ALBERTO RANDAZZO
BREVI NOTE A
MARGINE DELLA SENTENZA N. 80 DEL 2011
DELLA CORTE COSTITUZIONALE
1. Premessa
Con la sent. n. 80 del
2011, la Corte costituzionale ha avuto modo di esprimersi nuovamente in
merito ai rapporti, delineati a partire dalle c.d. sentenze “gemelle” nel 2007 (nn 348 e 349),
intercorrenti tra CEDU e diritto interno, ora rivisti alla luce dell’entrata in
vigore del Trattato di Lisbona. In questa circostanza, è stata sollevata una
q.l.c. su due leggi [1]
nella parte in cui “non consentono che,
a richiesta di parte, il procedimento in materia di misure di prevenzione si
svolga in udienza pubblica” nei giudizi davanti alla Corte di cassazione, in
violazione dell’art. 6, I co., CEDU e difformemente – come rileva il ricorrente
– da quanto affermato dalla Corte di Strasburgo nella sentenza
13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia [2]. Aldilà della vicenda specifica che, in
questa sede, non si vuole analizzare nel merito, la pronuncia in parola offre
taluni spunti di riflessione per ciò che attiene al modo complessivo di essere
dei rapporti interordinamentali.
2. Il punto di vista
della Corte
Chi sperava che la Consulta
potesse (rectius, volesse) sfruttare
occasioni come questa per dare seguito all’orientamento di tendenziale
apertura, mostrato in occasione della sent. n. 317/2009
[3],
a favore di un sindacato spostato sul terreno sostanziale della tutela dei
diritti, piuttosto che di tipo formale-astratto dei rapporti tra fonti, è
rimasto verosimilmente deluso [4].
Con la decisione in parola la Corte pone in modo marcato l’accento sull’esigenza
di raffrontare le norme in campo al fine di stabilire quale di esse offra la
migliore tutela ai diritti in gioco. Uno spunto in tal senso si può, forse,
cogliere già nella sent. n. 348 del
2007, laddove si accenna al possibile bilanciamento tra beni
costituzionalmente protetti; e, tuttavia, è solo con la decisione del 2009 che,
in modo esplicito, si ammette il possibile abbandono della sistemazione delle
fonti secondo forma (che vede la legge sempre e comunque ripiegare davanti a
contrarie previsioni della CEDU, quale fonte interposta), per il caso che nella
legge stessa si dia una più adeguata salvaguardia ai diritti. Sta di fatto che
nella sent. n.
80, in cui si fa luogo ad un’accurata e puntuale sintesi dell’indirizzo
delineato dalla Corte costituzionale a partire dal 2007, non si riprendono i
passaggi argomentativi maggiormente significativi della sent. n. 317
per ciò che attiene alla ricerca (non già della fonte bensì) della norma
idonea ad offrire la più “intensa” tutela ai diritti sub iudice.
Nella circostanza ora in esame, infatti,
a fronte delle istanze del ricorrente, per il quale lo schema della fonte
interposta delineato nelle sentt. nn. 348 e 349 sarebbe
oggi superato dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Consulta
mostra di non volersi distaccare dall’impostazione adottata negli ultimi anni.
Alla base delle ragioni del remittente vi è la constatazione dell’assimilazione
della CEDU al diritto dell’Unione, ex
art. 6 del Trattato in parola; in tal senso, infatti, la Convenzione potrebbe
godere di automatica applicazione in ambito interno, al pari del diritto
dell’Unione. Queste argomentazioni varrebbero a scardinare – come si è detto –
il meccanismo della fonte interposta, a vantaggio di un nuovo meccanismo volto
ad una maggiore valorizzazione delle fonti esterne in discorso [5].
In questo caso, sollecitata dal
giudice remittente, la Corte ha avuto cura di ribadire che l’art. 11 non dà
“copertura” al sistema CEDU [6];
e ciò, non solo per il fatto che il parametro in parola si riferisce ad ipotesi
in cui si abbiano limitazioni di sovranità (che in questo caso non si
verificherebbero), ma per una serie di altre ragioni che ora si esporranno
brevemente. A tal proposito, però, va rammentato che, secondo una sensibile
dottrina [7],
dall’adesione ad un trattato internazionale (qualunque esso sia) deriverebbe
comunque una limitazione per la sovranità dello Stato [8].
In ogni caso, quand’anche questa tesi appaia eccessiva, ugualmente non sembra
dubbio che possano esservi altri trattati, oltre quelli comunitari prima e
dell’Unione ora, riportabili sotto la “copertura” dell’art. 11, in quanto
serventi i valori della pace e della giustizia fra le Nazioni.
La Corte, comunque, non la pensa
così con riferimento alla CEDU. A tal proposito, per prima cosa, si rileva che
il Consiglio d’Europa e la Corte di Strasburgo appartengono ad una realtà
diversa rispetto a quella dell’Unione Europea. Su tale dichiarazione non sembra
possa obiettarsi nulla [9];
tuttavia, quest’affermazione sembra provare troppo, il diritto dell’Unione non
godendo di una sorta di “esclusiva” da parte dell’art. 11 [10].
Che il diritto dell’Unione, per costante e pacifica giurisprudenza, abbia
copertura nell’art. 11 non significa affatto che quest’ultimo, come tutti i
principi fondamentali, non possa essere esteso a beneficio di altri
ordinamenti, a fronte di un contesto internazionale mutato, fino a fungere da
“ombrello” anche nei riguardi di realtà giuridico-istituzionali diverse
rispetto a quelle individuate fino ad oggi dalla Corte costituzionale; il che
sembra ancora più configurabile specie se si considera che il precetto in
parola non è stato pensato in sede di Assemblea costituente – come tutti sanno
– ai fini per i quali è stato poi piegato dalla Consulta. A ciò, tuttavia, si
potrebbe obiettare che qualora si fosse voluto (o potuto) operare una tale
apertura, la Corte l’avrebbe fatto già da tempo, essendo la CEDU quasi coetanea
della Carta costituzionale; e però non sembra che questo sia un argomento
decisivo. Si è dell’idea, infatti, che l’articolo in parola oggi lo si debba
leggere sotto una luce diversa rispetto al passato, ossia – come appena
accennato – riconducendolo al processo in corso
di integrazione ordinamentale già molto avanzato. Se si condivide l’idea di una
Costituzione-processo [11]
e si ammette – come si dice – la formidabile forza espansiva (spazialmente e
temporalmente) di cui sono dotati i principi fondamentali, è possibile accedere
all’idea di una interpretazione evolutiva del dettato costituzionale, in
particolare proprio delle disposizioni di principio.
Si concorda poi pienamente sul
fatto che il rapporto tra CEDU e diritto interno debba essere disciplinato “da
ciascun ordinamento nazionale”; proprio per questo, forse, la Corte
costituzionale potrebbe a pieno titolo svolgere un ruolo cruciale nel senso
dell’integrazione se riconoscesse, senza che ciò metta a rischio la sovranità
nazionale [12],
maggiore rilievo – specie sul piano applicativo – alle Carte internazionali dei
diritti fondamentali (quale, ma non solo, la CEDU).
Impeccabile è inoltre la
ricostruzione operata dalla Corte, alla luce della modifica dell’art. 6 del
Trattato di Lisbona CEDU e della prevista adesione dell’Unione alla CEDU,
laddove rileva come il sistema di tutela dei diritti fondamentali appaia oggi
più complesso, risultando dalla Carta di Nizza-Strasburgo, la CEDU e i
“principi generali”.
Sugli effetti rilevanti che si
avrebbero con l’adesione dell’Unione alla CEDU non è possibile ora
intrattenersi; d’altra parte, come giustamente osserva la Corte, essa non è
ancora avvenuta, ciò ostacolando la soddisfazione (di gran parte) delle pretese
avanzate dal ricorrente.
La Corte di cassazione, infatti,
facendo leva (impropriamente) sulla c.d. “comunitarizzazione” della CEDU, a
norma dell’art. 6 del Trattato di Lisbona, chiedeva che i precetti
convenzionali trovassero applicazione diretta in virtù dell’art. 11 Cost.,
estendendosi lo stesso meccanismo previsto per il diritto comunitario anche
alla Convenzione. Il giudice delle leggi ha tenuto a ribadire che i due sistemi
(“eurounitario” e convenzionale) non sono equiparabili (come, d’altra parte,
aveva rilevato in passato) ed ha indicato, al tempo stesso, le modalità
attraverso cui opererà tale adesione dell’Unione alla CEDU. In tal senso,
infatti, non di scarso significato sono state le precisazioni della Corte,
laddove ha rilevato l’“impossibilità, nelle materie cui non sia applicabile il
diritto dell’Unione (come nel caso sottoposto a questa Corte), di far derivare
la riferibilità alla CEDU dell’art. 11 Cost.
dalla qualificazione dei diritti fondamentali in essa riconosciuti come
«principi generali» del diritto comunitario (oggi, del diritto dell’Unione)”.
Pertanto, continua la Consulta, “i principi in questione rilevano unicamente in rapporto alle fattispecie
cui il diritto comunitario (oggi, il diritto dell’Unione) è applicabile, e non
anche alle fattispecie regolate dalla sola normativa nazionale” (c.vo aggiunto)
[13].
In altri termini, la CEDU potrebbe trovare applicazione diretta (ex art. 11 Cost.) solo nei casi in cui i
precetti di quest’ultima che vengono in rilievo nel caso concreto riguardino
materie di competenza non prettamente statale, ma rientrino tra le competenze
dell’Unione [14]
e che si dia sostanziale coincidenza tra la CEDU stessa e la Carta di
Nizza-Strasburgo o altra norma dell’Unione. Viene allora da chiedersi come
possa la CEDU vedere la propria forza normativa espandersi e contrarsi, in base
alla coincidenza o meno con le norme dell’Unione e la sua afferenza ad ambiti
materiali di competenza di questa. Questo meccanismo, in altre parole,
comporterebbe un’applicazione diretta della CEDU in alcuni casi e non in altri,
come se si possa individuare una scala di valore tra le disposizioni
convenzionali.
Inoltre, appare evidente che l’utilità di un tale
meccanismo sarebbe ridotta, in quanto trattandosi di casi circoscritti alle
competenze dell’Unione la CEDU vivrebbe di luce riflessa (dalla Carta di
Nizza), non già di forza propria.
Se quindi la linea difensiva basata sulla “comunitarizzazione” della CEDU è sembrata
un’arma spuntata, avendo la Consulta avuto gioco facile nel negare ancora una
volta la copertura dell’art. 11, forse più proficuo sarebbe stato provare a
rinvenire la “copertura” della Convenzione in altre norme della Carta
costituzionale (è ovvio che in forza del principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato la Corte non avrebbe comunque potuto/dovuto evocare altri
precetti della Costituzione [15]).
Non ci si vuole, adesso, inoltrare in un esame ragionato delle disposizioni
costituzionali che potrebbero a buon diritto essere evocate in campo, tuttavia
si è convinti che sia arduo negare alle Carte internazionali dei diritti (fra
cui la CEDU) qualunque copertura
costituzionale [16]
che possa essere in grado di attribuire loro una capacità di vincolo maggiore
rispetto a quella fino ad oggi riconosciuta, per quanto la Corte si sia
mostrata – com’è noto – di diverso avviso.
Alla luce delle argomentazioni svolte dalla Corte,
pertanto, quest’ultima non ha potuto che negare al giudice la possibilità di
applicare automaticamente la Convenzione europea, disapplicando (o “non
applicando”) la normativa interna, non mostrando alcun tentennamento rispetto a
quanto già affermato negli anni scorsi.
3. Qualche
riflessione di carattere generale sull’operato della Corte e sulle motivazioni
che possono essere alla base della sua decisione
Leggendo la sentenza si ha
l’impressione di una certa prudenza tenuta dalla Corte, quanto meno rispetto
alle promettenti aperture della sent. n. 317;
una prudenza, peraltro, presto abbandonata con la sent. n. 113 del
2011, con la quale la Corte ha spianato la via all’ingresso, in modo
apparentemente incondizionato, delle pronunzie della Corte EDU nel nostro
ordinamento. Una linea ispirata a cautela e, forse, mossa dalla preoccupazione
che, facendosi luogo alla comparazione tra CEDU e Costituzione in vista del
rinvenimento della norma che dia la miglior tutela, la stessa Costituzione
possa apparire meno attrezzata allo scopo rispetto alla fonte convenzionale.
In generale, sembra che, più che
problemi di carattere teorico, dietro i quali comunque la Consulta si ripara,
vi siano perplessità di natura pratica, oltre che di diffidenza (almeno questa
è l’impressione che istintivamente si ha dalla lettura delle pronunce costituzionali)
verso il sistema CEDU e la sua Corte [17].
Se quelli esposti, con molta probabilità, sono
i motivi che fino ad oggi hanno mosso la Corte, tuttavia sembra che una
maggiore apertura verso l’esterno non lederebbe la forza della Costituzione ed
anzi potrebbe al contrario rivitalizzarne taluni valori che in tal modo
godrebbero sia di un surplus di
tutela che di maggiore attuazione; a beneficiarne sarebbe, in primis, proprio la vocazione internazionalistica che è essa
stessa valore fondante della Carta [18].
In tal senso, quindi, sembra che
l’occasione di mettere mano in maniera “evolutiva” alla ri-definizione dei
rapporti tra ordinamenti non solo non sia stata (volutamente) colta da parte
della Corte, ma sia stata anche (inconsapevolmente) persa dalle parti rimettenti,
che avrebbero forse potuto orientare le proprie istanze verso direzioni più
agevolmente percorribili.
Le conclusioni che si possono
trarre dall’analisi della sentenza portano a dire che la Corte sembra volersi
attestare sulla posizione assunta nel 2007, tralasciando (almeno, in
apparenza) le aperture manifestate nel
2009 (specie nella sent. n. 317) verso
un nuovo modo di intendere i rapporti tra ordinamenti. Non sembra si possa essere
totalmente d’accordo con quella dottrina [19]
che è dell’avviso che la Corte avrebbe denunziato qualche incertezza in merito,
l’atteggiamento tenuto sembrando invece essere fermo e convinto; l’impressione
che si ha, però, è che, trattando della questione in esame, si sia approfittato
di talune incertezze (queste sì) dei ricorrenti (ad es., con riferimento alla
non ancora avvenuta adesione dell’Unione alla CEDU) per tirare fuori dal
cilindro tutti gli argomenti utili che potessero ancora una volta suffragare
l’impostazione messa in piedi qualche anno addietro.
Una pronunzia che, in definitiva, non agevola
l’integrazione tra ordinamenti [20],
malgrado la consapevolezza diffusa che, a fronte di maggiori limitazioni di
sovranità, potrebbe aversi una tutela ancora più estesa dei diritti
fondamentali. È tuttavia pure vero che, ponendo sullo stesso piano le Carte
internazionali dei diritti (CEDU inclusa) e la Carta costituzionale, nella
ricerca del massimo standard di
salvaguardia di un diritto (la c.d. “tutela più intensa”), non è affatto detto
che la fonte esterna abbia sempre, per sistema, la meglio su quella interna,
l’esito delle operazioni di bilanciamento non essendo scontato in un senso o
nell’altro e piuttosto variando in ragione dei casi [21].
[1] Oggetto
della questione erano l’art. 4 della
legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle
persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) e l’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575
(Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche
straniere).
[2] Discorso a
parte meriterebbe la questione relativa al rilievo riconoscibile in ambito
interno alla giurisprudenza di Strasburgo (deve comunque osservarsi che in
materia sono individuabili decisioni di segno opposto che il giudice delle
leggi si premura di indicare nella pronuncia qui annotata).
[3] Tra gli
altri, si veda quanto affermano A. Ruggeri,
Conferme e novità di fine anno in tema di
rapporti tra diritto interno e CEDU, e O. Pollicino,
Margine di apprezzamento, art. 10, c. 1,
Cost. e bilanciamento “bidirezionale”: evoluzione o svolta nei rapporti tra
diritto interno e diritto convenzionale nelle due decisioni nn. 311 e 317 del
2009 della Corte costituzionale?, entrambi su www.forumcostituzionale.it.
[4] A tal
proposito, non si può fare a meno di notare che, ad avviso di G. Silvestri, I rapporti tra diritto interno e diritto internazionale: l’efficacia
della CEDU nell’ordinamento giuridico italiano, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari. Quad. n. 20.
Seminario 2009, Torino, 2010, 73, differenziare un profilo formale da uno
sostanziale nella “ricostruzione delle fonti” possa suscitare “serie
perplessità”, l’uno e l’altro integrandosi e risultando inscindibilmente
connessi.
[5] Si veda,
sul punto, la dichiarazione congiunta dei Presidenti Costa e Skouris
(rispettivamente della Corte di Strasburgo e di quella Lussemburgo)
consultabile su https://www.echr.coe.int/NR/rdonlyres/02164A4C-0B63-44C3-80C7-FC594EE16297/0/2011Communication_CEDHCJUE_EN.pdf.
[6] ... come
di recente ha avuto modo di ribadire G. Silvestri,
I rapporti tra diritto interno e diritto
internazionale, cit., 67 ss., chiarendo il pensiero della Corte.
[7] C. Zanghì, La Corte costituzionale risolve un primo contrasto con la Corte
europea dei diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Costituzione: le
sentenze n. 348 e 349 del 2007, in www.forumcostituzionale.it., 5 s. del paper; A. Rauti, La “cerchia dei
custodi” delle “Carte” nelle sentenze costituzionali nn. 348-349 del 2007:
considerazioni problematiche, in AA.VV., Riflessioni sulle sentenze 348-349/2007 della Corte costituzionale,
a cura di C. Salazar e A. Spadaro, Milano, 2009, 293, rileva che il
riconoscimento della funzione interpretativa della Corte di Strasburgo comporta
per il legislatore un vincolo “negativo
(di osservanza) e positivo (di
attuazione)”, il che può considerarsi una “limitazione di sovranità”.
[8] Non della
stessa idea si dichiara G. Silvestri,
I rapporti tra diritto interno e diritto
internazionale, cit., 68.
[9] Il fatto
che si tratti di realtà istituzionali diverse, infatti, non porta ad escludere
che quello CEDU sia un sistema comunque riconducibile – come si dirà –
all’alveo di disciplina dell’art. 11 Cost., secondo quanto peraltro già
rilevato da parte della dottrina. In
ogni caso, si è dell’idea che un eventuale riconoscimento della copertura
costituzionale suddetta potrebbe poggiare con maggior profitto su altri
percorsi teorico-argomentativi, specie se si ammette che il sistema CEDU si
applica ad una realtà istituzionale (nel senso romaniano del termine), qual è
il Consiglio d’Europa, che potrebbe considerarsi beneficiario dunque di quelle
limitazioni di sovranità di cui è parola nell’art. 11 Cost. (seppure, come si è
detto, si ha contezza delle differenze che intercorrono tra la suddetta realtà
e quella rappresentata dall’ordinamento eurounitario). Il punto è messo in
evidenza da A. Ruggeri, già nel
suo primo commento alle sentenze “gemelle” del 2007 e, ora, nel suo La Corte fa il punto sul rilievo interno
della CEDU e della Carta di Nizza-Strasburgo (a prima lettura di Corte cost. n.
80 del 2011), in www.forumcostituzionale.it
(23 marzo 2011), par. 3.
[10] Dello
stesso avviso A. Ruggeri, op. ult. cit., par. 3.
[11] A. Spadaro, Dalla Costituzione come “atto” (puntuale nel tempo) alla Costituzione
come “processo” (storico). Ovvero della continua evoluzione del parametro costituzionale attraverso i
giudizi di costituzionalità, in Quad.
cost. 3/1998, 343 ss.
[12] ... che pure si deve essere disposti a vedere
limitata in nome di valori fondamentali, quali la pace e la giustizia fra le
Nazioni.
[13] Tali
considerazioni sono ovviamente valevoli anche per la Carta dei diritti
fondamentali di Nizza-Strasburgo, seppure si possa discutere circa
l’opportunità che quest’ultima non svolga alcuna funzione di protezione dei
diritti “oltre le competenze dell’Unione europea” (principio, quest’ultimo,
fatto proprio dalla Corte di giustizia).
[14] Questa
ipotesi è prevista espressamente da A. Ruggeri,
Applicazioni e disapplicazioni dirette
della CEDU (lineamenti di un modello internamente composito), in www.forumcostituzionale.it (28
febbraio 2011), par. 4.
[15] A tal
proposito, si è osservato (G. Silvestri,
I rapporti tra diritto interno e diritto
internazionale, cit., 70), che il parametro dell’art. 2 Cost. “la Corte non
poteva tirarlo in ballo”, in quanto non evocato (il riferimento è alla q.l.c.
relativa alla sent. n. 348/07); questa opportuna osservazione se, da un lato,
spiega il tipo di risposta fornita dalla Corte, dall’altro sembra non escludere
la pertinenza del principio costituzionale richiamato. A tal proposito, va,
però, rilevato che non poche volte la Consulta ha operato un’estensione del
parametro invocato dalle parti (un esempio in tal senso è dato dalla sent. n. 120/67,
laddove la Corte estende il riferimento fatto al solo art. 3 altresì agli artt.
2 e 10 Cost.
[16] ...
copertura che si avrebbe comunque a
talune condizioni ed entro certi limiti.
[17] A tal
proposito, si è dell’idea che la recente sent. n. 113 del
2011, che ha ritenuto ammissibile la revisione del processo (previa apposita
modifica del codice di procedura penale) nel caso di contrasto tra il giudicato
della Corte EDU e quello interno, possa solo in parte smentire l’atteggiamento
di estrema prudenza che la Consulta continua a manifestare nei confronti del
giudice sovranazionale. A fronte di una minima apertura e disponibilità al
dialogo della nostra Corte verso l’altra, rimane tangibile la ritrosia a
concedere spazi maggiori alla CEDU, come dalla stessa pronuncia ora richiamata
si evince.
[18] L. Andretto, Principio costituzionale di apertura internazionale e giudizio di
bilanciamento fra principi fondamentali, in AA.VV., Corti costituzionali e Corti europee dopo il Trattato di Lisbona, a
cura di M. Pedrazza Gorlero, Napoli, 2010, 173 ss.
[19] Ancora A. Ruggeri, nella nota a Corte cost. n. 80
del 2011 più volte cit., par. 1.
[20] Ben
diverso, invece, l’indirizzo manifestato dalla già cit. sent. n. 113 del
2011.
[21] D’altra
parte, lo stesso G. Silvestri, I rapporti tra diritto interno e diritto
internazionale, cit., 71, rileva che le norme CEDU, “superato l’esame” di
costituzionalità, “acquistano un rango costituzionale e di conseguenza si bilanciano
con le altre”. Proprio tale ricostruzione – che certamente appare condivisibile
– induce (ed autorizza) a ritenere che le norme CEDU, una volta rilevatane la
conformità alla Carta costituzionale e quindi la idoneità ad integrare il
parametro, “riprendono dalla norma costituzionale la forza della Costituzione”; in tal senso, quindi, i
precetti convenzionali devono necessariamente porsi su un piano di perfetta
parità rispetto a quelli della fonte suprema del nostro ordinamento, la
prevalenza degli uni sugli altri dovendo misurarsi di volta in volta sul piano
della migliore/maggiore salvaguardia dei valori in campo.
Infine, ad ulteriore sostegno di quanto ora si sta tentando
di dire, l’illustre A., in un altro passaggio, rileva che “è necessario il bilanciamento
del parametro interposto, che, essendo diventato una norma costituzionale come
tutte le altre, non può pretendere di realizzare la ‘tirannia dei valori’ nei
confronti degli altri”; se tale affermazione appare assolutamente ragionevole,
sembra “vero” anche il suo “contrario”. Ciò che si intende dire è che, se le
norme convenzionali non possono (rectius,
non devono) comportarsi in modo tirannico nei confronti dei precetti
costituzionali, vale però anche la “reciproca”, non potendo neanche questi ultimi
esercitare una qualche forma di tirannia nei confronti delle altre (che le
Carte e le Corti stiano tutte su un piano di parità e che, dunque, siano
chiamate ad una salutare competizione, in vista della tutela più adeguata ai
diritti, è rilevato da A. Ruggeri
in più scritti: di recente in Rapporti
tra Corte costituzionale e Corti europee, bilanciamenti interordinamentali e
“controlimiti” mobili, a garanzia dei diritti fondamentali, in www.associazionedeicostituzionalisti.it).