SENTENZA N. 156
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 101, comma secondo, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario, promosso con ordinanza emessa il 20 marzo 1963 dal Pretore di Bordighera nel procedimento penale a carico di Depaoli Michele, iscritta al n. 92 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 138 del 25 maggio 1963.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 23 ottobre 1963 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza emessa e letta in dibattimento il 20 marzo 1963 nel procedimento penale a carico di Depaoli Michele il Pretore di Bordighera ha rimesso a questa Corte l'esame di alcuni dubbi circa la legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 25, 105 e 107 della Costituzione, dell'art. 101 dell'ordinamento giudiziario approvato con R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, nella parte in cui dispone che un pretore o un aggiunto giudiziario di altro mandamento del distretto può, su designazione del Procuratore generale, esser destinato, con decreto del presidente della Corte d'appello, a compiere temporaneamente le funzioni di un pretore mancante o impedito.
Il giudicante - uditore vicepretore del mandamento di Ventimiglia, "applicato" (con decreto del Primo Presidente della Corte d'appello di Genova, adottato ai sensi dell'anzidetta disposizione dell'ordinamento giudiziario), per la durata di due mesi a decorrere dal 4 marzo 1963 e per due giorni consecutivi alla settimana, alla Pretura di Bordighera mancante di titolare - ha ritenuto di dover sollevare d'ufficio con l'ordinanza di rimessione i riferiti dubbi di legittimità costituzionale sul presupposto che dall'eventuale illegittimità dell'art. 101, discenderebbe che la sua temporanea applicazione alla Pretura di Bordighera sarebbe stata effettuata in violazione delle "disposizioni concernenti la nomina e le altre condizioni di capacità del giudice", con conseguente nullità (insanabile e rilevabile d'ufficio) del giudizio penale in corso (art. 185, primo comma, n. 1, e ultimo comma, del Cod. proc. penale).
Nel merito l'ordinanza osserva che la disposizione impugnata: a) contrasta con l'art. 105 della Costituzione - successivamente specificato nell'art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, - il quale riserva al Consiglio superiore della Magistratura tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati togati, e quindi anche quelli contemplati dall'art. 101 dell'ordinamento giudiziario; b) contrasta con l'art. 107 della Costituzione, il quale garantisce la inamovibilità di tutti gli appartenenti all'ordine giudiziario (e quindi anche degli uditori); c) contrasta con l'art. 25 della Costituzione, in quanto il principio della precostituzione del giudice, enunciato in tale articolo, esige che siano certi a priori l'organo che designa il giudice e i criteri che devono guidarlo nella designazione, mentre la designazione prevista dall'art. 101, secondo comma, dell'ordinamento giudiziario può esser fatta secondo la più piena discrezionalità.
L'ordinanza si prospetta poi il problema se dalla VII disposizione transitoria della Costituzione - in base alla quale "fino a quando non sia emanata la nuova legge sull'ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione continuano ad osservarsi le norme dell'ordinamento vigente" - risulti la temporanea insindacabilità costituzionale delle norme del vecchio ordinamento giudiziario non ancora abrogate, e la risolve in senso negativo, stante la natura di legge ordinaria dell'ordinamento giudiziario.
Essa si pone, infine, il quesito se l'art. 10 dell'ordinamento giudiziario possa considerarsi abrogato dall'art. 42 della legge 24 marzo 1958, n. 195, stante la sua incompatibilità con le disposizioni sulla competenza del Consiglio superiore della Magistratura, e risolve anche tale quesito in senso negativo, dato che in base alla citata legge quest'ultima competenza non assorbe - come pur avrebbe dovuto essere in base alla Costituzione - la totalità dei provvedimenti riguardanti i magistrati. A tal fine, a testimonianza della mancata abrogazione, l'ordinanza ricorda anche l'art. 42 del D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, in base al quale i capi delle Corti d'appello sono tenuti a dar comunicazione al Consiglio superiore della Magistratura delle applicazioni e supplenze di magistrati da essi disposte.
L'ordinanza é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 29 marzo 1963 e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 10 aprile 1963. Essa é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 138 del 25 maggio 1963.
Innanzi a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato atto d'intervento il 4 maggio 1963.
In tale atto si osserva preliminarmente che in virtù della VII disposizione transitoria della Costituzione, fin quando non vengano sostituite da nuove norme, restano confermate in vigore - anche se per avventura contrastino con la Costituzione - tutte le preesistenti norme dell'ordinamento giudiziario: onde, sino al momento della loro sostituzione esse sono insuscettibili di sindacato di legittimità costituzionale. Pertanto la disposizione impugnata - che certamente é ancora in vigore - non poteva esser sottoposta a giudizio di legittimità costituzionale.
Subordinatamente osserva l'Avvocatura che la disposizione impugnata: a) non trasgredisce l'art. 25 della Costituzione, dato che il principio della precostituzione del giudice in questo enunciato riguarda l'ufficio e non i magistrati preposti all'ufficio; b) non trasgredisce l'art. 107 della Costituzione, giacché il principio di inamovibilità dei componenti dell'ordine giudiziario in esso consacrato, se riguarda la materia delle dispense, delle sospensioni, dei trasferimenti, non tocca "il subordinato e ben più limitato campo dei provvedimenti di mera applicazione in supplenza, di cui, in specie, all'art. 101 dell'ordinamento giudiziario", i quali hanno carattere di urgenza e portata contingente e limitata, e "non mutano affatto la posizione del magistrato in ordine alla titolarità della sede o delle funzioni cui trovasi assegnato"; c) non trasgredisce l'art. 105 della Costituzione, il quale indica tassativamente i provvedimenti di competenza del Consiglio superiore e non comprende tra essi quelli contemplati dall'art. 101 dell'ordinamento giudiziario.
All'udienza l'Avvocato dello Stato ha insistito nelle precedenti deduzioni e conclusioni.
Considerato in diritto
1. - In occasione dell'esame di rilevanza, ai fini della decisione del giudizio penale in corso, della questione di legittimità costituzionale sollevata in questa sede, l'ordinanza di rimessione si é posto il problema della sopravvivenza della disposizione impugnata - art. 101, secondo comma, dell'ordinamento giudiziario approvato con R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 - alla legge 24 marzo 1958, n. 195, sulla costituzione e il funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura; e l'ha risolta in senso positivo. A questa Corte non é dato riesaminare per proprio conto tale punto - risolto nei medesimi sensi in sede di emanazione delle norme di attuazione e di coordinamento della citata legge (artt. 42 e 63 del D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916) -, giacché spetta ai giudici i quali debbono applicarle, e non alla Corte costituzionale, conoscere della vigenza delle disposizioni circa la cui legittimità costituzionale essi ritengono di sollevare dei dubbi.
2. - Preliminare, rispetto all'esame di legittimità costituzionale della impugnata disposizione dell'ordinamento giudiziario del 1941, é l'indagine circa l'ammissibilità di un siffatto esame, stante la norma del primo comma della VII disposizione trans. e fin. della Costituzione, secondo la quale, "fino a quando non sia emanata la nuova legge sull'ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano a osservarsi le norme dell'ordinamento vigente".
In qualunque modo debba essere interpretata questa disposizione costituzionale transitoria, riflettente l'esigenza di evitare carenze nell'organizzazione giudiziaria in attesa della revisione, alla stregua della Costituzione, delle preesistenti norme dell'ordinamento giudiziario, é comunque chiaro che, una volta avvenuta la revisione - sia pure parziale - dell'ordinamento giudiziario preesistente, le norme conservate non possono sfuggire al sindacato di legittimità costituzionale.
Ora, che in occasione della legge 24 marzo 1958, n. 195, sul Consiglio superiore della Magistratura e delle norme di attuazione e di coordinamento di essa con le altre leggi della materia, emanate (in base all'art. 43 della stessa legge) col D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, si sia proceduto alla revisione delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario in materia di provvedimenti di "applicazione" e di "supplenza" di magistrati, la Corte ritiene difficile contestare. Da un lato, infatti, gli artt. 42 e 43 della citata legge n. 195 contengono, rispettivamente, la espressa dichiarazione di sopravvivenza delle norme dell'ordinamento del 1941 non incompatibili con la nuova legge e l'attribuzione al Governo del potere di emanare disposizioni di coordinamento della legge stessa con le preesistenti leggi in materia di ordinamento giudiziario; dall'altro, l'art. 63, secondo comma, del D.P.R. n. 916 dispone che "restano ferme le facoltà attribuite al Ministro negli artt. 10 e 162, secondo comma, dell'ordinamento giudiziario, e quelle attribuite ai capi di corte in materia di applicazioni e di supplenze a norma dello stesso ordinamento e dell'art. 2 del decreto legislativo 3 maggio 1945, n. 232".
Ciò é sufficiente a far ammettere - in conformità con quanto é stato ritenuto dall'ordinanza di rimessione, e in contrasto con le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato - la sindacabilità attuale, in questa sede, della disposizione impugnata.
3. - La Corte non ritiene però che i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal Pretore di Bordighera siano fondati.
Con riferimento all'art. 25 della Costituzione, é da osservare che la regola, secondo la quale "nessuno può esser distolto dal giudice naturale precostituito per legge", importa, da un lato, - come questa Corte ha già avuto occasione di affermare in precedenti sentenze (nn. 88 del 1962 e 50, 110, 122, 130 del 1963) che la competenza dei giudici deve esser determinata in via generale, e, quando occorra eccezionalmente derogare alla regola generale, con adeguate garanzie, e, dall'altro, che la costituzione degli organi giudicanti non abbia luogo, a opera degli uffici a ciò preposti, in vista del singolo processo (e difatti le "tabelle" relative alla preposizione dei magistrati alle singole ripartizioni degli uffici giudiziari compositi vengono, in base all'ordinamento giudiziario, compilate anno per anno). Essa non esclude invece - e non potrebbe esser diversamente senza che ne risultasse compromessa la continuità e la prontezza della funzione giurisdizionale (che di questa rappresentano essenziali attributi) - che ai vuoti (permanenti o temporanei) determinatisi negli organi giudiziari (a causa di decessi, promozioni, trasferimenti, ecc., o, rispettivamente, a causa di infermità, di congedi, o di altri impedimenti temporanei) si faccia fronte di volta in volta, man mano che se ne determini l'esigenza, a seconda dei casi in via permanente (mediante l' "assegnazione" di nuovi magistrati) o in via contingente e temporanea (mediante "supplenze", "sostituzioni", "applicazioni").
Non può dirsi, quindi, che la temporanea "destinazione", contemplata dal secondo comma dell'art. 101 dell'ordinamento giudiziario del 1941, di un pretore o di un aggiunto giudiziario, a compiere "le funzioni del pretore mancante o impedito" di un altro mandamento del medesimo distretto, contrasti col diritto, garantito a tutti dall'art. 25, primo comma, della Costituzione, a non esser distolti dal giudice naturale.
4. - Con riferimento all'art. 105 della Costituzione - e precisamente a quella parte di esso che riserva al Consiglio superiore della Magistratura le "assegnazioni" dei magistrati - é da osservare che la disposizione, accomunando "le assegnazioni ed i trasferimenti" (diversamente da quanto fa per gli altri provvedimenti relativi ai magistrati in essa contemplati, i quali vengono tutti considerati autonomamente l'uno dagli altri), lascia chiaramente intendere di volere riferirsi a provvedimenti attinenti al medesimo oggetto: come di "trasferimenti" può parlarsi soltanto a proposito di provvedimenti che cambiano le funzioni o la sede del magistrato, così deve ritenersi che le "assegnazioni" sono provvedimenti riguardanti soltanto le funzioni o la sede. L'"assegnazione" attribuisce al magistrato (in conseguenza dell'ammissione in carriera, della promozione, della cessazione dell'aspettativa, ecc.) quegli stessi beni (funzioni e sede) che il "trasferimento" dall'ufficio attualmente occupato può togliergli (e a presidio dei quali l'art. 107 pone la garanzia dell'inamovibilità).
Come non può parlarsi di "assegnazioni", ai sensi dell'art. 105 della Costituzione, a proposito della ripartizione dei magistrati tra le sezioni di un organo giudiziario composito, così non può dunque ritenersi che tale concetto - e quindi la riserva di competenza del Consiglio superiore - abbracci i provvedimenti di provvisoria destinazione (resi necessari dalle ragioni contingenti di cui si é detto al numero precedente) di un magistrato a un ufficio diverso da quello al quale egli sia "assegnato".
La riserva al Consiglio superiore dei soli provvedimenti di "assegnazione" nel senso di cui si é detto, dimostrata finora sul piano esegetico, ha poi la sua spiegazione sul piano storico nel fatto che, in base alla tradizione, soltanto i provvedimenti di carattere permanente di assegnazione della sede e delle funzioni (e non anche i provvedimenti provvisori di cui or ora si é detto) sono considerati attinenti allo "stato giuridico" dei magistrati (vedansi gli artt. 6 e 7 e il titolo V dell'ordinamento giudiziario del 1941), e che al Consiglio superiore l'art. 105 della Costituzione ha appunto riservato soltanto provvedimenti attinenti allo "stato giuridico" dei magistrati.
É da escludere dunque che il secondo comma dell'art. 101 dell'ordinamento giudiziario del 1941 contrasti con l'art. 105 della Costituzione.
5. - Con riferimento infine all'art. 107 della Costituzione - e precisamente a quella parte di esso che conferisce ai magistrati la garanzia dell'inamovibilità (facente parte anche in passato del loro "stato giuridico": v. il D. Lg. 31 maggio 1946, n. 511) - é da osservare che tale disposizione é espressamente posta a presidio soltanto della conservazione della "sede" e delle "funzioni", nel senso tradizionale di beni facenti parte dello "stato giuridico "del magistrato (e cioé della sede e delle funzioni alle quali egli sia stato permanentemente "assegnato" ai sensi dell'art. 105 della Costituzione).
La disposizione non esclude invece la possibilità che, anche senza il consenso degli interessati, siano adottati, per esigenze del servizio, provvedimenti di modificazione della ripartizione dei magistrati fra i vari uffici dell'organo giudiziario composito al quale sono "assegnati", come pure provvedimenti, i quali, per ragioni contingenti - volte ad assicurare la continuità e la prontezza della funzione giurisdizionale -, facciano luogo alla temporanea destinazione di un magistrato a una sede o una funzione diversa da quelle alle quali egli sia permanentemente "assegnato". Provvedimenti, tanto i primi che i secondi, i quali - come si é visto non incidono sullo "stato" dei magistrati.
Anche sotto il profilo in esame é da escludere quindi l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, proposta con l'ordinanza indicata in epigrafe, dell'art. 101, comma secondo, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario, in riferimento agli artt. 25, primo comma, 105 e 107, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
ALDO SANDULLI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 13 dicembre 1963.