SENTENZA N. 46
ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, contenente sanzioni contro il fascismo, promosso con ordinanza emessa il 14 luglio 1962 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra Grendene Pietro e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n, 152 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 201 del 27 luglio 1963.
Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione delle finanze;
udita nell'udienza pubblica del 15 aprile 1964 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Amministrazione delle finanze.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 10 settembre 1945 la Corte straordinaria di assise di Padova condannò Peroni Antonio, imputato del reato di cui all'art. 58 del Codice penale militare di guerra in relazione all'art. 5 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, alla pena di anni undici di reclusione e alla confisca dei beni in applicazione dell'art. 9 del citato decreto. In esecuzione di tale sentenza l'Intendente di finanza di Padova, con provvedimento 22-24 marzo 1956, ha intimato a Grendene Pietro il rilascio di un immobile che a quest'ultimo era pervenuto dal Peroni attraverso altri acquirenti. Il Grendene é insorto contro tale provvedimento convenendo in giudizio, dinanzi al Tribunale di Venezia, l'Amministrazione finanziaria e i coniugi Bonaldi Mario e Gnudi Adalgisa, che quell'immobile avevano acquistato dal Peroni e poi rivenduto al Grendene stesso. A seguito di dichiarazione di incompetenza per territorio il giudizio fu riassunto dinanzi al Tribunale di Padova, il quale ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità dell'art. 9 del citato decreto 27 luglio 1944, in riferimento agli artt. 25 e 27 della Costituzione ritenendola influente ai fini del giudizio, ed ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale.
L'ordinanza é stata regolarmente notificata alle parti private, all'Amministrazione finanziaria e al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 201 del 27 luglio 1963. Si sono costituiti l'Amministrazione delle finanze in persona del Ministro pro tempore e il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha depositato due distinte ma identiche memorie entrambe in data 9 ottobre 1963. Il Grendene Pietro ha depositato una memoria di costituzione il 2 novembre 1963, e pertanto fuori termine.
Secondo il Tribunale di Padova, l'art. 9 avrebbe configurato un'autonoma figura di reato punita con la confisca, da intendersi come pena patrimoniale. Nella ipotesi dell'art. 9, la confisca non avrebbe carattere di sanzione civile, difettando l'estremo del danno da risarcire; né di misura di sicurezza, non rispondendo essa ad alcuna funzione di prevenzione; né, infine, di sanzione amministrativa, non ricorrendo alcun illecito amministrativo.
Ma, così fissata, secondo l'ordinanza, la natura di sanzione penale della confisca prevista dalla norma impugnata, quest'ultima si rivelerebbe in contrasto con gli artt. 25 e 27 della Costituzione, in quanto violerebbe il principio della irretroattività della legge penale.
Il Tribunale osserva infine che la questione di legittimità così sollevata sarebbe rilevante nei confronti della controversia portata al suo esame in quanto la eventuale illegittimità della norma impugnata comporterebbe la nullità della confisca e determinerebbe quindi il rigetto delle pretese avanzate dall'Amministrazione finanziaria.
L'Avvocatura generale dello Stato contesta in primo luogo la rilevanza della questione. Il rapporto concernente la confisca dell'immobile, per il quale é insorta la controversia di merito, si sarebbe esaurito con la sentenza 10 settembre 1945 della Corte straordinaria di assise di Padova, essendosi su di essa formato il giudicato, a seguito di sentenza della Cassazione del 5 aprile 1946, prima dell'entrata in vigore della Costituzione, con la conseguente assoluta preclusione di ogni ulteriore questione in ordine alla confisca.
Nel merito, l'Avvocatura osserva poi che la questione é stata sollevata dal Tribunale di Padova sul presupposto che la confisca di cui alla norma impugnata sia una sanzione penale, presupposto infondato, in quanto la Corte costituzionale con sentenza n. 29 del 25 maggio 1961 ha ravvisato nella confisca preveduta dalle leggi sulle sanzioni contro il fascismo (e cioè dal D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159, e successivi provvedimenti) la natura di una sanzione amministrativo-finanziaria a carattere restitutorio e riparatorio.
Nella memoria depositata fuori termine la difesa del Grendene ha invece particolarmente insistito sulla tesi secondo cui la questione attualmente in esame verterebbe su di una figura di confisca del tutto diversa da quella che fu oggetto di tale sentenza; ed in questo senso ha sostenuto che non potrebbero avere qui ingresso le argomentazioni alle quali la Corte si rifece allora per negare carattere di sanzione penale alla confisca di cui all'art. 1 del D.L.L. 26 marzo 1946, n. 134.
L'Avvocatura dello Stato ha replicato con altra memoria depositata il 6 febbraio 1964. Dopo aver fatto presente che la costituzione in giudizio del Grendene é avvenuta fuori termine e dopo aver insistito sulla eccezione di irrilevanza della questione, osserva che, se in dottrina e in giurisprudenza vi é stato in passato qualche dubbio in ordine alla natura della confisca di cui all'art. 1, dubbi poi superati con la citata sentenza della Corte costituzionale, che ha escluso trattarsi di sanzione penale, a maggior ragione dovrebbe pervenirsi ad analoga conclusione relativamente alla confisca prevista dalla norma impugnata, concordemente sempre qualificata come sanzione civile speciale.
Non sarebbe, ad ogni modo, esatta la tesi della difesa del Grendene secondo cui non potrebbero essere validi in questa sede gli argomenti che portarono la Corte a quella pronuncia, perché anzi quei caratteri di indipendenza ed autonomia rispetto all'azione penale verrebbero ancor più in evidenza per la confisca di cui all'art. 9. Questa é infatti applicabile anche dopo la estinzione del reato, e quindi nei confronti degli eredi e degli aventi causa del colpevole, secondo l'espresso disposto, oltre che della stessa norma impugnata, dell'art. 1 del D.L.L. n. 134, modificato dall'art. 1 del D.L. C. P. S. 19 novembre 1946, n. 392.
Considerato in diritto
Sulla eccezione pregiudiziale sollevata dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale sarebbe preclusa ogni possibilità di rimettere in discussione il provvedimento di confisca, in quanto il relativo rapporto si sarebbe esaurito per effetto di un giudicato validamente formatosi sotto il precedente ordinamento costituzionale, la Corte osserva che la eccezione riguarda evidentemente la rilevanza della questione, come del resto esplicitamente si riconosce nella memoria della stessa Avvocatura in data 27 marzo 1964. Pertanto, la Corte non può che prendere atto che la rilevanza é stata riconosciuta e motivata nell'ordinanza di rimessione.
Nel merito la questione non é fondata.
Con sentenza n. 29 del 1961 questa Corte ha ritenuto, conformemente alla varia disciplina giuridico - positiva dell'istituto, che la confisca non si presenta sempre di eguale natura e in unica configurazione, ma assume, in dipendenza delle diverse finalità che la legge le attribuisce, diverso carattere, che può essere di pena come anche di misura non penale.
Nell'ordinanza di rimessione il giudice a quo esprime l'avviso che alla confisca di cui all'art. 9 del D.L.L. 27 luglio 1944 sia stato attribuito carattere di vera e propria pena, in corrispondenza di una autonoma figura di reato che la norma avrebbe creato. E poiché i comportamenti costitutivi di tale reato sono anteriori alla norma stessa, ciò importerebbe violazione del principio della irretroattività della legge penale, riaffermato dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
É da premettere che la interpretazione del giudice a quo, secondo la quale alla confisca sarebbe stato attribuito dall'art. 9 carattere di pena, si pone in contrasto con l'orientamento in definitiva affermatosi nella giurisprudenza, specialmente con la sentenza della Cassazione a Sezioni unite del 14 febbraio 1948 (ribadita da numerosi successivi pronunciati), con cui il carattere di pena fu nettamente escluso, in conformità, del resto, con la prevalente dottrina. A parte però questi significativi orientamenti, é il testo medesimo dell'art. 9 che presenta, ad avviso della Corte, elementi sufficienti per confermare la predetta interpretazione. L'ordinanza di rimessione ritiene di poter fare addebito alla norma impugnata di una formulazione poco felice. Anche a voler ritenere fondato un siffatto apprezzamento, é tuttavia innegabile che dal testo della norma risulta ben certo: che la confisca dei beni é disposta "senza pregiudizio dell'azione penale"; che "nel caso di azione penale" la confisca é pronunciata dall'autorità giudiziaria che emette la condanna; e, "in caso diverso", dal Tribunale competente per territorio, su richiesta dell'Alto Commissariato. Da ciò risulta evidente, a parte la discutibile esattezza dei termini, che la confisca può essere disposta anche indipendentemente dall'azione penale, anche quando questa non possa essere promossa o proseguita per l'avvenuta morte del reo, e per conseguenza anche contro gli eredi ed aventi causa (nel caso esaminato dalla citata sentenza della Cassazione a Sezioni unite la confisca era stata disposta contro gli eredi di persona già deceduta all'entrata in vigore della norma). Ciò é più che sufficiente per escludere che con la norma impugnata la confisca abbia assunto natura di pena, avendo la pena carattere strettamente personale, e non potendo pertanto incidere su soggetti diversi dal reo. A tal proposito la Corte non può che riportarsi alle considerazioni già svolte nella già citata sentenza n. 29 del 1961; vale a dire che le disposizioni relative alle sanzioni contro il fascismo non contengono, né nel testo né nella eccezionale ragione e finalità loro, nulla che comunque significhi una brusca interruzione del principio della personalità della pena, nettamente poi riaffermato dall'art. 27 della Costituzione. Pertanto, giacché la confisca disposta con l'art. 9 del D.L.L. 27 luglio 1944, sebbene riferibile ai comportamenti di un dato soggetto, é tale da potersi disporre anche contro soggetti diversi e anche al di fuori dell'azione penale, é una misura cui non può essere riconosciuto carattere di pena. Per conseguenza essa non dà luogo a violazione del principio della irretroattività della legge penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza del Tribunale di Padova del 14 luglio 1962, sulla legittimità costituzionale dell'art. 9 del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, in riferimento agli artt. 25 e 27 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 16 giugno 1964.