Sentenza n. 43 del 1964
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SENTENZA N. 43

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, ultimo comma, del R.D. 19 ottobre 1923, n. 2316, modificato dall'art. 4 della legge 24 dicembre 1928, n. 3241 (modificazioni all'ordinamento della giustizia militare), promosso con ordinanza emessa il 15 maggio 1963 dal Giudice istruttore presso il Tribunale militare territoriale di Roma - Sezione autonoma di Cagliari - nel procedimento penale contro ignoti, iscritta al n. 146 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 201 del 27 luglio 1963.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 22 gennaio 1964 la relazione del Giudice Antonio Manca;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 15 maggio 1963, emessa nel corso di una istruttoria penale, il Giudice istruttore presso il Tribunale militare territoriale di Roma, Sezione autonoma di Cagliari, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, ultimo comma, del R.D. 19 ottobre 1923, n. 2316, modificato dall'art. 4 della legge 24 dicembre 1928, n. 3241.

Nell'ordinanza si premette che, al predetto magistrato (Sostituto procuratore militare), con provvedimento del Procuratore generale militare in data 10 maggio 1963, erano state conferite, per urgenti ragioni di servizio, le funzioni di giudice istruttore dal 12 al 30 maggio 1963, ai sensi delle ricordate disposizioni, e si esprime il dubbio che queste siano in contrasto con il precetto contenuto nel secondo comma dell'art. 108 della Costituzione (secondo il quale la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali), in quanto il provvedimento é stato emesso da un organo del Pubblico Ministero, cui é attribuita anche la sorveglianza su tutti i componenti della magistratura militare (art. 16 del citato decreto-legge) e dal quale essi dipendono in via disciplinare: il che determinerebbe la prevalenza di una delle parti sull'organo giudicante.

Nell'ordinanza, richiamando la sentenza di questa Corte n. 108 del 1962, si aggiunge che il principio dell'indipendenza del giudice resterebbe vulnerato pure in base ad altri elementi, sia perché la norma impugnata nulla disporrebbe circa la precostituzione del giudice, sia perché stabilirebbe un'insufficiente disciplina relativamente alla durata delle funzioni istruttorie temporaneamente assegnate. Al riguardo si rileva che il provvedimento di assegnazione potrebbe essere emanato anche dopo esaurita l'istruttoria sommaria, quando cioè si avrebbe già un orientamento circa la definizione del processo; e che la disposizione impugnata prevede bensì il periodo massimo (non superiore a tre mesi) per il quale il procuratore generale militare può conferire le funzioni istruttorie, ma non fissa invece un periodo minimo inderogabile di durata delle funzioni stesse. Dal che si dovrebbe arguire che il magistrato giudicante potrebbe essere sostituito mediante provvedimenti di revoca, implicitamente consentiti dalla ricordata disposizione.

Che se é vero, si aggiunge, che il conferimento temporaneo delle funzioni può essere disposto per urgenti ragioni di servizio, tali ragioni tuttavia non potrebbero giustificare una deroga al principio di carattere costituzionale (e quindi prevalente) della indipendenza del giudice speciale.

Il giudice istruttore pertanto ha ritenuto la questione non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione, della quale la validità del conferimento delle funzioni costituirebbe logico presupposto.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 201 del 27 luglio 1963.

In questa sede é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

Nelle deduzioni depositate l'11 giugno 1963, l'Avvocatura premette che non potrebbe essere esaminata la questione relativa alla precostituzione del giudice, sia perché non esplicitamente sollevata, sia perché il precetto dell'art. 25 della Costituzione non sarebbe utilmente richiamato nella specie, poiché il provvedimento, emesso in base alla disposizione impugnata, non inciderebbe sull'ufficio giudiziario, cui la legge attribuisce una determinata competenza, ma riguarderebbe esclusivamente la persona del magistrato.

Sostiene poi, in sostanza, che, nella specie, si tratterebbe di provvedimenti attributivi di funzioni per brevi periodi di tempo, autorizzati dalla legge, in via d'urgenza, per provvedere prontamente ed eccezionalmente a quelle particolari esigenze che, nella pratica, possono verificarsi: provvedimenti che sarebbero demandati al procuratore generale militare, non quale capo del Pubblico Ministero, ma come organo posto al vertice dell'ordinamento giudiziario militare; dato che, secondo tale ordinamento, la presidenza degli organi giudicanti non é affidata a magistrati militari, bensì ad ufficiali dell'esercito. Non resterebbe quindi vulnerato il principio dell'indipendenza del giudice; principio che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 108 del 1962), consentirebbe adattamenti in relazione alla struttura delle varie giurisdizioni speciali. L'Avvocatura aggiunge che, del resto, l'ordinamento offrirebbe i mezzi per ovviare a eventuali abusi cui potesse dar luogo la disposizione impugnata, vale a dire il controllo, nella competente sede, del requisito dell'urgenza, e la possibilità dell'astensione del giudice quando ciò fosse necessario: mezzi che non resterebbero neutralizzati, si rileva, da un eventuale provvedimento di revoca dell'assegnazione prima del termine stabilito; provvedimento, a sua volta, logicamente giustificabile nel caso in cui venissero meno le ragioni dell'assegnazione stessa, e comunque anche esso sindacabile in sede di legittimità.

Ciò posto, l'Avvocatura non riterrebbe applicabili al caso attuale i principi affermati nella sentenza di questa Corte n. 108 del 1962, circa le particolari garanzie di indipendenza dei componenti delle Sezioni specializzate agrarie; mentre sarebbero da richiamare, per analogia, le ipotesi di applicazione dei magistrati ai vari uffici, prevedute dagli artt. 97 e seguenti dell'Ordinamento giudiziario, approvato con decreto 30 gennaio 1941, n. 12.

Chiede quindi che si dichiari non fondata la questione proposta.

 

Considerato in diritto

 

Il contrasto dell'ultimo comma dell'art. 15 del R.D. 19 ottobre 1923 con l'art. 108, secondo comma, della Costituzione si verificherebbe, anzitutto, perché i provvedimenti contemplati dalla norma denunziata, provenendo dal Procuratore generale militare, capo del Pubblico Ministero, determinerebbero la prevalenza del Pubblico Ministero, organo che, a parere del giudice a quo, avrebbe qualità di parte, sul magistrato giudicante, dato che questo é posto in dipendenza disciplinare nei confronti del Procuratore generale e sul quale lo stesso Procuratore generale esercita la sorveglianza anche a mezzo del Procuratore militare.

L'asserto é infondato. Quei provvedimenti sono adottati dal Procuratore generale non nella sua qualità di capo del Pubblico Ministero militare, bensì nella sua veste di capo dell'ufficio preposto organicamente a tutta la magistratura militare (art. 50 dell'ordinamento giudiziario militare, approvato con R.D. 9 settembre 1941, n. 1022).

Dicendo che la norma in esame é in armonia con il sistema dell'ordinamento giudiziario militare, non si vuole affermare che ciò basti per ammetterne la legittimità costituzionale. Anche le norme relative alla giustizia militare devono non contrastare con i principi della Costituzione; ed in particolare per quanto attiene all'indipendenza dei giudici, vale pure rispetto a quelli militari la enunciazione fatta da questa Corte con la sentenza n. 92 del 1962, secondo cui anche presso gli organi di giurisdizione speciale debbono essere garantite l'indipendenza e la imparzialità del giudicante. É anche da riconoscere l'esattezza, in linea di principio, dell'affermazione contenuta nell'ultima parte dell'ordinanza, che la necessità di soddisfare le esigenze di servizio non può sopraffare l'esigenza di ordine costituzionale di assicurare l'indipendenza dei giudici. Ma la rispondenza della norma in esame al sistema dell'ordinamento della giustizia militare ed alle sue esigenze viene qui posta in rilievo, non per dichiarare infondata - solo per questo - la censura di illegittimità, bensì per tenere presente il criterio enunciato dalla Corte nella sentenza n. 108 del 1962, nel senso che il requisito dell'indipendenza dei giudici speciali, purché resti sempre sostanzialmente saldo, deve essere considerato in relazione ai particolari aspetti di ciascun tipo di giurisdizione.

Ora, nell'attuale organizzazione della giustizia militare il Procuratore generale é l'organo che deve dare garanzia di imparzialità nell'adottare i provvedimenti di carattere contingibile previsti dalla norma denunziata. Questi provvedimenti sono necessari non ai fini dell'accusa ma ai fini del regolare e sollecito funzionamento della giustizia: con tale intento la legge li affida al Procuratore generale, il quale non può adottarli per finalità diverse.

Né ha rilevanza il fatto che il magistrato militare investito delle funzioni in virtù del provvedimento adottato dal Procuratore generale sia in rapporto di dipendenza gerarchica da costui a norma dell'art. 16 del R.D. 19 ottobre 1923, n. 2316. Anche nell'esercizio delle funzioni temporaneamente a lui affidate il magistrato militare é soggetto soltanto alla legge: il principio sancito nell'art. 101 della Costituzione non può non valere per chiunque eserciti funzioni giurisdizionali, pure se non veste la toga del magistrato ordinario. E, pertanto, quale che sia il rapporto tra il magistrato militare cui sono affidate le funzioni ed il Procuratore generale e il Procuratore militare, l'esercizio di quelle funzioni non può non essere indipendente e libero da ogni influenza e da ogni soggezione di carattere gerarchico e disciplinare. Non soltanto qualunque ordine o mandato ma anche qualsiasi direttiva, istruzione, suggerimento da parte del Procuratore generale o del Procuratore militare costituirebbero una illegittima intromissione in una sfera di responsabilità che non ammette altri vincoli all'infuori di quelli della legge.

Altri aspetti sotto i quali, secondo l'ordinanza, si rileverebbe l'illegittimità della norma denunziata sarebbero dati dal fatto che essa non dispone alcunché in ordine alla precostituzione del giudice e fissa una insufficiente disciplina sia nei riguardi del momento in cui le funzioni istruttorie possono essere affidate sia nei riguardi della durata delle funzioni conferite. All'uopo, nell'ordinanza si fa notare che le funzioni istruttorie potrebbero essere conferite anche dopo che l'istruzione sommaria abbia avuto termine e quindi dopo che si é in grado di avere un'idea del modo con cui potrebbe concludersi un procedimento. Si aggiunge che, pur non essendo prevista una potestà di revoca nel conferimento delle funzioni, la mancanza di un termine minimo inderogabile di durata permetterebbe l'esercizio di una potestà di revoca.

Con questi rilievi, l'ordinanza fa trasparire la preoccupazione che dall'esercizio della facoltà di conferire le funzioni al termine dell'istruttoria e della facoltà di toglierle da un momento all'altro possano essere create o agevolate situazioni nelle quali l'indipendenza del giudice correrebbe il pericolo di menomazioni.

L'accenno ad eventuali ripercussioni nei riguardi della precostituzione del giudice é stato fatto non per prospettare una violazione dell'art. 25 della Costituzione, ma, come si evince sicuramente dalla motivazione e dal dispositivo dell'ordinanza stessa, per addurre un ulteriore argomento circa il contrasto con l'art. 108, secondo comma. Comunque, anche se la questione dovesse essere esaminata rispetto all'art. 25, basterebbe riportarsi alla sentenza n. 156 del 1963, la quale ha dichiarato che i provvedimenti analoghi a quelli contemplati dalla norma qui denunziata non contrastano con il principio della precostituzione del giudice, essendo essi necessari per la continuità e la prontezza della funzione giurisdizionale.

Quanto agli altri rilievi in ordine alla violazione dell'art. 108, secondo comma, é da osservare che essi non si riferiscono, in sostanza, ad un contrasto tra la norma denunziata e la norma costituzionale, ma agli inconvenienti che potrebbero derivare dalla applicazione della norma denunziata, ove questa applicazione fosse preordinata a scopi non legittimi. Ora, é da rilevare, da un lato, che la incostituzionalità di una norma non può essere basata esclusivamente sul fatto che essa possa dar luogo ad abusi, e, dall'altro, che ai fini del sindacato di legittimità costituzionale, é buona regola - non perduta mai di vista dalla Corte - quella di far prevalere, rispetto ad una norma di dubbio significato, quella interpretazione secondo cui la norma sia intesa in un senso conforme alla Costituzione.

La Corte ritiene che una interpretazione in tal senso sia fondata: nel senso, cioè, che i provvedimenti previsti dalla norma denunziata sono atti emessi dal Procuratore generale non ai fini della accusa ma ai fini del retto e sollecito funzionamento della giustizia e che pertanto essi non possano essere adottati se non per fini obiettivi, giustificati dalle esigenze di servizio: men che meno potrebbero essere adottati per attentare all'indipendenza del giudice. Se talvolta, per avventura, fossero ispirati a finalità diverse, sarebbero illegittimi e, come tali, determinerebbero le reazioni previste dall'ordinamento; né sarebbe da escludere la possibilità dell'astensione e della ricusazione, ove ne ricorrano i presupposti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, ultimo comma, del R.D. 19 ottobre 1923, n. 2316, modificato dall'art. 4 della legge 24 dicembre 1928, n. 3241, in riferimento all'art. 108, secondo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 16 giugno 1964.