Sentenza n. 49 del 1958
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SENTENZA N. 49

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Tomaso PERASSI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale sarda nella seduta del 2 marzo 1956, contenente norme per l'abolizione dei diritti esclusivi perpetui di pesca e per disciplinare l'esercizio della pesca nelle acque interne e lagunari della Sardegna, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 29 novembre 1957, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 5 dicembre 1957 ed iscritto al n. 26 del Registro ricorsi 1957.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente della Regione autonoma della Sardegna;

udita nell'udienza pubblica del 23 aprile 1958 la relazione del Giudice Mario Bracci;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare Arias per il ricorrente e l'avv. Pietro Gasparri per la Regione autonoma della Sardegna.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Consiglio regionale sardo in data 2 marzo 1956 approvò una legge contenente norme per l'abolizione dei diritti esclusivi perpetui di pesca e per disciplinare l'esercizio della pesca nelle acque interne e lagunari della Sardegna.

Di questa legge, costituita da nove articoli, sono particolarmente rilevanti gli artt. 1, 2, 3 e 5.

L'art. 1 dichiara estinti tutti i diritti esclusivi di pesca nelle acque interne e lagunari della Regione ancorché di pertinenza del demanio marittimo, detenuti a qualunque titolo da privati, società od enti, all'atto dell'entrata in vigore della legge; ciò ai fini dell'incremento della pesca nelle acque interne e lagunari della Sardegna e del progresso economico e sociale delle categorie interessate.

L'art. 2 dichiara estinti anche i diritti di carattere patrimoniale, trasferiti dall'Erario statale alla Regione e li sostituisce con la normale disciplina della concessione, prevista dagli artt. 5 e segg. della legge stessa.

L'art. 3 riconosce ai possessori degli estinti diritti di pesca un'indennità ragguagliata alla media delle tasse pagate negli ultimi cinque anni per l'esercizio del diritto estinto, commisurato al tasso di capitalizzazione del 5%. La determinazione dell'indennità avviene a cura dell'Assessore alle finanze, su domanda dell'interessato, che deve essere presentata, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di pubblicazione della legge. Contro il provvedimento dell'Assessore é ammesso reclamo in sede contenziosa davanti al Tribunale superiore delle acque.

L'art. 5 attribuisce all'Assessore alle finanze il potere di disporre concessioni temporanee di pesca riservata a favore di enti, società e privati che ne facciano domanda, per lo sviluppo dell'attività e dell'industria peschereccia, per il progresso economico e sociale delle categorie interessate e per la conservazione del patrimonio ittico sardo.

Questa legge, ai sensi dell'art. 33 dello Statuto speciale per la Sardegna, fu rinviata dal Governo della Repubblica al Consiglio regionale che l'approvò nuovamente, dandone comunicazione al Governo il 15 novembre 1957.

Allora il Presidente del Consiglio, in ordine alla deliberazione del Consiglio dei Ministri 22 novembre 1957, promosse la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 5 della ricordata legge regionale con ricorso notificato al Presidente della Giunta della Regione autonoma della Sardegna il 29 novembre, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 310 del 14 dicembre 1957 e nel Bollettino ufficiale della Regione sarda n. 48 del 16 dicembre 1957 e depositato nella cancelleria della Corte il 5 dicembre 1957.

Secondo questo ricorso l'art. 1 sarebbe incostituzionale, limitatamente alle acque lagunari, perché queste fanno parte del demanio marittimo che ai sensi dell'art. 14 dello Statuto per la Sardegna non é stato trasferito dallo Stato alla Regione: perciò spetterebbe allo Stato disciplinare la pesca in quanto si afferma che questa é un uso delle acque lagunari.

D'altra parte, anche ad ammettere, secondo un precedente giurisprudenziale della Corte costituzionale, che la pesca nelle acque pubbliche non costituisca uso del demanio idrico interno e marittimo, i diritti esclusivi perpetui di pesca nelle acque del demanio marittimo sarebbero diritti patrimoniali di singoli e come tali si concreterebbero in un vero e proprio uso delle acque, sì che la loro abolizione non potrebbe essere compresa nella materia della pesca.

Gli artt. 2 e 3 sarebbero poi viziati da illegittimità costituzionale perché, essendo la potestà legislativa della Regione sarda tenuta al rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, l'estinzione dei diritti esclusivi di pesca, fuori dei casi previsti dal T. U. 8 ottobre 1931, n. 1604, sarebbe potuta avvenire soltanto con le forme e con le garanzie dell'espropriazione per pubblica utilità. Inoltre la Regione avrebbe incostituzionalmente legiferato in materia di rapporti di diritto privato.

La difesa dello Stato lamenta, in modo particolare, l'illegittimità del terzo comma dell'art. 3 che sancisce la competenza del Tribunale superiore delle acque sui ricorsi contro la determinazione delle indennità a favore dei possessori dei diritti esclusivi di pesca, estinti. Questa materia sarebbe di competenza dei Tribunali regionali delle acque ai sensi del T. U. 11 dicembre 1933, n. 1775: perciò la Regione, deferendola invece alla competenza del Tribunale superiore delle acque, avrebbe esorbitato dai limiti costituzionali della propria legislazione, ex art. 3 dello Statuto speciale, che non può mai modificare la competenza degli organi giudiziari.

L'illegittimità costituzionale dell'art. 5 é segnalata soltanto in quanto le concessioni regionali di pesca riservata siano estese alle acque lagunari ed, in genere, alle acque del demanio marittimo. In tal caso varrebbero gli stessi motivi di censura invocati per l'art. 1.

La Regione autonoma della Sardegna si costituì regolarmente in giudizio in persona del suo Presidente, in ordine alla deliberazione della Giunta regionale 3 dicembre 1957, depositando le proprie controdeduzioni il 17 dicembre 1957. Queste controdeduzioni sono state poi illustrate da un'ampia memoria, depositata il 5 aprile 1958.

Secondo la Regione le censure mosse dal ricorso all'art. 1 non avrebbero fondamento. Difatti la Regione ha piena potestà normativa in materia di pesca e poiché il diritto di pesca, lungi dall'essere un diritto reale sull'acqua nella quale vive il pesce, sarebbe un semplice diritto potestativo alla acquisizione del pesce res nullius, i diritti esclusivi di pesca non sarebbero facoltà originariamente inerenti alla proprietà demaniale: perciò la materia potrebbe essere legittimamente disciplinata da un ente diverso dallo Stato, fornito di potestà legislativa, com'é la Regione.

Del pari infondate sarebbero le censure mosse dal ricorso governativo agli artt. 2 e 3. La Regione ritiene che i cosiddetti diritti perpetui ed esclusivi di pesca siano interessi legittimi e non diritti soggettivi e che i titolari di questi interessi legittimi siano sostanzialmente dei concessionari. Perciò l'estinzione di questi diritti, previa indennità, prevista in determinati casi dallo stesso T. U. 8 ottobre 1931, n. 1604, equivarrebbe al riscatto della concessione: la Regione si sarebbe formalmente ispirata a questa nozione teorica, tratta dalla legislazione statale. Comunque, a prescindere dalla terminologia, l'abolizione dei diritti esclusivi di pesca merce il pagamento di un'indennità a carico della Regione, da determinarsi in via contenziosa in caso di disaccordo, altro non sarebbe, nella sostanza, che una vera e propria espropriazione per pubblica utilità: la Regione ha competenza legislativa e amministrativa in materia di espropriazione per pubblica utilità purché non si tratti di opere a carico dello Stato.

Inoltre la Regione, appunto in considerazione della natura d'interessi legittimi che sarebbe propria dei cosiddetti diritti esclusivi di pesca, contesta che si tratti di rapporti di diritto privato, richiamando per di più la giurisprudenza di questa Corte che non esclude in modo assoluto che con legge regionale si possano disciplinare anche rapporti di diritto privato.

Quanto al terzo comma dell'art. 3, la Regione si limita a ricordare un principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, per il quale non sarebbe costituzionalmente illegittima la legge regionale che attribuisse nuove funzioni giurisdizionali ad un organo statale, quando ciò fosse giustificato dal sistema della legislazione statale.

Quanto all'art. 5, la Regione richiama le eccezioni sollevate a proposito dell'art. 1, che a maggior ragione sarebbero valide per le future concessioni regionali di pesca nelle acque lagunari.

 

Considerato in diritto

 

Questa Corte ha già avuto occasione d'affermare (sent. n. 23 del 1957) che la Regione sarda ha la potestà legislativa in materia di pesca, indipendentemente dalla titolarità del diritto sulle acque pubbliche. Vale a dire che é stato escluso che la disciplina della pesca sia disciplina dell'uso delle acque pubbliche ed é stato invece ritenuto che la legislazione in materia tiene soprattutto conto dell'importanza economica e sociale della pesca e mira a tutelare e a sviluppare il patrimonio ittico.

Ciò é evidente anche nella complessa legislazione statale in materia, pur non mancando alcune disposizioni che riguardano, com'é naturale, usi veri e propri delle acque e delle relative pertinenze.

Nel caso particolare risulta dalla stessa lettera della legge regionale che le disposizioni relative all'abolizione dei diritti esclusivi di pesca nelle acque interne e lagunari della Sardegna sono state preordinate "ai fini dell'incremento della pesca e del progresso economico e sociale delle categorie interessate (art. 1)".

Perciò la Corte non può che confermare la propria giurisprudenza e quindi é da ritenersi infondata la censura del ricorrente che nega alla Regione il potere di legiferare in materia di diritti di pesca nelle acque lagunari in quanto le lagune fanno parte del demanio marittimo ed il demanio marittimo appartiene allo Stato e non alla Regione, per espressa disposizione dell'art. 14 dello Statuto speciale per la Sardegna.

Difatti non ha importanza per i fini della legislazione regionale sarda - e quindi per la competenza legislativa regionale - che i diritti di pesca vengano esercitati nelle acque del demanio marittimo dello Stato piuttosto che in quello idrico della Regione, posto che i criteri che determinano la materia della pesca, di competenza esclusiva regionale, sono quelli sopra ricordati.

Vero é che la difesa dello Stato insiste in modo particolare nel considerare i diritti esclusivi di pesca come diritti d'uso delle lagune in quanto l'esclusività del diritto si concreterebbe necessariamente in una limitazione dell'uso delle acque lagunari e delle relative pertinenze.

Che il diritto esclusivo di pesca abbia questi riflessi giuridici soprattutto sull'uso delle pertinenze delle acque pubbliche non può negarsi e se ne dovranno trarre precise conseguenze giuridiche, anche ai fini delle questioni in esame.

Ma tanto che il diritto di pesca spetti al titolare uti singulus piuttosto che uti civis, quanto che sia esclusivo o meno, perpetuo o temporaneo, l'attività mediante la quale questo diritto potrà essere esercitato sarà sempre la pesca. Perciò se il legislatore regionale prende in considerazione questi diritti per le esigenze di disciplina di quei pubblici interessi di rilevanza economica e sociale, che servono a determinare la materia della pesca, le limitazioni accessorie che i diritti stessi, sorti o riconosciuti in periodo di competenza legislativa esclusiva dello Stato sia in materia di pesca, sia in materia di disciplina delle acque pubbliche, importavano all'uso del bene demaniale, non possono costituire ostacolo alla competenza legislativa regionale, qualora le limitazioni stesse, lungi dall'essere aggravate o anche soltanto modificate, vengano di fatto a scomparire come conseguenza della nuova disciplina della pesca.

Merita invece attenta considerazione questa censura d'illegittimità costituzionale sotto il profilo che nega la competenza legislativa regionale in quanto i diritti esclusivi di pesca sarebbero diritti soggettivi appartenenti a quella materia dei rapporti di diritto privato che é sottratta alla legislazione regionale.

Può seriamente sostenersi che i diritti esclusivi e perpetui di pesca, specialmente quando derivino da antico titolo, siano diritti soggettivi, a parte la loro ulteriore qualificazione. Ma sarebbe erroneo ritenere che in ogni caso l'esistenza di diritti soggettivi sia un ostacolo insuperabile all'intervento normativo della Regione, quando questa si muova esclusivamente per la tutela diretta degli interessi pubblici che sono propri della materia di sua competenza e non sia rivolta alla disciplina di rapporti fra privati.

Nel caso in esame d'altra parte - e ciò rende agevole la soluzione della questione - il legislatore regionale si é valso, nella materia della pesca, di un sistema espropriativo, cioè di uno strumento col quale l'ostacolo del diritto soggettivo privato con contenuto patrimoniale, invece d'essere soltanto limitato viene addirittura travolto legittimamente per le esigenze della disciplina dei pubblici interessi. Ciò avviene col pieno rispetto delle regole costituzionali purché, naturalmente, al titolare del diritto soppresso venga attribuito un adeguato indennizzo.

La materia dell'espropriazione per pubblica utilità, purché non riguardi opere a carico dello Stato, é di competenza della legislazione regionale sarda (art. 4, lettera d); tuttavia questa materia, oltre essere assoggettata ai limiti propri della legislazione esclusiva (art. 3), deve rispettare, com'é noto, anche i principi stabiliti dalle leggi dello Stato.

I principi che si traggono al riguardo dalla legislazione dello Stato (artt. 25 e 29 del T. U. 8 ottobre 1931, n. 1604) sono: che i diritti esclusivi di pesca nelle acque del demanio marittimo possono essere espropriati per causa di pubblica utilità; che la pubblica utilità sussiste ogni volta che l'esercizio dei diritti esclusivi di pesca "sia riconosciuto contrario ad esigenze d'interesse generale"; che l'indennità da corrispondersi all'espropriato deve consistere in una somma proporzionata alle tasse pagate da costui sul diritto espropriatogli e per l'esercizio di esso.

Questi principi sono stati pienamente rispettati dalla legge regionale: i diritti esclusivi di pesca sono stati ritenuti contrari all'interesse dell'incremento della pesca e del progresso economico e sociale delle categorie interessate (art. 1); é stato riconosciuto ai possessori dei diritti di pesca estinti il diritto ad un'indennità (art. 3); quest'indennità é stata ragguagliata alla media delle tasse pagate negli ultimi cinque anni per l'esercizio del diritto estinto, calcolata al tasso di capitalizzazione del 5% (art. 3).

Non é perciò fondata, sotto questo profilo, la censura del ricorrente che considera violati i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, in quanto la Regione avrebbe adottato la disciplina dell'"estinzione" dei diritti di pesca, prevista dal T. U. n. 1604 del 1931 soltanto per il caso di non uso o di negligenza (artt. 23, 24 e 26), in luogo dell'"espropriazione" per pubblica utilità, prevista per il contrasto con esigenze generali (artt. 25 e 29) e assoggettata a forme e a garanzie particolari. É evidente che si tratta in parte di un equivoco terminologico in quanto la legge regionale ha adottato il termine "estinzione" - del resto con correttezza di linguaggio giuridico perché in questo caso l'espropriazione non produce effetti traslativi - per indicare sostanzialmente l'istituto dell'espropriazione dei diritti esclusivi di pesca (artt. 25 e 29 del T. U. n. 1604 del 1931), di cui ha fatto proprie le regole generali; ed in parte si tratta d'un'erronea nozione dei "principi stabiliti dalle leggi dello Stato", che ovviamente non sono tutte le regole della legge statale, perché altrimenti il potere normativo regionale si ridurrebbe ad un semplice potere regolamentare. I principi delle leggi dello Stato non possono consistere che nei criteri generali ai quali s'informa una determinata disciplina legislativa statale e che di questa e dei relativi istituti sono caratteristici.

Tale natura di "principio" non può essere certamente riconosciuta alla competenza degli organi amministrativi previsti dalla legge dello Stato - necessariamente statali e non regionali, perché si tratta di leggi anteriori allo Statuto speciale per la Sardegna - e tanto meno al dato formale della terminologia giuridica.

Appare invece costituzionalmente illegittima la norma regionale che impone ai possessori dei diritti estinti, in virtù della legge regionale, la presentazione della domanda per la determinazione dell'indennità entro sei mesi dalla pubblicazione della legge stessa, sotto pena di decadenza.

Una decadenza dal diritto all'indennità così rigorosa non soltanto non ha precedenti nella legislazione statale sulla pesca - non potendosi a questa assimilare la decadenza prevista circa il riconoscimento del possesso dei diritti esclusivi di pesca di cui all'art. 27 del T. U. 8 ottobre 1931, n. 1604 -, ma urta addirittura contro il principio costituzionale che l'espropriazione della proprietà privata può avvenire soltanto salvo indennizzo e urta altresì contro il principio particolare, già ricordato, della legislazione statale sulla pesca, che prevede l'espropriazione di questi diritti esclusivi, previa corresponsione d'un'indennità.

É poi sicuramente fondata la censura del ricorso relativa alla competenza del Tribunale superiore delle acque, stabilita dal comma terzo dell'art. 3 della legge regionale impugnata contro i provvedimenti assessoriali di determinazione dell'indennità di espropriazione. Secondo la vigente legislazione statale i ricorsi previsti dagli artt. 25 e 29 del T. U. 8 ottobre 1931, n. 1604 - che concernono la stessa materia dei ricorsi previsti dal comma terzo dell'art. 3 della legge regionale in esame - sono di competenza, in primo grado, dei Tribunali delle acque pubbliche. Questa é una modificazione, probabilmente sfuggita al legislatore regionale, che l'art. 140, lettera f, del T. U. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici ha apportato agli artt. 25 e 29 del T. U. n. 1604 del 1931, che sancivano invece la competenza del Tribunale superiore delle acque.

Non sembra dubbio che la legislazione regionale sarda debba rispettare questa competenza giudiziaria non soltanto perché é principio generale dell'ordinamento dello Stato che la materia processuale sia d'esclusiva competenza statale per le esigenze d'unità del sistema, ma anche perché, costituendo il ricorso al Tribunale regionale delle acque la garanzia della legittimità dell'espropriazione, la Regione deve rispettare, ai sensi dell'art. 4 dello Statuto per la Sardegna, i principi sulla competenza giudiziaria che in materia d'espropriazione dei diritti esclusivi di pesca sono posti dalla legge statale.

Del pari fondate sono le preoccupazioni della difesa dello Stato a proposito dell'art. 5 della legge impugnata circa il potere della Regione di disporre concessioni temporanee di pesca riservata a favore di enti, società e privati che ne facciano domanda.

Questa Corte ha riconosciuto e riconosce alla Regione piena potestà legislativa in materia di pesca anche nelle acque del demanio marittimo ed ha ritenuto che le conseguenze dell'estinzione dei diritti esclusivi di pesca sulle acque e sulle pertinenze del demanio dello Stato non turbano minimamente i diritti dello Stato stesso su questi beni, che anzi se ne avvantaggiano.

Ma ben diverso é il caso di nuove concessioni di pesca riservata che la Regione eventualmente disponga sulle acque del demanio marittimo. Poiché la pesca riservata non può essere esercitata disgiunta dallo ius prohibendi, che é difficile immaginare separato dall'uso delle pertinenze dell'acqua pubblica, non si vede come la Regione possa disporre queste concessioni senza il consenso dell'Amministrazione statale. Comunque occorre affermare chiaramente, come già fu affermato in altra occasione, che la competenza legislativa regionale é rigorosamente limitata alla materia della pesca e che non é ammissibile nessuna interferenza regionale sulla disciplina dell'uso delle pertinenze del demanio marittimo, anche se ciò sembri, ad esempio, tecnicamente necessario od opportuno per la migliore coltivazione del pesce, o per gli impianti fissi di pesca o per la più efficace polizia delle acque o per altri motivi inerenti alla pesca. Si é dubitato nel passato, in sede di politica legislativa, dell'opportunità di includere nel demanio marittimo le lagune e soprattutto le lagune cosiddette "morte", che hanno importanza quasi esclusivamente per la pesca. Ma finché queste appartengano, come attualmente é indubitabile, al demanio marittimo, cioè al demanio dello Stato, soltanto il soggetto titolare di questo demanio può disporre degli usi delle lagune. Perciò le concessioni temporanee di pesca riservata, di cui al primo comma dell'art. 5 della legge regionale impugnata, non possono concedere diritti nelle acque e nelle pertinenze del demanio marittimo senza il consenso dell'Amministrazione statale competente.

D'altra parte, poiché le norme statutarie hanno ripartito le funzioni fra lo Stato e la Regione sarda in modo che gli usi delle acque marittime sono riservati alla disciplina dello Stato - che é l'unico soggetto del demanio marittimo - mentre gli interessi della pesca sono stati affidati alla competenza esclusiva della Regione, é ovvia l'esigenza d'una stretta collaborazione fra lo Stato, che regola le acque lagunari, e la Regione sarda, che regola l'attività della pesca.

Ma questa collaborazione fra lo Stato e la Regione é del tutto normale nel sistema delle nostre autonomie, sia che si tratti d'attività legislativa, sia che si tratti d'attività amministrativa. In questi campi la legislazione dello Stato, che tenga conto opportunamente della competenza della Regione e della sua legislazione - del resto le leggi dello Stato si applicano nelle materie attribuite alla competenza della Regione sarda quando non sia diversamente disposto con leggi regionali - può facilmente superare le difficoltà che derivano dal fatto che due enti diversi esercitano funzioni diverse sullo stesso bene.

Perciò può sembrare più prudente che in questi campi d'attività mista la Regione prenda magari l'iniziativa di un'adeguata disciplina legislativa statale (art. 121 della Costituzione), piuttosto che correre il rischio di legiferare invano, fuori del campo della propria competenza.

Poiché entro i limiti dell'interpretazione sopra esposta la norma dell'art. 5 della legge regionale in esame é costituzionalmente legittima, non occorre pronunciare l'inefficacia della norma stessa per l'eventualità di altre interpretazioni.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

in parziale accoglimento del ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri:

dichiara l'illegittimità costituzionale delle disposizioni del secondo e del terzo comma dell'art. 3 della legge approvata dal Consiglio regionale sardo il 2 marzo 1956, recante norme per l'abolizione dei diritti esclusivi perpetui di pesca e per disciplinare l'esercizio della pesca nelle acque interne e lagunari della Sardegna, in riferimento agli artt. 3 e 4 dello Statuto speciale per la Sardegna.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1958.

 

Tomaso PERASSI - Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI 

 

Depositata in cancelleria il 14 luglio 1958.