SENTENZA N. 112
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 13, terzo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1962 dalla Corte suprema di cassazione, Sezione 2 civile, nel procedimento civile vertente tra l'Istituto nazionale della previdenza sociale e Bolognini Teresa, iscritta al n. 170 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 286 del 10 novembre 1962.
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;
udita nell'udienza pubblica del 22 maggio 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;
udito l'avv. Guido Nardone, per l'Istituto nazionale della previdenza sociale.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento civile vertente fra Teresa Bolognini e l'I.N.P.S., la Corte di cassazione, con ordinanza del 26 giugno 1962, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, terzo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione agli artt. 4, 27 e 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Si premette in fatto nell'ordinanza che l'operaia Bolognini, già pensionata della Previdenza sociale, aveva continuato a prestare attività retribuita alle dipendenze altrui, e, rimasta disoccupata, aveva percepito la relativa indennità. Avendo definitivamente cessato di lavorare, chiese il supplemento di pensione in base ai contributi maturati a suo favore dopo il pensionamento; ma l'istanza venne accolta limitatamente ai contributi effettivamente versati, con esclusione dei contributi figurativi relativi al periodo di disoccupazione indennizzata, in quanto - secondo l'I.N.P.S.-il beneficio della contribuzione fittizia per disoccupazione non si estende a coloro che già godono di pensione.
Sorta pertanto la questione se sia applicabile, anche a coloro che godono di pensione, la norma dell'art. 4 della legge n. 218 del 1952, secondo la quale i periodi per i quali é corrisposta l'indennità di disoccupazione sono considerati come periodi di contribuzione ai fini del diritto alla pensione e della misura della pensione stessa, l'I.N.P.S. ha continuato a sostenere in giudizio la tesi negativa. Il Tribunale di Novara, invece, ha accolto la domanda attrice, rilevando che il sistema della cosidetta contribuzione fittizia é di applicazione generale e, quindi, operativo anche in favore di coloro che, dopo il raggiungimento dell'età pensionabile, abbiano continuato a prestare attività lavorativa. Anche la Corte di appello di Torino ha deciso in conformità: preso in esame il disposto dell'art. 27 della legge n. 218 del 1952, ha rilevato che l'obbligo del versamento dei contributi previdenziali non cessa nel caso in cui il pensionato continui a prestare attività lavorativa; che la locuzione "contributi versati", i quali danno diritto ad un supplemento di pensione, comprende anche i contributi accreditati, da considerare come fittiziamente versati; che l'art. 13 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, il quale risolve la questione nel senso voluto dall'I.N.P.S., non può essere applicato in quanto contiene una norma innovativa e non interpretativa delle disposizioni legislative vigenti.
Avendo l'I.N.P.S. denunziato la violazione ed errata applicazione degli artt. 4 e 27 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e dell'art. 13 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, la Corte di cassazione ha ripreso in esame la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 13 sotto l'aspetto dell'eccesso di delega conferita dall'art. 37 della legge n. 218 del 1952 ed é andata in contrario avviso rispetto a quanto deciso con la sentenza del 31 maggio 1960, n. 1405, con la quale aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione stessa.
La Corte di cassazione ha considerato:
1) per i casi di disoccupazione previsti dall'art. 4 della legge n. 218 del 1952 l'espressione "contribuzione figurativa" é impropria in quanto, di fatto, i contributi vengono versati mediante un trasferimento di fondi annualmente effettuato a favore del Fondo assicurati obbligatori, ed a favore del Fondo per l'adeguamento delle pensioni;
2) vi é uno stretto collegamento fra indennità di disoccupazione e contribuzione figurativa durante il periodo di disoccupazione, ai fini dell'assicurazione invalidità e vecchiaia, tanto che questa ultima può essere considerata come prestazione accessoria della indennità di disoccupazione;
3) dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma dell'art. 32, ultimo comma, del D.P.R. n. 818 del 1957, il pensionato ha diritto all'indennità di disoccupazione quando ne ricorrano i requisiti voluti dalla legge: onde non appare agevole negare al pensionato disoccupato quella ulteriore prestazione, che é rappresentata dalla contribuzione figurativa;
4) a conferma di tutto ciò, il primo comma dell'art. 27 della legge n. 218 del 1952 ha negato rilevanza al raggiungimento dell'età pensionabile ed ha voluto conservare il rapporto assicurativo per coloro che continuano a prestare attività lavorativa, con tutte le conseguenze derivanti da tale principio.
Pertanto, la Corte di cassazione - ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione - ha sospeso il giudizio ed ha ordinato la trasmissione degli atti a questa Corte.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 286 del 10 novembre 1962.
Nel presente giudizio si é costituito soltanto l'I.N.P.S. in persona del suo Presidente, Dott. Angelo Corsi, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Aureli, Mario Pizzicannella, Guido Nardone e Pierino Pierini.
Nelle deduzioni depositate in cancelleria, l'I.N.P.S. sottolinea l'importanza generale della questione sottoposta all'esame della Corte, anche per gli effetti finanziari della eventuale eliminazione della norma limitatrice degli oneri che gravano in via accessoria sulle assicurazioni per la disoccupazione e per la tubercolosi. E rileva che la limitazione espressamente dettata dall'art. 13 del decreto n. 818 é in rapporto di stretta dipendenza con le finalità perseguite dal legislatore mediante la istituzione della contribuzione fittizia. Da tutte le disposizioni di legge precedenti a quella del 4 aprile 1952 risulterebbe che il beneficio della contribuzione figurativa aveva come presupposto la qualità di assicurato obbligatorio (ben distinguibile da quella di pensionato) ed era destinato al fine principale di fare conseguire il diritto alla pensione; solo subordinatamente influiva sulla misura di essa. Non sembrerebbe che le espressioni usate dall'art. 4 della legge del 1952 siano tali da giustificare la differenza strutturale affermata dalla Corte di cassazione, né sembra decisivo il rilievo che la legge pone l'onere a carico delle assicurazioni per la disoccupazione e per la tubercolosi.
In quanto alla norma dell'art. 27, essa sanzionerebbe soltanto l'obbligo della contribuzione oltre il limite dell'età pensionabile, il che non equivale ad una prosecuzione dell'assicurazione, in quanto l'assicurazione cessa col verificarsi del rischio. L'obbligo di contribuzione - sempre secondo l'I.N.P.S. - conduce ad effetti limitati, specificati nel capoverso dell'art. 27, il quale distingue fra coloro che hanno maturato il diritto a pensione, cui spetta soltanto il supplemento di pensione (e non altro diritto), e coloro che non hanno maturato il diritto a pensione, per i quali continua il rapporto assicurativo con tutti i suoi effetti.
Per questi motivi, l'impugnata norma dell'art. 13 non farebbe altro che ripetere in termini chiari ciò che é contenuto implicitamente negli artt. 4 e 27 della legge del 1952.
Considerato in diritto
Nell'estendere anche ai disoccupati ed ai tubercolotici il beneficio della cosiddetta contribuzione figurativa - che l'art. 6 del D. L. L. 21 aprile 1919, n. 603, aveva istituito, e gli artt. 6 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3184, e 56 del R. D. L. 4 ottobre 1935, n. 1827, avevano riprodotto e completato per i periodi di malattia, di servizio militare e di gravidanza e puerperio - l'art. 4 della legge 4 aprile 1952, n. 218, stabilisce che i periodi per i quali é corrisposta l'indennità ordinaria dell'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione sono considerati come periodi di contribuzione ai fini del diritto alla pensione e della misura della pensione stessa.
Intanto, il lavoratore che, dopo avere raggiunto l'età pensionabile - abbia o meno liquidato la pensione di vecchiaia - continui a prestare attività retribuita alle dipendenze altrui, é obbligato a versare i contributi dovuti per le forme di previdenza ed assistenza sociale (art. 27 della stessa legge). E poiché lo stesso articolo stabilisce che, per tale versamento, il pensionato acquista il diritto ad un supplemento di pensione, il legislatore, delegato ad emanare norme transitorie, di attuazione e di coordinamento della legge del 1952, ha ritenuto di potere limitare gli effetti di siffatta contribuzione soltanto al supplemento di pensione; ed in conseguenza, con le norme degli artt. 32 e 13 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, ha stabilito che non competono né l'indennità di disoccupazione, né l'accreditamento figurativo dei contributi per i periodi di disoccupazione indennizzata. Per risolvere, quindi, la questione di eccesso di delega sottoposta all'esame di questa Corte in merito all'art. 13 suindicato, occorre stabilire quale configurazione giuridica abbia il rapporto creato dalla disposizione dell'articolo 27, e decidere in conseguenza quali sono, a termini di legge, le prestazioni dovute dall'I.N.P.S. in corrispettivo dei contributi versati dal lavoratore dopo il pensionamento.
La risposta a siffatti quesiti é stata - sostanzialmente - già data da questa Corte con la
sentenza n. 34 del 24 maggio 1960, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 32 del del D.P.R. n. 818 del 1957, ed ha riconosciuto anche per il pensionato il diritto di percepire l'indennità di disoccupazione quando ne ricorrano le condizioni di legge.Questa decisione ha rilevanza nella soluzione dell'attuale questione, sia per l'intimo legame della norma dell'art. 32 con quella dell'art. 13, sia per gli argomenti di carattere generale richiamati ed applicati.
Sotto il primo aspetto, già per altro rilevato dalla ordinanza della Corte di cassazione, occorre precisare che, in contrapposto agli adempimenti assicurativi che condizionano il diritto soggettivo del lavoratore in materia di disoccupazione involontaria, sta una duplice prestazione dell'I.N.P.S.: pagamento della indennità di disoccupazione e contemporaneo accreditamento dei contributi figurativi dei periodi di disoccupazione indennizzata. Le due prestazioni sono inscindibilmente legate l'una all'altra, anche perché l'accreditamento dei contributi figurativi, che nei vari casi preveduti dalla legge é condizionato alla richiesta dell'interessato, nell'ipotesi in esame non é subordinato all'istanza dell'assicurato. Onde, riconosciuto il diritto del pensionato di beneficiare della indennità di disoccupazione, non é possibile escludere il diritto al conseguenziale accreditamento dei contributi figurativi, quando manchino valide e sostanziali ragioni che legittimino il diverso trattamento.
Sotto il secondo aspetto, va notato che gli argomenti adottati dalla precedente sentenza di questa Corte formano logica premessa dalla quale discendono identiche conseguenze nella valutazione della legittimità costituzionale delle norme contenute nell'art. 32 e nell'art. 13. Questa Corte ha, infatti, ritenuto che fra l'assicurazione contro la invalidità e la vecchiaia e l'assicurazione contro la disoccupazione non vi é alcuna incompatibilità, essendo ciascuna di esse collegata allo stato di bisogno del lavoratore derivante da cause completamente differenti. Ed ha ritenuto che la indipendenza delle due forme di assicurazione é confermata dal testo legislativo fondamentale (R. D. L. 4 ottobre 1935, n. 1827), che delinea il diritto del lavoratore al conseguimento delle prestazioni come un vero e proprio diritto soggettivo perfetto, il quale sorge, sulla base del rapporto assicurativo, col verificarsi delle condizioni stabilite dalla legge. Ed a questi fondamentali principi occorre fare riferimento anche per decidere la questione ora esaminata.
Allo scopo di determinare le caratteristiche principali del rapporto disciplinato dall'art. 27 della legge n. 218 del 1952 occorre porre in rilievo che esso impone espressamente al pensionato che continui a prestare attività retributiva alle dipendenze altrui il versamento dei contributi relativi alle varie forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, compresa quindi l'assicurazione contro la disoccupazione. Si fa questione se detto rapporto possa costituire continuazione di quello assicurativo precedente al pensionamento o se, viceversa, trattasi di rapporto nuovo, delimitato nei suoi effetti, in quanto l'art. 27 parla di obbligo di contribuzione che deve proseguire, ma non di assicurazione che continua. Ed invero, si sostiene da parte dell'I.N.P.S. che l'assicurazione non potrebbe avere ulteriore vita, con pienezza di effetti, essendosi verificato il rischio dedotto in assicurazione. Ma osserva la Corte che siffatta tesi può proporsi soltanto quando sussista quella concezione unitaria, che diventa confusione, fra le varie forme di previdenza ed assistenza sociale, che la Corte ha invece individuate e distinte con la cennata precedente sentenza. Pur essendo invero unitariamente concepita ed attuata, quale espressione della mutualità e solidarietà sociale, la previdenza sociale si articola nei diversi rami della vecchiaia, della invalidità, della tubercolosi e della disoccupazione, ai quali corrispondono differenti norme e differenti prestazioni dell'I.N.P.S. Accolto il principio della indipendenza di ciascuna di tali branche, ed ammessa la compatibilità del cumulo delle varie prestazioni, non si può più addurre che l'assicurazione contro la disoccupazione assume un diverso aspetto qualora si sia già verificato l'evento del raggiungimento dell'età pensionabile. Ciò posto, é da dedursi che per la pensione di vecchiaia - essendosi già verificato il rischio assicurato - era indispensabile una norma (art. 27) la quale stabilisse che i nuovi contributi versati dal pensionato danno vita al supplemento di pensione. Per le altre forme di previdenza, e quindi anche per la disoccupazione, sarebbero state superflue altro norme, essendo ovvio che dopo il pensionamento, come non cessa l'obbligo della contribuzione, non cessa neppure l'obbligo delle correlative prestazioni dell'I.N.P.S. Si deve, pertanto, concludere che il rapporto disciplinato dall'articolo 27-per quanto riguarda il caso in esame della disoccupazione - produce i medesimi effetti tanto prima del pensionamento quanto successivamente ad esso; e che, di conseguenza, l'I.N.P.S. é tenuto a tutte le prestazioni inerenti alla disoccupazione.
Alle medesime conclusioni si perviene esaminando la norma dell'art. 4 della legge n. 218 del 1952, la quale - come del resto facevano anche le precedenti leggi del 1919 e del 1935-riconosce la validità dei contributi figurativi della disoccupazione indennizzata "ai fini del diritto alla pensione e della misura della pensione stessa". É questo un beneficio concesso agli assicurati della previdenza sociale i quali - per determinati motivi non dipendenti dalla loro volontà - non possono lavorare e non possono quindi ricavare dal lavoro i mezzi per fare fronte alla contribuzione assicurativa obbligatoria. Il contributo dello Stato al funzionamento della previdenza sociale, che si concreta sotto forma di integrazione delle prestazioni, diventa in tali casi totale, esonerando il lavoratore e ricorrendo alla finzione di considerare quei periodi di tempo non scoperti da assicurazione. La finzione ha effetto pratico per la liquidazione della pensione, in quanto serve a fare raggiungere il minimo contributivo per ottenerla, oppure a fare aumentare la misura della pensione in relazione agli aumentati periodi di contribuzione. Questo e non altro essendo il motivo per cui la legge stessa ha voluto indicare lo scopo che si vuol raggiungere con la contribuzione figurativa, va osservato che il lavoratore acquista il diritto ogni qualvolta ricorrono le condizioni poste dalla legge. Ma, in una legislazione ispirata al favore verso il lavoratore, non é ammissibile che una restrittiva interpretazione dello scopo, che la legge si prefigge, - operata peraltro dall'esecutivo non delegato a far ciò, né espressamente, né implicitamente - possa portare alla esclusione od alla limitazione del diritto conseguito dal lavoratore sussistendone le condizioni poste dalla legge. Per questo motivo, l'esatta interpretazione della norma dell'art. 4 conduce all'affermazione che i contributi figurativi debbono essere riconosciuti ed accreditati ogni qualvolta essi portano ad un beneficio economico nel procedimento generale di liquidazione della pensione Quando in questo procedimento si é inserito anche l'istituto del supplemento di pensione, non appare possibile separare questo supplemento, destinato a diventare un tutto unico con la pensione ed a fondersi con essa. Ed occorre anche notare che gli artt. 9 e 27 della legge del 1952 chiaramente esprimono questo concetto di fusione del supplemento nella pensione in quanto dispongono che esso "integra" la pensione, e cioé la rende unica ed intera.
Va, quindi, disattesa la tesi dell'I.N.P.S., che il supplemento non é né pensione, né misura della pensione, o che possa avere disciplina diversa dalla pensione.
Se dunque la retta interpretazione convince che i contributi figurativi relativi ai periodi di disoccupazione indennizzata debbono essere riconosciuti ai fini della liquidazione del supplemento di pensione, la norma impugnata che, in sede di attuazione e di coordinamento della legge del 1952, toglie tale beneficio al lavoratore, va dichiarata illegittima.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 13, terzo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione agli artt. 4,27 e 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
GIUSEPPE VERZÌ, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 3 luglio 1963.