SENTENZA N. 90
ANNO 1962
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Dott. Mario COSATTI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
Dott. Giuseppe VERZÌ
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 125 del D.L. del Presidente della Regione siciliana 29 ottobre 1955, n. 6, promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1961 dal Pretore di Lipari nel procedimento penale a carico di Li Donni Giuseppe, iscritta al n. 136 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 232 del 16 settembre 1961 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 47 del 31 agosto 1961.
Visto l'atto di intervento del Presidente della Regione siciliana;
udita nell'udienza pubblica del 17 ottobre 1962 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;
udito l'avv. Salvatore Pugliatti, per il Presidente della Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento penale a carico di Li Donni Giuseppe, imputato di contravvenzione all'art. 2 del regolamento sulla pescheria del 18 agosto 1945 del Comune di Lipari, per omesso conferimento di un pesce spada al centro ittico, punibile ai sensi dell'art. 125 del D. L. del Presidente della Regione siciliana 29 ottobre 1955, n. 6, il Pretore di Lipari ha sollevato di ufficio, con ordinanza del 26 giugno 1961, questione di legittimità costituzionale del menzionato art. 125, per violazione degli artt. 3, 5 e 25, secondo comma, della Costituzione, e per essere in contrasto col principio più volte affermato dalla Corte costituzionale, che la competenza a legiferare nella materia penale é devoluta esclusivamente allo Stato.
L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata all'imputato, al P. M. presso il Tribunale di Messina e ai Presidenti della Giunta e dell'Assemblea della Regione siciliana, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 16 settembre 1961, n. 232, e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 31 agosto 1961, n. 47.
Con atto di intervento e deduzioni del 25 agosto 1961, si é costituito in giudizio il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Pugliatti.
Nelle sue deduzioni la Regione siciliana, pur riconoscendo in via generale il principio, affermato da questa Corte nelle sue precedenti decisioni, che il potere normativo penale spetti soltanto allo Stato, ritiene che la Corte stessa non si sia proposto ex pro fesso il problema dei limiti entro i quali questo, che qualifica monopolio dello Stato, dovrebbe essere mantenuto.
Una norma primaria sprovvista di sanzione sarebbe priva di forza e di contenuto pratico, specialmente quando, per la sua natura e per il tipo di interessi (pubblici) che deve realizzare, ha bisogno di essere rafforzata da sanzioni peculiari, come quelle penali, almeno contravvenzionali. La negazione della potestà penale alla Regione condurrebbe "al paradossale risultato che la potestà legislativa regionale apparirebbe massimamente inefficiente nelle materie nelle quali, istituzionalmente, dovrebbe conseguire il massimo di efficienza". Il problema, pertanto, dovrebbe essere esaminato in rapporto alla competenza esclusiva della Regione per alcune materie. L'attribuzione senza limiti della potestà normativa penale allo Stato significherebbe attribuzione allo stesso, sia pure limitatamente alle sanzioni penali, di una competenza legislativa in materie che istituzionalmente appartengono alla competenza esclusiva della Regione, con la conseguenza della evidente contraddizione di una potestà normativa concorrente là dove dovrebbe riscontrarsi una potestà normativa esclusiva. Né, d'altra parte, di tale potestà concorrente sarebbe possibile l'esercizio, non essendo concepibile che la Regione possa emanare norme primarie e chiedere, poi, allo Stato di disporre sanzioni penali. In definitiva, l'affermazione di una tale potestà concorrente importerebbe la soppressione di ogni potestà normativa sanzionatoria per le materie riservate alla Regione. Infatti, da un lato, questa, priva della potestà penale, non potrebbe emanare le norme sanzionatorie, e dall'altro lo Stato, apparentemente titolare della indicata potestà, non sarebbe in grado di esercitarla, considerato che rispetto alla stessa materia la potestà legislativa spetta esclusivamente alla Regione. A questa, in definitiva, secondo la difesa, non si può non riconoscere "la potestà di emanare norme sanzionatorie, anche penali, nelle materie nelle quali ha potestà esclusiva rispetto alle norme primarie". Una soluzione della questione così come ora é prospettata non troverebbe ostacolo negli argomenti finora addotti a sostegno della esclusiva appartenenza allo Stato del potere normativo penale.
La difesa della Regione osserva, infine, che gli artt. 3 e 5 della Costituzione, richiamati nell'ordinanza del Pretore, non sono pertinenti. Circa, poi, l'art. 25 della Costituzione, anche richiamato, e sul quale la Corte costituzionale ha fondata la sua decisione n. 21 del 1957, si afferma che é discutibile la sostenuta interpretazione restrittiva del termine "legge", nello stesso articolo contenuto.
In data 9 ottobre é stata presentata dalla difesa della Regione una memoria fuori termine, nella quale si insiste sugli argomenti già enunciati e sulla necessità di ammettere che la Regione possa emanare norme sanzionatorie contravvenzionali.
Considerato in diritto
1. - La difesa della Regione ha ritenuto nella presente causa di poter proporre come nuovo, nella materia in questione, il problema dei limiti di cui immancabilmente, a suo giudizio, dovrebbe essere oggetto il cosiddetto monopolio statale della potestà normativa penale. Ma il problema é da considerarsi risoluto nei termini stessi delle precedenti decisioni di questa Corte. Respinta la configurazione di un diritto penale speciale accanto al diritto penale generale o comune, unico essendo il diritto penale in base alla natura delle sanzioni imposte dalla legge e quali che siano gli interessi con tal mezzo tutelati, la Corte ha fissato due punti fondamentali: l'uno che stabilisce la riserva assoluta di legge in materia penale; l'altro, che del primo costituisce il razionale fondamento, riguarda la natura dei beni dell'uomo su cui incide la sanzione penale.
Nella sentenza n. 21 del 1957, la disposizione del comma secondo dell'art. 25 della Costituzione, in virtù della quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso, é stata interpretata nel senso che per legge debba intendersi, in tale disposizione, soltanto la legge dello Stato; ed ora questa Corte non ha che da rimettersi a questa interpretazione e alla motivazione che allora ne fu data.
Nella stessa sentenza la esclusiva appartenenza allo Stato della potestà normativa penale trovò come suo fondamento la particolare natura delle restrizioni della sfera giuridica che vengono inflitte mediante la pena. La quale incide sui beni ed attributi fondamentali della persona umana, in primo luogo la libertà personale; onde la necessità che tali restrizioni siano da stabilire in base a una generale e, si potrebbe aggiungere, superiore valutazione dei beni e degli interessi dell'uomo e della vita sociale, quale può essere compiuta soltanto dal legislatore statale.
Stabiliti questi due punti, la impossibilità di porre limiti alla potestà penale dello Stato a favore di altri enti appare in modo evidente. Ogni limite, infatti, non potrebbe non costituire violazione della norma costituzionale che soltanto la legge dello Stato riconosce come fonte della norma penale; e sarebbe in pari tempo negazione di quei supremi interessi umani la cui restrizione a mezzo della pena spetta soltanto allo Stato di valutare. Né varrebbe obbiettare che una eventuale potestà normativa penale della Regione avrebbe carattere limitato, in quanto riferibile soltanto ai particolari interessi della Regione stessa e come presidio delle sole norme giuridiche che statutariamente essa ha il potere di emettere. É più che evidente che soltanto entro questi limiti é ipoteticamente concepibile una potestà penale della Regione; e, pertanto, é soltanto relativamente a questa ridotta possibilità che viene riaffermato il principio della esclusività del potere statale, non ponendosi nemmeno come astratta ipotesi la idea di un potere penale della Regione che vada al di là di quei limiti.
Si assume che le norme della Regione richiederebbero il rafforzamento di sanzioni penali "almeno contravvenzionali". Ora, che lo Stato, nel disporre la tutela dell'attività degli altri enti che lo compongono a mezzo di sanzioni penali, riduca in modo espresso tale intervento a fattispecie soltanto contravvenzionali, é cosa che rientra nel normale esercizio della potestà legislativa e nella determinazione di limiti che per varie ragioni questa stabilisce. Ma allorché si tende, come nella presente controversia e come nelle altre precedenti sullo stesso oggetto, a dedurre dai principi, e come implicita nell'ordinamento, l'esistenza di una potestà penale delle Regioni, la limitazione alle fattispecie contravvenzionali con esclusione di quelle dei delitti non troverebbe alcun fondamento; palesandosi in tal modo in tutta la sua estensione l'entità del potere che alla Regione si vorrebbe rivendicare.
2. - Di fronte alle considerazioni che precedono nemmeno può aver valore l'obbiezione che, in modo particolare, riferisce alla legislazione regionale esclusiva la necessità di una estensione della potestà penale alla Regione. Con l'attribuzione di una competenza legislativa esclusiva si ha una riserva piena di competenza a favore della Regione per talune materie, nel senso che é devoluta esclusivamente alla Regione la concreta disciplina dei rapporti inerenti a queste materie; ma non nel senso che, per le stesse materie, debba ritenersi in sua potestà ogni specie e forma di tutela, anche quella che é dalla Costituzione attribuita esclusivamente allo Stato. La sanzione penale può costituire il più energico ed efficace presidio del comando giuridico, ma non per questo può di esso considerarsi un attributo essenziale, in forza del quale, entro il potere esclusivo della Regione di regolare legislativamente certi rapporti, debba necessariamente ritenersi inclusa anche una autonoma disponibilità della tutela penale. Altre sanzioni, come questa Corte ha già rilevato, possono efficacemente tutelare le norme giuridiche regionali. La eventuale ritenuta insufficienza di tali sanzioni e la conseguente necessità di una tutela penale é problema di politica legislativa estraneo alle decisioni di questa Corte; e che, comunque, si risolve invocando l'intervento delle norme penali dello Stato, senza che ciò possa minimamente influire sul carattere esclusivo, per le materie per cui é stabilito, della legislazione regionale, né tanto meno importare, come si assume, l'inserimento di una normazione concorrente dello Stato in quella che deve rimanere esclusiva della Regione.
D'altra parte, non é nemmeno valida l'osservazione di una pratica impossibilità dell'intervento dello Stato in considerazione del fatto che la Regione, emanate le norme primarie, dovrebbe poi richiedere allo Stato l'emanazione delle norme sanzionatorie. Analogamente a quanto avviene per la tutela dell'attività di altri enti, lo Stato può fornire alla legislazione regionale una o più norme penali, che ne costituiscano, opportunamente articolate, il preventivo e generale presidio; del che la Corte non ha motivo di non riconoscere la opportunità.
Si deve, pertanto, dichiarare la illegittimità costituzionale della norma impugnata. Spetterà poi al giudice di merito lo stabilire se al fatto che diede luogo al procedimento penale non possa eventualmente applicarsi una vigente norma penale dell'ordinamento statale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 125 del D.Leg. del Presidente della Regione siciliana del 29 ottobre 1955, n. 6, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1962.
Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ
Depositata in cancelleria il 22 novembre 1962.