Corte di Giustizia delle Comunità europee (Terza
Sezione), 13 dicembre 2007
C-250/06, United Pan‑Europe Communications Belgium SA e a. – Stato belga
Nel procedimento C‑250/06,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai
sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Belgio) con decisione 17 maggio 2006, pervenuta in
cancelleria il 6 giugno 2006, nella causa tra
United
Pan‑Europe Communications Belgium SA,
Coditel Brabant
SPRL,
Société Intercommunale
pour la Diffusion de la Télévision
(Brutélé),
Wolu TV ASBL
e
Stato belga,
con
l’intervento di:
BeTV SA,
Tvi SA,
Télé Bruxelles ASBL,
Belgian Business Television SA,
Media ad Infinitum SA,
TV5‑Monde,
composta dal sig. A. Rosas, presidente di
sezione, dai sigg. U. Lõhmus,
J. N. Cunha Rodrigues,
A. Ó Caoimh (relatore) e A. Arabadjiev, giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares
Maduro
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del
18 aprile 2007,
considerate le osservazioni presentate:
– per
la United Pan‑Europe Communications Belgium SA,
la Coditel Brabant SPRL e
la Wolu TV ASBL, dai sigg. F. de Visscher ed E. Cornu, avocats;
– per
la Belgian Business Television
SA, dal sig. F. Van Elsen, avocat;
– per
la TV5‑Monde e la Media ad Infinitum SA,
dai sigg. A. Berenboom e A. Joachimowicz, avocats;
– per
la Télé Bruxelles ASBL, dai sigg. C. Doutrelepont e V. Chapoulaud,
avocats;
– per
il governo belga, dalla sig.ra A. Hubert,
in qualità di agente, assistita dai sigg. A. Berenboom
e A. Joachimowicz, avocats;
– per
il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer,
in qualità di agente;
– per
il governo portoghese, dal sig. L. Fernandes
e dalla sig.ra J. Marques Lopes, in qualità di agenti;
– per
il governo del Regno Unito, dalla sig.ra T. Harris, in qualità di
agente, assistita dal sig. G. Peretz, barrister;
– per
la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. F. Arbault e M. Shotter, in
qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25
ottobre 2007,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli
artt. 49 CE e 86 CE, quest’ultimo in combinato disposto,
segnatamente, con l’art. 82 CE.
2 Tale
domanda è stata presentata
nell’ambito di controversie promosse dalla United Pan‑Europe Communications Belgium SA (in prosieguo: la «UPC»), dalla Coditel Brabant SPRL, dalla Société Intercommunale pour la Diffusion de la Télévision («Brutélé») e la Wolu TV ASBL
contro lo Stato belga in ordine all’obbligo loro imposto da quest’ultimo di
diffondere, nella regione bilingue di Bruxelles-Capitale,
i programmi televisivi di taluni organismi di radiodiffusione privati designati
dalle autorità del detto Stato.
Normativa nazionale
3 L’art. 13
della legge 30 marzo 1995 relativa alle reti di distribuzione di trasmissioni
di radiodiffusione e all’esercizio di attività di radiodiffusione nella regione
bilingue di Bruxelles-Capitale (Moniteur
belge del 22 febbraio 1996, pag. 3797; in
prosieguo: la «legge del 1995») dispone quanto segue:
«Gli
operatori via cavo autorizzati a gestire una rete di distribuzione di
trasmissioni televisive nella regione bilingue di Bruxelles-Capitale
devono trasmettere simultaneamente e integralmente i seguenti programmi
televisivi:
– i
programmi televisivi diffusi dagli organismi di radiodiffusione del servizio
pubblico rientranti nella Comunità francese e quelli diffusi dagli organismi di
radiodiffusione del servizio pubblico rientranti nella Comunità fiamminga;
– i
programmi televisivi diffusi da qualsiasi altro organismo di radiodiffusione
rientranti nella Comunità francese o fiamminga, designato dal ministro
competente».
4 A
questa disposizione di legge è stata data attuazione con il decreto
ministeriale 17 gennaio 2001 recante designazione degli organismi di
radiodiffusione di cui all’art. 13, secondo trattino, della legge 30 marzo
1995 relativa alle reti di distribuzione di trasmissioni di radiodiffusione e
all’esercizio di attività di radiodiffusione nella regione bilingue di Bruxelles‑Capitale (Moniteur
belge del 2 febbraio 2001, pag. 2781;
in prosieguo: il «decreto 17 gennaio 2001»), il quale recita:
«(...)
Considerando che il regime del must
carry rientra in una politica audiovisiva diretta
a consentire ai telespettatori di accedere tanto agli organismi di
radiodiffusione di servizio pubblico quanto agli organismi di radiodiffusione
privati che assumono taluni oneri di servizio pubblico;
considerando che il regime del must carry ha lo scopo di salvaguardare il carattere
pluralista e culturale dell’offerta di programmi sulle reti di teledistribuzione e di garantire l’accesso di tutti i
telespettatori a tale pluralismo;
considerando che tale regime è incontestabilmente giustificato da ragioni di interesse
generale;
considerando che la scelta delle emittenti private con qualifica di operatori must carry è stata
effettuata con l’obiettivo di armonizzare il panorama audiovisivo in Belgio;
considerando la consultazione effettuata presso la Comunità francese e la Comunità
fiamminga;
considerando che la qualità di operatore must carry deve essere riconosciuta agli organismi di
radiodiffusione designati in cambio di importanti obblighi che questi ultimi
hanno accettato di sottoscrivere;
considerando che taluni di questi organismi di radiodiffusione designati sono
investiti di una missione di servizio pubblico;
considerando che la qualità di operatore must carry dev’essere riconosciuta
all’asbl Télé Bruxelles [in
prosieguo: ‘Télé Bruxelles’] e alla vzw TV Brussel, con l’obiettivo
di favorire lo sviluppo della televisione locale, che diffonde informazioni
locali, destinate ad un pubblico locale;
considerando che la revoca della qualità di operatore must
carry avrebbe la conseguenza di compromettere
l’esistenza stessa di tali organismi di radiodiffusione televisiva che non
potrebbero sopportare i costi elevati di distribuzione,
decide:
Art. 1. Il distributore autorizzato a gestire
una rete di distribuzione televisiva nella regione bilingue di Bruxelles-Capitale deve trasmettere al momento della loro
diffusione e integralmente i programmi televisivi dei seguenti organismi di
radiodiffusione:
1. Vlaamse Media Maatschappij
n.v.
2. TV
Brussel v.z.w.
3. Belgian
business television n.v.
4. Media
ad infinitum n.v.
5. TVi s.a.
6. [Télé Bruxelles]
7. Canal+ Belgique s.a. [divenuta,
successivamente, BeTV SA]
8. Satellimages s.a. [divenuta, successivamente, TV5‑Monde
SA (in prosieguo:la «TV5‑Monde»)]
(...)».
5 Il
decreto ministeriale 24 gennaio 2002 che modifica il decreto ministeriale
17 gennaio 2001 recante designazione degli organismi di radiodiffusione di
cui all’art. 13, secondo trattino, della legge 30 marzo 1995 relativa alle
reti di distribuzione di trasmissioni di radiodiffusione e all’esercizio di
attività di radiodiffusione nella regione bilingue di Bruxelles Capitale (Moniteur belge del
16 febbraio 2002, pag. 6066; in prosieguo: il «decreto 24 gennaio 2002»)
ha integrato l’art. 1 del decreto 17 gennaio 2001 come segue:
«9. Event
TV Vlaanderen n.v.
10. YTV
s.a.».
Causa principale e
questioni pregiudiziali
6 I
ricorrenti nella causa principale sono operatori via cavo che assicurano,
mediante le loro reti via cavo, la teledistribuzione di
programmi di numerosi organismi di diffusione radiotelevisiva, in particolare
nella regione bilingue di Bruxelles‑Capitale.
Dall’ordinanza di rinvio emerge che, su tale supporto, sono disponibili in modo
analogico una quarantina di canali.
7 Il
2 aprile 2001, gli operatori via cavo hanno presentato dinanzi al Conseil d’État, ciascuno per
quanto lo riguarda, un ricorso diretto all’annullamento del decreto
17 gennaio
8 Con
sentenza 17 maggio 2006, il Conseil d’État, che ha riunito tali diversi ricorsi, ha dichiarato
irricevibili i ricorsi proposti dalla Société Intercommunale pour la Diffusion
de la Télévision (Brutélé)
per ragioni meramente formali. Per quanto riguarda i ricorsi proposti dagli
altri tre operatori via cavo, il giudice del rinvio ha respinto la maggior
parte dei loro motivi. Esso ha tuttavia annullato il decreto 17 gennaio 2001
nella parte in cui prevede la concessione dello status cosiddetto di «must carry» alla TV5‑Monde,
in quanto quest’ultima, che è una società di diritto francese stabilita in
Francia, appare come un canale francofono internazionale il cui rapporto con la
Comunità francese, anche se un ente rientrante in quest’ultima detiene una
partecipazione limitata nel suo capitale, è troppo tenue per potersi ritenere
che essa sia «rientrante» in tale Comunità ai sensi dell’art. 13 della
legge del 1995, e in quanto, inoltre, non vi sono elementi da cui emerga che la
TV5‑Monde avrebbe assunto nei confronti della medesima
obblighi di cui il «must carry»
costituirebbe la contropartita.
9 Per
il resto, il Conseil d’État
constata che i ricorsi di cui è stato investito richiedono l’interpretazione
del diritto comunitario.
10 Infatti,
da una parte, gli operatori via cavo di cui trattasi fanno valere che le misure
impugnate concedono agli organismi di diffusione radiotelevisiva privati aventi
lo status di «must carry»
un diritto speciale che, in violazione degli artt. 3, n. 1,
lett. g), CE e 10 CE, nonché degli artt. 82 CE e
86 CE, è idoneo a falsare la concorrenza tra gli organismi di diffusione
radiotelevisiva e a porre in una situazione di svantaggio gli organismi
stabiliti in Stati membri diversi dal Regno del Belgio, mentre la BeTV SA occupa una posizione dominante nel Belgio
francofono sul mercato della televisione a pagamento. Orbene, il giudice del
rinvio considera a tal riguardo che la nozione di «diritto speciale» ai sensi
dell’art. 86 CE non è stata definita dalla Corte.
11 D’altra
parte, i detti operatori via cavo ritengono che le misure contestate ostacolino
ingiustamente, in violazione degli artt. 3, n. 1, lett. g), CE,
49 CE e 86 CE, la libera prestazione dei servizi attraverso la
limitazione del numero di canali disponibili e la loro maggior onerosità,
mentre gli organismi di diffusione radiotelevisiva privati aventi lo status di
«must carry» traggono
vantaggio dall’obbligo di trasmissione imposto agli operatori via cavo durante
le trattative per i prezzi di accesso con i medesimi. Orbene, a tal riguardo,
il giudice del rinvio osserva che, sebbene non sia esatto che l’infrastruttura
gestita dagli operatori via cavo di cui trattasi è satura, è plausibile,
invece, che le misure impugnate abbiano l’effetto di porre gli organismi di
diffusione radiotelevisiva stranieri, che desiderino essere distribuiti via
cavo nella regione bilingue di Bruxelles-Capitale, in
una posizione meno favorevole nelle trattative rispetto agli organismi di
diffusione radiotelevisiva privati aventi lo status di «must
carry».
12 In
tale contesto, il Conseil d’État
ha deciso di sospendere il procedimento per quanto riguarda questi aspetti del
ricorso e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se
l’obbligo, imposto ad un’impresa di distribuzione via cavo di programmi
televisivi, di diffondere taluni programmi determinati debba essere
interpretato nel senso che esso conferisce agli autori di tali programmi un
“diritto speciale” ai sensi dell’art. 86 [CE].
2) Qualora
la prima questione venga risolta in senso affermativo, se le regole indicate
nella parte finale dell’art. 86, n. 1, CE [vale a dire “(…) le norme
del presente Trattato, specialmente (…) quelle contemplate dagli articoli 12
[CE] e da 81 [CE] a 89 [CE] inclusi”] debbano essere interpretate nel senso che
agli Stati membri non è consentito imporre ad imprese che distribuiscono
programmi televisivi via cavo di diffondere taluni programmi televisivi
trasmessi da organismi di radiodiffusione privati, ma “rientranti” (ai sensi
della [legge del 1995]) nei poteri pubblici specifici di tale Stato, con la
conseguenza che il numero di programmi provenienti da altri Stati membri o non
membri dell’Unione Europea, e da organismi non rientranti in tali poteri
pubblici, è diminuito sino al numero dei programmi sui quali è imposto un
obbligo di trasmissione.
3) Se
l’art. 49 [CE] debba essere interpretato nel senso che vi è un ostacolo
vietato alla libera prestazione di servizi a partire dal momento in cui una
misura adottata da uno Stato membro, nella fattispecie l’obbligo di
ritrasmettere programmi televisivi sulle reti di distribuzione via cavo, possa
ostacolare direttamente o indirettamente, effettivamente o potenzialmente, la
prestazione di servizi a partire da un altro Stato membro per i destinatari di
tali servizi che si trovino nel primo Stato membro, cosa che avverrebbe
qualora, a causa di tale misura, il fornitore di servizi si trovasse in una
posizione sfavorevole nelle negoziazioni per l’accesso a queste medesime reti.
4) Se
l’art. 49 [CE] debba essere interpretato nel senso che vi è un ostacolo
vietato perché una misura adottata dallo Stato membro, nella fattispecie
l’obbligo di ritrasmettere programmi televisivi su reti di distribuzione via
cavo, viene accordata nella maggior parte dei casi, a causa del luogo di
stabilimento dei beneficiari o di altri vincoli dei medesimi con tale Stato
membro, solamente a imprese stabilite in tale Stato membro e sebbene non vi sia
una giustificazione ad un tale ostacolo derivante da ragioni imperative di
interesse pubblico nel rispetto del principio di proporzionalità».
Sulle questioni
pregiudiziali
Sulla ricevibilità delle prime due questioni,
relative all’art. 86, n. 1, CE
13 Con
le sue due prime questioni, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se
l’art. 86 CE debba essere interpretato nel senso che esso osta ad un
normativa di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nella causa
principale, che dispone che gli organismi di diffusione radiotelevisiva privati
rientranti nei poteri pubblici di tale Stato e da questi ultimi designati hanno
diritto a che i loro programmi televisivi, in virtù di un obbligo di «must carry», siano diffusi
integralmente dagli operatori via cavo presenti nel territorio interessato del
detto Stato.
14 A
questo proposito si deve ricordare che, conformemente all’art. 86,
n. 1, CE, gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle
imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi,
alcuna misura contraria alle norme del Trattato, specialmente a quelle
contemplate dagli articoli 12 CE e 81 CE ‑ 89 CE.
15 Dalla
chiara formulazione dell’art. 86, n. 1, CE risulta che detta
disposizione non ha portata autonoma, nel senso che essa dev’essere
letta in combinato disposto con le altre previsioni del Trattato pertinenti
(sentenza 19 aprile 2007, causa C‑295/05, Asemfo,
Racc. pag. I‑2999, punto 40).
16 Dall’ordinanza
di rinvio emerge che la disposizione pertinente a cui si riferisce il Conseil d’État è
l’art. 82 CE, secondo cui è vietato lo sfruttamento abusivo da parte
di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una
parte sostanziale di questo.
17 Secondo
una giurisprudenza costante della Corte, il semplice fatto di creare una
posizione dominante mediante la concessione di diritti speciali o esclusivi ai
sensi dell’art. 86, n. 1, CE non è, in sé e per sé, incompatibile con
l’art. 82 CE. Uno Stato membro viola i divieti sanciti da queste due
disposizioni solo quando l’impresa di cui trattasi è indotta, con il mero
esercizio di diritti speciali o esclusivi che le sono attribuiti, a sfruttare
abusivamente la sua posizione dominante, o quando questi diritti sono idonei a
creare una situazione in cui l’impresa è indotta a commettere tali abusi
(sentenze 23 maggio 2000, causa C‑209/98, Sydhavnens
Sten & Grus,
Racc. pag. I‑3743, punto 66; 25 ottobre 2001, causa C‑475/99,
Ambulanz Glöckner, Racc. pag. I‑8089,
punto 39, e 30 marzo 2006, causa C‑451/03, Servizi Ausiliari Dottori
Commercialisti, Racc. pag. I‑2941, punto 23).
18 Di
conseguenza, nella causa principale, si pone la questione se la normativa in
questione, vale a dire la legge del 1995 nonché i decreti 17 gennaio 2001 e 24
gennaio 2002, abbia avuto non solo l’effetto di concedere agli organismi di
radiodiffusione privati designati da tali decreti diritti speciali o esclusivi
ai sensi dell’art. 86, n. 1, CE, ma anche di condurre ad un abuso di
posizione dominante ai sensi dell’art. 82 CE.
19 Tuttavia,
affinché la Corte sia in grado di risolvere utilmente le questioni
pregiudiziali ad essa proposte, è inoltre necessario che il giudice nazionale
definisca le circostanze di fatto in cui si inseriscono le questioni sollevate
o almeno spieghi le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono basate (v., in
tal senso, ordinanza 8 ottobre 2002, causa C‑190/02, Viacom,
Racc. pag. I‑8287, punto 15, e sentenza 17 febbraio 2005,
causa C‑134/03, Viacom Outdoor,
Racc. pag. I‑1167, punto 22).
20 A
questo proposito, secondo la giurisprudenza della Corte, il requisito della
precisazione delle circostanze di fatto vale in modo particolare nel settore
della concorrenza, che è contrassegnato da situazioni di fatto e di diritto
complesse (v. sentenze 13 aprile 2000, causa C‑176/96, Lehtonen e Castors Braine, Racc. pag. I‑2681, punto 22; Viacom Outdoor, cit., punto 23, e 23 novembre 2006,
causa C‑238/05, Asnef‑Equifax e Administración del Estado,
Racc. pag. I‑11125, punto 23).
21 Orbene,
nella fattispecie, indipendentemente dalla questione se diritti speciali o
esclusivi siano stati conferiti agli organismi di diffusione radiotelevisiva
privati indicati dai decreti 17 gennaio 2001 e 24 gennaio 2002, né
l’ordinanza di rinvio né le osservazioni scritte e nemmeno le difese orali
presentate in udienza forniscono alla Corte elementi di fatto e di diritto atti
a consentirle di determinare se siano soddisfatte le condizioni relative
all’esistenza di una posizione dominante o di un comportamento abusivo ai sensi
dell’art. 82 CE. In particolare, il giudice del rinvio non ha
indicato su quale mercato rilevante e in quale modo gli organismi di diffusione
radiotelevisiva privati in questione deterrebbero una posizione dominante
individuale o collettiva.
22 Ciò
premesso, come fanno valere la Belgian Business Television SA, la Media ad infinitum
SA, la TV5‑Monde, il governo belga e la Commissione delle Comunità
europee, la Corte non è in grado di risolvere utilmente le prime due questioni.
23 Ne
consegue che le prime due questioni sollevate dal giudice del rinvio devono
essere dichiarate irricevibili.
Sulla terza e quarta questione, relative
all’art. 49 CE
24 Con
tali questioni, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio
chiede, in sostanza, se l’art. 49 CE debba essere interpretato nel
senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella di cui
trattasi nella causa principale, che impone agli operatori via cavo presenti
sul territorio interessato di tale Stato membro di diffondere, in virtù di un
obbligo di «must carry», i
programmi televisivi trasmessi dagli organismi di diffusione radiotelevisiva
privati rientranti nei poteri pubblici del detto Stato che sono stati designati
dai medesimi.
25 In
via preliminare, va osservato che, contrariamente a quanto sostenuto da diverse
parti interessate nelle osservazioni scritte, tale questione non può essere
esaminata alla luce della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7
marzo 2002, 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli
utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva
«servizio universale») (GU L 108, pag. 51), il cui art. 31
autorizza gli Stati membri, a talune condizioni, a imporre un «must carry», in particolare, per
la trasmissione di programmi televisivi.
26 Infatti,
come emerge dall’ordinanza di rinvio, questa direttiva, che non è oggetto delle
questioni proposte dal Conseil d’État,
non è utile ai fini della soluzione della controversia principale poiché, come
è stato sottolineato anche dall’UPC in udienza, essa non era in vigore alla
data dell’adozione dei decreti 17 gennaio 2001 e 24 gennaio 2002 su cui questo
giudice è chiamato ad esercitare il sindacato di legittimità nell’ambito della
detta controversia.
27 Ne
consegue che la terza e la quarta questione vanno esaminate unicamente con
riferimento all’art. 49 CE.
28 Secondo
una giurisprudenza costante della Corte, la trasmissione di messaggi
televisivi, ivi compresi quelli trasmessi mediante teledistribuzione,
costituisce, come tale, una prestazione di servizi ai sensi
dell’art. 49 CE (v., in tal senso, sentenze 30 aprile 1974, causa
155/73, Sacchi, Racc. pag. 409, punto 6; 8 marzo 1980, causa
52/79, Debauve e a., Racc. pag. 833,
punto 8; 5 ottobre 1994, causa C‑23/93, TV10, Racc. pag. I‑4795,
punto 13, e 29 novembre 2001, causa C‑17/00, De Coster,
Racc. pag. I‑9445, punto 28).
29 Per
quanto concerne la questione se una normativa nazionale, quale quella in esame
nella causa principale, comporti una restrizione vietata ai sensi
dell’art. 49 CE, occorre ricordare che, sempre secondo costante
giurisprudenza della Corte, la libera prestazione dei servizi impone non solo
l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di
servizi stabilito in un altro Stato membro a causa della sua cittadinanza, ma
anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi
indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri,
quando essa è tale da proibire, ostacolare o rendere meno interessanti le
attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, dove offre
legalmente servizi analoghi (v., segnatamente, sentenze De Coster,
cit., punto 29; 8 settembre 2005, cause riunite C‑544/03 e C‑545/03,
Mobistar e Belgacom Mobile,
Racc. pag. I‑7723, punto 29; 5 dicembre 2006,
cause riunite C‑94/04 e C‑202/04, Cipolla e a.,
Racc. pag. I‑11421, punto 56, nonché 11 gennaio 2007,
causa C‑208/05, ITC, Racc. pag. I‑181, punto 55).
30 La
Corte ha inoltre già avuto modo di affermare che l’art. 49 CE osta
all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di
rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile della prestazione
di servizi puramente interna ad uno Stato membro (v. citate sentenze De Coster, punto 30; Mobistar e
Belgacom Mobile, punto 30; Cipolla e a.,
punto 57, nonché 11 settembre 2007, causa C‑76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz,
Racc. pag. I‑6849, punto 67).
31 In
applicazione di queste norme, il diritto alla libera prestazione dei servizi
può essere invocato da un’impresa nei confronti dello Stato membro in cui essa
è stabilita quando i servizi sono forniti a destinatari stabiliti in un altro
Stato membro e, in modo più generale, in tutti i casi in cui un prestatore
offra i propri servizi nel territorio di uno Stato membro diverso da quello in
cui esso ha sede (v., segnatamente, sentenze 5 ottobre 1994, causa C‑381/93,
Commissione/Francia, Racc. pag. I‑5145, punto 14, e ITC,
cit., punto 56).
32 Nella
fattispecie, è giocoforza constatare che, come sostiene correttamente la UPC,
per il semplice fatto che essi non dispongono dello status di «must carry» nella regione
bilingue di Bruxelles-Capitale in virtù della
normativa nazionale in questione nella causa principale, gli organismi di
diffusione radiotelevisiva stabiliti negli Stati membri diversi dal Regno del
Belgio, poiché non hanno, contrariamente agli organismi di diffusione
radiotelevisiva che dispongono di tale status, la garanzia incondizionata di
poter accedere alla rete detenuta dagli operatori via cavo in tale regione,
devono negoziare le condizioni di un tale accesso con questi ultimi, facendo
concorrenza a tale scopo agli altri organismi di diffusione radiotelevisiva
stabiliti nel territorio del Regno del Belgio o in altri Stati membri, che
nemmeno dispongono di un tale status. Il fatto, rilevato dalla Télé Bruxelles e dal governo belga in udienza, che nessun
organismo di diffusione radiotelevisiva stabilito in un altro Stato membro
abbia chiesto di ottenere lo status di «must carry» è irrilevante a tal riguardo.
33 La
normativa nazionale in questione nella causa principale determina così
direttamente le condizioni di accesso al mercato dei servizi nella regione
bilingue di Bruxelles-Capitale, imponendo ai
prestatori di servizi stabiliti in Stati membri diversi dal Regno del Belgio
che non sono designati da tale normativa un onere che non grava sui prestatori
di servizi designati dalla medesima. Una tale normativa è quindi idonea ad
ostacolare le prestazioni di servizi tra Stati membri (v., in tal senso,
sentenze 10 maggio 1995, causa C‑384/93, Alpine Investments,
Racc. pag. I‑1141, punto 38, e De Coster,
cit., punto 33).
34 Non
emerge chiaramente dal fascicolo se l’art. 13 della legge del 1995
richieda che gli organismi di diffusione radiotelevisiva siano stabiliti in
Belgio per ottenere lo status di «must carry». Tuttavia, anche se tale disposizione dovesse essere
intesa nel senso che essa non riserva esplicitamente il detto status agli
organismi di diffusione radiotelevisiva stabiliti in Belgio, poiché esso
costituisce, come è stato rilevato dallo stesso governo belga, uno strumento di
politica culturale avente essenzialmente lo scopo di garantire ai cittadini
belgi l’accesso all’informazione locale e nazionale nonché alla loro propria cultura, esso si presta maggiormente ad essere
concesso agli organismi di diffusione radiotelevisiva stabiliti in Belgio
piuttosto che a quelli stabiliti in Stati membri diversi dal Regno del Belgio.
35 Con
l’ordinanza di rinvio, il Conseil d’État ha peraltro annullato la concessione dello status di «must carry» all’unico organismo
di diffusione radiotelevisiva stabilito in uno Stato membro diverso dal Regno
del Belgio, in quanto tale organismo non potrebbe essere considerato come
«rientrante» nella Comunità francese ai sensi dell’art. 13 della legge del
1995. Così, è pacifico che, in seguito a tale decisione, gli organismi di
radiodiffusione che dispongono di tale status in virtù dei decreti 17 gennaio
2001 e 24 gennaio 2002 erano ormai tutti stabiliti in Belgio. In udienza, lo
stesso governo belga ha osservato, peraltro, che il fatto che uno degli
organismi privati di diffusione radiotelevisiva che dispongono di un tale
status abbia recentemente deciso di trasferire la sede della sua attività
principale in un altro Stato membro è un elemento che sarebbe preso in
considerazione per valutare la necessità di mantenere il beneficio del detto
status, anche se il contenuto dei programmi diffusi da tale organismo non è
cambiato.
36 Ne
risulta che la normativa nazionale in questione nella causa principale ha
quindi anche l’effetto di rendere le prestazioni di servizi tra Stati membri
più difficili delle prestazioni di servizi puramente interne allo Stato membro
interessato.
37 Poco
importa a tal riguardo, contrariamente a quanto fa valere il governo belga sia
nelle sue osservazioni scritte sia in udienza, che la detta normativa spieghi
parimenti i suoi effetti restrittivi nei confronti degli organismi di
diffusione radiotelevisiva privati stabiliti in Belgio che non dispongono dello
status di «must carry»
nella regione bilingue di Bruxelles‑Capitale.
Infatti, affinché una normativa costituisca un ostacolo alle prestazioni di
servizi tra Stati membri, non è necessario che tutte le imprese di uno Stato
membro siano avvantaggiate rispetto alle imprese stabilite in altri Stati
membri. È sufficiente che beneficino di tale normativa talune imprese stabilite
sul territorio nazionale (v., in tal senso, sentenza 25 luglio 1991, causa C‑353/89,
Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑4069,
punto 25).
38 Ciò
premesso, occorre considerare che la normativa nazionale di cui trattasi nella
causa principale costituisce una restrizione alla libera prestazione di servizi
ai sensi dell’art. 49 CE.
39 Secondo
la giurisprudenza della Corte, siffatta restrizione ad una libertà fondamentale
garantita dal Trattato può essere giustificata qualora risponda a ragioni imperative
di interesse pubblico, purché sia idonea a garantire il conseguimento dello
scopo perseguito e non vada oltre quanto necessario per il raggiungimento di
questo (v., in particolare, sentenze 5 giugno 1997, causa C‑398/95,
SETTG, Racc. pag. I‑3091, punto 21; 28 ottobre 1999, causa C‑6/98,
ARD, Racc. pag. I‑7599, punti 50 e 51, nonché Cipolla
e a., cit., punto 61).
40 Per
quanto riguarda, in primo luogo, l’obiettivo perseguito dalla normativa
nazionale di cui trattasi nella causa principale, il governo belga sostiene che
questa ha lo scopo di salvaguardare il carattere pluralista e culturale
dell’offerta di programmi sulle reti di teledistribuzione
e di garantire l’accesso di tutti i telespettatori al pluralismo e alla
diversità dei programmi, in particolare garantendo ai cittadini belgi della
regione bilingue di Bruxelles-Capitale che essi non
verranno privati dell’accesso all’informazione locale e nazionale o alla loro
cultura. Tale normativa sarebbe così diretta ad armonizzare il panorama
audiovisivo in Belgio.
41 A
questo proposito si deve ricordare che, per giurisprudenza costante della
Corte, una politica culturale può costituire una ragione imperativa di
interesse pubblico che giustifichi una restrizione alla libera prestazione dei
servizi. La salvaguardia del pluralismo che questa politica intende garantire è infatti connessa alla libertà d’espressione, tutelata
dall’art. 10 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e
tale libertà fa parte dei diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento
giuridico comunitario (v. sentenze 25 luglio 1991, causa C‑288/89, Collectieve Antennevoorziening
Gouda, Racc. pag. I‑4007, punto 23;
Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 30; 3 febbraio 1993, causa C‑148/91,
Veronica Omroep Organisatie,
Racc. pag. I‑487, punto 10, e TV10, cit., punto 19).
42 Occorre
pertanto ammettere che la normativa nazionale di cui trattasi nella causa
principale persegue uno scopo di interesse generale, in quanto è diretta a
salvaguardare il carattere pluralista dell’offerta di programmi televisivi
nella regione bilingue di Bruxelles-Capitale e si
inserisce così in una politica culturale che ha lo scopo di salvaguardare, nel
settore audiovisivo, la libertà di espressione delle differenti componenti, in
particolare sociali, culturali, linguistiche, religiose e filosofiche,
esistenti in tale regione.
43 Per
quanto riguarda, in secondo luogo, la questione se la detta normativa sia
idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito, occorre
ammettere, come ha rilevato correttamente l’avvocato generale al paragrafo 13
delle sue conclusioni, che, tenuto conto del bilinguismo della regione di Bruxelles-Capitale, una normativa nazionale come quella di
cui trattasi nella causa principale costituisce un mezzo appropriato per
raggiungere lo scopo culturale perseguito poiché, in particolare, essa è idonea
a consentire, in tale regione, ai telespettatori la cui lingua è l’olandese di
avere accesso, sulla rete degli operatori via cavo che assicurano la teledistribuzione sul territorio di questa, ai programmi
televisivi che presentano un nesso culturale e linguistico con la Comunità
fiamminga e ai telespettatori la cui lingua è il francese di avere un accesso
simile ai programmi televisivi che presentano un nesso culturale e linguistico
con la Comunità francese. Una normativa di tale tipo assicura quindi ai
telespettatori della detta regione che essi non verranno privati dell’accesso,
nella loro propria lingua, alle informazioni locali e
nazionali nonché ai programmi rappresentativi della loro cultura.
44 Per
quanto riguarda, in terzo luogo, la necessarietà
della normativa in questione nella causa principale per raggiungere lo scopo
perseguito, va sottolineato che, anche se la salvaguardia del pluralismo, a
titolo di una politica culturale, è connessa al diritto fondamentale alla
libertà d’espressione e, pertanto, le autorità nazionali dispongono di un ampio
potere discrezionale a tal riguardo, gli obblighi discendenti dai provvedimenti
d’attuazione di questa politica non debbono in ogni caso essere sproporzionati
rispetto a detto scopo e le relative modalità d’applicazione non debbono
comportare discriminazioni a danno dei cittadini degli altri Stati membri (v.,
in tal senso, sentenze 28 novembre 1989, causa C‑379/87, Groener, Racc. pag. 3967, punto 19, e 12
giugno 2003, causa C‑112/00, Schmidberger,
Racc. pag. I‑5659, punto 82).
45 In
particolare, una disciplina del genere non può legittimare un comportamento
discrezionale da parte delle autorità nazionali, tale da vanificare le
disposizioni comunitarie relative ad una libertà fondamentale (v., in tal
senso, sentenze 20 febbraio 2001, causa C‑205/99, Analir e a., Racc. pag. I‑1271,
punto 37, e 22 gennaio 2002, causa C‑390/99, Canal Satélite Digital,
Racc. pag. I‑607, punto 35).
46 Di
conseguenza, la concessione dello status di «must carry» deve innanzi tutto inserirsi, come fa valere la
Commissione, in un procedimento trasparente basato su criteri conosciuti in
anticipo dagli organismi di diffusione radiotelevisiva, in modo da evitare che
il potere discrezionale di cui dispongono gli Stati membri sia esercitato in
modo arbitrario. In particolare, qualsiasi organismo di diffusione
radiotelevisiva deve essere in grado di determinare preventivamente la natura e
la portata delle condizioni precise da soddisfare nonché degli obblighi di
servizio pubblico che è tenuto, eventualmente, a sottoscrivere per la concessione
di tale status. A tal riguardo, la semplice enunciazione, nel preambolo della
normativa nazionale, di dichiarazioni di principio nonché di obiettivi di
politica generale non può essere considerata sufficiente.
47 La
concessione dello status di «must carry»,
poi, deve essere fondata su criteri obiettivi idonei a garantire il pluralismo
permettendo, all’occorrenza, mediante gli obblighi di servizio pubblico,
l’accesso, in particolare, alle informazioni nazionali e locali sul territorio
interessato. Così, un tale status non può essere accordato automaticamente a
tutti i canali televisivi diffusi da un medesimo organismo di diffusione
radiotelevisiva privato, ma deve essere strettamente limitato a quelli il cui
contenuto complessivo dei programmi è atto a realizzare un tale obiettivo.
Inoltre, il numero di canali riservati agli organismi di diffusione
radiotelevisiva privati aventi il detto status non deve eccedere manifestamente
quanto è necessario per realizzare tale obiettivo.
48 Infine,
i criteri in base ai quali lo status di «must carry» è accordato non devono essere discriminatori. In
particolare, la concessione di tale status non può, né in diritto né in fatto,
essere subordinata ad un requisito di stabilimento sul territorio nazionale
(v., in tal senso, sentenza 16 dicembre 1992, causa C‑211/91,
Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑6757, punto 12).
49 Peraltro,
in quanto i requisiti posti per la concessione dello status di «must carry», anche qualora siano
indistintamente applicabili, possono essere soddisfatti più facilmente da
organismi di diffusione radiotelevisiva stabiliti sul territorio nazionale, a
causa segnatamente del contenuto dei programmi da trasmettere, essi devono
essere indispensabili per raggiungere l’obiettivo legittimo di interesse
generale perseguito.
50 Spetta
al giudice del rinvio verificare, tenuto conto degli elementi del fascicolo ad
esso sottoposto, se la normativa nazionale di cui trattasi nella causa
principale soddisfi tali condizioni.
51 Occorre
pertanto risolvere la terza e quarta questione dichiarando che
l’art. 49 CE deve essere interpretato nel senso che esso non osta
alla normativa di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nella causa
principale, che impone agli operatori via cavo presenti nel territorio
interessato di tale Stato di diffondere, in virtù di un obbligo cosiddetto di «must carry», i programmi
televisivi trasmessi dagli organismi di diffusione radiotelevisiva privati
rientranti nei poteri pubblici del detto Stato che sono stati designati da
questi ultimi, quando tale normativa:
– persegue
uno scopo di interesse generale, quale la salvaguardia, a titolo della politica
culturale di tale medesimo Stato membro, del pluralismo dell’offerta di
programmi televisivi in tale territorio, e
– non
è sproporzionata rispetto a tale obiettivo, circostanza che implica che le sue
modalità di applicazione debbano rientrare in un procedimento trasparente
basato su criteri obiettivi, non discriminatori e conosciuti in anticipo.
52 Spetta
al giudice del rinvio accertare se le dette condizioni siano soddisfatte.
Sulle spese
53 Nei
confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione)
dichiara:
L’art. 49 CE
deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla normativa di uno
Stato membro, come quella di cui trattasi nella causa principale, che impone
agli operatori via cavo presenti nel territorio interessato di tale Stato di
diffondere, in virtù di un obbligo cosiddetto di «must
carry», i programmi televisivi trasmessi dagli
organismi di diffusione radiotelevisiva privati rientranti nei poteri pubblici
del detto Stato che sono stati designati da questi ultimi, quando tale
normativa:
– persegue
uno scopo di interesse generale, quale la salvaguardia, a titolo della politica
culturale di tale medesimo Stato membro, del pluralismo dell’offerta di
programmi televisivi in tale territorio, e
– non
è sproporzionata rispetto a tale obiettivo, circostanza che implica che le sue
modalità di applicazione debbano rientrare in un procedimento trasparente
basato su criteri obiettivi, non discriminatori e conosciuti in anticipo.
Spetta al giudice del
rinvio accertare se le dette condizioni siano soddisfatte.
(Seguono
le firme)