Corte di Giustizia delle Comunità europee (Grande
Sezione), 12 settembre 2006
C-145/04, Regno di
Spagna – Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord
Nella causa C‑145/04,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi
dell’art. 227 CE, proposto il 18 marzo 2004,
Regno di Spagna,
rappresentato dalla sig.ra N. Díaz Abad,
dai
sigg. F. Díez Moreno e I. del Cuvillo Contreras,
in qualità di agenti, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Regno Unito di Gran
Bretagna e Irlanda del Nord,
rappresentato dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di
agente,
assistita dai sigg. P. Goldsmith, D. Wyatt e
D. Anderson, QC,
e
M. Chamberlain, barrister, con domicilio eletto
in Lussemburgo,
convenuto,
sostenuto da:
Commissione delle Comunità
europee,
rappresentata dal sig. C. Ladenburger,
in qualità di agente, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
interveniente,
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg.
P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas
(relatore), K. Schiemann e J. Makarczyk, presidenti di Sezione, dai sigg. J.-P. Puissochet, P. Kūris, E. Juhász, E. Levits e A. Ó Caoimh, giudici,
avvocato generale: sig. A. Tizzano
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 5
luglio 2005,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6
aprile 2006,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con
il suo ricorso, il Regno di Spagna chiede alla Corte di dichiarare che,
promulgando la legge del 2003 relativa alla rappresentanza elettorale per
l’elezione del Parlamento europeo [European Parliament (Representation) Act 2003; in prosieguo: l’«EPRA 2003»], il Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti
in forza degli artt. 189 CE, 190 CE, 17 CE e 19 CE,
nonché dell’atto relativo all’elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo
a suffragio universale diretto, allegato alla decisione del Consiglio 20
settembre 1976, 76/787/CECA, CEE, Euratom
(GU L 278, pag. 1), come modificato dalla decisione del
Consiglio 25 giugno 2002 e 23 settembre 2002, 2002/772/CE, Euratom
(GU L 283, pag. 1; in prosieguo: l’«atto del 1976»).
Contesto normativo
Diritto comunitario
2 L’art. 17 CE
così prevede:
«1. È
istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia
la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un
complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima.
2. I
cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal
presente trattato».
3 Ai
fini dell’applicazione del diritto comunitario, il Regno Unito ha definito il
termine «cittadini» in una dichiarazione allegata all’atto finale del Trattato
relativo all’adesione alle Comunità europee del Regno di Danimarca,
dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord
(GU 1972, L 73, pag. 196; in prosieguo: la «dichiarazione del
1972»). In considerazione dell’entrata in vigore nel Regno Unito di una nuova
legge sulla cittadinanza, tale dichiarazione è stata sostituita, nel 1982, da
una nuova dichiarazione (GU 1983, C 23, pag. 1; in prosieguo: la
«dichiarazione del 1982»), la quale indica le seguenti categorie:
«a) i
cittadini britannici;
b) le
persone che sono sudditi britannici ai sensi della parte quarta del “British Nationality Act” del 1981 e che hanno diritto di risiedere nel Regno
Unito e sono pertanto esentate dal controllo del Regno Unito sull’immigrazione;
c) i
cittadini delle dipendenze britanniche che acquisiscono la cittadinanza in
forza di un legame con Gibilterra».
4 L’art. 19,
n. 2, CE così dispone:
«Fatte
salve le disposizioni dell’articolo 190, paragrafo 4, e le disposizioni
adottate in applicazione di quest’ultimo, ogni cittadino dell’Unione residente
in uno Stato membro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di
eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui
risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Tale diritto sarà
esercitato con riserva delle modalità che il Consiglio adotta, deliberando
all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del
Parlamento europeo; tali modalità possono comportare disposizioni derogatorie
ove problemi specifici di uno Stato membro lo giustifichino».
5 Sulla
base di tale disposizione, il Consiglio ha approvato la direttiva
6 dicembre 1993, 93/109/CE, relativa alle modalità di esercizio del
diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i
cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono
cittadini (GU L 329, pag. 34).
6 L’art. 189,
primo comma, CE così prevede:
«Il Parlamento europeo, composto di rappresentanti
dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità, esercita i poteri che gli sono
attribuiti dal presente trattato».
7 L’art. 190 CE
è del seguente tenore:
«1. I
rappresentanti, al Parlamento europeo, dei popoli degli Stati riuniti nella
Comunità sono eletti a suffragio universale diretto.
(…)
4. Il
Parlamento europeo elabora un progetto volto a permettere l’elezione a
suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati
membri o secondo principi comuni a tutti gli Stati membri.
Il Consiglio, con deliberazione unanime, previo
parere conforme del Parlamento europeo che si pronuncia alla maggioranza dei
membri che lo compongono, stabilirà le disposizioni di cui raccomanderà
l’adozione da parte degli Stati membri, conformemente alle loro rispettive
norme costituzionali.
(…)».
8 L’art. 8
dell’atto del 1976 prevede quanto segue:
«Fatte
salve le disposizioni del presente atto, la procedura elettorale è disciplinata
in ciascuno Stato membro dalle disposizioni nazionali.
Tali disposizioni nazionali, che possono
eventualmente tener conto delle particolarità negli Stati membri, non devono
nel complesso pregiudicare il carattere proporzionale del voto».
9 L’art. 15,
secondo comma, di tale atto è del seguente tenore:
«Gli allegati I e II formano parte integrante del
presente atto».
10 L’allegato II
all’atto del 1976, divenuto allegato I in applicazione della nuova
numerazione contenuta in allegato alla decisione 2002/772 (in prosieguo:
l’«allegato I all’atto del 1976»), così prevede:
«Il Regno Unito applicherà le disposizioni di questo
atto soltanto nei confronti del Regno Unito».
11 Nella
sua sentenza 18 febbraio 1999, Matthews c. Regno
Unito, (Recueil des
arrêts et décisions 1999-I), la Corte europea dei diritti
dell’uomo ha ritenuto che, non organizzando a Gibilterra elezioni per il
Parlamento europeo, il Regno Unito abbia violato l’art. 3 del protocollo
n. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: il
«protocollo n. 1 della CEDU»), che prevede l’obbligo, per le parti
contraenti, di organizzare, ad intervalli ragionevoli, libere elezioni a
scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione
dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo. Al punto 64
della propria sentenza, la citata Corte ha osservato che la ricorrente, nella sua
qualità di residente a Gibilterra, si era vista privata di qualsiasi
possibilità di esprimere la sua opinione sulla scelta dei membri del Parlamento
europeo. Su domanda della Corte di giustizia, il Regno Unito ha precisato che,
come risultava dal rapporto della Commissione dei diritti dell’uomo, la signora
Matthews possedeva la cittadinanza britannica.
12 L’atto
del 1976, nella sua versione iniziale, è stato modificato dalla decisione
2002/772, entrata in vigore il 1° aprile
«Ricordando l’art. 6, n. 2, del Trattato
sull’Unione europea che dispone che “l’Unione rispetta i diritti fondamentali
quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e
quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in
quanto principi generali del diritto comunitario”, il
Regno Unito veglierà affinché siano apportate le modifiche necessarie per
consentire agli elettori di Gibilterra di partecipare alle elezioni del
Parlamento europeo nel quadro di una circoscrizione esistente del Regno Unito e
alle stesse condizioni degli altri elettori di tale circoscrizione, allo scopo
di onorare l’obbligo ad esso incombente di applicare la sentenza pronunciata
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa Matthews
contro Regno Unito, conformemente al diritto dell’Unione europea».
13 Nel
citato verbale è stata inserita anche la seguente dichiarazione del Consiglio e
della Commissione:
«Il Consiglio e la Commissione prendono atto della
dichiarazione del Regno Unito secondo la quale, al fine di adempiere l’obbligo
ad esso incombente di dare applicazione alla decisione pronunciata dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo nella causa Matthews
contro Regno Unito, il Regno Unito veglierà affinché siano adottate le
modifiche necessarie per consentire agli elettori di Gibilterra di partecipare
alle elezioni per il Parlamento europeo nel quadro di una circoscrizione
esistente del Regno Unito e alle stesse condizioni degli altri elettori di tale
circoscrizione, conformemente al diritto dell’Unione europea».
Lo status di Gibilterra
14 Gibilterra
è stata ceduta dal Re di Spagna alla Corona britannica con il trattato di
Utrecht, concluso fra il primo e la Regina di Gran Bretagna il 13 luglio 1713,
nell’ambito dei trattati che hanno posto fine alla guerra di successione
spagnola. L’art. X, seconda frase, di tale trattato precisa che, qualora
la Corona britannica intendesse cedere, vendere o alienare in qualunque altro
modo la proprietà della città di Gibilterra, essa dovrebbe riconoscere alla Corona
di Spagna un diritto di prelazione rispetto a qualunque altro interessato.
15 Gibilterra
è attualmente una colonia della Corona britannica. Essa non fa parte del Regno
Unito.
16 Il
potere esecutivo è esercitato da un governatore nominato dalla Regina e, per
determinate materie interne, da un Chief minister e da ministri eletti a livello locale. Questi
ultimi sono responsabili dinanzi all’assemblea legislativa (House of Assembly), eletta
ogni cinque anni.
17 L’assemblea
legislativa vota le leggi relative a determinate materie interne. Il
governatore può tuttavia rifiutarsi di promulgare una legge. Anche il
Parlamento del Regno Unito e la Regina nell’ambito del suo Consiglio privato
(Queen in Council) hanno il potere di emanare leggi
applicabili a Gibilterra.
18 Gibilterra
è dotata di propri organi giurisdizionali. Sussiste tuttavia la possibilità di
ricorrere, contro le sentenze della massima autorità giurisdizionale di
Gibilterra, dinanzi alla sezione giudiziaria del Consiglio privato (Judicial Committee of the Privy Council).
19 In
base al diritto comunitario, Gibilterra è un territorio europeo di cui uno
Stato membro assume la rappresentanza nei rapporti con l’estero, ai sensi
dell’art. 299, n. 4, CE, e a cui si applicano le disposizioni del
Trattato CE. L’atto relativo alle condizioni di adesione del Regno di
Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e
agli adattamenti dei Trattati (GU 1972, L 73,
pag. 14) prevede tuttavia che talune parti del Trattato non si applichino
a Gibilterra.
L’EPRA 2003
20 L’8 maggio 2003,
il Regno Unito ha adottato L’EPRA 2003.
21 L’art. 9
dell’EPRA 2003 prevede che Gibilterra sia unita ad una circoscrizione
elettorale esistente dell’Inghilterra o del Galles al fine di costituire una
nuova circoscrizione. Sulla base di tale disposizione, le autorità britanniche
hanno unito Gibilterra alla circoscrizione Sud Ovest dell’Inghilterra con il
decreto del 2004 relativo alle elezioni per il Parlamento europeo per la
circoscrizione elettorale combinata di Gibilterra nonché alle spese della
campagna elettorale [European Parliamentary
Elections (Combined Region and Campaign Expenditure) (United Kingdom and Gibraltar) Order 2004].
22 L’art. 14
dell’EPRA 2003 prevede che il cancelliere dell’assemblea legislativa di
Gibilterra (clerk of the
House of Assembly of Gibraltar) conservi un
registro degli elettori per le elezioni europee (in prosieguo: il «registro di
Gibilterra»).
23 L’art. 15
dell’EPRA 2003 prevede che una persona possa votare per le elezioni del
Parlamento europeo a Gibilterra qualora, il giorno delle elezioni, sia iscritta
nel registro di Gibilterra.
24 Ai
sensi dell’art. 16, n. 1, dell’EPRA 2003, può essere iscritto in tale
registro colui che soddisfi tutte le seguenti condizioni:
– essere
residente a Gibilterra;
– non
essere in una situazione di incapacità che lo renda non idoneo a votare a
Gibilterra per le elezioni del Parlamento europeo (fatta eccezione per la
condizione relativa all’età);
– essere
cittadino del Commonwealth in possesso di taluni requisiti (qualifying
Commonwealth citizen, in prosieguo: il «QCC») o cittadino dell’Unione europea
(non QCC), e
– avere
almeno 18 anni.
25 Ai
sensi dell’art. 16, n. 5, dell’EPRA 2003 sono considerati QCC
coloro:
– nei
confronti dei quali, conformemente alla legislazione di Gibilterra, non è
richiesto alcun titolo o permesso per entrare e soggiornare a Gibilterra; o
– che,
attualmente, possiedono un titolo o un permesso che li autorizza ad entrare e a
soggiornare a Gibilterra (o che, in base ad una qualunque disposizione della
legislazione di Gibilterra, sono considerati in possesso di un tale titolo o
permesso).
26 Gli
artt. 17 e 18 dell’EPRA 2003 prevedono che il Lord Chancellor
e la legge possano adottare diversi sistemi relativamente al registro di
Gibilterra e al diritto di voto. Tali sistemi sono stati determinati dal
segretario di Stato per gli affari costituzionali (secretary
of State for constitutional affairs), al quale sono state trasferite talune funzioni del Lord Chancellor dal regolamento del 2004 relativo alle elezioni
del Parlamento europeo (European Parliamentary
Elections Regulations 2004)
e dalla legge del 2004 relativa alle elezioni del Parlamento europeo (European Parliamentary Elections Ordinance 2004)
adottata dall’assemblea legislativa di Gibilterra.
27 L’art. 21
dell’EPRA
28 L’art. 22
dell’EPRA 2003 consente la creazione di regole specifiche per le varie
circoscrizioni elettorali e, più specificamente, per la circoscrizione
combinata d’Inghilterra e del territorio del Galles e per Gibilterra.
29 Secondo
l’art. 23 dell’EPRA 2003, i giudici di Gibilterra sono competenti per
pronunciarsi sulle controversie in materia elettorale.
30 Al
suo art. 28, n. 2, l’EPRA 2003 indica, come proprio ambito di
applicazione territoriale, il Regno Unito e Gibilterra.
Fase precontenziosa e procedimento
dinanzi alla Corte
31 In
data 28 luglio 2003, successivamente ad uno scambio di corrispondenza, il Regno
di Spagna ha indirizzato alla Commissione, sulla base
dell’art. 227 CE, una denuncia contro il Regno Unito finalizzata
all’avvio di una procedura di infrazione dinanzi alla Corte di giustizia, nei
confronti di tale Stato membro, a causa della presunta incompatibilità
dell’EPRA 2003 con il diritto comunitario. Il Regno Unito ha depositato alla
Commissione le proprie osservazioni in risposta a tale denuncia l’11 settembre
2003. La Commissione ha sentito i rappresentanti dei due Stati membri il 1°
ottobre
32 Il
29 ottobre 2003 la Commissione ha dichiarato quanto segue:
«A seguito di un esame
approfondito della denuncia della Spagna e di un incontro svoltosi il 1°
ottobre, la Commissione ritiene che il Regno Unito abbia esteso il diritto di
voto alle persone residenti a Gibilterra nell’ambito del potere discrezionale
attribuito agli Stati membri dal diritto comunitario. Tuttavia, considerata la
delicatezza della questione bilaterale sottostante, la Commissione si astiene a
questo stadio dall’adottare un parere motivato ai sensi dell’art. 227 [CE]
e invita le parti a trovare una soluzione amichevole».
33 Il
comunicato stampa della Commissione ha in particolare affermato:
«Il
Trattato CE stabilisce che la Comunità europea è competente a definire una
procedura uniforme per le elezioni del Parlamento europeo. Tale procedura
uniforme può comportare norme che definiscano l’ambito delle persone che
possono votare. Tuttavia, l’atto del 1976 non affronta la questione del diritto
di voto. Sono dunque applicabili le disposizioni nazionali.
Anche se il diritto di voto alle elezioni per il
Parlamento europeo è disciplinato da taluni principi generali relativi alle
elezioni (la necessità che il voto sia diretto, universale, libero e segreto),
nessun principio generale del diritto comunitario prevede che, per l’elezione
del Parlamento europeo, il diritto di voto debba essere limitato ai cittadini
dell’Unione europea.
Per quanto riguarda la questione delle
circoscrizioni elettorali, l’atto del 1976 non contiene alcuna disposizione
relativa alla creazione di circoscrizioni elettorali; spetta dunque agli Stati
membri disporre in proposito.
L’allegato I all’atto del 1976 deve essere
interpretato alla luce della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo [e delle libertà fondamentali], la quale
garantisce l’organizzazione di elezioni libere per la scelta del corpo
legislativo, al fine di rispettare i diritti fondamentali. Tale disposizione è
quindi sufficientemente flessibile per consentire al Regno Unito di integrare
il corpo elettorale di Gibilterra in quello britannico per l’elezione del
Parlamento europeo, sulla base del suo sistema elettorale nazionale».
34 Con
ordinanza del presidente della Corte 8 settembre 2004, La Commissione è stata
ammessa ad intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del
Regno Unito.
Sul ricorso
35 Il
Regno di Spagna evidenzia che il suo ricorso riguarda soltanto le modalità
elettorali relative a Gibilterra, e non il fatto che il Regno Unito riconosca
il diritto di voto per il Parlamento europeo ai QCC che si trovano sul
territorio del Regno Unito.
36 Esso
fa valere due motivi a sostegno del proprio ricorso. Con il primo di tali motivi
esso sostiene che l’estensione del diritto di voto per le elezioni del
Parlamento europeo a persone che non sono cittadini britannici in base al
diritto comunitario, come previsto dall’EPRA 2003, viola gli artt. 189 CE,
190 CE, 17 CE e 19 CE. Con il secondo motivo esso sostiene che
la creazione di una circoscrizione elettorale combinata viola l’atto del 1976 e
gli impegni assunti dal governo del Regno Unito nella sua dichiarazione del 18
febbraio 2002.
Sul primo motivo, che lamenta una violazione degli
artt. 189 CE, 190 CE, 17 CE e 19 CE
37 Il
Regno di Spagna sostiene che, concedendo il diritto di voto ai QCC, che non
sono cittadini comunitari, il Regno Unito viola gli artt. 189 CE,
190 CE, 17 CE e 19 CE, i quali, sulla base di un’interpretazione
storica e sistematica, riconoscerebbero il diritto di elettorato attivo e
passivo soltanto ai cittadini dell’Unione europea.
38 Esso
ricorda che il Regno Unito ha definito svariate categorie di cittadini
britannici ai quali ha riconosciuto diritti differenti in base alla natura dei
legami che li uniscono ad esso. Come la Corte avrebbe riconosciuto al
punto 24 della sua sentenza 20 febbraio 2001, causa C‑192/99, Kaur (Racc. pag. I‑1237), le dichiarazioni
del governo del Regno Unito a tale proposito dovrebbero essere prese in
considerazione al fine di determinare l’ambito applicativo ratione
personae del Trattato CE. Sarebbe pacifico che i
QCC non fanno parte delle categorie menzionate nella
dichiarazione del 1982. Poiché l’art. 17, n. 1, CE lega la cittadinanza
dell’Unione al possesso della cittadinanza di uno Stato membro, i QCC non
sarebbero cittadini dell’Unione.
39 Secondo
il Regno di Spagna, solo ai cittadini dell’Unione possono essere riconosciuti,
da un lato, il diritto di voto per le elezioni del Parlamento europeo, a causa
del legame manifesto che esiste fra la cittadinanza dell’Unione e quella di uno
Stato membro, e, dall’altro, il godimento dei diritti previsti dal Trattato.
L’art. 19 CE, che riconosce il diritto di elettorato attivo e passivo,
e l’art. 17, n. 2, CE, il quale precisa che i cittadini dell’Unione
godono dei diritti previsti dal Trattato, dovrebbero infatti
essere interpretati in modo sistematico. Ogni estensione di tali diritti ad
altre persone dovrebbe essere esplicitamente prevista, dal Trattato o da norme
di diritto derivato. Poiché il riconoscimento del diritto di elettorato attivo
e passivo sarebbe dunque una competenza comunitaria, ogni modifica dell’ambito
applicativo ratione personae
di tali diritti potrebbe essere compiuta soltanto dal diritto comunitario.
40 A
tale proposito, il Regno di Spagna non nega il fatto che l’atto del 1976 non
abbia previsto una procedura elettorale uniforme, e che il procedimento
elettorale resti disciplinato, negli Stati membri, dalle disposizioni
nazionali. Esso ritiene tuttavia che la determinazione delle persone aventi
diritto al voto sia disciplinata dagli artt. 189 CE e 190 CE, in
combinato disposto con gli artt. 17 CE e 19 CE, e che essa si imponga
agli Stati membri.
41 L’art. 19,
n. 2, CE, il quale riconosce ai cittadini dell’Unione, nello Stato membro
in cui risiedono, il diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento
europeo alle medesime condizioni previste per i cittadini di detto Stato, e la
direttiva 93/109, la quale determina le modalità di esercizio di tale diritto,
dimostrerebbero il legame esistente tra la cittadinanza e il diritto di voto.
Il Regno di Spagna osserva in proposito che un QCC ai sensi dell’EPRA 2003
residente in un altro Stato membro non potrebbe esercitare il suo diritto di
voto in tale Stato sulla base delle citate disposizioni.
42 Il
Regno di Spagna invoca altresì, a sostegno dei propri argomenti, la
disposizione simile contenuta nell’art. 39 della Carta dei diritti
fondamentali dell’unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000
(GU C 364, pag. 1), il quale utilizza l’espressione «ogni
cittadino dell’Unione», e non «ogni persona» o altra espressione facente rinvio
al diritto nazionale. Esso precisa che, poiché il diritto di voto di un
cittadino di un paese terzo non può essere qualificato come «diritto dell’uomo»
o «libertà fondamentale», ogni riferimento all’art. 53 della predetta
Carta, il quale prevede che la stessa non possa essere
interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione, sarebbe privo di fondamento.
43 Per
quanto riguarda l’espressione «popoli degli Stati», contenuta
nell’art. 189 CE, il Regno di Spagna rileva innanzi tutto che tale disposizione
non disciplina il diritto di voto alle elezioni. D’altra parte, il fatto che
tale norma fosse presente nel Trattato CE prima che vi fosse introdotto,
da parte del Trattato sull’Unione europea, il concetto di cittadinanza
spiegherebbe le ragioni per le quali la stessa non fa riferimento a tale
concetto, mentre il Trattato non è stato oggetto di alcuna revisione
sistematica prima dell’ultima conferenza intergovernativa. In ogni caso,
l’espressione «popoli degli Stati» sarebbe una clausola di stile per indicare
le persone che possiedono la medesima cittadinanza, e non la popolazione
residente sul territorio. L’utilizzo del termine «popolo», nel senso di
«nazione», da parte di svariate Costituzioni degli Stati membri confermerebbe
tale interpretazione.
44 Il
Regno di Spagna contesta la tesi secondo la quale i diritti derivanti dalla
cittadinanza dell’Unione potrebbero avere ambiti di applicazione differenti,
poiché ciò comporterebbe uno smembramento di tale cittadinanza. A suo giudizio
una delle caratteristiche della cittadinanza è l’unitarietà, nel senso che
tutte le persone che possiedono tale status devono godere dei diritti ed essere
sottoposte agli obblighi da esso derivanti nella loro interezza. Esso osserva a
tale proposito che l’estensione della protezione diplomatica a cittadini di
Stati terzi, concessa ad esempio dal Regno Unito, rappresenta una questione
estranea al diritto comunitario, in quanto essa
riguarda una protezione diplomatica nazionale.
45 Il
Regno di Spagna cita infine il Trattato che adotta una Costituzione per
l’Europa (GU 2004, C 310, pag. 1) nel quale, a suo giudizio, il
legame tra il diritto di voto per le elezioni al Parlamento europeo e la
cittadinanza dell’Unione non sarebbe più sottinteso, ma esplicito. Infatti, l’art. I‑10,
n. 2, lett. b), di tale Trattato prevede che «i cittadini dell’Unione
(…) hanno il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento
europeo», l’art. I‑20, n. 2, del medesimo trattato afferma che
«il Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell’Unione»,
e l’art. I‑46, n. 2, primo comma, dello stesso stabilisce che
«i cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell’Unione, nel
Parlamento europeo».
46 Il
Regno Unito indica le ragioni storiche alla base della sua decisione di
continuare a concedere il diritto di voto ai cittadini di altri paesi del
Commonwealth residenti sul suo territorio. Dopo la seconda guerra mondiale
sarebbe stato concordato, in occasione di una conferenza del 1947 tra il Regno Unito
e i dominions, che ciascuno avrebbe riconosciuto agli
altri la libertà di adottare proprie leggi in materia di cittadinanza, ma che
tutte le persone identificate da tali leggi come cittadini avrebbero dovuto
inoltre continuare a possedere anche lo status comune di «suddito britannico».
Anche l’Irlanda partecipò a tale conferenza, ed uno status speciale è stato
previsto per i suoi cittadini. Risulterebbe dalla relazione finale di tale
conferenza, intitolata «Status del cittadino di un paese del Commonwealth
all’interno di un altro paese del Commonwealth di cui non è cittadino» che, in
particolare, «al fine di mettere in pratica lo status comune di suddito
britannico, i cittadini di un paese del Commonwealth
residenti in un altro paese del Commonwealth dovranno, nei limiti del
nuovo regime della cittadinanza e nella misura in cui le condizioni locali lo
consentano, vedersi riconosciuti i medesimi diritti posseduti dai cittadini del
paese nel quale essi risiedono». Così, in particolare, i QCC, cioè i cittadini
del Commonwealth ai quali non è richiesto un titolo o un permesso per entrare
nel Regno Unito o per soggiornarvi, o che possiedono un titolo o un permesso
che li autorizza ad entrare nel Regno Unito e a soggiornarvi, hanno, fatta
salva la condizione della residenza, il diritto di voto per le elezioni
parlamentari britanniche. Le legge ha previsto anche
che, allo stesso modo, i QCC residenti nel Regno Unito hanno il diritto di
votare alle elezioni per il Parlamento europeo. In tal modo, oltre un milione
di essi hanno preso parte a ciascuna delle relative elezioni, a partire dal
1978. Tale concessione del diritto di voto ai QCC sarebbe ritenuta parte della
tradizione costituzionale del Regno Unito.
47 Le
disposizioni adottate per Gibilterra e per i QCC residenti a Gibilterra, il cui
numero è stimato in 200 unità, sarebbero analoghe. Riconoscere, nell’ambito del
presente ricorso relativo a Gibilterra, il principio in base al quale i QCC non
potrebbero votare per le elezioni del Parlamento europeo comporterebbe la
conseguenza che il Regno Unito dovrebbe privare un gran numero di persone,
tanto a Gibilterra che nel Regno Unito, di un diritto di voto che esse hanno
esercitato fino ad oggi.
48 Sostenuto dalla Commissione, il Regno Unito contesta la conclusione
che il Regno di Spagna trae dal punto 24 della citata sentenza Kaur. A suo giudizio, le norme del Trattato CE hanno
un ambito di applicazione ratione personae
diverso in base alla materia trattata, e la causa decisa con la ricordata
sentenza Kaur riguarderebbe soltanto le disposizioni
relative alla libera circolazione delle persone e i diritti che dalla
cittadinanza derivano a tale proposito. Esso evidenzia la finalità limitata
della dichiarazione del 1982, e il fatto che tale dichiarazione non aveva lo
scopo di definire le categorie di persone aventi il diritto di votare alle
elezioni del Parlamento europeo. Tale dichiarazione non potrebbe dunque essere
utilizzata per definire chi siano i titolari del diritto di voto per il
Parlamento europeo, né essere intesa nel senso che il Regno Unito vi esprimesse
l’intenzione di ritirare il diritto di voto ai QCC residenti nel Regno Unito, i quali godevano di tale diritto fin dalle prime elezioni
dirette per il Parlamento europeo. D’altra parte, il Regno Unito non avrebbe
violato la propria dichiarazione estendendo ai QCC residenti a Gibilterra il
diritto di voto per il Parlamento europeo.
49 Il
Regno Unito, sostenuto in ciò dalla Commissione, ritiene di avere il diritto di
estendere il diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo a
cittadini di paesi terzi. Infatti, nessuna disposizione del diritto comunitario
si opporrebbe a ciò.
50 In
primo luogo, il diritto comunitario non disciplinerebbe tutta la materia del
diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo. Infatti la Comunità avrebbe esercitato il diritto, ad essa
riconosciuto dall’art. 190, n. 4, CE, di definire «una procedura
uniforme in tutti gli Stati membri o secondo principi comuni a tutti gli Stati
membri» soltanto con l’atto del 1976, il cui art. 8, per le questioni non
disciplinate dall’atto stesso, farebbe riferimento alle norme nazionali. Si
dovrebbe anche tener conto dei principi generali del diritto
comunitario. Poiché l’atto del 1976 non definisce le categorie di
persone che hanno il diritto di votare alle elezioni per il Parlamento europeo,
è nel pieno rispetto di tale atto che detta questione poteva essere
disciplinata dall’EPRA 2003.
51 L’art. 19,
n. 2, CE, il quale riconosce ai cittadini dell’Unione il diritto di voto
in uno Stato membro del quale essi non sono cittadini, e la direttiva 93/109,
che ha determinato le modalità di esercizio di tale diritto, non si
opporrebbero alla concessione del diritto di voto a persone che non sono
cittadini dell’Unione. Il Regno Unito fa riferimento al terzo ‘considerando’
della direttiva 93/109, il quale prevede che il
diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo nello Stato di
residenza «costituisce un’applicazione del principio di non discriminazione fra
cittadini per origine e altri cittadini, nonché un corollario del diritto di
libera circolazione e di soggiorno». Tali disposizioni avrebbero essenzialmente
lo scopo di sopprimere la condizione della cittadinanza, ma non quello di definire
il diritto di voto.
52 Inoltre,
gli artt. 189 CE e 190 CE non menzionano la cittadinanza
dell’Unione, ma utilizzano l’espressione «popoli degli Stati riuniti nella
Comunità», che non dovrebbe necessariamente essere considerata sinonimo di
«cittadini degli Stati membri», ma potrebbe invece indicare altresì un insieme
di persone molto più ampio, come quello di coloro che risiedono in un
determinato territorio. Il Regno Unito evidenzia che, sebbene fosse possibile
modificare tali disposizioni, in particolare al momento dell’adozione del
Trattato sull’Unione europea, i termini «cittadini» o «cittadini dell’Unione»
non sono stati utilizzati. Non si può dunque invocare un’interpretazione
storica e, a partire da tali disposizioni, non è possibile stabilire un legame
tra la cittadinanza dell’Unione e il diritto di voto per il Parlamento europeo.
53 La
Commissione sostiene che tali articoli non possono essere interpretati
restrittivamente, come sostiene il Regno di Spagna. Non in tutti gli Stati
membri esiste un legame tra legittimità del potere pubblico e cittadinanza. Si
dovrebbe tenere conto di approcci differenti, come quello che risulta dalla
tradizione costituzionale del Regno Unito.
54 Per
quanto riguarda l’art. 17, n. 2, CE, esso non prevedrebbe che solo i
cittadini dell’Unione possiedono i diritti riconosciuti dal Trattato. Il Regno
Unito, sostenuto dalla Commissione, osserva in proposito che il Trattato
riconosce taluni diritti, come il diritto di petizione dinanzi al Parlamento
europeo o il diritto di rivolgersi al Mediatore europeo, a persone che non sono
cittadini dell’Unione. Il Regno Unito sostiene anche che gli Stati membri
possono estendere a tali persone alcuni diritti che il Trattato riconosce ai
cittadini dell’Unione, come il diritto alla protezione delle autorità
diplomatiche e consolari. Lo stesso varrebbe per il diritto di partecipare alla
vita politica, il quale potrebbe essere concesso da
uno Stato membro a cittadini di paesi terzi. Da ciò non deriverebbe uno
«smembramento della cittadinanza dell’Unione».
55 La
Commissione osserva in proposito che si potrebbe parlare di una violazione del
concetto di cittadinanza dell’Unione solo in caso di attentato ai diritti dei
cittadini, per la pura e semplice negazione di tali diritti o a causa di un
ostacolo all’esercizio degli stessi. Il fatto che uno Stato membro, a causa
della sua storia e della sua tradizione costituzionale, estenda, a determinate
condizioni, il diritto di voto nelle elezioni per il Parlamento europeo a
residenti provenienti da paesi terzi ai quali lo uniscono legami storici
particolari non violerebbe il diritto di voto dei cittadini dell’Unione. Il Regno Unito precisa che l’estensione del diritto di voto
ai QCC non ha effetti sulle istituzioni dell’Unione o su altri Stati membri, e
incide soltanto sull’identità dei rappresentanti provenienti da circoscrizioni
britanniche eletti al Parlamento europeo.
56 Il
Regno Unito, sostenuto dalla Commissione, osserva che l’art. 39,
n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nel caso
in cui la Corte lo ritenesse rilevante in questo caso, deve essere interpretato
tenendo conto dell’art. 53 di tale Carta. La Commissione sostiene altresì
che il testo dell’art. 39 della Carta non può essere ritenuto, in sé, la
prova di una limitazione del diritto di voto ai soli cittadini dell’Unione. Sia
il Regno Unito che la Commissione interpretano tale disposizione nel senso che
essa non autorizza una limitazione al diritto di voto attualmente riconosciuto
da uno Stato membro a cittadini di paesi terzi.
57 Per
quanto riguarda il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, il Regno
Unito sostiene che lo stesso non è ancora entrato in vigore e che, pertanto,
non è rilevante. D’altra parte, né l’art. I‑20, né l’art. I‑46
di tale Trattato pretenderebbero, a prima vista, di escludere i cittadini di
paesi terzi dal diritto di voto, né di indicare il modo in cui gli Stati membri
devono determinare le condizioni per il voto. L’art. III‑330, il
quale, come l’articolo 190, n. 4, CE, autorizzerebbe il Consiglio a
prendere provvedimenti per l’elezione del Parlamento europeo, non avrebbe lo
scopo di limitare il margine di discrezionalità del Consiglio. In ogni caso,
deriverebbe chiaramente dalle dichiarazioni unilaterali allegate a tale
Costituzione, in particolare dalla dichiarazione n. 48 del
Regno Unito relativa al diritto di voto per le elezioni del Parlamento
europeo, che gli Stati membri non erano d’accordo sulla questione del diritto
di voto per i cittadini di paesi terzi.
58 La
Commissione sostiene infine che, se è vero che il concetto di cittadinanza è
fondamentale per l’Unione, lo stesso vale per l’impegno dell’Unione a
rispettare l’identità nazionale dei suoi membri. L’art. 8 dell’atto del
1976 confermerebbe tale principio, poiché esso prevede che le disposizioni
nazionali che disciplinano la procedura elettorale possono eventualmente tenere
conto delle particolarità all’interno degli Stati membri.
Giudizio della Corte
59 Con
il suo primo motivo, il Regno di Spagna sostiene che il Regno Unito ha violato
gli artt. 189 CE, 190 CE, 17 CE e 19 CE concedendo ai
QCC residenti a Gibilterra il diritto di elettorato attivo e passivo per le
elezioni per il Parlamento europeo. Tale motivo si basa sulla premessa secondo
la quale tali disposizioni del Trattato fisserebbero un legame tra cittadinanza
dell’Unione e diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo:
l’esistenza di tale legame avrebbe la conseguenza che solo i cittadini
dell’Unione potrebbero essere titolari di tale diritto.
60 Si
deve rilevare, in via preliminare, che è stato per adeguarsi alla citata
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Matthews
c. Regno Unito che il Regno Unito ha adottato la normativa contestata dal Regno
di Spagna.
61 Come
risulta dalla sua dichiarazione del 18 febbraio 2002, il Regno Unito si è
impegnato «affinché siano apportate le modifiche necessarie per consentire agli
elettori di Gibilterra di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo nel
quadro di una circoscrizione esistente del Regno Unito e alle stesse condizioni
degli altri elettori di tale circoscrizione».
62 Sulla
base di tale dichiarazione, relativamente alla quale il Regno di Spagna non
contesta il fatto che essa rispecchi un accordo concluso tra tali due Stati
membri, e della quale il Regno di Spagna lamenta d’altra parte la violazione
con il proprio secondo motivo, il Regno Unito ha adottato per Gibilterra una legislazione
che prevede, per il diritto di elettorato attivo e passivo, le medesime
condizioni previste dalla normativa applicabile nel Regno Unito. L’espressione
«elettori di Gibilterra» deve infatti essere intesa
facendo riferimento al concetto di elettore definito dalla normativa del Regno
Unito.
63 Per
ragioni legate alla sua tradizione costituzionale, il Regno Unito ha scelto,
sia per le elezioni nazionali nel Regno Unito che per quelle dell’assemblea
legislativa di Gibilterra, di concedere il diritto di elettorato attivo e
passivo ai QCC in possesso di condizioni che indichino un legame specifico con
il territorio per il quale le elezioni sono organizzate.
64 Si
deve a tale proposito evidenziare che, poiché la sig.ra Matthews,
«nella sua qualità di residente a Gibilterra, è stata privata di qualsiasi
possibilità di esprimere la sua opinione sulla scelta dei membri del Parlamento
europeo», la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato la mancata
organizzazione, a Gibilterra, di elezioni per il Parlamento europeo contraria
all’art. 3 del protocollo n. 1 della CEDU.
65 Secondo
il Regno di Spagna, l’estensione del diritto di voto per le elezioni del
Parlamento europeo a persone non aventi lo status di cittadini dell’Unione
violerebbe gli artt. 189 CE, 190 CE, 17 CE e 19 CE.
Tuttavia, gli artt. 189 CE e 190 CE non indicano in modo esplicito e
preciso chi siano i beneficiari del diritto di elettorato attivo e passivo per
il Parlamento europeo.
66 Per
quanto riguarda gli artt. 17 CE e 19 CE, i quali rientrano nella
parte seconda del Trattato, relativa alla cittadinanza dell’Unione, soltanto la
seconda di queste due norme si occupa specificamente, al n. 2, del diritto
di voto per il Parlamento europeo. Tale articolo si limita ad applicare all’esercizio
di tale diritto il principio di non discriminazione in base alla nazionalità,
prevedendo che ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui
non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del
Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni
dei cittadini di detto Stato.
67 L’art. 190,
n. 4, CE fa riferimento alla procedura per tali elezioni. Esso precisa che
l’elezione si effettua a suffragio universale diretto, secondo una procedura
uniforme in tutti gli Stati membri o secondo principi comuni a tutti gli Stati
membri.
68 L’art. 1
dell’atto del 1976 stabilisce che i membri del Parlamento europeo sono eletti
con sistema proporzionale, e che l’elezione si svolge a suffragio universale
diretto, libero e segreto. Secondo l’art. 2 di tale atto, gli Stati membri
possono, in funzione delle loro specificità nazionali, costituire
circoscrizioni elettorali per le elezioni al Parlamento europeo o prevedere
altre suddivisioni elettorali, senza pregiudicare complessivamente il carattere
proporzionale del voto. Ai sensi dell’art. 3 di tale atto, essi possono
prevedere la fissazione di una soglia minima per l’attribuzione dei seggi.
69 L’art. 8
dell’atto del 1976 precisa che, fatte salve le disposizioni contenute nell’atto
stesso, la procedura elettorale è disciplinata, in ciascuno Stato membro, dalle
disposizioni nazionali; però queste, che possono eventualmente tener conto
delle particolarità negli Stati membri, non devono nel complesso pregiudicare
il carattere proporzionale del voto.
70 Tuttavia,
né l’art. 190 CE né l’atto del 1976 indicano in modo esplicito e
preciso chi siano coloro che godono del diritto di elettorato attivo e passivo
per il Parlamento europeo. Di per sé, tali disposizioni non escludono pertanto
che una persona priva dello status di cittadino dell’Unione, come un QCC
residente a Gibilterra, possa beneficiare del diritto di elettorato attivo e
passivo. Occorre però verificare se, come sostiene il Regno di Spagna, esista
un legame manifesto tra la cittadinanza dell’Unione e il diritto di elettorato
attivo e passivo, il quale imporrebbe che tale diritto sia riservato ai
cittadini dell’Unione.
71 Nessuna chiara
conclusione in proposito può
essere ricavata dagli artt. 189 CE e 190 CE, relativi al
Parlamento europeo, i quali indicano che lo stesso è composto da rappresentanti
dei popoli degli Stati membri, laddove il termine «popoli», che non è definito,
può assumere significati differenti a seconda degli Stati membri e delle lingue
dell’Unione.
72 Per
quanto riguarda gli articoli del Trattato relativi alla cittadinanza
dell’Unione, non è possibile ricavarne il principio secondo il quale solo i
cittadini dell’Unione sarebbero i beneficiari di tutte le altre disposizioni
del Trattato, il che comporterebbe che solo ad essi si applichino gli
artt. 189 CE e 190 CE.
73 Se
infatti è vero che l’art. 17, n. 2, CE prevede che i cittadini
dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal Trattato,
si deve però osservare che quest’ultimo riconosce diritti che non sono legati
allo status di cittadino dell’Unione, e neppure a quello di cittadino di uno
Stato membro. Così, ad esempio, gli artt. 194 CE e 195 CE prevedono
che il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo e quello di
presentare una denuncia al Mediatore non sono riservati ai cittadini
dell’Unione, ma possono essere esercitati da «ogni persona fisica o giuridica
che risieda o abbia sede sociale in uno Stato membro».
74 D’altra
parte, se è vero che lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere
lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri, che consente a quelli
fra loro che si trovino nella stessa situazione di ottenere, indipendentemente
dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente
previste, il medesimo trattamento giuridico (sentenza 20
settembre 2001, causa C‑184/99, Grzelczyk,
Racc. pag. I‑6193, punto 31), tale constatazione non comporta
necessariamente che i diritti riconosciuti dal Trattato siano riservati ai
cittadini dell’Unione.
75 A
tale proposito, nella citata sentenza Kaur la Corte,
ricordando l’importanza della dichiarazione del governo del Regno Unito
relativamente alla definizione del termine «cittadini» per le altre parti
contraenti del Trattato relativo all’adesione alle Comunità europee del Regno
di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del
Nord, ha rilevato, al punto 24 di tale sentenza, che tale dichiarazione
consente di determinare l’ambito di applicazione ratione
personae delle disposizioni comunitarie oggetto di
tale Trattato. Letta nel proprio contesto, e in particolare alla luce del
punto 22 della medesima sentenza, nel quale la
Corte ha precisato che, con la dichiarazione del 1972, il Regno Unito ha
indicato agli altri contraenti quali fossero le categorie di soggetti che
dovevano essere considerati suoi cittadini ai sensi del diritto comunitario,
tale frase riguarda il campo di applicazione delle disposizioni del Trattato CE
che fanno riferimento al concetto di «cittadino», come quelle relative alla
libera circolazione delle persone, oggetto della causa principale all’origine
di tale sentenza, e non l’insieme delle disposizioni del Trattato, come
sostiene il Regno di Spagna.
76 Quanto
all’art. 19, n. 2, CE, anch’esso invocato dal Regno di Spagna a
sostegno della sua tesi secondo la quale esisterebbe un legame tra cittadinanza
dell’Unione e diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo,
esso si limita, come è stato ricordato al punto 66 della presente
sentenza, ad enunciare una regola di parità di trattamento fra cittadini
dell’Unione residenti in uno Stato membro per quanto riguarda tale diritto di
elettorato attivo e passivo. Se è vero che questa disposizione, come anche
l’art. 19, n. 1, CE, relativo al diritto di elettorato attivo e
passivo dei cittadini dell’Unione nelle elezioni comunali, prevede che i
cittadini di uno Stato membro godono del diritto di elettorato attivo e passivo
nel proprio paese ed impone agli Stati membri di riconoscere tali diritti ai
cittadini dell’Unione che risiedono sul loro territorio, non se ne può tuttavia
dedurre che uno Stato membro il quale si trovi in una situazione come quella
del Regno Unito non possa concedere il diritto di elettorato attivo e passivo a
determinate persone aventi con esso uno stretto legame, pur non possedendo la
cittadinanza di questo o di un altro Stato membro.
77 Inoltre,
poiché il numero dei rappresentanti eletti in ciascuno Stato membro è
determinato dall’art. 190, n. 2, CE e, allo stato attuale del diritto
comunitario, le elezioni del Parlamento europeo sono organizzate in ciascuno
Stato membro per i rappresentanti eletti in detto Stato, un’estensione, da
parte di uno Stato membro, del diritto di voto in tali elezioni a persone che
non sono né suoi cittadini né cittadini dell’Unione residenti sul suo
territorio influenza soltanto la scelta dei rappresentanti eletti in tale Stato
membro, e non incide né sulla scelta né sul numero dei rappresentanti eletti
negli altri Stati membri.
78 Risulta
da tutte queste considerazioni che, allo stato attuale del diritto comunitario,
la determinazione dei titolari del diritto di elettorato attivo e passivo per
le elezioni del Parlamento europeo rientra nella competenza di ciascuno Stato
membro, nel rispetto del diritto comunitario, e che gli artt. 189 CE,
190 CE, 17 CE e 19 CE non si oppongono a che gli Stati membri
concedano tale diritto di elettorato attivo e passivo a determinate persone che
possiedono stretti legami con essi, pur non essendo loro cittadini o cittadini
dell’Unione residenti sul loro territorio.
79 Per
ragioni legate alla sua tradizione costituzionale, il Regno Unito ha scelto di
concedere il diritto di elettorato attivo e passivo ai QCC in possesso di
condizioni che indichino un legame specifico con il territorio per il quale le
elezioni sono organizzate. In mancanza, nei trattati comunitari, di
disposizioni che indichino in modo esplicito e preciso chi siano i beneficiari
del diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo, non
sembra che sia contraria al diritto comunitario la scelta del Regno Unito di
applicare alle elezioni per tale Parlamento organizzate a Gibilterra le
condizioni di voto attivo e passivo previste dalla sua normativa nazionale sia
per le elezioni nazionali nel Regno Unito che per le elezioni dell’assemblea
legislativa di Gibilterra.
80 Per
tutte queste ragioni, si deve constatare che il Regno di Spagna non ha
dimostrato la violazione, da parte del Regno Unito, degli
artt. 189 CE, 190 CE, 17 CE e 19 CE con l’adozione
dell’EPRA 2003, che prevede, per quanto riguarda Gibilterra, che taluni QCC
residenti sul suo territorio, i quali non sono cittadini comunitari, abbiano il
diritto di elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo. Il primo
motivo è pertanto infondato.
Sul secondo motivo, in cui si lamenta una
violazione dell’atto del 1976 e degli impegni assunti dal governo del Regno
Unito nella sua dichiarazione del 18 febbraio 2002
81 Il
Regno di Spagna sostiene che, non limitandosi, con l’EPRA
82 Il
Regno di Spagna ricorda lo statuto di Gibilterra come definito dall’art. X
del Trattato di Utrecht e, in particolare, il diritto di prelazione
riconosciuto al Regno di Spagna dall’ultima frase di tale articolo. Esso
precisa che, nel 1830, il Regno Unito ha elevato Gibilterra al rango di colonia
della Corona (Crown colony) e che, al momento della
creazione delle Nazioni Unite, nel 1946, Gibilterra è stata registrata come
«territorio non autonomo» ai sensi del capitolo XI della Carta delle Nazioni
Unite. Il Regno di Spagna ricorda inoltre i negoziati in corso tra esso e il
Regno Unito a proposito della decolonizzazione di Gibilterra.
83 Conformemente
alla risoluzione 24 ottobre 1970, n. 2625 (XXV) adottata
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il territorio di una colonia
dovrebbe possedere uno status separato e distinto da quello del territorio
dello Stato che lo amministra. L’allegato I all’atto del 1976 sarebbe
un’applicazione di tale principio. Secondo il Regno di Spagna, l’EPRA 2003
violerebbe lo status internazionale
di Gibilterra e l’allegato I all’atto del 1976, nella parte contenente una
disciplina relativa al territorio di Gibilterra. Come ha sostenuto all’udienza
il rappresentante del Regno di Spagna, quella di Gibilterra sarebbe una
situazione coloniale, ed il riconoscimento di un territorio elettorale distinto
sarebbe un passo verso l’indipendenza contrario alle
regole internazionali che disciplinano tale colonia.
84 Secondo
il Regno di Spagna, mentre l’art. 9 dell’EPRA 2003 non è necessariamente
contrario all’allegato I all’atto del 1976 nella parte in cui prevede
l’inquadramento di Gibilterra in una circoscrizione elettorale dell’Inghilterra
o del Galles, tale non è il caso di altre disposizioni della stessa norma, che
si riferiscono soltanto a Gibilterra. Così, l’art. 14 prevedrebbe la
tenuta di un registro degli elettori a Gibilterra, a cura del cancelliere
dell’assemblea legislativa di Gibilterra, e non di un agente della Corona
britannica. Allo stesso modo, il diritto di essere iscritti nel registro di
Gibilterra sarebbe definito facendo riferimento al territorio di Gibilterra, e
il diritto di voto sarebbe previsto a Gibilterra. I giudici di Gibilterra
sarebbero competenti per risolvere le controversie in materia elettorale.
Infine, l’art. 28, n. 2, dell’EPRA 2003 definirebbe il proprio ambito
di applicazione territoriale come costituito dal Regno Unito e da Gibilterra.
Sarebbe dunque effettuata un’applicazione territoriale delle disposizioni
relative alle elezioni del Parlamento europeo, mentre Gibilterra sarebbe
esclusa dall’atto del 1976.
85 Per
quanto riguarda il contrasto dell’EPRA 2003 con l’allegato I all’atto del 1976,
il Regno di Spagna ritiene che il Regno Unito abbia violato la sua stessa dichiarazione
del 18 febbraio 2002, dichiarazione unilaterale che ha creato un vincolo di
diritto internazionale in capo a tale Stato membro nei confronti del Regno di
Spagna, nella quale esso si impegnava, al fine di conformarsi alla citata
sentenza Matthews c. Regno Unito, ad apportare le
necessarie modifiche per consentire agli elettori di Gibilterra di votare nelle
elezioni per il Parlamento europeo nell’ambito di una circoscrizione elettorale
del Regno Unito, in conformità al diritto comunitario. Secondo il Regno di
Spagna, sarebbe stato sufficiente che il Regno Unito inquadrasse gli elettori
di Gibilterra in una circoscrizione elettorale del Regno Unito, senza fare
riferimento al territorio di Gibilterra.
86 Il
Regno Unito, sostenuto dalla Commissione, ricorda la necessità di interpretare
l’allegato I all’atto del 1976, nei limiti del possibile, alla luce ed in
conformità ai diritti fondamentali, in particolare quello di partecipare ad
elezioni, riconosciuto dall’art. 3 del protocollo n. 1 della CEDU,
come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella citata
sentenza Matthews c. Regno Unito. Per dare attuazione
all’obbligo ad esso incombente in forza della CEDU, come interpretato in
tale sentenza, e tenuto conto del rifiuto espresso dal Regno di Spagna nei
confronti della soppressione dell’allegato I all’atto del 1976, il Regno Unito
si era impegnato, con la sua dichiarazione del 18 febbraio
87 Il
Regno Unito ritiene di non avere violato il proprio impegno. Gibilterra è stata
inquadrata nella circoscrizione elettorale Sud Ovest dell’Inghilterra, in
conformità ad una raccomandazione della commissione elettorale, in seguito ad
una consultazione pubblica. Le condizioni necessarie per essere elettori sono
le medesime previste dalla legge elettorale del Regno Unito, vale a dire la
cittadinanza, la residenza e l’iscrizione nel registro elettorale. Tali
condizioni sono state semplicemente adattate, mutatis
mutandis, agli elettori di Gibilterra.
88 Secondo
il Regno Unito, la tecnica utilizzata, la quale fa riferimento al territorio di
Gibilterra in particolare per ciò che riguarda il luogo di residenza
dell’elettore, è tipica del sistema elettorale britannico, e non comporta che
Gibilterra sia considerata parte del Regno Unito. Per quanto riguarda le
operazioni elettorali e la tenuta del registro elettorale, il Regno Unito
osserva che la loro localizzazione a Gibilterra consente agli elettori di
Gibilterra di esercitare i propri diritti nelle medesime condizioni previste
per gli altri elettori della circoscrizione Sud Ovest dell’Inghilterra, vale a
dire nei pressi del loro luogo di residenza.
89 La
Commissione sostiene infine che il margine di discrezionalità lasciato alle
autorità di Gibilterra è ridotto, e che l’EPRA 2003 prevede una serie di
garanzie che assicurano un sufficiente controllo da parte delle autorità
britanniche.
Giudizio della Corte
90 Come
è stato ricordato al punto 60 della presente sentenza, il Regno Unito ha
adottato la normativa contestata dal Regno di Spagna per conformarsi alla
citata sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Matthews
c. Regno Unito. Il Regno di Spagna non contesta, in proposito, che il Regno
Unito fosse tenuto a rispettare tale obbligo, nonostante la vigenza
dell’allegato I all’atto del 1976. Inoltre, come è stato osservato al
punto 62 della presente sentenza, il Regno di Spagna non nega che la
dichiarazione del Regno Unito del 18 febbraio 2002 riflette un accordo concluso
tra tali due Stati membri relativamente alle condizioni alle quali il Regno
Unito doveva conformarsi a tale sentenza. In aggiunta, come risulta dal
punto 13 della presente sentenza, il Consiglio e la Commissione hanno
preso atto di tale dichiarazione.
91 In
tale dichiarazione, il Regno Unito si è impegnato «affinché siano apportate le
modifiche necessarie per consentire agli elettori di Gibilterra di partecipare
alle elezioni del Parlamento europeo nel quadro di una circoscrizione esistente
del Regno Unito e alle stesse condizioni degli altri elettori di tale
circoscrizione».
92 Come
giustamente osservano il Regno Unito e la Commissione, l’espressione «alle
stesse condizioni» non può essere intesa nel senso che la normativa del Regno
Unito si sarebbe dovuta applicare, senza adeguamenti, agli elettori di
Gibilterra, assimilando questi ultimi agli elettori della circoscrizione
elettorale del Regno Unito nella quale essi sarebbero stati inquadrati. Una
simile ipotesi comporterebbe infatti che il diritto di
elettorato attivo e passivo sia definito con riferimento al territorio del
Regno Unito, che gli elettori si rechino nel Regno Unito per consultare il
registro elettorale, che votino nel Regno Unito o per corrispondenza e
sottopongano le controversie in materia elettorale ai giudici del Regno Unito.
93 Al
contrario, è per rispettare l’esigenza delle «stesse condizioni» che il Regno
Unito ha trasposto la propria legislazione a Gibilterra e l’ha adattata, mutatis mutandis, a tale
territorio. In tal modo, un elettore di Gibilterra si trova in una situazione
analoga a quella di un elettore del Regno Unito, e non deve affrontare, a causa
dello status di Gibilterra, difficoltà tali da impedire o scoraggiare
l’esercizio di tale diritto di voto.
94 In
tale contesto, si deve ricordare che, come risulta dal punto 63 della
citata sentenza Matthews c. Regno Unito, gli Stati
contraenti godono di un ampio margine di discrezionalità per sottoporre a
condizioni il diritto di voto. Tali condizioni non possono tuttavia ridurre i
diritti in questione al punto di intaccarli nella loro sostanza e privarli di
effettività. Esse devono perseguire uno scopo legittimo, e i mezzi adoperati
non possono risultare sproporzionati (v. anche sentenze della Corte europea dei
diritti dell’uomo 2 marzo 1987, Mathieu-Mohin e Clerfayt c. Belgio, serie A, n. 113, punto 52, e
19 ottobre 2004, Melnitchenko c. Ucraina, Recueil des arrêts et décisions
2004-X, punto 54).
95 Tenuto conto di questa giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo, e del fatto che tale giudice ha dichiarato contraria
all’art. 3 del protocollo n. 1 della CEDU la mancata organizzazione
di elezioni per il Parlamento europeo a Gibilterra, in quanto essa ha privato
«la ricorrente, in quanto residente a Gibilterra», della possibilità di
esprimere la propria opinione circa la scelta dei membri del Parlamento
europeo, non si può rimproverare al Regno Unito di avere adottato la normativa
necessaria per l’organizzazione di tali elezioni in condizioni equivalenti, mutatis mutandis, a quelle
previste dalla normativa applicabile al Regno Unito.
96 La
trasposizione al territorio di Gibilterra, mutatis mutandis, della normativa del Regno Unito può essere tanto
meno contestata in quanto, come risulta dal punto 59 della citata sentenza
Matthews c. Regno Unito, la Corte europea dei diritti
dell’uomo non ha rilevato, nello status di Gibilterra, alcun elemento che
indichi l’esistenza di esigenze locali di cui sarebbe necessario tener conto,
ai sensi dell’art. 56, n. 3, della CEDU, per l’applicazione di tale Convenzione
ad un territorio del quale uno Stato contraente gestisce le relazioni
internazionali.
97 Per
tutte le ragioni citate, si deve constatare che anche il secondo motivo del
Regno di Spagna è infondato.
Sulle spese
98 Ai
sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il
Regno Unito ne ha fatto domanda, il Regno di Spagna, rimasto soccombente, va
condannato alle spese. Ai sensi del n. 4, primo comma, del medesimo
articolo, la Commissione, intervenuta nella causa, sopporterà le proprie spese.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione)
dichiara e statuisce:
1) Il
ricorso è respinto.
2) Il
Regno di Spagna è condannato alle spese.
3) La
Commissione delle Comunità europee sopporterà le proprie spese.
(Seguono
le firme)