SENTENZA N. 46
ANNO 1962
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente
Prof. Gaspare AMBROSINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso dal Presidente della Regione Trentino-Alto Adige con ricorso notificato il 28 ottobre 1961, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 30 successivo ed iscritto al n. 17 del Registro ricorsi 1961, per conflitto di attribuzione tra la Regione Trentino-Alto Adige e lo Stato, sorto a seguito del provvedimento in data 29 agosto 1961, n. 941, del Comitato interministeriale dei prezzi che ha disposto la unificazione delle tariffe per l'energia elettrica in tutto il territorio nazionale.
Udita nell'udienza pubblica del 4 aprile 1962 la relazione del Giudice Costantino Mortati;
uditi l'avv. Giorgio Franco, per il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige, e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Con ricorso notificato il 28 ottobre 1961 al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Comitato interministeriale dei prezzi e depositato regolarmente nella cancelleria della Corte costituzionale il 30 ottobre 1961, la Regione Trentino-Alto Adige, in persona del Presidente della Giunta regionale, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato per la dichiarazione di illegittimità costituzionale del provvedimento in data 29 agosto 1961, n. 941, del Comitato interministeriale dei prezzi, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 agosto 1961, che ha disposto la unificazione delle tariffe per l'energia elettrica in tutto il territorio nazionale, ed avente, quindi, efficacia anche nel territorio della Regione.
Si deduce nel ricorso che l'appartenenza alla Regione della competenza, di natura sostanzialmente legislativa, di fissare il prezzo per la cessione di energia elettrica agli utenti si deduce dall'insieme delle disposizioni consacrate sia nei nn. 3 e 5 dell'art. 5 dello Statuto (che attribuiscono alla legge regionale le materie dell'utilizzazione delle acque pubbliche e, rispettivamente, dell'incremento della produzione industriale e dell'attività commerciale), sia nel successivo art. 10 (che, nell'imporre l'obbligo ai concessionari di grandi derivazioni a scopo idroelettrico di fornire, o gratuitamente o a prezzo di costo, determinati quantitativi di corrente, vuole raggiungere lo scopo di risarcire la Regione dei danni ad essa arrecati dalla distrazione di fonti di energia in essa prodotte, e ciò consentendole di attirare nel suo territorio un notevole numero di iniziative industriali, mediante il ricorso ad un regime di bassi prezzi nella cessione della corrente), sia infine nell'art. 14 delle norme di attuazione dettate con il decreto presidenziale n. 574 del 1951, perché esso, nell'affidare alla Regione di determinare, nei confronti degli utenti, il prezzo dell'energia che ad essa deve essere fornita dai concessionari delle grandi derivazioni, ai sensi dell'art. 10, secondo comma, ora menzionato, statuisce anzitutto che "tale prezzo in ogni caso non potrà superare il prezzo che verrà eventualmente fissato dagli organi dello Stato, per le Regioni limitrofe" e poi, nell'ultimo comma, che "restano ferme le disposizioni statali relative al blocco ed alla fornitura dell'energia elettrica"; dal che dovrebbero dedursi due conseguenze, e cioè : 1) che gli organi dello Stato sono da ritenere abilitati a fissare i prezzi solo per le Regioni limitrofe e non già per la Regione T. - A.A.; 2) che in quest'ultima le norme statali hanno vigore solo per il blocco, ma non mai quello sui prezzi.
Si fa, altresì, osservare che, se si é ritenuto legittimo far discendere dal potere regionale di legiferare nella materia dell'incremento dell'industria e del commercio l'abolizione del principio della nominatività dei titoli azionari, con più forte ragione se ne deve far derivare la competenza della quale ora si tratta, perché nei suoi confronti possono invocarsi le altre disposizioni prima ricordate; ciò tanto più pel fatto che manca in confronto alla Regione quel complesso di norme che hanno radicato per lo Stato la speciale competenza amministrativa del C.I.P. Conclude chiedendo che la Corte voglia dichiarare la competenza regionale in materia e di conseguenza annullare l'impugnato provvedimento, nella parte con la quale vuole essere operativa nel territorio della Regione.
Con deduzioni depositate il 16 novembre 1961 il Presidente del Consiglio dei Ministri, costituitosi in giudizio a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, nel resistere al ricorso, fa rilevare: preliminarmente, che il provvedimento impugnato, anche pel suo carattere di atto amministrativo, non vulnera in alcun modo il potere assicurato alla Regione dall'art. 14 delle norme di attuazione, potere che é da intendere strettamente limitato alla quantità di energia prevista dall'art. 10 dello Statuto; che, inoltre, essendo gli obblighi imposti dal provvedimento stesso limitati a realizzare il ribasso dei prezzi più elevati (mentre esso conferisce una mera facoltà per l'eventuale elevazione di quelli più bassi), non ha ragione d'essere la preoccupazione espressa dalla difesa della Regione che si vengano a scoraggiare, con l'innalzamento dei prezzi, le imprese industriali operanti nel suo territorio. Osserva, poi, l'Avvocatura che, per potere fare rientrare nelle competenze regionali relative all'utilizzazione delle acque o all'incremento delle attività produttive anche quella ora rivendicata con il ricorso, si dovrebbe adottare un concetto di "materia" legislativa regionale così ampio ed elastico da annullare praticamente la linea di confine da porre rispetto alla competenza statale.
Si fa, poi, rilevare che la competenza della Regione per le materie di cui all'art. 4 e limitata dal rispetto dei principi dell'ordinamento e degli interessi nazionali, ed anzi, per quella del successivo art. 5, anche dai principi stabiliti dalle leggi dello Stato; e non può sorgere dubbio che nel settore dell'energia l'interesse nazionale esige che in tutto il territorio dello Stato sussista completa parità di condizioni economiche per l'accesso ad essa. E poiché a tale esigenza s'informano le leggi statali (come il D. Leg. 15 settembre 1947, n. 896), le quali affidano allo Stato di decidere quali prezzi debbano determinarsi su scala nazionale e quali su scala locale, l'Avvocatura conclude chiedendo che sia dichiarata la legittimità del decreto impugnato e, conseguentemente, rigettato il ricorso.
La stessa Avvocatura ha, in data 23 marzo corrente, depositato una memoria, nella quale, dopo avere ribadito che il prezzo fissato dal C.I.P. é solo prezzo massimo e che esso non interferisce in quella parte di energia alla quale ha riguardo la norma derogatoria dell'art. 10 dello Statuto, fa osservare che, anche ad ammettere, in ipotesi, una competenza regionale, essa dovrebbe essere contenuta nei limiti dei principi delle leggi statali e precisamente di quello fra essi che attribuisce la fissazione dei prezzi relativi ai servizi di pubblico interesse soggetti a blocco, per tutto il territorio dello Stato, al Comitato interministeriale dei prezzi. Principio questo che non ha formato oggetto di dubbio per le altre Regioni a Statuto speciale, e per lo stesso Trentino-Alto Adige, dal quale non é stata mai sollevata questione di competenza in occasione di precedenti provvedimenti in materia di prezzi dell'energia elettrica. Insiste nelle conclusioni già prese.
La difesa della Regione ha prodotto una memoria in data 26 marzo 1962, della quale non si tiene conto perché fuori termine.
All'udienza le due parti hanno insistito nelle loro conclusioni.
Considerato in diritto
1. - La Regione fa discendere il potere, che essa rivendica, di procedere alla determinazione dei prezzi di cessione agli utenti dell'energia elettrica prodotta dai corsi di acqua scorrenti nel proprio territorio dal disposto dell'art. 5 (nn. 3 e 5) dello Statuto, in correlazione con le norme del successivo art. 10, terzo, quinto e sesto comma, nonché con le altre di cui all'art. 14 delle norme di attuazione, approvate con il D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574.
La Corte ritiene che nessuna delle disposizioni richiamate, né considerate singolarmente, né nel loro nesso e nel complessivo sistema dei rapporti fra Stato e Regione, conforti la tesi sostenuta.
Per ben precisare i termini della controversia occorre ricordare che lo speciale trattamento del regime delle acque pubbliche nella Regione T.- A.A., reso necessario dalla configurazione geografica di questa, é il risultato di una lunga elaborazione richiesta dalla esigenza di contemperare gli interessi della medesima con quelli sia delle altre Regioni nelle quali si riversano i corsi di acqua che in essa sorgono o scorrono, e sia dall'intera economia nazionale, la quale deve potersi giovare dell'utilizzazione dell'energia elettrica ovunque essa sia prodotta. La disciplina che ne é risultata si differenzia da quella delle altre Regioni a Statuto speciale, in quanto nel Trentino-Alto Adige le acque pubbliche, a qualunque uso destinate, continuano a far parte del demanio statale, e la Regione manca di potestà legislativa esclusiva in materia, possedendo solo quella concorrente, che viene dall'art. 5, n. 5, riferita genericamente alla "utilizzazione delle acque stesse".
La delimitazione dell'ambito entro il quale quest'ultimo potere é da circoscrivere risulta dalle successive disposizioni degli artt. 9 e 10 dello stesso Statuto, che, mentre riservano allo Stato tutte le concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, conferiscono alla Regione, a titolo di compensazione (in analogia a quanto disposto per i Comuni rivieraschi dalle norme generali in materia di acque, e precisamente dall'art. 52 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775) il diritto di ottenere determinati quantitativi di energia per gli usi e sotto le condizioni di favore ivi specificate.
L'art. 14 delle norme di attuazione emanate con il citato decreto presidenziale del 1951 (a svolgimento ed integrazione del secondo comma dell'art. 10, secondo il quale l'energia da destinare agli usi domestici, o dell'artigianato e dell'agricoltura locali deve essere fornita al prezzo di costo), mentre dichiara la competenza della Regione alla determinazione del prezzo di cessione agli utenti del predetto quantitativo di energia, limita poi la discrezionalità della medesima in ordine a tale punto, allo scopo di ottenere che il beneficio garantito dallo Statuto, di conseguire l'energia a condizioni particolarmente favorevoli, torni a vantaggio degli utenti e stabilisce all'uopo che il prezzo stesso debba "di regola" coincidere con il prezzo economico, senza in ogni caso poter superare quello fissato dallo Stato per le Regioni limitrofe.
Del tutto infondata é la deduzione che la difesa attrice vorrebbe trarre dall'inciso dell'art. 14 riferito per ultimo, apparendo chiaro come esso, lungi dal potere essere interpretato nel senso di dedursene la competenza regionale per la disciplina dei prezzi di cessione della quantità di energia diversa da quella prevista dall'art. 10, ha il significato opposto, rivolta com'é a circoscrivere l'esercizio della potestà alla medesima riconosciuta per l'energia rientrante nel quantitativo previsto dall'articolo stesso. Non é, infatti, possibile riferire il prezzo al quale ha riguardo il secondo periodo del primo comma dell'articolo in esame ad un'energia che non sia quella considerata nel periodo immediatamente precedente, data la correlazione esistente fra l'uno e l'altro.
L'imposizione di un limite massimo del prezzo, non sorpassabile dalla Regione (da valere nei casi in cui questa non si uniformi al principio sancito nello stesso art. 14 che, in via di regola, vuole la corrispondenza fra il prezzo di cessione e quello economico) é disposta con riferimento ai prezzi stabiliti per le Regioni limitrofe, dato che per queste la contiguità con la stessa parte dell'arco alpino nel quale é compreso il Trentino-Alto Adige determina una somiglianza, oltre che di condizioni idro-orografiche, di esigenze economiche, tale da richiedere un coordinamento nelle tariffe dell'energia di cui esse beneficiano, salvo il più ampio coordinamento possibile ad essere realizzato (e che ora si viene, appunto, a realizzare) sul piano nazionale.
Tale interpretazione risulta viemmeglio confermata dal successivo terzo periodo dallo stesso primo comma dell'art. 14, che consente alla Regione di praticare, in via eccezionale, prezzi di cessione di particolare favore (e cioè ancora inferiori al prezzo economico), ma sempre con riferimento alla quantità di energia di cui all'art. 10, secondo risulta dalla elencazione degli usi per i quali l'eccezione é resa possibile, che riproduce quella contenuta nell'articolo stesso, facendo una sola eccezione per la corrente destinata agli usi domestici.
Ancora meno fondato appare poi l'argomento che la difesa della Regione crede di poter trarre dall'ultimo comma dello stesso art. 14. Non é, infatti, esatto che il richiamo ivi contenuto alle leggi statali relative al blocco ed alla fornitura dell'energia elettrica escluda l'applicabilità di quella parte delle leggi stesse riguardante i prezzi, essendo vero, al contrario, che la funzione propria delle leggi sul blocco é stata precisamente (oltre che di prorogare i contratti in corso) di precludere ogni maggiorazione dei prezzi o, più in generale, di affidare ad apposito organo (il C.I.P.) la disciplina dei prezzi di determinati generi o prodotti, onde farli corrispondere ad esigenze di pubblico interesse. Ciò del resto risulta esplicitamente dai decreti che hanno regolato la materia, a cominciare dal D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 347, e successivi, fino al D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896, che ebbe a statuire la proroga dei contratti, fra gli altri, di fornitura dell'energia elettrica per tutto il periodo di durata delle disposizioni che sottoponevano a disciplina pubblicistica i relativi prezzi (art. 11). Ed é stato giustamente osservato che nel settore dell'energia il diritto di proroga non ha avuto sostanzialmente altro motivo se non quello di rendere operante il prezzo di imperio.
L'attività del C.I.P. che (più particolarmente nel campo dell'energia idroelettrica) ebbe ad operare nel senso di consentire progressivi aumenti delle tariffe e dei prezzi vigenti nel 1942, si é poi svolta verso una sempre maggiore unificazione delle tariffe stesse, secondo risulta in modo più specifico dal citato decreto del 1947, che previde la possibilità della istituzione delle "casse di conguaglio", allo scopo di ovviare alla preesistente disparità di prezzi-base fra Regione e Regione. Unificazione che corrisponde ad esigenze indeclinabili della politica nazionale dell'energia, sempre più avvertite nelle fasi di crescente attività produttiva, e che ha trovato il suo progressivo completamento prima con il provvedimento del C.I.P. n. 620 del 1956 e ora con il successivo n. 491 del 1961, oggetto della presente impugnativa.
L'unificazione così disposta in nessun modo può compromettere gli interessi della Regione poiché essa si effettua mediante l'imposizione di tariffe massime, sicché rimane alla medesima aperta la possibilità di scendere al di sotto di queste per l'uso dell'energia di sua spettanza, mentre per le attività economiche diverse da quelle di cui all'art. 10 le agevolazioni rivolte ad attrarre iniziative economiche nel territorio della Regione potranno avere altro contenuto.
2. - Il contrasto sussistente fra la tesi sostenuta dalla difesa della Regione e le disposizioni finora considerate non é superato (come essa pretende) neanche quando queste si pongano in correlazione con i nn. 3 e 5 dell'art. 5 dello Statuto che conferiscono alla Regione potestà legislativa per "promuovere l'incremento della produzione industriale" e rispettivamente per "l'utilizzazione delle acque pubbliche". Infatti, per quanto riguarda questa ultima competenza, é da osservare in via generale che il concetto di "utilizzazione" comprende la determinazione dei vari modi di sfruttamento delle acque (forza motrice, irrigazione, alimentazione, bonifica per colmata), nonché la determinazione dei canoni a carico dei concessionari, ma non mai la fissazione dei prezzi dell'acqua o dell'energia da essa derivata ai singoli utenti, perché tali prezzi di norma sono oggetto di libera contrattazione fra costoro ed i concessionari, salvo il caso che si ritenga necessario limitare tale libertà allo scopo di soddisfare pubblici interessi secondo la valutazione che ne faccia l'autorità competente, che non é necessariamente quella che dispone circa i modi di utilizzazione, o che, comunque, provvede in virtù di poteri diversi dagli altri che riguardano questi ultimi. Precisamente tale diverso e maggiore potere l'art. 14 delle norme di attuazione ha attribuito alla Regione, svolgendo quella funzione integrativa dello Statuto che la difesa attrice ha messo in rilievo, sia pure per giungere a risultati da ritenere infondati. Infatti, la potestà di disciplinare le modalità dell'utilizzazione, comunque la si voglia intendere, non può essere riferita che alle acque delle quali si abbia la disponibilità , sicché , essendo, nella specie, l'utilizzazione di quelle che danno vita alle grandi derivazioni sottratta alla Regione, nessun sostegno la pretesa di questa può trovare nel n. 5 dell'art. 5. Né é esatto quanto si sostiene che, così ritenendo, il potere consentito da quest'ultima norma risulti svuotato di pratico contenuto, poiché rimangono, invece, alla Regione ampie possibilità di intervento, oltre che per le piccole derivazioni, per le grandi le quali abbiano scopi diversi dall'idroelettrico, rimanendo salve anche per quest'ultimo quelle di cui al ripetuto art. 14.
3. - Tanto meno, poi, la pretesa fatta valere può trovare sostegno nel n. 3 dell'art. 5, poiché la competenza ad adottare misure rivolte ad incrementare la produzione industriale non può essere considerata illimitata, bensì contenuta nei confini che sono da desumere dal sistema. Secondo la costante giurisprudenza della Corte l'identificazione dell'ambito da assegnare ad ognuna delle materie disciplinabili con leggi regionali, quali risultano elencate nei vari Statuti, deve essere effettuata sulla base di valutazioni obiettive del contenuto proprio delle medesime, tenendo presente solo la diretta inerenza a queste delle misure adottabili dalla Regione, e non già la connessione che, in via indiretta, possa riscontrarsi fra le une e le altre quando si faccia riferimento ai fini perseguiti (v. sentenze n. 124 del 1957 e nn. 2 e 32 del 1960). Infatti, se fosse lecito fare rientrare nelle competenze relative alle singole materie tutte le altre ad esse connesse sulla base della loro attinenza a queste ultime, verrebbe meno la possibilità di tracciare una linea precisa di demarcazione con le competenze statali, che é, invece, necessario tener ferma onde salvaguardare l'interesse all'unità dell'ordinamento, alla quale la stessa struttura regionale, secondo l'intento del Costituente, deve concorrere.
Nessuna influenza sui principi enunciati ha il fatto che, nella specie prevista nel n. 5 ora considerata, la identificazione della materia sembra sia stata effettuata seguendo un criterio finalistico, poiché la formula adottata conduce non già ad ampliare bensì a restringere la competenza della Regione (rispetto a quanto sarebbe risultato se si fosse fatto ricorso ad una designazione generica dell'oggetto), nel senso di consentirle solo l'emanazione di quelle norme idonee ad esercitare un'immediata e diretta influenza sullo incremento delle attività produttive ivi considerate.
4. - A nulla poi vale invocare un'analogia fra la disposizione in esame e quella adottata in passato dalla Regione in materia di titoli di credito, che si vorrebbe far discendere dallo stesso art. 5, n. 3. Proprio in ordine a tale punto la Corte (non chiamata a suo tempo a giudicare della legittimità costituzionale della legge del T. - A.A. che ebbe a disporre nella materia predetta) ha avuto occasione di decidere, in occasione di un provvedimento di uguale contenuto emesso da altra Regione, che tutto ciò che riguarda la disciplina delle società e dei titoli di credito, attenendo alla determinazione dei soggetti dell'ordinamento e delle loro strutture, nonché all'organizzazione generale dell'attività produttiva, non può che ubbidire alle norme interamente riservate allo Stato (sentenza n. 66 del 1961).
5. - É infine, da osservare che, se pure si dovesse negare alle argomentazioni precedenti il valore decisivo che esse, invece, hanno, la pretesa fatta valere incontrerebbe un ostacolo non sormontabile nel carattere concorrente della normazione regionale di cui all'art. 5, che rimane limitata dai principi discendenti dalle leggi dello Stato. E si é già messo in rilievo come le norme legislative prima citate, nel dare vita al C.I.P. e stabilirne i poteri, hanno inteso raggiungere l'intento di conferire ai prezzi da esso determinati efficacia per tutto il territorio dello Stato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara spettare allo Stato la competenza esercitata con il provvedimento emesso il 29 agosto 1961 dal Comitato interministeriale dei prezzi, impugnato con il ricorso della Regione Trentino-Alto Adige indicato in epigrafe, che ha disposto l'unificazione delle tariffe per l'energia elettrica in tutto il territorio nazionale;
respinge, in conseguenza, la domanda di annullamento dello anzidetto provvedimento.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 maggio 1962.
Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 7 giugno 1962.