Sentenza n. 49 del 1957
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SENTENZA N. 49

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 4 del D.P.R. 8 agosto 1955, n. 666, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza 20 giugno 1956 del Tribunale di Napoli emessa nel procedimento penale a carico di Amendola Antonio, Nardiello Vincenzo e Amendola Giovanni, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1956 ed iscritta al n. 294 del Registro ordinanze 1956;

2) ordinanza 28 giugno 1956 del Tribunale di Napoli emessa nel procedimento penale a carico di Guarino Francesco, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1956 ed iscritta al n. 295 del Reg. ord. 1956.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 13 marzo 1957 la relazione del Giudice Ernesto Battaglini;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Achille Salerni.

 

Ritenuto in fatto

 

Amendola Antonio ed altri furono citati davanti al Tribunale di Napoli, sezione prima, per rispondere di furto. Gli imputati non comparvero in giudizio. Sulla richiesta del P. M. di procedere in contumacia, il difensore di fiducia eccepì la irregolare notificazione al difensore stesso dell'avviso relativo alla data del dibattimento in quanto che, essendo stata la notificazione eseguita mediante consegna al portiere, non ne fu data comunicazione all'interessato con lettera raccomandata, come prescrive l'art. 175 in relazione all'art. 169 del Codice procedura penale.

La difesa stessa sollevava a questo proposito eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 4 delle norme di attuazione della legge 18 giugno 1955, n. 517, approvate con D. P. R. 8 agosto 1955, n. 666, e apportante modificazioni al testo del suddetto art. 175 del Cod. proc. pen., per preteso eccesso della delega legislativa.

Il Tribunale, ritenuto che la questione proposta fosse pertinente alla causa e non manifestamente infondata, sospendeva il giudizio, inviando gli atti a questa Corte costituzionale per la risoluzione.

L'ordinanza, a cura del Tribunale, veniva notificata agli imputati e, in data 13 agosto 1956, al Presidente del Consiglio dei Ministri presso l'Avvocatura generale dello Stato. Ne veniva data inoltre comunicazione al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato in data 3 agosto 1956.

Pervenuti gli atti a questa Corte, il Presidente di essa disponeva che l'ordinanza fosse pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, ciò che avvenne in data 22 settembre 1956.

Interveniva in giudizio soltanto l'Avvocatura generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, con atto del 2 settembre 1956, accompagnato dalla presentazione di deduzioni difensive, nelle quali si concludeva chiedendo che venisse dichiarato non esservi luogo a giudizio di legittimità costituzionale e, in via subordinata, la insussistenza della contestata illegittimità costituzionale.

Dinanzi alla stessa prima sezione del Tribunale di Napoli, nella udienza del 28 giugno 1956, la difesa di Guarino Francesco, imputato non comparso, appellante da sentenza del Pretore di Napoli che lo aveva condannato alla pena complessiva di lire 14.000 di ammenda per i reati preveduti dagli artt. 29, 114, 33, 36 e 24 del R. D. L. 8 dicembre 1933, n. 1740, eccepiva, fra l'altro, la irregolare notificazione al difensore dell'avviso relativo alla data di udienza, per essere stata la notificazione stessa eseguita mediante consegna al portiere, senza sottoscrizione di questo ultimo e senza contemporanea comunicazione all'interessato con lettera raccomandata.

In relazione alla eccepita nullità, il difensore sollevava la stessa questione di illegittimità costituzionale sopra ricordata, relativa all'art. 4 delle norme di attuazione di cui al D. P. R. 8 agosto 1955, n. 666.

Il Tribunale, ritenuto che la questione fosse rilevante e non manifestamente infondata, sospendeva il giudizio con ordinanza della stessa data e rimetteva gli atti a questa Corte costituzionale.

L'ordinanza veniva, a cura del Tribunale, notificata all'imputato non comparso, nonché, in data 13 agosto 1956, al Presidente del Consiglio dei Ministri presso l'Avvocatura generale dello Stato. Ne veniva data inoltre comunicazione ai Presidenti delle due Camere in data 3 agosto 1956.

Pervenuti gli atti a questa Corte, veniva disposta la pubblicazione della ordinanza nella Gazzetta Ufficiale, ciò che avveniva in data 22 settembre 1956.

Interveniva in giudizio soltanto l'Avvocatura generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri con atto del 2 settembre 1956.

Nelle deduzioni presentate in pari data l'Avvocatura generale dello Stato concludeva chiedendo in via principale la dichiarazione di inammissibilità del giudizio di legittimità costituzionale e, in via subordinata, la dichiarazione di infondatezza della questione stessa.

Poiché entrambe le suddette ordinanze si riferiscono ad una identica questione di legittimità costituzionale, é stata disposta la riunione della discussione, nella quale sono state confermate dall'Avvocatura dello Stato le conclusioni già enunciate nelle memorie scritte; e per la stessa ragione la Corte ritiene opportuno che la decisione abbia luogo con unica sentenza.

 

Considerato in diritto

 

Deve essere preliminarmente esaminata la eccezione di inammissibilità proposta in via principale dall'Avvocatura generale dello Stato, sotto un triplice aspetto, in ordine alle due ordinanze.

Viene anzitutto dedotto il difetto del presupposto processuale relativo alla precisazione della norma costituzionale che sarebbe stata violata.

La infondatezza di questa eccezione si desume dal rilievo che nelle due ordinanze, se manca la indicazione numerica dell'articolo della Costituzione dalla cui infrazione deriverebbe la contestata illegittimità costituzionale, é però chiaramente ed univocamente indicata nel suo contenuto la disposizione costituzionale a cui le ordinanze si riferiscono, in quanto si fa richiamo all'eccesso dai limiti della delega legislativa, di guisa che non é dubbio il richiamo degli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Viene inoltre eccepita la carenza del requisito della rilevanza della questione proposta. A tale riguardo é sufficiente osservare che il requisito di cui trattasi non può essere escluso, dal momento che la stessa Avvocatura dello Stato ammette che sarebbe stata necessaria una rinnovazione della notificazione di cui si eccepiva la nullità, con eventuale restituzione in termini, che, fra l'altro, é sempre rimessa al potere discrezionale del giudice (art. 183 bis Cod. proc. pen.).

Da ultimo l'inammissibilità si vorrebbe far derivare dalla tesi che l'eccesso dai limiti della delega legislativa non può formare oggetto di questione di legittimità costituzionale, in quanto il decreto legislativo che si pretende inficiato da eccesso si pone in contrasto con la legge di delega e non con la norma costituzionale.

Ma questa Corte, già con sentenza n. 3 del 16 gennaio 1957, ha statuito che é possibile la denuncia della legge delegata per illegittimità costituzionale, in quanto l'art. 76 della Costituzione non rimane estraneo alla disciplina del rapporto tra organo delegante e organo delegato e, sia il precetto costituzionale dell'art. 76, sia la norma delegante, costituiscono la fonte da cui trae legittimazione costituzionale la legge delegata.

Non vi sono ragioni per deflettere dai principi così nettamente enunciati.

Invece l'assunto dell'Avvocatura generale dello Stato é meritevole di accoglimento nel merito, poiché la pretesa illegittimità costituzionale dell'art. 4 delle norme di attuazione approvate con D.P.R. 8 agosto 1955, n. 666, é priva di fondamento.

É necessario all'uopo premettere che con la Novella al Codice di procedura penale contenuta nella legge 18 giugno 1955, n. 517, fu, fra l'altro, modificato l'art. 169 del Codice suddetto relativo alla "prima notificazione all'imputato non detenuto"; e furono stabilite maggiori garanzie e maggiori cautele nel caso in cui la notifica non può essere effettuata mediante consegna alla persona dell'imputato, stabilendosi che, quando la notificazione avviene mediante consegna al portiere del luogo di abitazione dell'imputato o del luogo in cui egli abitualmente esercita la sua attività professionale, il portiere deve sottoscrivere (analogamente a quanto prescrive l'art. 139 Cod. proc. civ.) l'originale dell'atto notificato e l'ufficiale giudiziario deve dare notizia dell'avvenuta notificazione a mezzo di lettera raccomandata al destinatario.

Avviso mediante lettera raccomandata deve essere dato all'interessato anche nel caso in cui l'ufficiale giudiziario debba ricorrere alla notificazione mediante deposito nella casa comunale e mediante affissione alla porta esterna della casa di abitazione.

Secondo la Novella sopra ricordata, sarebbe rimasto inalterato l'art. 175 Cod. proc. pen., che disponeva l'osservanza delle stesse forme di notificazione prescritte per l'imputato nei riguardi delle notificazioni da effettuarsi ad altri soggetti processuali.

Si rendeva palese così una grave incongruenza derivante dall'applicazione ad altri soggetti delle cautele e delle garanzie introdotte, con provvida innovazione, nella notificazione all'imputato, all'evidente e circoscritto scopo di evitare, per quanto possibile, notificazioni di atti di cui egli potesse non venire di fatto a conoscenza, con le gravi conseguenze e i gravi inconvenienti lamentati nella pratica giudiziaria ed inerenti alla dichiarazione di irreperibilità.

Tali garanzie e tali cautele sarebbero state invece perfettamente inutili per le notificazioni da effettuarsi a persone diverse dall'imputato, e avrebbero potuto costituire in dette notificazioni complicanze inutili e gravi intralci materiali di esecuzione, con difficoltà pratiche non facilmente superabili. Ad evitare siffatta incongruenza si provvide mediante le norme di attuazione, transitorie e di coordinamento, emanate in virtù della delega conferita dall'art. 20 della legge 18 giugno 1955, n. 517, delle quali norme furono già illustrate la ragione ed il significato nella sentenza di questa Corte n. 16 del 19 gennaio 1957, relativa alla denuncia di illegittimità costituzionale di altra disposizione dello stesso decreto presidenziale.

É evidente pertanto che, nella specie, le norme di attuazione non hanno ecceduto dai limiti della delega, in quanto che il menzionato art. 20 autorizzava il Governo ad emanare le norme di attuazione e transitorie e di coordinamento della legge con il Codice di procedura penale e con le altre leggi.

Non v'ha dubbio infatti che le norme di coordinamento abbiano lo scopo precipuo ed essenziale di eliminare discrepanze, antinomie, incongruenze; e non può essere perciò non considerata norma di coordinamento una norma che, come quella contenuta nell'art. 4 del D. P. R. 8 agosto 1955, n. 666, fu adottata con l'obbiettivo di togliere non solo una incongruenza, ma di mantenere la innovazione recata dalla Novella in tema di notificazioni all'imputato nell'ambito del fine a cui la innovazione stessa era rivolta, secondo i propositi del legislatore. La norma di coordinamento, perciò, non solo non eccedeva dai limiti della delega legislativa ma, con provvido uso del coordinamento per il quale la delega era stata fatta, veniva ad adeguare le modalità di esecuzione delle notificazioni ai fini che la innovazione si era prefissi e ad eliminare gli inconvenienti che sarebbero conseguiti dalla ingiustificata estensione della innovazione stessa.

Viene così a perdere ogni consistenza l'asserito eccesso, posto a base della pretesa illegittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con una unica sentenza sui giudizi riuniti indicati in epigrafe:

1) respinge le eccezioni di inammissibilità proposte dall'Avvocatura generale dello Stato;

2) dichiara non fondata la questione, sollevata dal Tribunale di Napoli con le ordinanze 20 e 28 giugno 1956, relativa alla legittimità costituzionale dell'art. 4 delle norme di attuazione approvate con D.P.R. 8 agosto 1955, n. 666, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1957.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA  

 

Depositata in cancelleria il 13 aprile 1957.