gli istituti preunitari: quando lo Statuto ha voluto consentire tale ripristino lo ha detto esplicitamente, come, per esempio, in materia di masi chiusi e di comunità familiari rette da antichi statuti o consuetudini.
La Regione non era, quindi, tenuta a rimettere in vigore un ordinamento che era venuto a cessare fin dal 1931 e che si sarebbe presentato in contrasto con l'ordinamento nazionale della stessa materia.
Niente, poi, é stato tolto ai Comuni.
Come risulta dall'art. 67 del testo unico e dal D. M. 19 luglio 1961, contenente le norme per il funzionamento delle riserve comunali di caccia nella zona faunistica delle Alpi, i Comuni possono costituire riserve a condizione che queste siano cedute alla rispettiva Sezione della Federazione della caccia con diritto a percepire un canone. Tale diritto di natura pecuniaria, che é l'unico spettante ai Comuni, é stato mantenuto e la misura ne é stata determinata con criteri sulla cui legittimità il ricorso non muove censura.
Il ricorso denuncia la violazione del principio generale dell'autonomia degli enti locali, sancito negli artt. 5 e 118 della Costituzione e ribadito negli articoli 13 e 14 dello Statuto regionale.
Nemmeno questa doglianza é fondata, giacché dalle norme invocate non si può trarre un divieto per la Regione di affidare alcune funzioni a Sezioni locali di un Ente nazionale, qualunque sia la natura di tali organi, non essendo da escludersi in certi casi particolari, come quello in esame, che tale conferimento possa essere effettuato nei riguardi di formazioni locali, dotate o non di personalità giuridica, anziché nei riguardi dei Comuni.
6. - Con l'ultimo motivo del ricorso viene sottoposto a censura l'art. 3 della legge, secondo cui, fino all'emanazione di nuove norme legislative sulla caccia, la gestione delle riserve sarà disciplinata da norme regolamentari da adottarsi dalla Giunta regionale. La norma sarebbe in contrasto con l'art. 38 dello Statuto, in quanto avrebbe conferito alla Giunta potestà di emanare un regolamento indipendente o addirittura delegato, mentre la norma statutaria consentirebbe a quell'organo la adozione di regolamenti soltanto esecutivi.
La Corte osserva che il Regolamento previsto dalla legge impugnata altro contenuto non ha che quello di determinare gli obblighi di chi gestisce le riserve. In sostanza, questo regolamento può equipararsi ai disciplinari che accompagnano le concessioni amministrative con effetti analoghi a quelli che i disciplinari hanno anche nei confronti degli utenti del servizio concesso.
Ora, la Corte ritiene che, si interpreti come si voglia l'art. 38, n. 1, dello Statuto speciale, non si possa fondatamente negare alla Regione la potestà di disciplinare - sulla base della disposizione contenuta nel n. 2 dello stesso art. 38 - con disposizioni più o meno esattamente qualificate regolamentari dalla legge regionale, l'attività da svolgersi da un ente nella gestione che la medesima legge gli abbia affidato nel pubblico interesse.
Né ha influenza il fatto che lo stesso art. 3 della legge prevede che al regolamento potrà sostituirsi una legge regionale. Avendo la Regione potestà legislativa in questa materia, nulla impedisce che una sua legge si sovrapponga ad atti amministrativi, quali che essi siano. Dalla possibilità di questa sovrapposizione, che é un effetto della superiorità della legge sull'atto amministrativo, non possono trarsi argomenti validi per sostenere che quelle disposizioni abbiano carattere di regolamento e, ancora meno, per sostenere che trattisi di regolamento indipendente o delegato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate, in riferimento agli articoli 5, 18, 41, 42, 43 e 118 della Costituzione e 4, 11,13,14, 38 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, le questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, recante norme per la costituzione e la gestione delle riserve di caccia nel territorio regionale, proposte con il ricorso della Provincia di Bolzano segnato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1965.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 1965.