SENTENZA N. 75
ANNO 1962
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, terzo comma, del R.D.L. 5 marzo 1942, n. 186, convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 1942, n. 840, recante provvedimenti in materia di valutazione agli effetti dell'applicazione delle imposte indirette sui trasferimenti della ricchezza, promosso con ordinanza emessa il 26 aprile 1961 dalla Commissione provinciale delle imposte di Milano su ricorso di Barbera Ernesta, iscritta al n. 107 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 194 del 5 agosto 1961.
Udita nella camera di consiglio del 19 giugno 1962 la relazione del Giudice Aldo Sandulli.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento per la definizione del valore effettivo, ai fini dell'imposta di registro, di una bottega, in occasione della compravendita della stessa, innanzi alla Commissione provinciale delle imposte di Milano, adita in sede di gravame proposto dall'acquirente, signora Ernesta Barbera, avverso la decisione della Commissione distrettuale, l'Ufficio del registro eccepiva l'improponibilità del ricorso stesso, ai sensi dell'art. 4, terzo comma, del R.D.L. 5 marzo 1942, n. 186 (convertito nella legge 21 giugno 1942, n. 840), non risultando che la ricorrente avesse tempestivamente pagato l'imposta accertata dalla Commissione distrettuale.
La Commissione provinciale, con ordinanza 26 aprile 1961, considerato che con l'indicata disposizione il legislatore aveva esteso il principio del solve et repete alle controversie in sede di gravame innanzi alle Commissioni provinciali per le imposte dirette e per le imposte indirette sugli affari contro le pronunce delle Commissioni distrettuali, e osservato che il principio del solve et repete in materia tributaria, enunciato nell'art. 6, secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, con riferimento alle azioni giudiziarie, era stato ritenuto affetto da illegittimità costituzionale da questa Corte, la quale, con la sentenza n. 21 del 31 marzo 1961 ebbe a dichiarare illegittimo l'anzidetto art. 6, secondo comma, in riferimento alle norme degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, giudicò non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, terzo comma, del R.D.L. 5 marzo 1942, n. 186. Conseguentemente sospese il procedimento, ordinando la trasmissione degli atti a questa Corte.
L'ordinanza é stata regolarmente notificata alla parte privata, al Procuratore del registro di Milano e al Presidente del Consiglio dei Ministri e, inoltre, é stata comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati.
Nessuno si é costituito innanzi alla Corte. Pertanto, il Presidente, in conformità dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dell'art. 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, ha disposto che la causa venisse trattata in camera di consiglio.
Considerato in diritto
Con la sentenza n. 21 del 1961 questa Corte ha dichiarato contrastante con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione il principio del solve et repete, enunciato in via generale nel secondo comma dell'art. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, pronunciando, in conseguenza, l'illegittimità costituzionale dell'anzidetta disposizione legislativa.
Con successive pronunce in conformità della menzionata sentenza, essa ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, sempre in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, di varie altre disposizioni legislative, riaffermanti, in relazione all'azione giudiziaria contro l'imposizione di singoli tributi, la necessità dell'osservanza della regola del solve et repete. Sono stati dichiarati illegittimi l'art. 149 della legge sul registro (D.Lg. 30 dicembre 1923, n. 3269, modificato con D.Lg. 13 gennaio 1936, n. 2313), l'art. 52 della legge istitutiva dell'imposta generale sull'entrata (legge 19 giugno 1940, n. 762), l'art. 24 della legge doganale (legge 25 settembre 1940, n. 1424), l'art. 9, comma sesto, e l'art. 17, comma quinto, del D.L. 17 agosto 1935, n. 1765, concernente l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali (v. le sentenze n. 79 del 1961 e n. 45 del 1962).
L'art. 4, comma terzo, del D.L. 5 marzo 1942, n. 186, convertito nella legge 21 giugno 1942, n. 840, impugnato con l'ordinanza che ha dato luogo al presente giudizio, lungi dall'essere applicativo del principio enunciato nell'art. 6 della legge del 1865, contiene un'ulteriore e più grave enunciazione della regola del solve et repete in materia tributaria, in quanto dispone che essa venga osservata persino per la proposizione di ricorsi innanzi a Commissioni tributarie.
Ancor più manifestamente delle disposizioni sopra ricordate, già dichiarate illegittime (le quali limitano soltanto l'esercizio dell'azione innanzi ai giudici ordinari), quella in esame é, dunque, in insanabile contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, a causa dell'incompatibilità del suo disposto col principio di eguaglianza e col pari diritto di tutti i cittadini di adire gli organi di giurisdizione.
Egualmente sussiste nella disposizione impugnata il contrasto con l'art. 113 della Costituzione. Se é vero, infatti, che in base ad essa la mancata osservanza del precetto del solve et repete viene considerata come preclusiva dell'impugnabilità, in sede di gravame, di una decisione di natura giurisdizionale (e non di un atto amministrativo), nondimeno la mancata utilizzabilità del mezzo giurisdizionale di gravame avverso la decisione giurisdizionale che abbia pronunciato sulla legittimità del provvedimento amministrativo d'imposizione tributaria, viene a risolversi in una diminuita tutela nei confronti di quest'ultimo: onde non può esser recata in dubbio l'incompatibilità della disposizione con quel precetto dell'art. 113 della Costituzione (secondo comma), in base al quale la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti amministrativi lesivi di diritti o di interessi legittimi "non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti".
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, terzo comma, del R.D.L. 5 marzo 1942, n. 186, convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 1942, n. 840, recante provvedimenti vari in materia di valutazione agli effetti dell'applicazione delle imposte indirette sui trasferimenti della ricchezza, con riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1962.
Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 7 luglio 1962.