Sentenza n.1 del 1960
 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 1

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI                                                              

Prof. TOMASO PERASSI                                                                 

Prof. GASPARE AMBROSINI                                                           

Prof. ERNESTO BATTAGLINI                                                         

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI                                   

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO                                              

Prof. ANTONINO PAPALDO                                                           

Prof. NICOLA JAEGER                                                                     

Prof. GIOVANNI CASSANDRO                                                       

Prof. BIAGIO PETROCELLI                                                              

Dott. ANTONIO MANCA                                                                  

Prof. ALDO SANDULLI                                                                     

Prof. GIUSEPPE BRANCA                                                 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma terzo, della legge 22 dicembre 1956, n. 1589, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza 27 novembre 1958 emessa dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra l'Associazione Industriale Lombarda e la Società p. a. A.N.I.C., iscritta al n. 9 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45 del 21 febbraio 1959;

2) ordinanza 26 febbraio 1959 emessa dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra l'Associazione Industriale Lombarda e la Società p. a. Alfa Romeo con l'intervento del Ministero delle partecipazioni statali, iscritta al n. 70 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 123 del 23 maggio 1959;

3) ordinanza 27 aprile 1959 emessa dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra l'Associazione Industriali della Provincia di Firenze e la Società p. a. Larderello, iscritta al n. 72 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 dell'11 luglio 1959.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 1959 la relazione del Giudice Tomaso Perassi;

uditi gli avvocati Aldo Dedin, Cesare Tumedei, Giancarlo Fre e Cesare Grassetti, per l'Associazione Industriale Lombarda e per l'Associazione Industriali della Provincia di Firenze; Antonio Sorrentino, Enrico Redenti, Camillo Giussani e Giacomo Delitala, per le Società A.N.I.C., Alfa Romeo e Larderello; e il sostituto avv. generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

L'art. 3 della legge 22 dicembre 1956, n. 1589, istitutiva del Ministero delle partecipazioni statali, entrato in vigore il 7 febbraio 1957, dopo avere stabilito che le partecipazioni statali devono essere inquadrate in enti autonomi di gestione, operanti secondo criteri di economicità, e che il primo inquadramento deve essere attuato entro il termine di un anno dall'entrata in vigore della legge stessa, reca, nell'ultimo comma, la seguente disposizione: "Entro lo stesso termine cesseranno i rapporti associativi delle aziende a prevalente partecipazione statale con le organizzazioni sindacali degli altri datori di lavoro".

In base a questa disposizione, la Società p. a. A.N.I.C., in data 13 dicembre 1957, e la Società p. a. Alfa Romeo, in data 21 dicembre 1957, inviarono le proprie dimissioni alla Associazione Industriale Lombarda, facendo presente che tali dimissioni, rassegnate in forza di un comando di legge, dovevano avere effetto immediato, benché lo statuto dell'Associazione prevedesse un termine di preavviso. Analogo comportamento seguì la Società p. a. Larderello, che in data 26 marzo 1958 comunicò il proprio recesso all'Associazione Industriali della Provincia di Firenze, alla quale era iscritta.

Sia l'Associazione Industriale Lombarda che l'Associazione Industriali della Provincia di Firenze citarono però, rispettivamente, le Società A.N.I.C. ed Alfa Romeo e la Società Larderello dinanzi all'Autorità giudiziaria, chiedendo che le convenute fossero condannate a pagare i contributi associativi per i periodi di preavviso previsti, in caso di dimissioni, dagli statuti di ciascuna Associazione. Le domande dell'Associazione Lombarda contro l'A.N.I.C. e l'Alfa Romeo furono proposte dinanzi al Tribunale di Milano con atti notificati, rispettivamente, il 30 maggio 1958 ed il 24 maggio 1958. La domanda dell'Associazione di Firenze contro la Larderello fu proposta dinanzi al Tribunale di Firenze con atto notificato il 12 novembre 1958. A motivo delle tre domande fu dedotto che la disposizione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 3 della citata legge 22 dicembre 1956, n. 1589, sul distacco delle aziende a prevalente partecipazione statale dalle organizzazioni sindacali degli altri datori di lavoro, doveva considerarsi costituzionalmente illegittima perché in contrasto col principio della libertà di organizzazione sindacale, sancito dall'art. 39 della Costituzione. Fu fatta quindi esplicita istanza, in ciascuno dei tre procedimenti, per la rimessione degli atti, per competenza, alla Corte costituzionale.

Sia il Tribunale di Milano che il Tribunale di Firenze ritennero che la risoluzione della dedotta questione di legittimità costituzionale fosse indispensabile per la decisione di ciascuna causa e che, d'altra parte, la questione stessa non fosse manifestamente infondata. Così la questione é stata rimessa al giudizio di questa Corte con tre distinte ordinanze:

a) ordinanza 27 novembre 1958, emessa dal Tribunale di Milano nel procedimento fra l'Associazione Industriale Lombarda e la Società A.N.I.C.;

b) ordinanza 26 febbraio 1959, emessa dal Tribunale di Milano nel procedimento fra l'Associazione Industriale Lombarda e la Società Alfa Romeo;

c) ordinanza 27 aprile 1959, emessa dal Tribunale di Firenze nel procedimento fra l'Associazione Industriale di Firenze e la Società Larderello.

Le tre ordinanze debitamente notificate alle parti e comunicate ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, in data, rispettivamente, 21 febbraio, 16 aprile ed 11luglio 1959.

Dinanzi a questa Corte, in ciascuno dei tre procedimenti promossi con le indicate ordinanze, si sono costituite le parti dei rispettivi giudizi principali. Nel procedimento promosso con l'ordinanza 26 febbraio 1959 del Tribunale di Milano si é costituito anche il Ministero delle partecipazioni statali, che aveva spiegato intervento nel giudizio principale dinanzi al Tribunale di Milano. In tutti e tre i procedimenti ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Le deduzioni svolte negli atti di costituzione possono essere così sintetizzate:

Le Associazioni industriali sostengono che l'incostituzionalità dell'ultimo comma dell'art. 3 della legge 22 dicembre 1956 é in re ipsa, perché deriva dal solo fatto dell'intervento legislativo nella materia della libertà dell'organizzazione sindacale, che non può tollerarne nessuno.

Tale libertà - precisa al riguardo la difesa delle Associazioni - é sancita nell'art. 39 della Costituzione senza quelle riserve di legge che figurano nelle dichiarazioni relative ad altri diritti civili; l'intervento del legislatore é consentito in un solo caso, quando cioé si voglia imporre la registrazione dei sindacati presso uffici locali o centrali. Per effetto della norma di legge impugnata, le aziende a partecipazione statale si sono dovute distaccare dalle organizzazioni alle quali avevano liberamente aderito: se non avessero eseguito prima l'ordine legislativo, il distacco si sarebbe automaticamente avverato il 7 febbraio 1958. Limitando così l'autonomia delle determinazioni negoziali delle parti nei rapporti associativi, la norma impugnata ha violato il principio della libertà sindacale non solo nei confronti delle aziende, ma anche nei confronti delle organizzazioni.

Le Associazioni industriali concludono, quindi, chiedendo che l'art. 3, comma terzo, della legge 22 dicembre 1956, n. 1589, sia dichiarato illegittimo per violazione dell'art. 39 della Costituzione.

Le Società A.N.I.C., Alfa Romeo e Larderello eccepiscono, innanzi tutto, che la norma impugnata non tocca il problema della libertà dell'organizzazione sindacale. Il fatto stesso che la legge accordi un intervallo di tempo per la cessazione dei rapporti associativi, sta a dimostrare - secondo la difesa delle tre Società - che il cosiddetto "sganciamento" delle aziende a partecipazione statale dalle organizzazioni sindacali degli altri datori di lavoro non discende automaticamente dalla legge, ma é collegato a una manifestazione di volontà delle singole aziende interessate. Lo Stato, in altre parole, avrebbe stabilito di assumere un certo comportamento nell'interno delle aziende a cui partecipa: il comando legislativo non sarebbe rivolto alle aziende, ma ai rappresentanti dello Stato in seno alle stesse, ed il solo effetto esterno della norma impugnata sarebbe quello di attribuire efficacia immediata al recesso deliberato dalle singole aziende, nonostante i termini di preavviso previsti dagli statuti delle varie associazioni.

In secondo luogo, le tre Società sostengono che l'art. 39 della Costituzione sancisce soltanto il principio della pluralità dei sindacati (in contrasto con il precedente ordinamento del sindacato unico) ed il principio della esenzione dei sindacati da ogni ingerenza governativa. Il diritto di libera scelta del sindacato da parte degli interessati non sarebbe garantito dall'art. 39, bensì dall'art. 18 della Costituzione. Ma, a parte il rilievo che l'incostituzionalità della norma impugnata non é stata dedotta in relazione all'art. 18 della Costituzione, tale articolo - secondo la difesa delle tre Società - in quanto diretto a garantire i diritti della personalità umana in una fondamentale manifestazione, non potrebbe ovviamente che riferirsi alle sole persone fisiche, e non anche a persone giuridiche, come le "aziende", sia pure costituite in forma associativa.

Il principio della libertà dell'organizzazione sindacale - afferma, infine, la difesa delle tre Società - non può essere inteso nel senso che la legge non possa affatto regolarlo: incostituzionale sarebbe soltanto una norma che vietasse l'esercizio del diritto di associazione, non una norma diretta a limitare la facoltà di scelta. E una simile limitazione deve ritenersi giustificata per tutti gli enti con cui lo Stato svolge la sua attività nel settore dell'economia, sia che trattisi di aziende statali o enti pubblici in senso tradizionale sia che trattisi di enti pubblici economici o di società per azioni, non essendo concepibile che tali enti facciano parte delle medesime organizzazioni sindacali degli imprenditori privati e siano quindi soggetti a direttive determinate da interessi privati, non sempre compatibili con le finalità pubbliche che lo Stato persegue.

Le tre Società concludono chiedendo alla Corte che sia dichiarata costituzionalmente legittima la norma in questione.

L'Avvocatura dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il Ministero delle partecipazioni statali, pur condividendo l'interpretazione della norma impugnata, data dalla difesa delle Associazioni sindacali in causa (che cioé lo "sganciamento" si sarebbe verificato ope legis, scaduto il termine previsto nella norma, anche se non fosse stato deliberato dai competenti organi delle singole aziende), sostiene però anch'essa che non é vietato al legislatore ordinario di disciplinare concretamente l'esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione in tema di associazione e organizzazione sindacale, stabilendo per particolari imprese od aziende uno specifico ed autonomo modo di organizzazione. Nella specie, il legislatore non avrebbe vietato alle aziende a prevalente partecipazione statale di aderire a qualsiasi associazione sindacale, ma, riservandosi di provvedere al loro inquadramento in apposite organizzazioni, avrebbe soltanto vietato ad esse di continuare a far parte delle associazioni sindacali delle imprese private. La norma impugnata non avrebbe violato il diritto individuale di associazione né avrebbe modificata l'organizzazione sindacale già esistente, e perciò sotto nessun aspetto potrebbe ritenersi in contrasto con l'art. 39 della Costituzione.

L'Avvocatura dello Stato conclude chiedendo alla Corte di dichiarare che non sussiste la illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma terzo, della legge 22 dicembre 1956, n. 1589, in relazione all'art. 39 della Costituzione; di conseguenza dichiarare che la legge stessa per la parte de qua é valida ed efficace ad ogni effetto.

Tutte le parti hanno tempestivamente depositato memorie.

L'Associazione Industriale Lombarda, nella memoria depositata il 15 ottobre 1959, confuta, innanzi tutto, la tesi difensiva delle tre Società in causa, secondo cui l'art. 39 della Costituzione esaurirebbe la sua portata nel garantire la pluralità sindacale e l'autonomia organizzativa delle associazioni sindacali, facendo rilevare che una simile interpretazione porterebbe a conseguenze assurde, come ad es. la legittimità di eventuali sindacati obbligatori o anche la possibilità di subordinare con legge ordinaria la formazione volontaria di associazioni sindacali ad autorizzazioni di polizia. L'art. 39, invece, si ricollega secondo la difesa della Associazione - al principio enunciato nell'art. 18 della Costituzione, facendone applicazione al fenomeno dell'associazione diretta ai fini di tutela professionale. Libertà dei singoli di organizzarsi sindacalmente e libertà degli organismi associativi in tal modo costituiti, sarebbero quindi i due aspetti complementari e inscindibili del principio enunciato nel primo comma dell'art. 39. E anche ammesso che l'art. 18 si riferisca alle sole persone fisiche, una corrispondente limitazione sarebbe sempre da escludere nella sfera di efficacia soggettiva dell'art. 39, perché porterebbe alla assurda conseguenza - contro la ratio della norma - che la libertà sindacale sarebbe garantita per tutti i lavoratori, che sono naturaliter persone fisiche, mentre per i datori di lavoro sarebbe garantita soltanto per quelli che siano persone fisiche, escludendo le imprese dotate di personalità giuridica. Le sole esclusioni ammissibili per l'art. 39, in assenza di qualsiasi discriminazione soggettiva, sarebbero - secondo la difesa dell'Associazione - soltanto quelle che possono trarsi da limiti logici, intrinseci alla ratio del principio costituzionale: la facoltà di organizzarsi sindacalmente come datori di lavoro si dovrebbe cioé ritenere esclusa solo per lo Stato, le Province, i Comuni e gli altri Enti pubblici tradizionali, in quanto si presentino nella veste di soggetti autoritari, i cui rapporti con i prestatori di opera siano disciplinati da norme di legge o di regolamento. La esclusione non potrebbe mai comprendere le imprese a partecipazione statale, di cui la difesa dell'Associazione si sofferma ampiamente a dimostrare la natura privatistica.

Poste queste premesse in ordine alla portata dell'art. 39 della Costituzione, la difesa dell'Associazione insiste nel rilevare che l'unica riserva di legge in tema di associazione sindacale é quella contenuta nel secondo comma dell'art. 39, sulla registrazione obbligatoria dei sindacati. Nessun'altra possibilità di intervento sarebbe consentita al legislatore ordinario. Non sarebbe lecito distinguere fra titolarità ed esercizio del diritto di libertà sindacale, per dedurne la legittimità di norme intese a regolare soltanto le modalità di esercizio del diritto stesso, perché avere il diritto di libertà sindacale altro non significherebbe, in concreto, che liceità costituzionalmente garantita di tutti i possibili comportamenti, positivi od omissivi, che attengono al contenuto del diritto medesimo. Né si potrebbero giustificare limitazioni del diritto di libertà sindacale, in base alle norme contenute nel secondo e nel terzo comma dell'art. 41 della Costituzione e in base all'interesse pubblico inerente alle aziende a partecipazione statale: non in base all'art. 41 della Costituzione, perché il secondo e il terzo comma di tale articolo incontrano un limite nelle libertà garantite da altre norme costituzionali e quindi anche nella libertà di organizzazione sindacale; non in base a considerazioni di interesse pubblico, dato il regime privatistico cui sarebbero sempre sottoposte le aziende a partecipazione statale anche prevalente.

Per quanto concerne specificamente la norma impugnata, la difesa dell'Associazione si sofferma a indagarne la portata, anche sulla scorta dei lavori preparatori, per confutare la tesi difensiva avversa, secondo cui con essa il legislatore avrebbe voluto soltanto esonerare le aziende a partecipazione statale che avessero deciso di staccarsi dalle organizzazioni della Confindustria dal rispetto dei termini di preavviso previsti dagli statuti di dette organizzazioni. Anche così interpretata, la norma sarebbe stata sempre incostituzionale - secondo la difesa dell'Associazione - essendo nella libertà sindacale insito il principio della piena cogenza degli obblighi sindacalmente contratti. Ma in realtà la norma, determinando automaticamente il "distacco", avrebbe violato sia la libertà delle singole imprese aderenti, costrette a sganciarsi d'autorità dall'associazione prescelta e ad entrare in organizzazioni sindacali di un certo tipo, sia la libertà dell'associazione in quanto tale, menomata per atto d'imperio nella sua costituzione numerica.

Quanto, infine, al rilievo che lo Stato sarebbe sempre libero di impartire una direttiva ai propri rappresentanti in seno alle singole aziende, la difesa dell'Associazione rileva che tali direttive sarebbero in contrasto coi principi accolti nel nostro cod. civ., secondo cui la volontà sociale si forma in assemblea e in consiglio di amministrazione, in seguito a libera discussione e con le garanzie concesse a tutela delle minoranze.

L'Associazione Industriali della Provincia di Firenze si riporta alle deduzioni svolte dall'Associazione Industriale Lombarda, soffermandosi a dimostrare come i principi espressi dall'art. 39 della Costituzione risultino in piena armonia con gli indirizzi affermatisi sul piano internazionale e codificati nell'art. 2 della Convenzione n. 87 adottata il 17 giugno 1948 a S. Francisco dalla Conferenza della organizzazione internazionale del lavoro. Questa convenzione, anzi, offrirebbe validi lumi per l'interpretazione dell'art. 39 della Costituzione, perché fu elaborata nello stesso periodo di tempo in cui fu elaborata la nostra Costituzione e perché i delegati italiani che parteciparono ai relativi lavori preparatori e approvarono appieno le norme inserite nella detta Convenzione, furono gli stessi che elaborarono poi nell'Assemblea costituente l'art. 39, prendendo parte alle relative discussioni.

Le Società A.N.I.C., Alfa Romeo e Larderello, in tre memorie depositate il 14 ottobre 1959, insistendo nella propria interpretazione degli artt. 18 e 39 della Costituzione, sollevano innanzi tutto un'eccezione di improponibilità della questione di legittimità costituzionale, sostenendo che le Associazioni industriali in causa non avrebbero interesse a veder risolta tale questione: non potrebbero sostenere di veder coartata o pregiudicata la propria libertà, ma verrebbero a discutere della libertà (o non libertà) delle Società convenute. Né potrebbero dolersi innanzi alla Corte costituzionale del recesso ante tempus che sarebbe stato autorizzato dalla legge impugnata, perché così facendo solleverebbero una questione di mero diritto patrimoniale e di retroattività della legge nuova rispetto a rapporti precostituiti.

Nel merito la difesa delle tre Società insiste nella propria tesi, secondo cui la norma impugnata non avrebbe disposto automaticamente lo "sganciamento" delle aziende con prevalente partecipazione statale, ma avrebbe prescritto un determinato comportamento a coloro che rappresentano gli interessi dello Stato in seno alle amministrazioni delle singole aziende. E facendo rilevare che in qualsiasi assemblea di soci vi possono essere gruppi o correnti programmatiche diverse e che gli amministratori eletti con i voti di una determinata corrente debbono attenersi al relativo programma, nei limiti del mandato loro conferito, sostiene che la direttiva impartita con la norma impugnata agli amministratori delle aziende a prevalente partecipazione statale avrebbe potuto formare oggetto anche di una semplice circolare, essendo pienamente lecita e conforme, anzi, alle stesse finalità per cui é stato costituito il Ministero delle partecipazioni statali.

Ma anche a voler ritenere fondate - conclude la difesa delle tre Società - le tesi avverse, secondo cui 1'art. 18 (e quindi anche 1'art. 39) della Costituzione si riferisca anche alle persone giuridiche e l'art. 3 della legge 22 dicembre 1956, n. 1589, determini come effetto automatico lo "sganciamento", non si potrebbe mai pervenire alla conclusione che la norma impugnata sia incostituzionale. L'esercizio di ogni diritto é necessariamente soggetto a determinate limitazioni, più o meno ampie, ancorché quel diritto sia riconosciuto come connesso alla manifestazione di una libera volontà. Nel caso dei sindacati, il fatto stesso che essi siano "di categoria" implica una discriminazione fra gruppi di prestatori d'opera o di datori di lavoro, discriminazione il cui criterio non é arbitrario, ma risponde a caratteristiche obiettive. Di qui la giustificazione di una norma come quella impugnata, che, avuto riguardo alle caratteristiche delle aziende a prevalente partecipazione statale, abbia ritenuto che le stesse non possano esercitare il loro diritto di associazione sindacale nella stessa "categoria" delle imprese senza partecipazione statale ma lo debbano esercitare in una "categoria" distinta ed apposita. Un riconoscimento generico ma indubbio della competenza del legislatore ordinario in materia di libertà sindacale sarebbe costituito, del resto - secondo la difesa delle tre Società - dall'art. 41 della Costituzione, dove afferma che "la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali". La legge sulle partecipazioni statali e sulla creazione del relativo Ministero sarebbe appunto diretta a indirizzare e coordinare, precisamente "a fini sociali", un ramo dell'attività economica pubblica, dove questa può intrecciarsi con quella privata. La disposizione sullo "sganciamento" si inserirebbe perfettamente nel quadro di tale ordinamento particolare, la cui costituzionalità, nel suo complesso, non é stata mai posta in dubbio.

L'Avvocatura dello Stato, nella memoria depositata il 15 ottobre 1959, dopo aver ribadito le proprie tesi sulla interpretazione della norma impugnata, sul concetto di libertà sindacale nel nostro ordinamento costituzionale e sulla possibilità di limitazioni all'esercizio del diritto di associazione da parte del legislatore ordinario, fa rilevare che, nel caso concreto, il legislatore non ha nemmeno esercitato un potere normativo diretto sulla organizzazione sindacale; vi é stata soltanto una autolimitazione dello Stato, che ha esercitato una facoltà analoga a quella di qualsiasi azienda privata che decida, ad un dato momento, di sciogliersi da una organizzazione non ritenuta più idonea al soddisfacimento dei propri interessi. La legge con cui lo Stato ha ritenuto di esercitare l'anzidetta facoltà non soltanto non ha dato luogo ad espropriazione o a menomazione di diritti quesiti (venendo meno, in conseguenza del recesso, anche gli obblighi correlativi dell'associazione), ma non ha neanche influito sulla "organizzazione sindacale" vera e propria, cioé sul modo di essere strutturale e costituzionale dell'associazione, la quale resta quella che é, libera nella sua organizzazione e nel suo funzionamento, anche se diminuita nel numero degli aderenti e degli introiti.

L'Avvocatura passa quindi ad esaminare le finalità perseguite dallo Stato con l'intera legge istitutiva del Ministero delle partecipazioni ed in particolare con le norme sull'inquadramento sindacale autonomo delle partecipazioni, per dimostrare come tali finalità rientrino tra quelle che, in materia economica sono assegnate al legislatore ordinario dall'art. 41 della Costituzione, e conclude, infine, confutando la tesi avversa secondo cui la natura privatistica delle aziende a prevalente partecipazione statale vieterebbe direttive da parte dello Stato.

 

Considerato in diritto

 

Le tre cause, discusse nella stessa udienza, poiché hanno per oggetto la stessa questione, devono essere decise con una unica sentenza.

Nelle memorie depositate il 14 ottobre 1959, le tre Società convenute hanno pregiudizialmente sollevato il dubbio sulla proponibilità della presente questione di legittimità costituzionale rilevando che le associazioni industriali, che l'hanno proposta nei giudizi di merito, non possono lamentare di avere subito una illegittima coartazione della loro libertà in contrasto con l'art. 39 della Costituzione, dacché la denuncia di incostituzionalità della norma dell'art. 3, terzo comma, della legge 22 dicembre 1956, n. 1589, non sarebbe sorretta da un loro interesse legittimo. Ma questo aspetto della questione attiene al giudizio di rilevanza che é stato compiuto dai giudici a quo, i quali hanno ritenuto di proporre alla Corte la questione di legittimità costituzionale della norma nei termini nei quali la questione stessa era stata sollevata. Secondo la giurisprudenza che questa Corte é venuta affermando con le sentenze n. 30 del 23 gennaio, n. 42 del 1 marzo e n. 102 del 25 giugno 1957, l'eccezione di improponibilità é pertanto da respingere.

Nemmeno può essere accolta, così come é stata formulata, la tesi delle Associazioni industriali, secondo la quale tutte le volte che la Costituzione ponga un diritto pubblico subiettivo o proclami un diritto di libertà, senza insieme rinviare, per il suo regolamento, alla legge ordinaria, il legislatore non abbia alcuna potestà di emanare norme nella relativa materia.

É di tutta evidenza, viceversa, ed é stato affermato da questa Corte, che il legislatore ordinario può intervenire anche quando un diritto sia stato posto nei termini più ampi e senza limitazioni dalla norma costituzionale, tutte le volte che il suo intervento sia necessario per regolare modalità di esercizio del diritto e sempre che, così intervenendo, non violi in nessun modo il diritto proclamato dalla Costituzione.

La questione, perciò, sta nell'accertare quale é l'effettiva portata del comma terzo dell'art. 3 della legge 22 dicembre 1956, n. 1589, per vedere se esso violi o no il principio della libertà sindacale proclamato dall'art. 39 della Costituzione.

Nelle argomentazioni addotte dalle Associazioni industriali di Milano e di Firenze, prese in considerazione dalle ordinanze che hanno proposto la questione di legittimità costituzionale, si assume che il comma terzo del citato art. 3 importi la cessazione automatica dei rapporti associativi sindacali delle imprese a prevalente partecipazione statale, con le organizzazioni degli altri datori di lavoro; che esso perciò vulnera sia la libertà di dette imprese di organizzarsi sindacalmente, sia la libertà delle associazioni cui esse partecipano, e che conseguentemente viola l'art. 39 della Costituzione.

Ma questa Corte ritiene che la norma in esame vada interpretata diversamente, come é sostenuto in particolare dalla difesa della S.p.a. Alfa Romeo.

Il disposto di questo comma - che fu la traduzione in norma giuridica di ripetuti ordini del giorno del Parlamento rivolti a ottenere dal Governo in questa materia un certo comportamento - va considerato nel complesso di tutto l'articolo, e quindi in armonia con i primi due commi dei quali può in sostanza considerarsi una semplice conseguenza.

L'art. 3 detta:

"Le partecipazioni di cui al precedente articolo verranno inquadrate in enti autonomi di gestione, operanti secondo criteri di economicità.

"Il primo inquadramento delle partecipazioni dovrà essere attuato entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge.

"Entro lo stesso termine cesseranno i rapporti associativi delle aziende a prevalente partecipazione statale con le organizzazioni sindacali degli altri datori di lavoro. Detta norma non riguarda... ecc."

Non c'é dubbio che il disposto dei primi due commi si riferisce ad un'azione concreta da compiere in futuro dal Governo. Anche nel terzo comma si adopera il futuro; anzi il termine che si assegna coincide con quello fissato per il Governo nei primi due commi. Deve dedursene che anche la disposizione di questo comma abbia per oggetto un'attività che il Governo dovrà svolgere in futuro in conformità del precetto della legge, la quale in sostanza vuole che il Governo curi che gli organi delle società, nelle quali lo Stato ha prevalente partecipazione, adottino le deliberazioni occorrenti per il recesso delle società dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro privati.

Dal fatto che il terzo comma non indica il giorno preciso in cui lo sganciamento dovrebbe avvenire, ma prevede il termine di un anno dalla pubblicazione della legge, può dedursi che nel pensiero del legislatore lo sganciamento avrebbe potuto attuarsi (come poi in fatto - come si vedrà appresso - venne attuato) anche in momenti diversi, sia pur entro l'anno, e quindi con atti particolari di volta in volta messi in essere dagli organi delle società.

Deve quindi ritenersi che il terzo comma non ha effetto automatico, in quanto la cessazione del vincolo associativo non avviene ipso jure, ma é subordinata alla manifestazione di volontà delle società di cui trattasi.

Ed in questo senso la norma é stata intesa dal Governo per la sua attuazione.

Ciò risulta, infatti, da una circolare del 15 novembre 1957 del Ministero delle partecipazioni statali con la quale si invitavano gli organi competenti a prendere le deliberazioni necessarie perché lo sganciamento divenisse effettivo e, più ancora, dal fatto che, pur dopo il decorso del termine fissato nella norma in questione, alcune società, tra quelle alle quali la norma si riferisce, non avevano ancora effettuato il distacco dalle organizzazioni sindacali alle quali appartenevano, come appare da numerose interrogazioni e interpellanze presentate e svolte davanti alla Camera dei Deputati e al Senato, e dalla risposta a queste del Ministro delle partecipazioni statali (Senato, seduta del 14 febbraio 1958): tanto che furono fatte sollecitazioni al Governo perché lo sganciamento fosse reso effettivo non soltanto come era stato fino allora per la "quasi totalità", ma per tutte le società a prevalente partecipazione statale. Circostanze tutte che sarebbero senza significato, se invece non confermassero l'interpretazione della norma sopra difesa.

Confermato così che la norma del terzo comma non ha efficacia automatica, ne deriva che essa contiene disposizioni per lo svolgimento di un'attività amministrativa che, nel caso, gli organi dello Stato avrebbero potuto svolgere anche senza il precetto della legge, data la situazione in cui lo Stato si trova rispetto alle società nelle quali abbia una prevalente partecipazione, che praticamente gli consente di determinare la volontà degli organi sociali.

E pertanto non é violato il principio della libertà sindacale proclamato dall'art. 39 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con un'unica sentenza sui tre procedimenti riuniti indicati in epigrafe:

respinta l'eccezione pregiudiziale sollevata dalle tre società convenute;

dichiara non fondata la questione, proposta con le ordinanze del Tribunale di Milano in data 27 novembre 1958 e in data 26 febbraio 1959 e del Tribunale di Firenze in data 27 aprile 1959, sulla legittimità costituzionale dell'art. 3, terzo comma, prima parte, della legge 22 dicembre 1956, n. 1589, contenente norme sulla "Istituzione del Ministero delle partecipazioni statali", in riferimento all'art. 39 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 gennaio 1960.

 Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     

Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 1960.