Sentenza n. 40 del 1960
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SENTENZA N. 40

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Trentino-Alto Adige 11 gennaio 1960, n. 1, concernente l'"istituzione del Comitato consultivo regionale per l'industria", promosso con ricorso del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano, notificato il 17 febbraio 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 22 febbraio 1960 ed iscritto al n. 2 del Registro ricorsi 1960.

Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione Trentino-Alto Adige;

udita nell'udienza pubblica dell'11 maggio 1960 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi l'avv. Luis Sand, per il ricorrente, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente della Regione Trentino - Aldo Adige.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso del 13 febbraio 1960, notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Presidente della Giunta regionale per il Trentino - Alto Adige il 17 dello stesso mese, la Provincia di Bolzano, previa deliberazione della Giunta provinciale adottata in via di urgenza in luogo del Consiglio, ha impugnato davanti alla Corte costituzionale la legge della Regione Trentino-Alto Adige 11 gennaio 1960, n. 1, concernente l'"istituzione del Comitato consultivo regionale per l'industria", per i seguenti motivi:

1) violazione degli artt. 52, 92 e 93 del regolamento interno del Consiglio regionale per il Trentino-Alto Adige 19 febbraio 1953, relativi al procedimento di formazione delle leggi regionali;

2) violazione dell'art. 97 della Costituzione della Repubblica e degli artt. 4, n. 1, 14 e 40 dello Statuto regionale.

Con il primo motivo di ricorso, la Provincia di Bolzano lamenta che, nel procedimento di formazione della legge impugnata, il Consiglio regionale non si é attenuto al disposto degli artt. 52, 92 e 93 del regolamento interno di quel Consiglio, in quanto - come risulta dal verbale della seduta del 18 novembre 1959 - alla votazione avevano partecipato 33 consiglieri, mentre 14 non avevano partecipato alle operazioni di voto. A favore avevano votato 24 consiglieri, mentre 9 avevano deposto nell'urna solamente la "busta" priva della "scheda" di votazione.

Il Presidente del Consiglio regionale affermava che i 9 consiglieri che avevano deposto nell'urna la sola busta, priva della scheda di votazione, dovevano considerarsi tra i votanti, in quanto avevano risposto all'appello e avevano compiuto l'operazione di voto. Pertanto proclamava l'avvenuta approvazione della legge.

Alcuni dei consiglieri presenti sollevavano delle obiezioni sulla procedura seguita e, sostenendo che si era verificato un caso di irregolarità nella votazione, ai sensi dell'art. 92 del regolamento interno, chiedevano che la votazione fosse considerata nulla e quindi ripetuta.

Il Presidente dell'Assemblea disattendeva le argomentazioni addotte dai citati consiglieri e confermava l'avvenuta approvazione della legge, a maggioranza, dichiarando, agli effetti della votazione, la nullità di 9 voti.

Nella procedura seguita, la Provincia di Bolzano ravvisa una violazione degli artt. 52, 92 e 93 del regolamento interno del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, i quali dispongono, rispettivamente: che nel caso di votazione per scrutinio segreto la verifica del numero legale é data dal computo stesso dei voti (art. 52); che il voto si esprime deponendo nell'urna la scheda con segnato nella parte interna la parola "sì" o la parola "no", oppure imbussolando la scheda bianca (art. 92); che i consiglieri prima della votazione possono dichiarare di astenersi o dare una succinta spiegazione del proprio voto (art. 93).

Poiché tali norme - ad avviso della Provincia ricorrente - attengono al procedimento di formazione della legge regionale, esse sono soggette al sindacato di legittimità da parte della Corte costituzionale.

La Provincia premette che la legge impugnata era stata originariamente proposta dalla Giunta regionale in un altro testo che, nell'art. 3, prevedeva la composizione dell'istituendo Comitato consultivo. Successivamente il citato articolo veniva modificato in sede di Consiglio regionale per effetto di emendamenti proposti sia dalla stessa Giunta sia da alcuni consiglieri.

Prima di procedere alla votazione segreta sull'intero testo dell'articolo in questione, il Presidente del Consiglio regionale poneva il quesito, di carattere procedurale, se, nella eventualità che la votazione segreta, che stava per seguire, avesse dato esito negativo, fosse stato possibile o meno ritornare sul testo originariamente proposto dalla Giunta regionale. A seguito del dibattito che ne seguiva, il Presidente si pronunziava per la negativa, in quanto la Giunta stessa aveva implicitamente rinunziato a tale testo, avendolo sostituito con altro già accolto dal Consiglio.

La votazione dava esito contrario. L'art. 3 veniva approvato nel testo attuale, che rinvia al regolamento di esecuzione della legge la determinazione delle modalità per la composizione del Comitato.

In tutto ciò la Provincia di Bolzano ravvisa non solo la violazione dei citati artt. 52, 92 e 93 del regolamento interno del Consiglio regionale, ma anche della Costituzione della Repubblica e dello Statuto regionale, e precisamente:

1) violazione del principio costituzionale di concretezza della legge, tanto più che l'art. 40 dello Statuto speciale non consente al Consiglio regionale di delegare alla Giunta funzioni legislative;

2) violazione del principio di riserva di legge, di cui all'art. 97 della Costituzione e all'art. 4, n. 1, dello Statuto regionale, secondo i quali i pubblici uffici devono essere organizzati in base a disposizioni di legge, in modo da assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione;

3) violazione dell'art. 14 dello Statuto regionale, secondo il quale la Regione esercita le funzioni amministrative, delegandole ai Comuni, alle Province e agli altri enti locali, e valendosi dei loro uffici.

Per tutti questi motivi, la Provincia di Bolzano chiede che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge in parola.

Si é costituita in giudizio, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, la Regione Trentino-Alto Adige, la quale, nelle deduzioni del 1 marzo 1960 e nella memoria del 27 aprile successivo, deduce, anzitutto, l'inammissibilità del ricorso della Provincia di Bolzano per difetto del presupposto tassativo e necessario - l'invasione della propria sfera di competenza - che, solo, legittima la impugnazione in via principale di una legge regionale da parte di un'altra Regione o di una delle due Province. Presupposto, questo, che attiene non solo alla legittimazione ad causam, ma anche all'interesse ad agire, che é il presupposto indispensabile di ogni azione giudiziaria, compresa quella in sede costituzionale. E nella specie non si vede quale interesse possa avere la Provincia di Bolzano ad impugnare la legge regionale n. 1 del 1960.

Sul primo punto - argomenta la difesa della Regione - é da osservare che l'art. 82 dello Statuto regionale dispone al primo comma che la legge regionale può essere impugnata per violazione della Costituzione o dello Statuto o del principio di parità fra i gruppi linguistici; e, nel terzo comma, afferma che la legge regionale può essere impugnata anche da una delle due Province. Ora, per poter considerare legittimata la Provincia ad agire per qualsiasi violazione della Costituzione e dello Statuto o del principio di parità fra i gruppi linguistici, non é determinante la considerazione che lo Statuto alto atesino fu approvato successivamente alla legge costituzionale n. 1 del 1948. Infatti - sostiene l'Avvocatura dello Stato - ai fini della determinazione dell'ordinamento costituzionale, Statuto regionale e legge costituzionale del 1948, n. 1, si devono considerare coevi fra di loro e coevi anche alla Costituzione, onde l'inammissibilità del principio di successione delle leggi. In conseguenza, se dovesse sorgere un contrasto fra le norme dello Statuto e quelle della legge costituzionale n. 1 del 1948, dovrebbero prevalere queste ultime, per effetto del categorico richiamo contenuto nell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1953, di cui non si può negare l'intenzione di armonizzare il sistema delle garanzie giurisdizionali costituzionali.

Mancanza di legittimazione ad agire e difetto di interesse renderebbero, perciò, inammissibile, nel caso che ne occupa, il ricorso della Provincia di Bolzano.

Scendendo all'esame del primo motivo di ricorso, la difesa della Regione afferma che questo é inammissibile, anche perché con esso si fa valere una pretesa violazione degli artt. 52, 92 e 93 del regolamento interno del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige 19 febbraio 1953. Ora, sostiene l'Avvocatura dello Stato, le disposizioni inserite nei regolamenti delle assemblee legislative, a meno che non enuncino principi fondamentali tratti da norme costituzionali, non assumono valore di norme costituzionali, e, pertanto, la loro eventuale violazione, non integrando un vizio di legittimità costituzionale, é sottratta al sindacato della Corte costituzionale. Tale sarebbe il caso dei citati artt. 52, 92 e 93 del regolamento interno regionale del 1953.

Ma il primo motivo - ad avviso della difesa della Regione - anche infondato, perché dall'esame delle citate disposizioni del regolamento si evince che, nel caso di votazione a scrutinio segreto, la verifica del numero legale é fatta in base al numero dei "voti" (art. 52) ed il voto si esprime deponendo nell'urna la scheda (art. 92). L'eventuale astensione dal voto, poi, deve essere pubblica e dichiarata e perciò il Presidente deve accertare il numero dei votanti e degli astenuti (art. 93). Chi non dichiara di volersi astenere e depone nell'urna la "busta" consegnatagli insieme alla "scheda", anche se non esprime alcun voto valido o sottrae la "scheda" - come nella fattispecie - deve considerarsi "votante" agli effetti del numero legale, rispondendo, tale criterio - oltre tutto - ai principi generali sulla buona fede e sulla discordanza tra volontà e manifestazione della stessa.

D'altra parte, principio fondamentalmente costituzionale in materia - enunciato nell'art. 52 del citato regolamento - é che sia presente il numero legale, non che voti la maggioranza dei presenti, e pertanto l'eventuale violazione degli altri principi in esso contenuti non integrerebbe un vizio di legittimità costituzionale.

Quanto al secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la violazione del principio costituzionale di concretezza della legge, la Regione ritiene che questo sia inammissibile per la sua estrema genericità, ed infondato nel merito, perché, pur non contenendo, la legge impugnata, disposizioni relative alla composizione dell'istituendo Comitato consultivo e rinviandone la determinazione al regolamento di esecuzione della legge, questa é ugualmente operante.

Né si dica - osserva l'Avvocatura dello Stato - che con tale rinvio si violano gli artt. 97 della Costituzione, 4, n. 1, e 40 dello Statuto regionale, perché l'art. 97 della Costituzione, disponendo che i pubblici uffici siano organizzati "secondo disposizioni di legge", non attua una riserva di legge "assoluta", ma impone che l'organizzazione dei pubblici uffici sia attuata "in base" o "secondo" la legge. Il che significa che il principio é osservato anche quando, come nella specie, la legge si limita a dettare norme sulle attribuzioni dell'organo, lasciando all'autorità amministrativa la determinazione della sua composizione, tanto più quando, come nel caso in esame, trattasi di una commissione con funzioni consultive, che l'Amministrazione avrebbe potuto istituire addirittura con un provvedimento proprio.

Né sussiste violazione dell'art. 14 dello Statuto regionale, perché questo, a prescindere dalla considerazione che si riferisce alla delega di funzioni amministrative esecutive e non a quelle consultive, autorizza la Regione ad esercitare normalmente le funzioni amministrative delegandole alle Province ed ai Comuni o a servirsi dei loro uffici, ma non vieta alla Regione di esercitare direttamente, anche se in via eccezionale, funzioni amministrative. Del resto la facoltà di delegare ad enti minori le proprie funzioni amministrative é un principio generale dell'ordinamento costituzionale in attuazione anche del principio del decentramento amministrativo di cui all'art. 5 della Costituzione. Ma si tratta pur sempre di una facoltà attribuita all'ente maggiore, e non di un diritto dell'ente minore, la cui sfera di competenza garantita dalla Costituzione, come può essere allargata per effetto della delega, così non é lesa dalla mancata concessione della delega. E ciò sempre a prescindere dalla considerazione già fatta, e cioè che le norme citate, intese a snellire l'attività della pubblica Amministrazione ed a renderla più facilmente accessibile ai privati, si riferiscono alla amministrazione attiva e non a quella consultiva.

Per queste considerazioni la difesa della Regione chiede che la Corte dichiari inammissibile il ricorso della Provincia di Bolzano o, quanto meno, lo respinga perché infondato nel merito.

Alle argomentazioni della Regione replica la Provincia di Bolzano con una breve memoria del 24 aprile 1960, con la quale ribadisce le precedenti deduzioni, approfondendone alcuni punti.

Così, in ordine alla questione della legittimazione o meno della Provincia ad agire, la ricorrente sostiene che essa legittimazione le deriva dall'art. 82 dello Statuto regionale.

Quanto poi all'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Regione, perché le disposizioni del regolamento interno del Consiglio regionale, che si assumono violate, non costituirebbero norme costituzionali, la Provincia afferma, invece, che gli artt. 52, 92 e 93 del citato regolamento, nella parte relativa alla presenza del numero legale e dei votanti, enunciano principi costituzionali fondamentali, la cui violazione integra un vizio di legittimità costituzionale. Scende, quindi, all'esame dei singoli articoli, osservando che l'art. 52 dice esplicitamente che la verifica del numero legale é data dal computo stesso dei voti; che l'art. 92 prescrive che il voto si esprime deponendo nell'urna la scheda (e non già la "busta" priva della scheda); e che l'art. 93 non "impone", ma semplicemente "facoltizza" la dichiarazione di astensione dal voto. Principi questi che ripetono quanto disposto dalla Costituzione, in particolare nell'art. 64, terzo comma.

Nel merito, la Provincia di Bolzano insiste nella dedotta illegittimità della legge n. 1 del 1960, osservando fra l'altro che il rinvio della determinazione della composizione del Comitato consultivo per l'industria al regolamento di esecuzione contrasta sia con l'art. 4, n. 1, dello Statuto regionale, sia con l'art. 121 della Costituzione, secondo il quale é soltanto il Consiglio regionale che esercita le potestà legislative e regolamentari attribuite alla Regione.

Infine, contesta quanto affermato dalla difesa della Regione, e cioè che la delega di funzioni amministrative di cui all'art. 14 dello Statuto regionale si riferirebbe solo alle funzioni amministrative, perché la disposizione non fa questa distinzione e di conseguenza non é l'interprete autorizzato a farla.

Per il resto ripete le precedenti argomentazioni e conclude perché la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale della legge impugnata.

All'udienza i difensori delle parti hanno illustrato le rispettive deduzioni e conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - La difesa della Regione ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, in quanto la Provincia non lamenterebbe alcuna invasione della propria sfera di competenza e, comunque, non avrebbe interesse ad impugnare la legge regionale. Ma l'eccezione non ha fondamento.

L'art. 82 dello Statuto speciale per il Trentino - Alto Adige dispone, nel primo comma, che la legge regionale (o provinciale) può essere impugnata per violazione della Costituzione o dello Statuto o del principio di parità tra i gruppi linguistici; nel secondo e nel terzo comma stabilisce che l'impugnazione può essere esercitata dal Governo dello Stato e, rispettivamente, dal Consiglio regionale o dai Consigli provinciali della Regione. Il sistema dell'art. 82 é chiaro. Il primo comma enuncia il principio dell'impugnazione; il secondo e il terzo comma stabiliscono i soggetti ai quali l'impugnazione compete. Il Governo, la Regione e le Province sono posti sullo stesso piano, come risulta dal testo del terzo comma che prevede altresì (ossia con gli stessi presupposti enunciati nel primo comma) l'impugnazione da parte della Regione e delle Province.

La difesa della Regione sostiene che la disposizione dell'art. 82 debba essere interpretata nel senso che, mentre allo Stato spetta il potere di impugnazione delle leggi regionali e provinciali in tutti i casi contemplati nel primo comma di detto art. 82, la Regione e le Province possono impugnare, rispettivamente, le leggi provinciali e le leggi regionali solo quando ricorra il presupposto stabilito dall'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e cioè quando la Regione o la Provincia ritenga che una legge delle Province o della Regione leda la propria competenza. Questo presupposto, fissato dalla legge costituzionale del 1948, varrebbe anche rispetto alle impugnazioni previste dal terzo comma dell'art. 82, e ciò per effetto della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 la quale, all'art. 1, statuisce che la Corte costituzionale esercita le sue funzioni nelle forme, nei limiti ed alle condizioni di cui alla Carta costituzionale, alla legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, ed alla legge ordinaria emanata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali e cioè alla legge 11 marzo 1953, n. 87. La difesa regionale aggiunge che non solo manca il presupposto della lesione della sfera di competenza, ma non esiste nemmeno un interesse della Provincia a proporre il presente giudizio.

La Corte osserva che, anche se il criterio delineato dalla difesa della Regione fosse fondato, anche se, cioè, l'art. 1 della legge costituzionale del 1953 si dovesse interpretare nel senso che tutte le disposizioni, di carattere costituzionale o di carattere ordinario, anteriori alla detta legge, debbano essere interpretate ed applicate secondo il sistema dalla legge stessa stabilito, resterebbero sempre escluse quelle disposizioni che si inseriscono nella particolare forma di autonomia riconosciuta ad una Regione a statuto speciale (sentenza di questa Corte n. 38 del 27 febbraio 1957).

Ora, il sistema tracciato dall'art. 82 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige ha un carattere peculiare che discende dalla particolare struttura dell'ordinamento di quella Regione. Il costituente ha dovuto considerare che i rapporti tra la Regione e ciascuna delle due Province ed i rapporti tra le due Province avevano un carattere differente da quello che presentano i rapporti tra le altre Regioni. É chiaro che tra due diverse Regioni il presupposto dell'impugnazione di una legge non può essere che quello della lesione della sfera di competenza, nel che si concreta anche l'interesse all'impugnazione. La coesistenza della Regione e delle due Province del Trentino-Alto Adige in un insieme unitario ma complesso impone e giustifica un reciproco controllo e reciproche garanzie. Nel quadro di queste esigenze si spiega perché la Regione nei riguardi delle Province e ciascuna Provincia nei riguardi della Regione e dell'altra Provincia debbano vegliare a che le rispettive leggi non violino la Costituzione, lo Statuto ed il principio di parità tra i gruppi linguistici.

Ed in questa particolare situazione sta anche il fondamento della speciale procedura stabilita dall'art. 82, con cui si dispone che i ricorsi devono essere proposti dal Consiglio regionale e dai Consigli provinciali, mentre, a norma della quasi coeva legge costituzionale, n. 1 del 1948, i ricorsi delle Regioni sono proposti su deliberazione della Giunta regionale.

É dunque, da escludere che il sistema particolare previsto dall'art. 82 possa ricadere, e nella sostanza e nella forma, nell'ambito della disciplina generale dettata dalla legge costituzionale del 1953. Né, a maggior ragione, la legge ordinaria n. 87 dello stesso anno 1953 poteva apportare innovazioni al sistema particolare dettato dall'art. 82, come, del resto, si evince anche dal testo dell'art. 36 di detta legge.

Se, poi, l'ammissibilità dell'impugnazione si guarda sotto l'altro aspetto delineato dalla difesa della Regione, ossia sotto l'aspetto dell'interesse a ricorrere, l'interesse della Provincia in questo caso non può essere negato: basta dare uno sguardo al secondo motivo del ricorso in quella parte in cui viene dedotta la violazione dell'art. 14 dello Statuto speciale, secondo cui la Regione esercita normalmente le funzioni amministrative delegandole, fra altri enti, alle Province. Che, come si vedrà, questo motivo sia infondato, non ha importanza ai fini della sussistenza dell'interesse a ricorrere. D'altra parte, poiché il contenuto del ricorso si incentra particolarmente sull'art. 3, primo comma, della legge, relativo alla composizione del Comitato regionale, non può contestarsi che nella specie le Province potevano non essere paghe dell'unica disposizione contenuta in detto comma circa il rispetto della rappresentanza proporzionale dei gruppi linguistici ma potevano esigere che la norma specificasse come sarebbero stati scelti i componenti che avrebbero dovuto rappresentare in seno alla Commissione gli interessi provinciali.

2. - Con il primo motivo del ricorso la Provincia si lagna che nell'approvazione della legge impugnata siano state violate alcune disposizioni del regolamento dell'Assemblea regionale.

L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'inammissibilità della doglianza, in quanto questa proporrebbe un sindacato degli interna corporis.

La Corte ritiene che nell'attuale controversia non sia rilevante ai fini del decidere esaminare, in linea generale, le questioni dibattute fra le parti in ordine al valore costituzionale dei regolamenti delle assemblee regionali ed in ordine ai poteri di accertamento di questa Corte sul procedimento di formazione delle leggi regionali: esame che, del resto, é stato fatto dalla stessa Corte in altre circostanze.

Nella specie i fatti sono chiari ed incontroversi. Trattasi di giudicare se la legge impugnata sia stata approvata con regolare votazione in una assemblea legalmente composta, riscontrando se siano state osservate alcune disposizioni del regolamento interno del Consiglio regionale, che riproducono norme poste dalla Costituzione per regolare la validità delle sedute e delle votazioni: difatti, gli artt. 52, 92 e 93 del regolamento interno del Consiglio regionale corrispondono ai principi posti dagli artt. 64, terzo comma, e 72, primo comma, della Costituzione.

Secondo la Provincia, la votazione finale a scrutinio segreto del disegno di legge non sarebbe stata tale da portare al risultato proclamato.

Non si contesta, in fatto, che i voti favorevoli furono 24, mentre 14 consiglieri avevano dichiarato di astenersi e 9 avevano deposto nell'urna la busta senza la scheda. Ciò che si contesta é che si sia avuta una prevalenza dei voti favorevoli sui contrari: si sostiene, all'uopo, che non possono considerarsi "votanti" ai sensi dell'art. 92 del regolamento interno del Consiglio regionale quei consiglieri che deposero nell'urna la busta senza la scheda.

É esatto quel che sostiene la difesa della Provincia, e cioè che, ai sensi dell'art. 93 di quel regolamento, é facoltativa la dichiarazione di volersi astenere. Ma il rilievo non giova, anzi nuoce alla tesi della Provincia. Indetta la votazione a scrutinio segreto, l'Ufficio di presidenza accerta il numero ed il nome dei votanti e degli astenuti (art. 93 del regolamento). Ora, chi fa l'atto del votare - voti "si", voti "no", imbussoli la scheda bianca o la scheda con una parola o un segno che non esprime alcun voto o deponga nell'urna la busta senza la scheda o addirittura vi deponga un pezzo di carta - chi fa l'atto del votare é "votante". Sarà valido o non valido il suo voto, ma un ovvio principio di buona fede impone di considerare votante chi, specialmente in una pubblica assemblea, ha partecipato alla votazione.

Da ciò, nella specie, si deduce che, comunque si voglia considerare la manifestazione di volontà dei 9 consiglieri che deposero nell'urna la sola busta e comunque si voglia computare il numero degli astenuti, la realtà non cambia: i 24 voti favorevoli restano sempre in prevalenza in una seduta nella quale erano presenti 47 persone.

La tesi della Provincia é stata anche esposta sotto l'aspetto della esistenza del numero legale. Poiché, a norma dell'art. 52 del regolamento del Consiglio regionale, nel caso di votazione a scrutinio segreto, la verifica del numero legale é data dal computo stesso dei voti, il numero legale, nella seduta in esame, non ci sarebbe stato in quanto nel computo non si potrebbero comprendere i voti di quei 9 consiglieri che deposero nell'urna la busta senza la scheda.

Ma anche sotto questo aspetto la tesi é fallace; e la Corte esamina la questione così come é stata prospettata indipendentemente dalla sua rilevanza pratica (si consideri che dalla seduta era assente un solo consigliere). Quando si dice che, nel caso di votazione a scrutinio segreto, la verifica del numero legale é data dal computo stesso dei voti, si dice ovviamente che deve farsi il computo di tutti i votanti, ossia di tutti quelli che, come si é notato sopra, sono presenti alla votazione, qualunque sia il modo con cui abbiano votato. A questa ovvia considerazione può aggiungersi che sarebbe contrario ad ogni principio il far dipendere l'accertamento del numero legale di una assemblea dal comportamento tenuto dai suoi componenti nel partecipare alla votazione.

In definitiva, dunque, non si può mettere in dubbio che, dati i fatti e le circostanze concordemente prospettate dalle parti, nella seduta in cui la legge fu votata a scrutinio segreto il numero era legale e i voti favorevoli furono prevalenti.

3. - Con il secondo motivo del ricorso é stata dedotta la violazione dell'art. 97 della Costituzione e degli artt. 4, n. 1, 14 e 40 dello Statuto regionale.

Premesso che l'accusa di illegittimità per violazione del principio costituzionale di concretezza della legge é troppo generica perché si presti ad essere presa in esame, é da escludere che sia stato violato l'art. 14 dello Statuto speciale. La Corte con la sentenza n. 39 del 1957 ha definitivamente chiarito che dall'art. 14 non si può dedurre che l'attribuzione di funzioni amministrative fatta alla Regione con l'art. 13, primo comma, dello Statuto sia attribuzione soltanto nominale di una vacua titolarità delle funzioni stesse, rimanendo interdetto l'effettivo esercizio di esse da parte della Regione.

La Regione, pertanto, ben poteva e ben potrà istituire come organo proprio un Comitato consultivo per l'industria, senza con ciò violare l'art. 14.

Risulta chiaramente dal testo dell'art. 3 della legge regionale in esame che, con l'articolo stesso, non si conferisce una delega alla Giunta per l'emanazione di una norma che debba avere forza di legge; con l'art. 3 si stabilisce che la Giunta regionale provvederà in sede regolamentare alla determinazione della composizione del Comitato consultivo. Si é, quindi, fuori del campo della delega legislativa e, pertanto, non vi é questione relativa all'art. 40 dello Statuto.

Non é neppure rilevante, ai fini del presente giudizio, la questione circa l'applicazione dell'art. 97 della Costituzione.

A norma di tale articolo, i pubblici uffici devono essere organizzati "secondo disposizioni di legge"; ai sensi dell'art. 4, n. 1, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige l'ordinamento degli uffici regionali e del personale che vi é addetto deve essere disciplinato con legge, restando alla Giunta il potere di dettare norme regolamentari di esecuzione (art. 38, n. 1, dello stesso Statuto).

Non é necessario stabilire qui con precisione quale sia la differente configurazione dei rapporti tra legge e regolamento derivanti, rispettivamente, dall'art. 97 e dall'art. 4, n. 1; non é necessario, perché la questione può essere risolta sulla base della disposizione dello Statuto regionale, senza bisogno di ricorrere alla norma generale contenuta nella Costituzione.

La difesa regionale, dopo avere accennato, fra parentesi, che l'art. 4, n. 1, "non attua alcuna riserva di legge", sostiene, sulla base dell'art. 97, che la legge può limitarsi a dettare le norme sulle attribuzioni dell'organo lasciando all'autorità amministrativa la determinazione della sua composizione, tanto più quando, come sarebbe nella specie, si tratti di una commissione avente il compito di dare pareri facoltativi, che l'Amministrazione avrebbe potuto istituire con proprio provvedimento.

La Corte non crede che sia esatta l'affermazione che l'art. 4, n. 1, non attui alcuna riserva di legge. Non importa se, rispetto alla legge regionale, valgano in tutto o in parte i principi relativi alla riserva di legge elaborati nei riguardi della legge statale, certo é che l'art. 4, n. 1, stabilisce che in una certa materia (l'organizzazione degli uffici regionali) spetta al Consiglio di provvedere con legge. Se il Consiglio, anziché provvedere con legge, rinvia, come ha fatto nel caso attuale, al regolamento, la norma legislativa che tale rinvio dispone é costituzionalmente illegittima per violazione della norma che stabilisce la competenza dell'organo e la forma con cui esso deve provvedere.

Non sarebbe diverso il caso di una disposizione di legge statale che rinviasse ad atti di carattere amministrativo la disciplina di una materia riservata alla legge.

Ciò premesso, tutto si riduce a vedere se, tenendo presente la realtà della causa attuale, le norme concernenti la composizione del Comitato consultivo possano essere considerate come di carattere esecutivo: in questo caso la norma in esame trarrebbe ragione di legittimità dall'art. 38, n. 1, dello Statuto.

Non é esatto quanto afferma la difesa regionale e cioè che l'Amministrazione (in questo caso la Giunta regionale), la quale avrebbe potuto addirittura istituire, con proprio provvedimento, un organo consultivo avente il compito di dare pareri facoltativi, ben potrebbe determinarne la composizione con norma regolamentare.

Intanto, si potrebbe osservare che se si é provveduto con legge, la legittimità di una norma contenuta in detta legge deve essere esaminata nel sistema della legge stessa; e quindi, nella specie, l'esame deve essere condotto in riferimento agli artt. 4, n. 1, e 38, n. 1, dello Statuto e non in riferimento ad altre eventuali disposizioni in base alle quali la Giunta regionale avrebbe potuto provvedere. Ma anche a prescindere da queste osservazioni, si deve rilevare che la tesi difensiva della Regione non é esatta.

Non é qui il caso di indagare se e con quali forme, entro quali limiti (specialmente relativi alla gestione di bilancio) e con quali effetti l'Amministrazione possa, nell'interno della propria organizzazione, affidare a persone od a collegi di persone l'incarico di dare dei pareri. Nella specie l'organo che é stato istituito non é un organo interno. Anche se i suoi pareri sono facoltativi, essi, quando siano stati dati, si inseriscono nel procedimento di formazione dell'atto amministrativo in vista del quale sono stati richiesti.

Ma non é nemmeno esatto che i pareri dovrebbero essere tutti di carattere facoltativo, giacché l'art. 2 del testo in esame richiama anche i casi in cui il parere "sia richiesto per legge". Il che significa che la istituzione del Comitato é preordinata anche alla emissione di pareri obbligatori in una materia nella quale la Regione non manca di potestà legislativa (art. 5, n. 3, dello Statuto).

Tutto ciò importa che la composizione ed il funzionamento di questo organo consultivo costituiscono materia riguardante l'ordinamento degli uffici regionali. Con che, cadute le basi del contrario ragionamento della difesa regionale, la questione torna al suo punto di partenza; torna, cioè, al punto che fa perno sugli artt. 4, n. 1, e 38, n. 1, dello Statuto speciale. L'indagine, dunque, é quella se il rinvio al regolamento possa essere giustificato dal carattere della disposizione che con regolamento dovrebbe essere adottata.

Essendo stata esclusa, nella presente controversia, la rilevanza di ogni questione riflettente l'art. 97 della Costituzione, resta anche esclusa la rilevanza della questione se, in riferimento a detta disposizione ed all'art. 87, quinto comma, della stessa Costituzione, possano ammettersi ed entro quali limiti, nell'ordinamento statale, tipi di regolamento non di esecuzione nella materia attinente all'organizzazione dei pubblici uffici. Nell'ordinamento della Regione Trentino-Alto Adige l'unico regolamento ammissibile in materia di ordinamento degli uffici regionali é quello di esecuzione. La ragione é stata già esposta. A norma dell'art. 4, n. 1, dello Statuto speciale, la disciplina di questa materia spetta al legislatore, il quale non può trasferire i propri poteri alla Giunta. Il che vale quanto dire che la legge regionale può lasciare al regolamento soltanto quei margini che rientrano nell'ambito delle norme di esecuzione, la cui emanazione spetta all'Amministrazione in conformità all'art. 38, n. 1, dello Statuto.

Ora, é da escludere che la determinazione delle modalità di composizione del Comitato consultivo possa essere materia di regolamento di esecuzione. Quale che sia l'ampiezza che voglia riconoscersi al potere regolamentare di esecuzione, non é possibile ammettere che la legge istitutiva di un organo consultivo non detti alcuna disposizione circa la composizione di tale organo, ma si limiti a prescrivere il rispetto della rappresentanza proporzionale dei gruppi linguistici, lasciando completamente campo libero al regolamento. É chiaro che, in tal modo, il regolamento non conterrà norme di esecuzione di disposizioni legislative, ma detterà esso stesso direttamente tutte le modalità necessarie per la costituzione del Comitato, sostituendo la legge. Donde la invalidità della norma legislativa che dispone tale illegittima sostituzione.

4. - Occorre, da ultimo, stabilire se ci si possa limitare alla dichiarazione di illegittimità dell'art. 3, primo comma, della legge in esame o se non si debba dichiarare l'illegittimità dell'intera legge. La Corte ritiene che, nel caso attuale, la eliminazione della norma relativa alla composizione del Comitato faccia cadere tutta la legge. Difatti, tutti gli otto articoli di cui si compone la legge sono collegati inscindibilmente con l'art. 3 che regola la composizione del Comitato. E, pertanto, eliminata la parte essenziale di questa norma, l'intera legge perde la sua efficacia.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinte le eccezioni di inammissibilità proposte dalla difesa della Regione;

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Trentino-Alto Adige 11 gennaio 1960, n. 1, recante: "istituzione del Comitato consultivo regionale per l'industria", in riferimento agli artt. 4, n. 1, e 38, n. 1, dello Statuto speciale per la Regione predetta.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1960.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                                                                                                                               

 

Depositata in Cancelleria il 15 giugno 1960.