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Alberto Randazzo

 

Alla ricerca della tutela più intensa dei diritti fondamentali, attraverso il “dialogo” tra le Corti*

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Questioni di procedura (in particolare, le possibilità operative date al giudice a seguito dell’accertamento della norma che offre la più intensa tutela ai diritti). – 3. Profili di diritto sostanziale, ovverosia come stabilire dov’è la tutela più intensa? – 4. … e se manca una disciplina legislativa? Può farsi luogo all’applicazione diretta di norma convenzionale? – 5. È possibile adattare l’interpretazione della CEDU all’interpretazione della Costituzione?

 

1. Premessa. – Il cammino giurisprudenziale, avviatosi nel 2007 con le pronunce nn. 348 e 349, con cui la Corte costituzionale ha ridefinito i contorni del rapporto tra sistema CEDU e diritto interno, è stato segnato da una significativa tappa nel 2009 con le sentt. nn. 311 e 317[1]. Come opportunamente è stato fatto notare[2], queste ultime decisioni si prestano ad essere analizzate, per alcuni versi, in linea di sostanziale continuità e, per altri, di rottura rispetto a quelle precedenti; per questa ragione pare preferibile una più prudente e “mediana”[3] chiave di lettura, meglio in grado di mettere in luce “conferme” e “novità” rispetto alla pregressa giurisprudenza. Un profilo che si presenta di particolare interesse sembra essere quello “sostanziale” della tutela dei diritti (come si dirà, solo in parte innovativo rispetto al passato), su cui la Corte si sofferma in particolare nella seconda delle due sentenze citate del 2009 (in tema di diritto di difesa del contumace inconsapevole). Rispetto a quanto aveva espresso nelle precedenti pronunce, in questa occasione, infatti, la Consulta ha dedicato maggiore spazio non tanto all’aspetto formale della collocazione della CEDU nell’ordinamento interno, quanto appunto a quello sostanziale[4] della necessità di garantire la maggior tutela possibile, nel raffronto tra CEDU e legge, ai diritti di volta in volta in gioco[5]. È proprio su questo aspetto che si ritiene utile svolgere in questa sede qualche breve considerazione. In particolare, sembra significativa la precisa scelta della Corte di appuntare la propria attenzione sulla misura effettiva di protezione dei diritti; si tratta, dunque, di verificare quali possano essere le ricadute nella pratica giudiziaria di tale pronuncia.

 

2. Questioni di procedura (in particolare, le possibilità operative date al giudice a seguito dell’accertamento della norma che offre la più intensa tutela ai diritti). – Procedendo con ordine, è possibile affrontare la problematica della tutela dei diritti sotto un duplice punto di vista, distinguendo un profilo procedimentale ed uno sostanziale. Per l’uno, si tratta di stabilire l’ordine degli accertamenti che il giudice è chiamato a compiere in presenza di discipline normative (nazionali e sovranazionali) convergenti ovvero confliggenti in relazione al caso; per il secondo, quali operazioni vanno poste in essere al fine del reperimento della norma idonea ad offrire la più adeguata tutela al caso stesso.

Quanto al primo aspetto, il giudice può trovarsi davanti ad un’alternativa a seconda che la legge rilevante per il caso sia o no suscettibile di interpretazione conforme alla CEDU, così come richiesto già dalle sentenze “gemelle” del 2007 e poi confermato nelle pronunce successive[6].

Qualora sia possibile operare l’interpretazione conforme (nel presupposto che la CEDU sia, a sua volta, conforme a Costituzione), il giudice potrebbe ricavare dalla CEDU una tutela più intensa al diritto in gioco di quella che potrebbe aversi non orientando l’interpretazione stessa verso la fonte convenzionale; in questa ipotesi nulla quaestio, dovendosi pertanto applicare la legge in parola così come interpretata in conformità alla Convenzione.

Nel caso in cui, invece, dall’interpretazione della legge conformemente alla CEDU il giudice dovesse trarre una disciplina in grado di offrire una tutela meno intensa rispetto a quella che si avrebbe facendo a meno dell’interpretazione stessa, occorre prendere in considerazione le seguenti due ipotesi: che si tratti di una mera graduazione di tutele tutte astrattamente compatibili col dettato costituzionale[7] ovvero che quella data dalla Convenzione sia meno intensa in quanto non del tutto compatibile col dettato stesso[8]. Nella prima ipotesi, laddove si ritenga che il giudice sia abilitato ad applicare subito la legge discostandosi dalla CEDU, si assisterebbe ad una (sia pur mascherata ma) sostanziale disapplicazione della CEDU stessa. Nella seconda ipotesi, poi, il giudice si troverebbe – a quel che sembra – dinanzi alla non semplice alternativa tra sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla (legge di esecuzione della) CEDU oppure applicare la legge non interpretata in modo conforme alla CEDU stessa e disapplicare subito quest’ultima[9].

Entrambe queste ipotesi, tuttavia, non convincono pienamente. Per la prima, infatti, si dovrebbe ammettere l’obbligatorietà del passaggio dalla Corte al fine di ottenere la caducazione della legge di esecuzione della CEDU o, quanto meno, la dichiarazione della sua inidoneità ad integrare il parametro costituzionale[10], ipotesi astrattamente formulabile ma praticamente remota, come riconosce la stessa giurisprudenza costituzionale (sent. n. 93/2010); per la seconda, invece, ci si distaccherebbe dalle indicazioni fornite dalla Corte a partire dalle sentenze del 2007, e che ormai sembrano costituire patrimonio acquisito, in forza delle quali l’operatore non potrebbe far luogo in alcun caso alla immediata disapplicazione della CEDU. Poiché, però, sembra che al giudice non resti altra possibilità oltre alle due appena dette, si deve concludere nel senso che, per quanto la seconda ipotesi appaia più in linea con una visione integrata degli ordinamenti, l’operatore si troverebbe costretto a percorrere la prima via.

A questo punto, occorre analizzare il caso in cui, invece, l’operatore non sia in grado di far luogo all’interpretazione conforme[11], trattandosi quindi di una legge in contrasto con la CEDU (e perciò in violazione dell’art. 117, I c., Cost.); in tale evenienza, occorre verificare se la tutela più “intensa” sia quella che proviene dalla legge ovvero dalla CEDU, alla luce della Costituzione, che – com’è noto – funge da parametro di riferimento. Allo stesso tempo, l’operatore dovrebbe altresì chiedersi se la migliore protezione degli interessi in gioco sia quella offerta dalla Carta costituzionale ovvero dalla Convenzione[12].

Nel caso che la tutela più intensa dovesse essere quella offerta dalla legge si aprirebbero per il giudice le stesse due possibilità già dietro viste, e cioè sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla (legge di esecuzione della) CEDU ovvero applicare la legge e disapplicare la Convenzione[13]; un’eventualità, quest’ultima, che non parrebbe ammessa dalla giurisprudenza costituzionale che, così come non acconsente alla applicazione diretta della norma esterna[14], allo stesso modo non acconsente – a quanto pare – alla sua immediata disapplicazione.

Nel caso in cui la tutela più intensa dovesse considerarsi quella della CEDU, al giudice non rimarrebbe – almeno sembra – da far altro che sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla legge, restando invece esclusa l’applicazione diretta della Convenzione, malgrado sia stata propugnata da alcuni autori e talora praticata in sede giudiziaria[15]. La giurisprudenza costituzionale è infatti ferma – perlomeno ad oggi – nel precludere questa eventualità.

Vanno, a questo proposito, richiamate due recenti pronunzie dei giudici amministrativi, ampiamente commentate[16], che parrebbero propendere per l’immediata applicazione dei precetti CEDU (il riferimento è a Cons. St. n. 1220 del 2010 e a Tar Lazio, Sez. II-bis, n. 11984 del 2010); invero, l’atteggiamento tenuto dai giudici non è affatto nuovo rispetto al passato, non pochi essendo stati i tentativi, sia prima che dopo le sentenze “gemelle” del 2007, volti ad estendere il trattamento riservato al diritto comunitario anche al diritto convenzionale[17], quasi a volersi concedere “una maggiore ‘libertà di manovra’ in un’area nevralgica come quella dei diritti fondamentali”[18].

 

3. Profili di diritto sostanziale, ovverosia come stabilire dov’è la tutela più intensa? – Già nella sent. n. 348/07, come osserva O. Pollicino[19], la Consulta aveva invero avuto modo di rilevare che una norma della CEDU potesse offrire una miglior tutela ai diritti fondamentali rispetto a quella fornita da una norma costituzionale, ma è nella sentenza di due anni più tardi che la Corte getta le basi per una complessiva riconsiderazione dei rapporti tra le norme relative ai diritti, dandone un inquadramento in prospettiva non formale (facendo, cioè, leva sul criterio della tutela più intensa), pur lasciando finora irrisolta una serie di nodi, come quello relativo alle modalità con cui misurare e valutare il parametro dell’“intensità”[20]; ciò che si intende dire è che non è agevole individuare quale sia la fonte (interna o internazionale) in grado di offrire una maggiore tutela all’interesse in gioco.

Anche sotto questo aspetto, infatti, appare chiaro come un ruolo di assoluto rilievo lo giochi l’operatore del diritto (ed in particolare il giudice o la Corte costituzionale) chiamato in causa. Come si evince dalla sentenza n. 317, la Consulta non fornisce puntuali indicazioni da seguire in questi casi[21], lasciando probabilmente ad una futura occasione la possibilità di compiere tali precisazioni e, nell’attesa, implicitamente “delegando” la dottrina a formulare adeguati schemi entro cui ricondurre l’attività della giurisprudenza (ordinaria o costituzionale che sia).

Volendo, allora, provare ad avanzare qualche proposta in merito e rinviando per maggiori approfondimenti ad una successiva riflessione, potrebbe richiedersi al giudice, in prima battuta, di verificare se la soddisfazione del diritto del singolo comporti un costo più elevato per i diritti dei terzi, oppure no. In questo caso, infatti, qualora ne venissero pregiudicati diritti di altri soggetti, occorrerebbe fare una delicata opera di bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti. Va altresì tenuto presente ogni altro bene-valore costituzionalmente protetto[22] (forse, anche dello stesso soggetto), soprattutto dell’intera collettività, non di rado l’interesse privato dovendo confrontarsi con l’interesse pubblico (o, comunque, superindividuale), in vista del conseguimento del punto più alto di sintesi tra i valori in campo.

In fondo, è quanto la stessa Corte sembra voler suggerire con la sentenza n. 317, laddove fa riferimento al “sistema” degli interessi protetti nella ricerca della soluzione che comporta il minor costo per la Costituzione[23]. Non sembra, invece, voler guardare al “sistema” così inteso la giurisprudenza della Corte EDU[24].

Da quanto appena detto, appare chiara la difficoltà insita in operazioni siffatte, essendo rimesso al giudice un compito di “sistematizzazione” di plurimi interessi costituzionalmente protetti.

In ogni caso, ragionando con questa logica, sembra che si passi da una prospettiva verticale di ordinazione delle fonti ad una orizzontale; in questo senso, infatti, il valore delle indicazioni fornite dalla Consulta in merito al posto superlegislativo (ma subcostituzionale) della CEDU nella gerarchia delle fonti sembrerebbe ridimensionato, in quanto la suddetta Convenzione verrebbe posta sullo stesso piano della Carta costituzionale e con quest’ultima idonea a confrontarsi in condizioni di parità, ogni qual volta l’operatore debba individuare la fonte in grado di offrire la migliore tutela all’interesse in gioco[25]. Si ha pertanto l’impressione che, qualora una tale impostazione dovesse avere seguito, si potrebbe rimettere in discussione gran parte dell’impalcatura costruita dalla Corte con le sentenze qui richiamate[26], non rilevando tanto il posto formalmente occupato dalla CEDU, ma la capacità sostanzialmente da essa esplicata nella protezione dei diritti[27]. La giurisprudenza costituzionale del 2009 sembra infatti guardare alla CEDU da una prospettiva assai diversa rispetto a quella adottata dalla Carta di Nizza-Strasburgo, il cui art. 52, c. III, affida alla Convenzione europea il compito di garantire il minimo livello di protezione dei diritti, laddove nell’impostazione adottata dalla pronuncia n. 317 essa invece si pone quale strumento in grado di garantire il massimo livello di tutela[28].

Quanto appena detto appare ancor più attendibile se si considera che le disposizioni costituzionali relative ai diritti richiedono di essere lette ed integrate da quelle contenute nei documenti internazionali che si occupano della protezione degli stessi diritti fondamentali, quest’ultima necessariamente giovandosi delle Carte costituzionali e delle Carte dei diritti quali strumenti privilegiati a disposizione del singolo operatore giuridico. Ciò che si intende dire, insomma, è che l’apertura del nostro ordinamento a quello sovra- e inter-nazionale si presenta quale effettiva attuazione dello stesso dettato costituzionale del quale l’apertura stessa costituisce valore fondante[29]. In questa luce, pertanto, Costituzioni e documenti internazionali, quale la CEDU, si immettono in un circolo virtuoso di tutela dei diritti umani, vicendevolmente arricchendosi di contenuti e significati grazie ad un uso (si spera, sapiente) che Corti e giudici comuni sapranno farne.

 

4. … e se manca una disciplina legislativa? Può farsi luogo all’applicazione diretta di norma convenzionale? – Si può a questo punto prendere in considerazione il caso che manchi una specifica disciplina legislativa e, pertanto, l’operatore si trovi a dover ricercare la tutela più intensa attraverso il confronto diretto ed esclusivo tra CEDU e Costituzione; una tale evenienza si è verificata, anche di recente, in tragiche questioni relative al fine-vita, quali quelle di cui ai casi Welby ed Englaro[30]. In circostanze del genere, il giudice, trovandosi a dover prendere scelte assai complesse, potrebbe individuare la protezione più intensa nel diritto internazionale pattizio, piuttosto che nella Costituzione. Di modo che, anche per questo aspetto, potrebbe assistersi all’applicazione diretta di norma convenzionale idonea ad offrire la più adeguata tutela al diritto. D’altro canto, non si vede perché mai si consideri possibile l’applicazione immediata di norma costituzionale, mentre non lo sarebbe quella di norma convenzionale[31]. È pur vero, poi, che la stessa applicazione di norma costituzionale potrebbe mascherare l’applicazione della norma internazionale che, di fatto, acquisterebbe rilievo per la pratica giuridica, essendo utilizzata in sede d’interpretazione del dettato costituzionale.

Come la stessa giurisprudenza costituzionale ha efficacemente rilevato, in una sua notissima pronunzia (la n. 388 del 1999), Costituzione e Carte dei diritti “si integrano, completandosi reciprocamente nella interpretazione”. È dunque da prendere in conto il caso che proprio la norma convenzionale possa giocare un ruolo di primo piano in sede interpretativa, concorrendo in significativa misura a riempire di contenuti aggiornati il dettato costituzionale.

Quanto da ultimo detto, però, non deve indurre a credere che la migliore protezione di uno o più interessi sia quella che risulta necessariamente dalla “fusione” di precetti contenuti in atti normativi diversi, ben potendo risiedere anche in una sola delle fonti in campo. Ciò dal quale, tuttavia, non si può – a parere di chi scrive – prescindere è, appunto, un’attività interpretativa che tenga in adeguato conto tutti i documenti (di origine interna o esterna che siano) che concorrono (almeno potenzialmente) alla salvaguardia dei diritti; in questo senso, allora, ci si muoverebbe in una prospettiva integrata di tutela, i bilanciamenti che si devono di volta in volta operare non riguardando tanto singole norme quanto sistemi che, caso per caso, devono confrontarsi senza “scarti aprioristici”[32].

In definitiva, l’indicazione che si ricava dal quadro disegnato dalla sent. n. 317 è che il giudice, il cui ruolo – come detto – appare assai rinvigorito[33], si trova sulla sua scrivania una folla di materiali normativi da gestire in modo accorto attraverso un’opera interpretativa di non poco conto e grande delicatezza, volta ad estrarre dai documenti che ha di fronte il massimo livello di tutela, frutto di un processo di integrazione non solo delle Carte, ma anche delle Corti[34].

 Ben si intende, allora, come la logica della separazione tra ordinamenti non sia più particolarmente confacente a quella della tutela più intensa dei diritti, quest’ultima potendosi davvero realizzare da una lettura (e applicazione) integrata delle fonti del diritto in campo e degli ordinamenti cui esse appartengono[35].

 

5. È possibile adattare l’interpretazione della CEDU all’interpretazione della Costituzione? – È da chiedersi, da ultimo, se in siffatta opera di mutuo soccorso che i documenti normativi relativi ai diritti si danno, sia possibile piegare l’interpretazione dell’una fonte a quella dell’altra, in particolare adattando l’interpretazione della CEDU a quella della Costituzione[36]: ipotesi, questa, che sembra invero esclusa (con specifico riferimento alla CEDU) dalla giurisprudenza costituzionale, ad avviso della quale la CEDU può essere intesa nel solo modo con cui la intende e mette in atto la Corte di Strasburgo[37].

La questione è stata in modo specifico di recente molto discussa[38]. Senza riprendere ora neppure i termini essenziali di questo dibattito, due sole osservazioni vanno fatte a questo proposito.

In primo luogo, è da distinguere il caso che su una data norma si abbia un vero e proprio “diritto vivente”, cioè un consolidato indirizzo interpretativo ormai formatosi a Strasburgo, rispetto al caso che esso non si sia ancora radicato[39]. In questa seconda eventualità, sembra che debba riconoscersi un margine di manovra alla Corte e, prima ancora, ai giudici comuni in sede di interpretazione-applicazione della CEDU che invece non sia ha nella prima.

In secondo luogo, viene ancora una volta in rilievo il canone della tutela più intensa. Se grazie all’adattamento interpretativo è possibile offrire una più adeguata tutela al diritto (anzi, come si è detto, all’intero sistema dei diritti), ed allora perché non farvi luogo? Una soluzione, questa, che si fa preferire rispetto all’altra della possibile invalidazione della norma convenzionale.

In conclusione, sembra da preferire l’esito che vede flessibili e mobili i rapporti tra le Carte (e tra le Corti), le stesse tecniche interpretative dovendo essere adottate allo scopo di assicurare la più adeguata, intensa, tutela ai diritti, rifuggendo da sterili irrigidimenti frutto di prospettiva formale-astratta ed ispirati alla logica della separazione degli ordinamenti, come tali inidonei a dare soddisfazione ai diritti, alle loro pretese crescenti, che possono essere appagate in modo adeguato unicamente attraverso lo sforzo congiunto, “integrato”, degli ordinamenti stessi e dei loro garanti, Corti e giudici comuni.

 



* Il presente contributo farà parte degli Atti relativi al Convegno del Gruppo di Pisa su Corte costituzionale e sistema istituzionale, Pisa 4 e 5 giugno 2010, in corso di stampa.

[1] Il quadro giurisprudenziale si è poi arricchito di altre pronunce sostanzialmente riproduttive di quelle appena richiamate; da ultimo, si può ricordare la sent. n. 1/2011.

[2] O. Pollicino, Margine di apprezzamento, art 10, c.1, Cost. e bilanciamento “bidirezionale”: evoluzione o svolta nei rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale nelle due decisioni nn. 311 e 317 del 2009 della Corte costituzionale?, in www.forumcostituzionale.it, par. 1. Annotano la sent. n. 317/2009, tra gli altri, G. Ubertis, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale, in Giur. cost. 6/2009, 4765 ss. e, pure ivi, F. Bilancia, Con l’obiettivo di assicurare l’effettività degli strumenti di garanzia la Corte costituzionale italiana funzionalizza il ‹‹margine di apprezzamento›› statale, di cui alla giurisprudenza CEDU, alla garanzia degli stessi diritti fondamentali, 4772 ss.; D. Butturini, La partecipazione paritaria della Costituzione e della norma sovranazionale all’elaborazione del contenuto indefettibile del diritto fondamentale. Osservazioni a margine di Corte cost. n. 317 del 2009, in Giur. cost. 2/2010, 1816 ss. Si vedano anche le osservazioni relative alla sent. n. 317/09 di E. Lamarque, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte costituzionale italiana, in Corr. giur. 7/2010, 955 ss. (v. spec. 961, in relazione al principio della “massima espansione delle garanzie”).

[3] O. Pollicino, Margine di apprezzamento, cit., par. 1.

[4] … come, tra gli altri, osservano A. Ruggeri, Interpretazione conforme e tutela dei diritti fondamentali, tra internazionalizzazione (ed “europeizzazione”) della Costituzione e costituzionalizzazione del diritto internazionale e del diritto eurounitario, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, par. 5, e D. Butturini, La partecipazione paritaria, cit., spec. 1820.

[5] In argomento, v. ancora O. Pollicino, Margine di apprezzamento, cit., par. 1, e, ora, AA.VV., Corti costituzionali e Corti europee dopo il Trattato di Lisbona, Verona 24 giugno 2010, a cura di M. Pedrazza Gorlero, Napoli 2010, dove sono numerosi riferimenti alla decisione in parola. Il profilo indicato nel testo aveva già fatto capolino nella sent. n. 348/07 ed è stato quindi ripreso anche nella sent. n. 93/2010. Nella sent. n. 196/2010, la Corte ha poi precisato – richiamando la sent. n. 349/2007 – che, in caso di contrasto tra norme nazionali e norme CEDU, ad essa spetti di verificare se le ultime garantiscano una tutela almeno equivalente a quella offerta dal dettato costituzionale.

[6] In questa sede si fa esclusivo riferimento alla CEDU e non anche alle altre Carte dei diritti, le pronunce costituzionali richiamate non estendendo il trattamento riservato alla prima anche alle seconde. Tuttavia, non poche sarebbero le ragioni che spingerebbero ad equiparare lo “statuto” delineato dalla Consulta per la Convenzione europea anche ad altre fonti di diritto internazionale pattizio a tutela dei diritti umani; pur non potendoci soffermare ora sul punto (in mancanza di adeguati riscontri giurisprudenziali), è sufficiente constatare che non minori obblighi internazionali, rispetto a quelli derivanti dalla CEDU, discendono da Carte che potrebbero trovare copertura negli artt. 2, 3, 10 e 11 (oltre che, appunto, 117, I c.) della Costituzione. In merito agli obblighi internazionali derivanti da fonti diverse dalla CEDU, v., tra i molti altri, I. Carlotto, I giudici comuni e gli obblighi internazionali dopo le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale: un’analisi sul seguito giurisprudenziale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, par. 8, ora anche in Pol. dir. 2/2010, 297 ss.

[7] Non è invero certo che una norma della CEDU giudicata idonea ad offrire una tutela meno intensa di quella data dalla Carta costituzionale sia con quest’ultima in tutto compatibile; per quanto l’evenienza del contrasto non possa essere scartata, si è tuttavia dell’idea che l’ipotesi formulata nel testo meriti di essere presa in considerazione. 

[8] Va tuttavia rammentato che la Corte parrebbe escludere un’ipotesi del genere, in quanto, discorrendo di interpretazione conforme a CEDU, dà per scontato che quest’ultima sia compatibile rispetto al dettato costituzionale.

[9] Non vi è chi non veda, però, che se in un caso del genere fosse possibile disapplicare la Convenzione europea dovrebbe, al contrario, essere ammissibile una sua applicazione diretta ( … dalla Corte esclusa) nell’ipotesi in cui la tutela più intensa risiedesse nella CEDU. Ad avviso di I. Carlotto, I giudici comuni e gli obblighi internazionali, cit., 1/2010, 66, nel caso in cui un giudice accerti la conformità di una norma interna alla Costituzione ma il contrasto della stessa norma con la CEDU, potrebbe “ignora[re] il diritto convenzionale”.

[10] In alternativa alla dichiarazione di incostituzionalità della norma convenzionale si è infatti prospettata l’ipotesi che la norma stessa possa essere qualificata come “irrilevante” per il caso, non integrando pertanto il parametro costituzionale (A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit., par. 3 e, dello stesso A., già Corte costituzionale e Corti europee: il modello, le esperienze, le prospettive, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, spec. par. 4).

[11] È l’ipotesi verificatasi nella sent. n. 196/2010 della Corte costituzionale.

[12] Sul punto, v. spec. infra, par. 4.

[13] La seconda soluzione, come si è rammentato, è preferita da I. Carlotto. Si badi, peraltro, che lo scenario in tal caso configurabile appare del tutto uguale a quello che si ha qualora, pur potendosi operare l’interpretazione della legge conforme alla CEDU, quest’ultima dovesse apparire… non conforme rispetto alla Costituzione.

[14] Si è, tuttavia, osservato che possono darsi dei casi in cui l’applicazione diretta delle norme convenzionali parrebbe ammissibile (sul punto, v. A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit., par. 7). 

[16] Da ultimo, tra i tanti, v. quanto rilevano E. Lamarque, Gli effetti delle sentenze, cit., 963 s. e F. Polacchini, Cedu e diritto dell’unione europea, cit., spec. par. 6 b).

[17] Non si dimentichino, tuttavia, le strutturali differenze, dalla stessa Corte più volte evidenziate, esistenti tra il diritto della Unione europea e la CEDU (e il diritto internazionale in genere).

[18] M.C. Villani, La rinnovata battaglia dei giudici comuni a favore della diretta applicabilità della CEDU. Tra presunta “comunitarizzazione” dei vincoli convenzionali e crisi del tradizionale modello di controllo accentrato della costituzionalità, in www.federalismi.it 20/2010, par. 2.

[19] O. Pollicino, Margine di apprezzamento, cit., 5 del paper.

[20] A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit., par. 5. Per D. Butturini, La partecipazione paritaria, cit., 1820, “la soluzione è nel bilanciare i bilanciamenti: cioè nel porre una gerarchia finale nella quale a prevalere sia quello standard di garanzia che non sia peggiorativo delle condizioni di esercizio del diritto fondamentale così come indicate rispettivamente dalla CEDU e dalla Costituzione”.

[21] È pur vero, tuttavia, che ciò non gli era stato chiesto dalle autorità remittenti.

[22] Invita a fermare l’attenzione sul punto, di recente, anche E. Cannizzaro, Il bilanciamento fra diritti fondamentali e l’art. 117, 1° comma, Cost., in Riv. dir. int. 1/2010, 130.

[23] Che si debba guardare all’intero “sistema dei diritti” lo rileva anche A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit., par. 5 e, già, Id., Conferme e novità di fine anno in tema di rapporti tra diritto interno e CEDU (a prima lettura di Corte cost. nn. 311 e 317 del 2009), in www.forumcostituzionale.it, nonché, in versione priva di note, in Quad. cost. 2/2010, 418 ss., spec. 422.

[24] E. Lamarque, Gli effetti delle sentenze, cit., 961 s.

[25] Si veda, quanto afferma A. Ruggeri, Conferme e novità, cit., 421, che peraltro rileva che il confronto volto ad individuare la tutela più intensa non riguarda più solo la legge comune e la CEDU, ma anche la Costituzione.

[26] Quale possa poi essere il costo per la certezza del diritto comportato da questo così come da ogni altro criterio sostanziale è un nodo che non può essere in questa sede sciolto.

[27] Sembra poi che si possa tentare di conciliare il dichiarato carattere “subcostituzionale” della CEDU (la prospettiva formale, quella delle fonti) con la ricerca della norma idonea ad assicurare la più intensa tutela ai diritti (la prospettiva sostanziale, delle norme), se ci si pone nell’ordine di idee secondo cui la seconda può aversi solo dopo che si sia dapprima accertata la idoneità della norma convenzionale ad integrare il parametro costituzionale, in quanto in tutto compatibile con la Carta. Resta comunque il fatto che, rinvenuta la tutela maggiore nella norma convenzionale, per ciò stesso quest’ultima si porrebbe allo stesso livello della Carta costituzionale e, anzi, addirittura ad uno superiore, affermandosi al posto di questa. Se ne ha che la dottrina della fonte interposta può comunque rivelarsi inadeguata, quanto meno con riferimento al caso da ultimo descritto.

[28] D. Butturini, La partecipazione paritaria, cit., 1825.

[29] Sul punto, si veda A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit., par. 5. Non a caso, l’A., osserva (par. 9) che “quanto più si internazionalizza (ed “europeizza”), tanto più la Costituzione si… costituzionalizza; e, ancora, che quanto più il diritto di origine esterna si costituzionalizza, tanto più si… internazionalizza (o “europeizza”).

[30] In merito all’applicazione diretta della Costituzione, v. quanto affermano R. Romboli, L’attività creativa di diritto da parte del giudice, in AA.VV., La Costituzione repubblicana. I principi, le libertà, le buone ragioni, Quad. di Quest. giust., a cura di A. Caputo e L. Pepino, 2009, 195 ss. e R. Bin - G. Pitruzzella, Le fonti del diritto, Torino 2009, 40 ss. e 52 ss. Da ultimo, v. anche F. Mannella, Giudice comune e Costituzione: il problema dell’applicazione diretta del testo costituzionale, in www.federalismi.it 24/2010.

[31] Poco importa, a tal proposito, che l’una è fonte di diritto interno, anzi la massima delle fonti, mentre l’altra è fonte di origine esterna (peraltro, resa efficace con legge nazionale). Importa infatti solo che vi sia una disciplina normativa cui l’operatore possa appigliarsi per offrire tutela ai diritti in gioco.   

[32] A. Ruggeri, Conferme e novità, cit., 422.

[33] R. Conti, CEDU e interpretazione del giudice: gerarchia o dialogo con la Corte di Strasburgo?, in www.federalismi.it 6/2010. L’A. rileva (20 del paper) che spetta “alle autorità nazionali” garantire “sempre più elevati standard di tutela dei diritti fondamentali, individuati attraverso continue ed incessanti operazioni di bilanciamento fra i diritti fondamentali”, la salvaguardia di questi ultimi passando, proprio, “dalla tutela domestica a pena di divenire inefficace”. Del “ruolo cruciale che spetta in materia al giudice comune” parla anche I. Carlotto, I giudici comuni e gli obblighi internazionali, cit., in Pol. dir. 2/2010, 287.

[34] R. Conti, CEDU e interpretazione del giudice, cit., 16 del paper.

[35] In argomento, v. A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit., spec. le notazioni finali, di cui al par. 9; D. Butturini, La partecipazione paritaria, cit., 1824, osserva che nella sent. n. 317, cit., “l’area del diritto fondamentale non è governata da gerarchie formali, perché la scelta sul livello competente è data dai contenuti prodotti dalla migliore integrazione fra gli ordinamenti”. Ad avviso di chi scrive, pertanto, il massimo grado di tutela passa da una compiuta integrazione fra ordinamenti o – se si vuole, ragionando a contrario – è il frutto di un sistema integrato di ordinamenti: tanto più quest’ultimo è avanzato ed effettivo, tanto più sembra realizzabile una protezione dei diritti che sia concreta e la più intensa.

[36] Trattandosi, invece, di altra Carta dei diritti non affidata alla salvaguardia di una Corte allo scopo specificamente istituita (qual è, per la CEDU, la Corte di Strasburgo), l’ipotesi formulata nel testo sembra senz’altro fattibile, fermo comunque restando che ogni documento internazionale richiede di essere interpretato in applicazione dei canoni suoi propri, quali risultano dalla Convenzione di Vienna.

[37] … come dire: “prendere o lasciare”; in argomento, v., da ultimo, anche O. Pollicino, Margine di apprezzamento, cit., 2 del paper, il quale rileva che in alcuni casi la Corte EDU acconsente che ci si possa discostare dalla propria interpretazione, riconoscendo un certo margine di apprezzamento agli Stati. A tal proposito, occorre mettere in luce che un tale orientamento appare oggi mitigato da quanto si legge nella sent. n. 317, nella quale si chiede che l’interpretazione fornita dal giudice interno presti rispetto nella sostanza a quella data a Strasburgo (sul punto, sarebbe comunque necessario un approfondimento che non è possibile svolgere in questa sede).

[38] Riferimenti in A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit., par. 6.

[39] Non assegna rilievo a questa distinzione E. Lamarque, Gli effetti delle sentenze, cit., 957 ss.