Pasquale Costanzo
La “giurisprudenza Sgarbi” alla ricerca di un punto fermo*
1. Lasciando naturalmente da parte giudizi di altra natura sulle varie
questioni che, con protagonista il deputato Vittorio Sgarbi, hanno dato corpo, nell’arco dell’ultimo
biennio (per controversie ancora pendenti nel momento in cui si scrive, v. le
decisioni nn. 362/1999, 363/1999, 447/1999 e 3/2000), ad una
copiosa giurisprudenza sul tema dell’ampiezza e della portata delle cd. prerogative parlamentari (oltre a quelle appena citate, v.
le decisioni di cui si dĂ conto nel prosieguo, cui adde
ordd. nn. 178/1998, 179/1998, 284/1998, 338/1998, 339/1998, 446/1998, 129/ 1999, 130/1999 e 131/1999) è
difficile non riconoscere come comunque siano state offerte, per questa via,
alla Corte notevoli opportunitĂ di elaborare e affinare una problematica che
resta, com’è noto, tra le più delicate e spinose tra quelle che connotano la
piĂą generale crisi istituzionale (si ricordi esemplificativamente come, alla
riforma in senso attenuativo dell’istituto dell’autorizzazione procedere, sia
stata dedicata la legge costituzionale n. 3 del 1993, mentre il progetto
approvato dalla Commissione
bicamerale per le riforme istituzionali recasse invece
preoccupanti segni in controtendenza soprattutto per l’istituto
dell’irresponsabilità , laddove la menzionata legge costituzionale aveva, se
mai, eliminato i possibili dubbi circa l’irresponsabilità anche in sede
civile).
Pertanto, le sentenze della Corte costituzionale nn. 10, 11 e 56 del 2000
costituiscono solo i più recenti (ma non gli ultimi) episodi dell’articolata
vicenda conflittuale tra il summenzionato parlamentare e i diversi organi
giudiziari della Repubblica, chiamati di volta in volta a valutare perlopiĂą la sottoponibilitĂ a giudizio penale di dichiarazioni di vario
genere del medesimo deputato (fanno eccezione i casi delle ordd.
nn. 177/1998 e 407/1998,
entrambi risolti con la sent. n. 329/1999,
scaturenti da un procedimento civile per risarcimento danni comunque fondato
sull’asserita lesività di un’intervista).
2. Pur non essendo qui possibile né opportuno ripercorrere la complessiva
vicenda, mette però conto egualmente di rammentare come la "giurisprudenza
Sgarbi" abbia innanzi tutto chiaramente fissato la regola per cui non
spetti al singolo parlamentare agire davanti alla Corte in sede di conflitto di
attribuzioni per la tutela della prerogativa della propria irresponsabilitĂ .
Tale esclusione viene fatta discendere logicamente dalla natura dell’immunità parlamentare
prevista dall’art. 68,
1° comma, Cost. quali presidio della libertà e
indipendenza delle Camere rappresentative nel loro complesso e solo in via
riflessa come garanzia della libertĂ di opinione del singolo parlamentare (e
plurimis, in precedenza, v. la sent. n. 265/1997; per
la censura di una prassi attuativa intesa a degradare la prerogativa ad
"una sorta di privilegio personale", v., ancora, da ultimo, sent. n. 56/2000, punto
3 del diritto).
Il meccanismo tuttavia, come sembra voler precisare
la Corte, non lascia completamente "scoperto" e condannato
all’inerzia il singolo parlamentare, sia in assenza, sia successivamente ad una
presa di posizione formale della Camera di appartenenza in ordine alla
sussistenza della prerogativa. Infatti, mentre. nella prima ipotesi, permangono
a disposizione del parlamentare interessato, gli ordinari rimedi endoprocessuali al fine di sollecitare il riesame di una
valutazione a lui sfavorevole espressa incidenter
tantum dall’autorità giudiziaria procedente, nel secondo caso, tale
possibilità , tesa questa volta a far valere l’eventuale deliberazione
parlamentare d’insindacabilità , resta egualmente intatta, indipendentemente
dall’apertura di un contenzioso costituzionale tra parlamento e autoritĂ
giudiziaria al cui il singolo eletto resterebbe, come si è detto, sostanzialmente
e processualmente "estraneo"(v. ancora, ad es., i precitati delle ordd. nn.
177/1998 e 407/1998,
relativi ad impugnative incrociate della Camera dei deputati e del rispetto ai
quali peraltro il singolo eletto rimane parimenti estraneo. Un’estraneità ,
questa (ed ecco un altro dei motivi d’interesse della giurisprudenza in
questione), limitata ai casi di specie e non asserita in via strutturale per il
rimedio conflittuale, essendosi la Corte prudentemente riservata di valutare se
in altre situazioni siano configurabili attribuzioni individuali tutelabili in
tale sede (v. l’ord. n. 177/1998, in
fine).
Per quanto riguarda il piano procedimentale, un
cenno, sia pur rapido, merita il costante riconoscimento a favore dell’autoritĂ
giudiziaria dell’idoneità dell’ordinanza ad introdurre il giudizio per
conflitto, anche se, per vero, può notarsi una certa oscillazione in punto di ratio,
dato che questa appare dapprima sostenuta dall’argomento formale della tipicitĂ
dei provvedimenti del giudice (v. ord. n. 469/1998,
punto, considerato in diritto), in seguito tuttavia emarginato a favore di una
ricognizione piĂą sostanzialista (anche ai fini della valida instaurazione del
contraddittorio: v. sent. n. 58/2000, punto
2 del diritto) del contenuto dell’ordinanza in quanto recante tutte le
caratteristiche di un atto di parte quale appunto tipicamente il ricorso (v.
sentt. nn. 10/2000. punto 3 del diritto; e 56/2000, punto
2 del diritto; si veda peraltro ord. n. 318 del 1999 per un caso
d’inammissibilità per insufficiente prospettazione), mentre la trasmissione
dell’atto stesso alla cancelleria della Corte viene senza difficoltĂ
"assimilata" al deposito prescritto dall’art. 26 delle Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (v. ancora sent. n. 56/2000, punto
2 del diritto).
3. Ma il vero punto di forza della ridetta giurisprudenza può essere
identificato nel consolidamento del potere della Corte di verifica del corretto
esercizio del potere delle Camere di dichiarare l’insindacabilità dei loro
componenti sia sotto il profilo procedimentale, sia sotto quello dell’eccesso
di potere provocato da un’omessa o erronea valutazione dei presupposti indicati
dall’art. 68, 1° comma,
della Costituzione (v. in particolare sent. 329/1999 punto
4.1 del diritto, ma, per il piĂą illustre precedente, v. sent. n. 1150/1988).
In sostanza, la teorizzazione della Corte s’incentra
sulla valorizzazione dell’elemento che l’art. 68 1° comma, Cost. mette inequivocabilmente al centro della prerogativa, ossia
l’inerenza dell’attività del parlamentare allo svolgimento del mandato elettivo
(per precedenti in termini, v., tra le altre, sentt. nn. 375/1997 e 289/1998),
ossia a ciò che la Corte definisce anche come la "sfera della funzione
parlamentare" (v. sent. n. 329/1999, punto
4.1. del diritto), mostrando tuttavia di respingere
ogni meccanico appiattimento di tale sfera su quella, evidentemente piĂą ampia
ma anche dai piĂą incerti contorni, qualificabile genericamente come
"politica" (v. assai incisivamente sent. n. 56/2000, punto
4 del diritto).
Si tratta in ogni caso di un’operazione ermeneutica
di vasta portata e di grande impegno. Di vasta portata in quanto idonea ad
incidere fortemente sulla configurazione stessa del ruolo degli eletti con
importanti riflessi sulla responsabilizzazione dei medesimi a tutto vantaggio
di un incremento della legalitĂ complessiva dei corrispondenti comportamenti;
ma anche di grande impegno dato che, al di lĂ della demarcazione teorica, non
risulta poi così agevole l’individuazione di quanto graviti dentro o fuori
della predetta "sfera della funzione parlamentare".
5. La ricostruzione operata dalla Corte, ispirata evidentemente ad un grande
(e commendevole) rigore non si presenta però scevra di rischi, tra cui quello,
collegato alla necessitĂ che la Corte stessa si addentri ogni volta in
operazioni esegetiche e documentariste, sembra il piĂą rilevante sotto il
profilo del margine di discrezionalitĂ che inevitabilmente contraddistingue
questo genere di operazioni. Rischio peraltro già percepito dalle stesse Camere allorché, come la prassi starebbe a dimostrare, esse
hanno assunto una linea di sostanziale astensione da valutazioni autodisciplinari, affermando quasi sistematicamente (non
senza acritico corporativismo) la sussistenza della garanzia
dell’irresponsabilità (la circostanza è, del resto, all’origine del ruolo
"compensativo" assunto dalla giurisprudenza costituzionale nel
settore).
Ma, a chi si occupa di questo genere di questioni,
non potrebbe sfuggire quella, che, nelle argomentazioni della Corte, potrebbe
rivelarsi una vera e propria "mela avvelenata": si allude al ruolo
incidentalmente commesso ai regolamenti parlamentari (v. ancora sent. n. 11/2000, punto
4 del diritto) nel definire l’ambito di operatività della garanzia. Una
circostanza, questa, che non può non ricordare l’analoga vicenda verificatasi
per l’irresponsabilità dei consiglieri regionali in ordine alla quale la Corte
è dovuta a pervenire a precisare come la garanzia dell’art. 122, 4° comma, Cost.
(peraltro d’identico tenore dopo la recente legge costituzionale n. 1/1999)
copra esclusivamente le funzioni di livello costituzionale (v. sentt. nn. 69/1985 e 70/1985) e non anche quelle conferite da
normative, per così dire, autoprodotte.
6. Conclusivamente, qualche ulteriore considerazione meritano senz’altro
taluni aspetti della giurisprudenza esaminata che particolarmente nelle
decisioni nn. 10, 11 e 56 del 2000
appaiono con particolare evidenza. Aspetti che solo indirettamente impingono nella problematica del processo costituzionale,
riguardando piuttosto il ruolo del giudice ordinario a fronte della
significativa distinzione esplicitata dalla Corte tra funzioni istituzionali
degli eletti e libertà di critica politica dei medesimi parlamentari, così che,
nella valutazione in concreto della natura delle manifestazioni di pensiero per
cui è causa, una volta esclusa, in una maniera o nell’altra (dalla Camera di
appartenenza o dalla Corte) la loro inerenza funzionale, il ruolo del giudice
ordinario risulta determinante.
In altri termini, siffatta esclusione non può e non
deve determinare automatismi incriminatori per fatti ascritti a carico del
parlamentare, dovendosi ancora far luogo, da parte del giudice ordinario, ad un
giudizio di sussumibilitĂ - specie ai fini della
rilevazione del danno ingiusto e della fondatezza della pretesa risarcitoria -
delle dichiarazioni contestate nell’orbita del diritto di critica politica (e,
se sì, in quale misura) per l’ordinario spettante a ciascun cittadino in un
ordinamento democratico ed esercitabile legittimamente (v. sent. n. 56/2000, punto
3 del diritto) anche "nei confronti di atti e comportamenti dei titolari
degli organi giudiziari".
Circostanza, quest’ultima, che, accanto al potere di
valutazione incidentale della sussistenza della prerogativa, rende non solo piĂą
pregnante l’intervento dell’autorità giudiziaria, ma ne mette ancora in
evidenza (mutuando dal costituzionalismo francese un’icastica definizione) la
sua insostituibile funzione di guardiana delle libertĂ dei cittadini,
parlamentari inclusi.
POSTILLA
Successivamente alle decisioni di cui si è tenuto
conto nella nota sovra riportata, la Corte ha deciso la questione che ha
portato alla sentenza
n. 82/2000. In tale pronuncia, la Corte conferma l’essenzialità del ruolo
del collegamento funzionale nell’accezione proposta nella precedente
giurisprudenza (negandone la ricorrenza nel caso di specie), e mettendo
particolarmente in luce il ruolo (che si è sottolineato nella nota che precede)
del giudice procedente nell’accertamento dell’eventuale non punibilità del
parlamentare per altra causa. Ciò che potrebbe sottolineare ulteriormente il
vizio di eccesso di potere di una difesa ad oltranza da parte del Parlamento
dell’insindacabilità parlamentare.