Sentenza n. 1 del 1961
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SENTENZA N. 1

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI                                

Dott. Mario COSATTI                                           

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI            

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO                      

Prof. Antonino PAPALDO                                    

Prof. Nicola JAEGER                                              

Prof. Giovanni CASSANDRO                                   

Prof. Biagio PETROCELLI                                      

Dott. Antonio MANCA                                          

Prof. Aldo SANDULLI                                            

Prof. Giuseppe BRANCA                                        

Prof. Michele FRAGALI                                       

Prof. Costantino MORTATI,                             

ha pronunciato la seguente

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 4, 5, 6, 8, 9, 11, 13, 14, 15 e del secondo comma della disposizione finale del decreto del Presidente della Repubblica 3 gennaio 1960, n. 103, contenente norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca nei procedimenti giurisdizionali, negli uffici tavolari, negli uffici di stato civile, negli atti notarili e nell'attività di polizia giudiziaria e tributaria, promosso con ricorso del Presidente della Regione Trentino-Alto Adige, notificato il 4 aprile 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 12 aprile 1960 ed iscritto al n. 7 del Registro ricorsi 1960.

Vista la costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza del 1 febbraio 1961 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi l'avvocato Karl Tinzl, per il ricorrente, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto

Con decreto del Presidente della Repubblica 3 gennaio 1960, n. 103, sono state dettate le norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca nei procedimenti giudiziari, negli uffici tavolari, negli atti di stato civile, negli atti notarili e nella attività di polizia giudiziaria o tributaria.

Con tali norme si dispone:

a) nei procedimenti giudiziari i verbali sono redatti in lingua italiana e, contestualmente, in lingua tedesca, ove il Pubblico Ministero o una delle parti ne faccia richiesta. Analogamente, sono tradotte in tedesco, su richiesta, le dichiarazioni rese nel dibattimento e i documenti utilizzati nel dibattimento (art. 4);

b) il dispositivo della sentenza viene letto anche in lingua tedesca qualora una delle parti sia presente e si sia servita della predetta lingua (art. 5);

c) le copie delle sentenze civili e penali sono rilasciate in lingua italiana e, su richiesta e gratuitamente, anche con la traduzione tedesca. Lo stesso dicasi per i provvedimenti del giudice, che sono tradotti in lingua tedesca, se una parte faccia uso della lingua stessa (art. 6);

d) le schede del casellario giudiziale sono redatte in lingua italiana; i certificati sono rilasciati con la traduzione in tedesco, su richiesta anche orale dell'interessato (art. 8);

e) agli uffici giudiziari deve essere assegnato personale avente conoscenza della lingua tedesca in numero corrispondente alle esigenze determinate dalla applicazione del decreto in questione. Fino a quando non possa essere provveduto in conformità di quanto precede, possono essere nominati interpreti, a titolo di incarico temporaneo, ma in modo continuativo ed in numero adeguato alle esigenze dei vari uffici (art. 9);

f) negli uffici tavolari le iscrizioni sono eseguite in entrambe le lingue, italiana e tedesca. Gli estratti ed i certificati sono rilasciati anche in lingua tedesca, su richiesta dell'interessato (art. 11);

g) su richiesta degli interessati gli atti notarili sono redatti in tedesco, purché la lingua stessa sia conosciuta dai testimoni e dal notaio oltre che dalle parti (art. 13);

h) i cittadini di lingua tedesca possono usare la loro lingua nei rapporti con gli uffici ed organi di polizia giudiziaria e tributaria.

Analogamente, tutte le operazioni di polizia giudiziaria e tributaria nei confronti di cittadini di lingua tedesca possono essere effettuate con l'assistenza di interpreti (art. 14), e ciò a titolo provvisorio, fino a quando ai comandi ed uffici di polizia non sarà destinato personale avente adeguata conoscenza della lingua tedesca a norma dell'art. 15 del decreto presidenziale in parola.

La violazione delle garanzie attribuite col decreto ai cittadini di lingua tedesca in ordine all'uso di detta lingua è causa di nullità ai sensi dell'art. 184 Codice di procedura penale. Gli atti di polizia giudiziaria e tributaria compiuti senza l'osservanza delle garanzie previste nel decreto in questione non hanno efficacia, salvo che siano stati effettuati in caso di flagranza od urgenza (art. 14 e disposizione finale, secondo comma).

A seguito di deliberazione del Consiglio regionale del 29 marzo 1960, il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige, con ricorso del 2 aprile 1960, notificato il 4 dello stesso mese al Presidente del Consiglio dei Ministri e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del successivo giorno 23, ha impugnato il decreto presidenziale e precisamente

1) gli artt. 1, 4, 5, 6, 8, 9, 11, 13, 14, 15 e il secondo comma della disposizione finale, per violazione degli artt. 3, 6 e 10 della Costituzione, e 2, 4, 79, 82, 84 e 85 dello Statuto regionale;

2) gli artt. 1 e 11 per violazione degli artt. 4, n. 7, e 84 dello stesso Statuto.

I motivi del ricorso sono stati ribaditi e sviluppati nella memoria depositata in cancelleria il 25 ottobre 1960.

Con il primo motivo la Regione sostiene che l'art. 2 dello Statuto per la Regione Trentino-Alto Adige, in applicazione del più ampio principio sancito nell'art. 3 della Costituzione, riconosce la parità di diritti ai cittadini della Regione, qualunque sia il gruppo linguistico al quale essi appartengono. Il riconoscimento di tale parità trova poi il suo completamento nell'art. 6 della Costituzione, il quale, stabilendo che la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche, mira a tutelare sia i gruppi in sé considerati che i singoli ad essi appartenenti, nel senso di dare a tutti la possibilità di soddisfare i propri interessi in modo uguale.

Il principio di parità trova ulteriore garanzia nell'art. 10, primo comma, della Costituzione, il quale stabilisce che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, e tra queste norme vanno comprese quelle che garantiscono l'uguaglianza di gruppi etnici, linguistici o razziali nell'ambito di ogni Stato.

L'accordo di Parigi del 5 settembre 1946, diventato legge dello Stato italiano, stabilendo l'uguaglianza di diritti per gli abitanti di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e la parità dell'uso delle due lingue, italiana e tedesca, nelle pubbliche amministrazioni e nei documenti ufficiali, sancisce un obbligo internazionale, che va rispettato.

É vero "che il limite derivante dal rispetto degli obblighi internazionali si riferisce alla potestà legislativa della Regione", ma è anche vero che la riaffermazione di tali obblighi implica inequivocabilmente la volontà dello Stato di considerarli come vincolanti e l'intenzione che essi siano rispettati. E se, in linea di massima, può ammettersi che "le Regioni non possono pretendere dallo Stato l'osservanza dei suoi impegni internazionali", ciò non vale quando tali impegni, non riguardino solamente la Regione in causa, ma si pongano in qualche modo come la base di tutta la regolamentazione giuridica che la concerne, tanto che precisamente alla luce di tali impegni la normazione successiva va interpretata.

D'altro canto, poiché le norme di attuazione, appunto perché tali, devono essere conformi allo Statuto e questo è un atto tendente ad attuare l'accordo De Gasperi-Gruber, l'indagine relativa alla costituzionalità o meno delle norme di attuazione può e deve essere compiuta in relazione alla violazione di quelle norme dello Statuto che al detto accordo sono conformi.

In conformità del citato accordo, gli artt. 84 e 85 dello Statuto poi dettano ulteriori norme per garantire l'uso della lingua tedesca nella Provincia di Bolzano.

Ora, il diritto di parità e di uguaglianza riconosciuto alla popolazione di lingua tedesca é violato dal decreto del Presidente della Repubblica 3 gennaio 1960, n. 103, ed in particolare, dagli artt. 4, 5, 8, 11, 13 e 14, i quali prescrivono che la redazione dei verbali e l'emanazione delle sentenze, la compilazione delle schede del casellario giudiziale, il rilascio degli estratti e certificati degli uffici tavolari, gli atti dello stato civile e quelli notarili vanno redatti in lingua italiana, e che la lingua tedesca può essere usata, accanto a quella italiana, quando sia chiesto, anche verbalmente, dall'interessato. Ciò metterebbe la popolazione di lingua tedesca in uno stato d'inferiorità rispetto a quella italiana.

Il principio di parità poi è completamente negato dalla norma del terzo comma dell'art. 14 e dal secondo comma della disposizione finale del decreto impugnato, i quali stabiliscono che non può essere impedito l'esercizio dei poteri spettanti agli ufficiali ed agli agenti di polizia giudiziaria e tributaria in caso di flagranza o urgenza. Ciò creerebbe un trattamento differenziato a danno del gruppo di lingua tedesca proprio in quei casi in cui l'uso della lingua dell'interessato assume importanza decisiva nell'interesse della persona e della stessa giustizia. Il che porterebbe, altresì, ad una disapplicazione dell'art. 85 dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige, che riconosce al cittadino il diritto di avere rapporti scritti ed orali con gli organi e con gli uffici pubblici solamente nella sua lingua, anche se questi rapporti si estrinsecano in atti pubblici o provvedimenti della autorità.

Il decreto impugnato non terrebbe alcun conto della prevalenza numerica dei cittadini di lingua tedesca nella Provincia di Bolzano e, condizionando la stesura degli atti o il rilascio di documenti in lingua tedesca ad una richiesta - sia pure verbale - dell'interessato e gratuitamente, non accorderebbe loro neanche quelle garanzie minime, che pur sono concesse dallo "Statuto speciale per le minoranze" allegato al Memorandum d'intesa concernente il Territorio libero di Trieste del 5 ottobre 1954, agli abitanti della zona, di lingua slava, che sono una piccola minoranza e, per quanto riguarda gli arresti ed il termine entro il quale le accuse devono essere contestate a qualsiasi cittadino, dall'art. 5, secondo comma, della "Convenzione europea dei diritti dell'uomo" del 1950, ratificata dall'Italia nel 1955 e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.

Con altro motivo del ricorso, la Regione lamenta che il primo comma degli artt. 9 e 15 delle norme di attuazione impugnate, non esigendo che "tutto" il personale degli uffici giudiziari e di polizia in genere abbia piena conoscenza delle lingue italiana e tedesca, crea una limitazione alla capacità di agire per il gruppo linguistico tedesco e, quindi, un indebolimento della fiducia nell'ordine costituito e del principio stabilito nell'art. 79 dello Statuto regionale, dove per l'attività degli uffici di conciliazione è richiesta senza limitazioni la piena conoscenza delle due lingue. Né al lamentato inconveniente si può ovviare con l'utilizzazione di interpreti, perché tale misura, sebbene prevista come provvisoria dalle norme di attuazione, rischia di diventare permanente e di portare ad una disapplicazione del principio sancito nel paragrafo primo, secondo comma, lettera d, dell'accordo di Parigi, il quale mira a realizzare una più adeguata proporzione di impiego dei due gruppi etnici nei pubblici uffici.

Con il terzo punto del ricorso, infine, la Regione denunzia l'incostituzionalità dell'art. 11 delle norme d'attuazione, perché in contrasto, oltre che con il principio generale di eguaglianza e di parità di diritti già esposto, anche con gli artt. 4, n. 7, e 84 dello Statuto speciale, in quanto se l'impianto e la tenuta dei libri fondiari spetta alla competenza legislativa primaria della Regione, ad essa spetta anche la regolamentazione sull'uso della lingua in tale attività. Del resto, che le disposizioni sull'uso della lingua facciano parte della "tenuta" del libro fondiario si ricava anche dal R. D. 28 marzo 1929, n. 499, contenente disposizioni relative ai libri fondiari nel territorio delle nuove Province, decreto che fu recepito come legge regionale in forza dell'art. 12 della legge regionale 8 novembre 1950, n. 17. Per cui, anche sotto questo punto di vista non può mettersi in dubbio la competenza della Regione, già acquisita e riconosciuta con l'approvazione della citata legge e con la mancata impugnazione della stessa da parte dello Stato.

Né si dica che lo Stato può e deve legiferare anche in materia attribuita alla competenza regionale, al fine di attuare o meglio precisare il contenuto delle norme attributive di competenza, perché ciò varrebbe ad interpretare con forza di legge, in modo autentico, il contenuto di norme dello Statuto, cioè di una legge costituzionale, il che non potrebbe avvenire se non con un'altra legge costituzionale.

Per queste considerazioni, la Regione chiede che siano dichiarati costituzionalmente illegittimi gli artt. 1, 4, 5, 6, 8, 9, 11, 14, 15 e il secondo comma della disposizione finale del decreto del Presidente della Repubblica 3 gennaio 1960, n. 103.

Si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso come per legge, il quale nelle deduzioni del 23 aprile 1960 e nella memoria depositata il 19 ottobre stesso anno, si riporta, quanto ai presupposti, ai limiti ed alle modalità del ricorso, ai principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12 maggio 1960, con la quale è stato deciso il ricorso prodotto dalla Regione Trentino-Alto Adige avverso il D.P.R. 8 agosto 1959, n. 688, contenente anch’esso norme di attuazione dello Statuto regionale in materia di uso della lingua tedesca nella Provincia di Bolzano.

In ordine al primo motivo del ricorso, osserva l'Avvocatura che l'art. 3 della Costituzione e l'art. 2 dello Statuto speciale, che del primo é una specifica applicazione, garantiscono l'uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali. A loro volta, l'art. 6 della Costituzione, e l'art. 2 dello Statuto alto-atesino, che di quello è una specificazione, concernono, invece, la tutela delle minoranze linguistiche, nel senso che assicurano il rispetto e l'integrità delle caratteristiche etniche e culturali dei gruppi minoritari. I due gruppi di norme si muovono su piani diversi e la "tutela" non ha alcuna interferenza con la parità dei diritti, che è garantita in modo autonomo ed assoluto dall'art. 3 della Costituzione.

Comunque, le disposizioni citate sono del tutto estranee alla materia dell'uso della lingua tedesca nella Provincia di Bolzano, che è disciplinata in modo autonomo dal titolo X dello Statuto per il Trentino-Alto Adige, dal che discende che solo alla stregua degli artt. 84 a 87 dello Statuto, e non con riferimento all'art. 2 dello Statuto medesimo, si può vagliare la legittimità costituzionale delle norme di attuazione in parola.

Sotto questo riflesso, perciò, l'Avvocatura dello Stato ritiene che la censura mossa dalla Regione sia infondata.

La difesa dello Stato deduce poi l'infondatezza del ricorso sia per quanto concerne la violazione dell'art. 10 della Costituzione, perché questo prevede l'adattamento automatico dell'ordinamento giuridico alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e non già alle norme contenute in singoli trattati od accordi; sia per quanto riguarda la dedotta violazione dell'art. 4 dello Statuto regionale, perché questo pone un limite alla competenza legislativa della Regione, ma non a quella dello Stato. Su questi punti l'Avvocatura si richiama alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 1960.

Il ricorso potrebbe essere ammissibile limitatamente alla impugnazione dell'art. 11 del decreto presidenziale, ma nel merito esso è infondato perché, se è vero che l'art. 4, n. 7, attribuisce alla Regione una competenza legislativa in materia di "impianto e tenuta dei libri fondiari", questa competenza non è affatto invasa dalle norme d'attuazione in questione, le quali regolano soltanto l'uso delle due lingue, italiana e tedesca, nelle iscrizioni tavolari e nel rilascio degli estratti e dei certificati. Né la norma in parola viola l'art. 95 dello Statuto, perché, allo scopo di attuare e meglio precisare il contenuto delle norme statutarie attributive di competenza, lo Stato può e deve legiferare anche in materia riservata alla competenza regionale.

Sugli altri punti del ricorso, l'Avvocatura dello Stato contesta che le norme impugnate siano in contrasto con il principio della parità di diritti, perché il fatto che alcune norme del D.P. n. 103 del 1960, e precisamente gli artt. 4, 5, 6, 8 e 13, diano una certa prevalenza all'atto formato in lingua italiana, dipende necessariamente dal principio della ufficialità della lingua italiana. Ora, le norme impugnate contemperano questo principio con quello della parità, anche se accordano una certa prevalenza alla lingua ufficiale. L'interessante - ai fini della tutela delle minoranze linguistiche - è che siano assicurati i mezzi tecnico-giuridici idonei perché un cittadino, appartenente al gruppo linguistico minoritario, non sia costretto a fare uso di una lingua diversa da quella materna; e le norme impugnate garantiscono appunto la parità dell'uso delle due lingue attraverso un complesso organico di disposizioni.

Dall'esame di queste norme risulta evidente come lo Stato, fermo restando il principio della ufficialità della lingua italiana, espressione dell'unità della Repubblica, ed escluso che sia costituzionalmente imposto l'uso esclusivo ed obbligatorio della lingua tedesca nella Provincia di Bolzano, ha fatto quanto era possibile per assicurare ai due gruppi linguistici l'uso della propria lingua. Né alcuno può dolersi se, in taluni casi, per ottenere un atto in lingua tedesca occorre farne richiesta - verbale e gratuita - o se, per un evidente principio di economia, non é adoperata la lingua tedesca quando nessuno ne abbia fatto uso.

Circa l'altra doglianza della Regione secondo cui le norme impugnate non prescrivono che "tutti i giudici e funzionari abbiano piena conoscenza della lingua tedesca e che l'impiego degli interpreti, da temporaneo, possa diventare definitivo e permanente, l'Avvocatura dello Stato osserva che, a prescindere dal fatto che le disposizioni emanate al riguardo non integrano alcuna violazione di norme costituzionali, perché, o direttamente o a mezzo di interpreti e traduttori, la garanzia del bilinguismo viene ugualmente attuata, è da rilevare che esse tendono ad adeguarsi alla realtà della situazione e cioè cercano di ovviare alla riluttanza dei cittadini di lingua tedesca di accedere ai pubblici uffici ed alla conseguente difficoltà di creare ex nihilo giudici e funzionari con piena conoscenza della lingua tedesca.

Quanto, infine, al terzo comma dell'art. 14 del decreto impugnato, secondo il quale non può essere impedito l'esercizio dei poteri spettanti agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria e tributaria nei casi di flagranza, sono la situazione di estrema ed indilazionabile urgenza, conseguente allo stato di flagranza, e le esigenze di difesa sociale che legittimano una momentanea quiescenza del diritto di parità, così come avviene per altri diritti costituzionalmente garantiti, quali la libertà personale, la libertà di associazione, la manifestazione del pensiero, l'esercizio del mandato parlamentare, che nei casi di emergenza o di flagranza possono essere legittimamente compressi essendo, in tali ipotesi, considerato prevalente l'interesse alla difesa sociale.

Per quanto sopra esposto, l'Avvocatura dello Stato chiede che il ricorso prodotto dalla Regione contro il decreto del Presidente della Repubblica 3 gennaio 1960, n. 103, sia dichiarato inammissibile o, quanto meno, infondato nel merito.  

Considerato in diritto 

1. - In ordine alle eccezioni pregiudiziali, proposte dalla difesa dello Stato nelle deduzioni e non riprodotte nella memoria, la Corte riafferma quanto ha deciso con la sentenza 12 maggio 1960, n. 32. Il ricorso della Regione è ammissibile quando trattasi di giudicare della violazione di norme dello Statuto speciale ed è anche ammissibile per violazione di altre norme costituzionali sempre che la dedotta violazione di queste ultime si presenti come una lesione della sfera di competenza della Regione (o della Provincia).

I principi enunciati nella stessa sentenza valgono anche per quanto si riferisce all'ammissibilità della doglianza relativa alla violazione dell'art. 10 della Costituzione in relazione alla prospettata violazione dell'accordo De Gasperi-Gruber. Basterà ribadire che tale dedotta violazione può essere esaminata in riferimento non alla norma della Costituzione invocata dalla ricorrente, bensì alle disposizioni dello Statuto speciale, attraverso le quali l'accordo, come pure l'art. 6 della Costituzione, hanno avuto attuazione e specificazione.

2. - La questione che deve essere esaminata per prima è quella che attiene alla competenza.

La Regione deduce che l'art. 11 del decreto presidenziale impugnato, relativo all'uso della lingua negli uffici tavolari, sarebbe illegittimo perché lo Stato non avrebbe competenza a dettare norme in questa materia, riservata in via primaria alla Regione in virtù dell'art. 4, n. 7, dello Statuto speciale.

La doglianza è infondata per la ragione essenziale esposta dalla Corte nella sopra richiamata sentenza. La competenza normativa in ordine all'uso della lingua appartiene esclusivamente allo Stato, quale che sia la materia con riferimento alla quale l'uso della lingua debba essere regolato.

Né è esatto che l'esercizio dell'esclusiva potestà dello Stato in materia di uso della lingua svuoti di contenuto la citata norma dello Statuto, poiché la complessità e la delicatezza delle operazioni inerenti alla tenuta del libro tavolare richiedono una adeguata regolamentazione, che ha una sua autonoma ragion d'essere.

La difesa regionale, poi, espone che la questione della lingua in materia tavolare era regolata dall'art. 89 del R.D. 28 marzo 1929, n. 499; aggiunge che questa legge venne recepita come legge regionale in forza dell'art. 12 della legge regionale 8 novembre 1950, n. 17; conclude che, non essendo stata questa legge regionale impugnata dagli organi dello Stato, la competenza regionale anche in materia di uso delle lingue nella tenuta del libro tavolare non potrebbe essere contestata.

La tesi non ha fondamento. La mancata impugnazione da parte dello Stato di una legge regionale non produce uno spostamento di competenza dallo Stato alla Regione nella materia in cui la legge regionale é intervenuta, essendo pacifico che una sfera di competenza stabilita con legge costituzionale non può essere variata che con altra legge costituzionale.

Affermato, quindi, che la competenza in materia di uso della lingua spetta allo Stato, non si può contestare agli organi statali il potere di emettere norme in tale materia, nonostante la precedente emanazione di norme regionali nella materia stessa.

Con riserva di esaminare in seguito le doglianze di merito relative all'art. 11, è da concludere che è infondata la censura relativa alla competenza in ordine all'articolo stesso. Ed è pure infondata, per le stesse ragioni, l'impugnativa dell'art. 1 del decreto in quanto esso riguarderebbe anche la materia tavolare, che sarebbe fuori del campo di competenza dello Stato.

3. - Prima di passare ad esaminare le altre disposizioni impugnate, occorre eliminare dal campo delle indagini l'art. 1 del decreto.

Si può capire che questa disposizione sia stata impugnata nella parte in cui accennava alla materia tavolare. Trattandosi di questione di competenza, anche il semplice riferimento ad una materia che si assumeva spettante alla Regione avrebbe potuto dar luogo alla doglianza che tale riferimento violasse, per se stesso, la sfera di attribuzioni della Regione: il che, come si è visto, non accade. Ma, in rapporto alle lamentate violazioni di merito, è evidente che, non avendo l'art. 1 alcun concreto contenuto normativo, l'enunciazione introduttiva che vi si legge relativamente alle materie regolate dal decreto non può porre in essere alcuna illegittimità. Anche se le disposizioni contenute negli articoli successivi fossero in parte illegittime, la enunciazione delle materie, sulle quali la competenza statale in materia di uso della lingua non è contestata, sarebbe sempre legittima.

4. - La Regione si lagna che alcuni atti vanno redatti o resi pubblici solo nella lingua italiana. A parte l'art. 13, relativo agli atti notarili, di cui si dirà in seguito, una sola delle norme impugnate prevede la redazione di atti esclusivamente nella lingua italiana, e cioè l'art. 8 che conferma l'uso della lingua italiana per la compilazione delle schede del casellario giudiziale. Mentre un'altra, quella dell'art. 5, consente che la lettura delle sentenze penali si faccia in lingua italiana solo quando né l'imputato né il responsabile civile né la parte civile siano presenti nel momento della lettura o quando essi, tutti, si siano serviti della lingua italiana.

Ritiene la Corte che per entrambe tali doglianze la Regione sia carente di interesse.

Nei riguardi dell'art. 8, è da osservare che, nelle parte alla quale si limita per ora l'esame, relativa alla compilazione delle schede, esso regola un'attività puramente interna. Data la particolare struttura degli uffici del casellario ed il modo del loro funzionamento, nessuna utilità avrebbero i cittadini di lingua tedesca se gli originali dei cartellini fossero scritti in doppia lingua, così come nessun fastidio, neppure minimo, subiscono per il fatto che essi si redigono solo in lingua italiana. Altra questione è quella che si riferisce alle modalità stabilite per il rilascio dei certificati, ma essa dovrà essere esaminata in seguito insieme a quelle doglianze che su analogo fondamento sono rivolte ad altri articoli.

Considerazioni non diverse debbono essere formulate in ordine all'art. 5, essendo chiaro che nessun interesse vantano i cittadini di lingua tedesca a che la lettura delle sentenze penali sia effettuata nella lingua tedesca anche quando i predetti, che siano stati parti nel processo, non siano presenti all'udienza in cui essa ha luogo. La garanzia è predisposta per l'uso della lingua, e l'uso presuppone una comunicazione con altri, un rapporto, che nella specie viene, invece, a mancare. La difesa della Regione mostra di convenire in ciò, come risulta dalla cura che essa pone nell'individuare l'interesse che, a suo parere, giustificherebbe l'impugnativa, raffigurabile nella generale finalità di prevenzione di reati cui gioverebbe la conoscenza del tenore della sentenza da parte del pubblico. Ora, è chiaro che questo argomento attiene a un superiore interesse, la cui tutela spetta esclusivamente allo Stato.

5. - Passando ora all'esame delle altre censure, è da osservare che tutte le disposizioni impugnate (a parte l'art. 13, il terzo comma dell'art. 14 ed il secondo comma della disposizione finale, dei quali si dirà in seguito) affermano il principio che gli atti ivi contemplati devono essere o redatti nelle due lingue, oppure tradotti in tedesco.

Pur senza considerare gli artt. 2, 3 e 12 (non impugnati), anche l'art. 4, secondo comma, l'art. 5 (quando non ricorra l'ipotesi prima considerata), l'art. 6, secondo comma, garantiscono tutti nel modo più pieno il diritto dei cittadini di lingua tedesca all'uso sia orale che scritto della lingua materna; stabiliscono altresì che gli atti ivi considerati siano formati anche in tale lingua, all'infuori di ogni richiesta.

La Regione si duole che in altri casi, per ottenere che atti si effettuino in lingua tedesca, occorra la richiesta del Pubblico Ministero o di una delle parti (art. 4, terzo comma, e art. 6, primo comma) o di uno dei difensori (art. 4, quarto comma) o degli interessati (art. 8 e art. 11, secondo comma).

La Regione sostiene che, imponendo queste richieste, si sarebbe dato causa ad una menomazione dell'uguaglianza fra i gruppi linguistici e della parità nell'uso delle due lingue ed in pratica si sarebbe imposto un onere gravoso, in quanto, come si legge nel ricorso, "tutti i procedimenti in questione vengono resi più complicati, gravosi e dispendiosi, e ciò naturalmente anche a danno dei cittadini ai quali tale attività si riferisce. Tanto più in quanto l'odio e l'onere della richiesta viene fatto pesare sul singolo cittadino in cerca di giustizia".

In realtà nessun onere viene a gravare sulla parte, dato che la richiesta può essere verbale, non importa alcuna spesa, non produce alcun fastidio. Per il rilascio di copie, che è condizionato in ogni caso, per tutti i cittadini italiani, ad una richiesta, si tratta solo di aggiungere a questa la menzione della lingua in cui le copie stesse dovranno essere redatte, sicché nessuna pratica differenza di situazioni si verifica rispetto a quella patrocinata dalla difesa della Regione, secondo cui la detta menzione dovrebbe desumersi implicitamente dalla lingua in cui la richiesta é formulata.

Dall'esame fin qui compiuto risulta che le disposizioni impugnate non violano i principi della uguaglianza e della parità nell'uso delle due lingue, riconosciuti dall'accordo di Parigi e sanciti dalle norme costituzionali.

In particolare, quelle disposizioni non sono in contrasto con gli artt. 84 e 85 dello Statuto speciale ai cui criteri puntualmente si ispirano, in quanto è assolutamente garantito ai cittadini di lingua tedesca l'uso della loro lingua nei rapporti con gli uffici considerati nel decreto ed è assicurato nei confronti dei cittadini stessi l'uso della lingua tedesca da parte degli uffici predetti.

Il principio della parità dell'uso delle lingue, che, come la Corte ha altre volte riconosciuto, deve assumersi a criterio interpretativo dei predetti articoli, è osservato quando si dia ad ogni cittadino la possibilità di comprendere e farsi comprendere nella lingua materna, senza apprezzabili difficoltà, essendo questo l'interesse tutelato dalle norme costituzionali che hanno garantito l'uso della lingua stessa, e ciò anche se l'esercizio del diritto non avvenga con tutte le medesime modalità valevoli per i cittadini delle altre Province, nelle quali l'esclusività della lingua parlata non fa sorgere i problemi propri delle zone mistilingue.

La difesa della Regione va in realtà oltre l'esigenza della parità quando la intende come concreta e puntuale uguaglianza in ogni minima particolarità, e non riesce neanche a celare una sua interpretazione dell'esigenza stessa nel senso della prevalenza e persino della esclusività della lingua tedesca: ciò traspare qua e là, allorché per esempio afferma che "dovrebbe considerarsi sufficiente la sola verbalizzazione nella lingua tedesca, salvo la traduzione nella lingua italiana ai fini dei rapporti con altri organi", ed è reso evidente da richiami ad ordinamenti stranieri informati a principi diversi. Questo orientamento della Regione risulta altresì manifesto da una precedente impugnativa da essa rivolta contro altre norme di attuazione che richiedevano l'uso congiunto delle due lingue da parte di organi e uffici della Provincia (si veda in proposito la citata sentenza n. 32 del 1960).

6. - La Regione fa rilevare ancora gli inconvenienti che derivano dalla esigenza di ricorrere all'ausilio degli interpreti quando le autorità preposte ai vari uffici non abbiano il pieno possesso della lingua tedesca, e si duole che gli artt. 9 e 15 non abbiano disposto che tutto il personale degli uffici ivi considerato sia in possesso delle due lingue.

É da osservare in proposito come l'atto normativo impugnato (il quale estende anche agli uffici di cui tratta lo stesso principio del bilinguismo già affermato con il precedente decreto presidenziale 8 agosto 1959, n. 688) intende appunto raggiungere la finalità indicata dalla Regione che è di eliminare l'intervento degli interpreti, cui si ha riguardo in via del tutto transitoria.

Nessun fondamento ha il rilievo secondo cui "tutto" il personale considerato dovrebbe conoscere la lingua tedesca, poiché l'interesse della Regione è solo che il personale bilingue sia (come, appunto, il decreto in esame stabilisce) "in numero corrispondente alle esigenze determinate dall'applicazione della legge stessa": alle esigenze cioè derivanti dal diritto all'uso della propria lingua da parte degli italiani alloglotti, quale questa garantisce.

Nessun argomento in contrario può trarsi dall'art. 79 dello Statuto speciale per contestare la legittimità dell'art. 9 delle norme in esame. Se per gli uffici di conciliazione lo Statuto poté dettare una disposizione particolare, lo stesso non poté essere fatto per gli altri uffici giudiziari. E questo non è detto in base all'applicazione di vecchi e facili canoni di interpretazione, ma in base alle palesi esigenze dell'organizzazione giudiziaria (ed amministrativa) dello Stato.

Difatti, per gli uffici di conciliazione, che non hanno un personale con carattere impiegatizio, era facile formulare una disposizione come quella dell'art. 79. Ma per gli altri uffici giudiziari (e amministrativi) per i quali l'ordinamento dello Stato prevede la esclusiva utilizzazione di personale impiegatizio, la cosa non era e non è così semplice.

Nessuno potrebbe sostenere - e, per la verità, non lo ha sostenuto neppure la difesa regionale - che lo Stato italiano abbia assunto l'impegno di adottare nella Provincia di Bolzano un'organizzazione giudiziaria e amministrativa difforme da quella vigente in tutto il territorio nazionale. Resta, quindi, chiaro che l'art. 79 dello Statuto lungi dal rappresentare l'applicazione di un principio generale, è norma speciale dettata per uffici il cui tipo di organizzazione ha un aspetto particolare e che pertanto non è lecito pretendere che ad uffici che in tutto il territorio nazionale sono costituiti con personale impiegatizio sia addetto, in quella Provincia, personale di diverso carattere.

Né si vede sopra quale base la difesa regionale possa sostenere che per invogliare i cittadini di lingua tedesca, l'afflusso dei quali negli uffici statali è, come la stessa difesa riconosce, assai scarso, lo Stato dovrebbe assicurare ad essi una inamovibilità di sede dalla Provincia di Bolzano. Non è qui da giudicare se una cosa del genere sia possibile o sia opportuna; ma è certo che nessun obbligo lo Stato ha in tal senso.

La Regione lamenta anche che non sia stato fissato un termine perentorio per l'attuazione di quanto previsto dai citati artt. 9 e 15.

É da osservare, in primo luogo, che si invaderebbe la sfera del merito, sottratta al giudizio della Corte, se si richiedesse una determinazione di termini, dato che in nessun modo essa può essere dedotta dalle norme costituzionali.

É da aggiungere che, per sua stessa natura, un adeguamento degli uffici nel senso stabilito dal decreto non può che avvenire gradualmente, mano a mano che sarà possibile disporre di personale impiegatizio bilingue. Né sarebbe un rimedio rapido quello di stabilire una inamovibilità del personale bilingue della Provincia di Bolzano. Ferme le riserve che sono state sopra esposte, la rapidità di riuscita di una tale misura presuppone un fatto che fino ad oggi si è dimostrato fuori della realtà, cioè, un apprezzabile afflusso nei ranghi degli impiegati dello Stato da parte dei cittadini di lingua tedesca.

7. - Fondata è, invece, da ritenere la doglianza nei riguardi dell'art. 13 del decreto, relativo agli atti notarili.

Dalla disposizione che gli atti notarili siano scritti in lingua tedesca soltanto se la lingua stessa sia conosciuta dai testimoni e dal notaio, oltre che dalle parti, può derivare una grave difficoltà ed anche una impossibilità per il cittadino di lingua tedesca che voglia avvalersi del diritto di usare la propria lingua materna. La difficoltà non consiste nel fatto che egli debba richiedere che l'atto sia redatto in lingua tedesca: come si è spiegato sopra, tale richiesta non può costituire un apprezzabile impedimento. Ma nella disposizione dell'art. 13 la deficienza non è questa. Se l'altra parte non conosce il tedesco (la disposizione parla di parti al plurale, e quindi di tutte le parti) o se anche uno dei testimoni o il notaio non conosce il tedesco, il cittadino di lingua tedesca non può adoperare la propria lingua materna e non può ottenere che l'atto sia scritto in lingua tedesca.

Il sistema adottato con l'art. 13 é da ritenere inadeguato alle esigenze che si dovevano attuare, e, pertanto, la disposizione (che sotto altri aspetti appare anche lacunosa e non risponde neppure alla giusta tutela degli interessi dei cittadini di lingua italiana) deve essere eliminata per dar luogo ad una più rispondente (e più completa) disciplina.

8. - Ultima doglianza da esaminare è quella relativa all'articolo 14, terzo comma, e al secondo comma della disposizione finale.

Quanto alla disposizione del terzo comma dell'art. 14, occorre dire che essa è pienamente legittima per quello che dice. É del tutto ovvio che non può essere in nessun caso impedito l'esercizio dei poteri spettanti agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria e tributaria in caso di flagranza.

La disposizione, però, potrebbe essere illegittima per quel che non dice: essa non dice espressamente che, nel più breve tempo possibile, il cittadino di lingua tedesca deve essere reso edotto nella sua lingua materna di ciò che l'ufficiale o l'agente abbia compiuto nei suoi confronti al momento della flagranza e deve essere messo in condizione di esporre nella stessa lingua tutte le sue ragioni e di farne prendere nota in un verbale redatto in tedesco.

Ma questa prescrizione si evince senza possibilità di dubbio dal testo dell'art. 14 in relazione alle disposizioni, da esso stesso richiamate, degli artt. 3 e 4. Dal complesso di queste norme emerge chiaramente che la possibilità per il cittadino di lingua tedesca di essere posto in contatto con chi conosca la sua lingua materna deve essere di pronta realizzazione; senza di che non potrebbe essere redatto alcun verbale.

Le stesse considerazioni valgono nei riguardi del secondo comma della disposizione finale.

L'urgenza giustifica la redazione di atti che non potrebbero essere differiti senza pregiudizio dei pubblici interessi. Ma è inerente alla stessa natura dell'istituto che, nel più breve tempo possibile, il cittadino di lingua tedesca sia reso edotto, nella sua lingua, del contenuto dell'atto compiuto in via d'urgenza e sia messo in grado di esporre, nella stessa lingua, tutte le sue ragioni; e ciò, in applicazione delle disposizioni più volte ricordate, dovrà essere verbalizzato anche in lingua tedesca.

Il sistema, quale deriva dalle precedenti disposizioni e da quelle contenute nel decreto in esame, interpretate nel senso ora esposto, assicura ai cittadini italiani di lingua tedesca garanzie ancora più ampie di quelle previste dalla "Convenzione europea dei diritti dell'uomo", ratificata dall'Italia (legge 4 agosto 1955, n. 848), invocata dalla Regione ricorrente.

In conformità alla propria giurisprudenza ormai costante, la Corte avverte che essa non dichiara illegittime le norme, qui considerate, del terzo comma dell'art. 14 e del secondo comma della disposizione finale, in quanto le interpreta nel senso ora esposto.

Comunque, poiché il decreto dovrà essere integrato con un nuovo testo dell'art. 13, sarebbe auspicabile che anche al testo del terzo comma dell'art. 14 e del secondo comma della disposizione finale fosse aggiunta una disposizione secondo la quale, quando, nei casi di flagranza o di urgenza, fosse impossibile osservare le disposizioni contenute nel decreto, il cittadino di lingua tedesca dovrebbe, entro un determinato breve termine, essere messo in grado di ascoltare nella sua lingua e di esporre nella stessa lingua tutto ciò che è di suo interesse; del che dovrebbe essere fatta apposita verbalizzazione anche in lingua tedesca.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara illegittima la disposizione contenuta nell'art. 13 del decreto Presidente della Repubblica 3 gennaio 1960, n. 103, contenente norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca nei procedimenti giurisdizionali, negli uffici tavolari, negli uffici di stato civile, negli atti notarili e nell'attività di polizia giudiziaria e tributaria;

b) dichiara non fondata, nei sensi espressi nella motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, terzo comma, e del secondo comma della disposizione finale del decreto predetto;

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli altri articoli dello stesso decreto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 febbraio 1961.

 Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI

 

Depositata in cancelleria l'11 marzo 1961.