Alberto Randazzo
Alla ricerca della
tutela più intensa dei diritti fondamentali, attraverso il “dialogo” tra le Corti*
Sommario:
1. Premessa. – 2. Questioni di procedura (in particolare, le possibilità operative date
al giudice a seguito dell’accertamento della norma che offre la più intensa
tutela ai diritti). – 3. Profili di
diritto sostanziale, ovverosia come stabilire dov’è la tutela più intensa? – 4. … e se manca una disciplina legislativa?
Può farsi luogo all’applicazione diretta di norma convenzionale? – 5. È possibile adattare l’interpretazione
della CEDU all’interpretazione della Costituzione?
1. Premessa. – Il cammino
giurisprudenziale, avviatosi nel 2007 con le pronunce nn.
348 e 349,
con cui la Corte costituzionale ha ridefinito i contorni del rapporto tra
sistema CEDU e diritto interno, è stato segnato da una significativa tappa nel
2009 con le sentt. nn. 311 e 317[1]. Come opportunamente è stato fatto
notare[2],
queste ultime decisioni si prestano ad essere analizzate, per alcuni versi, in linea di sostanziale continuità e, per altri, di rottura rispetto a
quelle precedenti; per questa ragione
pare preferibile una più prudente e “mediana”[3]
chiave di lettura, meglio in grado di mettere in luce “conferme” e “novità”
rispetto alla pregressa giurisprudenza. Un profilo che si presenta di
particolare interesse sembra essere quello “sostanziale” della tutela dei
diritti (come si dirà, solo in parte innovativo rispetto al passato), su cui la
Corte si sofferma in particolare nella seconda delle due sentenze citate del
2009 (in tema di diritto di difesa del contumace inconsapevole). Rispetto a
quanto aveva espresso nelle precedenti pronunce, in questa occasione, infatti,
la Consulta ha dedicato maggiore spazio non tanto all’aspetto formale della collocazione della CEDU
nell’ordinamento interno, quanto appunto a quello sostanziale[4]
della necessità di garantire la maggior tutela possibile, nel raffronto tra
CEDU e legge, ai diritti di volta in volta in gioco[5].
È proprio su questo aspetto che si ritiene utile svolgere in questa sede
qualche breve considerazione. In particolare, sembra significativa la precisa scelta della Corte di
appuntare la propria attenzione sulla misura effettiva di protezione dei
diritti; si tratta, dunque, di
verificare quali possano essere le ricadute nella pratica giudiziaria di
tale pronuncia.
2. Questioni di procedura (in particolare, le
possibilità operative date al giudice a seguito dell’accertamento della norma
che offre la più intensa tutela ai diritti). – Procedendo con ordine, è possibile
affrontare la problematica della tutela dei diritti sotto un duplice punto di
vista, distinguendo un profilo procedimentale
ed uno sostanziale. Per l’uno, si
tratta di stabilire l’ordine degli accertamenti che il giudice è chiamato a
compiere in presenza di discipline normative (nazionali e sovranazionali)
convergenti ovvero confliggenti in relazione al caso;
per il secondo, quali operazioni vanno poste in essere al fine del reperimento
della norma idonea ad offrire la più adeguata tutela al caso stesso.
Quanto
al primo aspetto, il giudice può trovarsi davanti ad un’alternativa a seconda
che la legge rilevante per il caso sia o no suscettibile di interpretazione
conforme alla CEDU, così come richiesto già dalle sentenze “gemelle” del 2007 e
poi confermato nelle pronunce successive[6].
Qualora
sia possibile operare l’interpretazione conforme (nel presupposto che la CEDU
sia, a sua volta, conforme a Costituzione), il giudice potrebbe ricavare dalla
CEDU una tutela più intensa al diritto in gioco di quella che potrebbe aversi
non orientando l’interpretazione stessa verso la fonte convenzionale; in questa
ipotesi nulla quaestio, dovendosi
pertanto applicare la legge in parola così come interpretata in conformità alla
Convenzione.
Nel
caso in cui, invece, dall’interpretazione della legge conformemente alla CEDU
il giudice dovesse trarre una disciplina in grado di offrire una tutela meno
intensa rispetto a quella che si avrebbe facendo a meno dell’interpretazione
stessa, occorre prendere in considerazione le seguenti due ipotesi: che si
tratti di una mera graduazione di tutele tutte astrattamente compatibili col
dettato costituzionale[7]
ovvero che quella data dalla Convenzione sia meno intensa in quanto non del
tutto compatibile col dettato stesso[8].
Nella prima ipotesi, laddove si ritenga che il giudice sia abilitato ad
applicare subito la legge discostandosi dalla CEDU, si assisterebbe ad una (sia
pur mascherata ma) sostanziale disapplicazione della CEDU stessa. Nella seconda ipotesi, poi, il
giudice si troverebbe – a quel che sembra – dinanzi alla non semplice
alternativa tra sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla
(legge di esecuzione della) CEDU oppure applicare la legge non interpretata in
modo conforme alla CEDU stessa e disapplicare subito quest’ultima[9].
Entrambe
queste ipotesi, tuttavia, non convincono pienamente. Per la
prima, infatti, si dovrebbe ammettere l’obbligatorietà del passaggio dalla
Corte al fine di ottenere la caducazione della legge
di esecuzione della CEDU o, quanto meno, la dichiarazione della sua inidoneità
ad integrare il parametro costituzionale[10],
ipotesi astrattamente formulabile ma praticamente remota, come riconosce la
stessa giurisprudenza costituzionale (sent. n. 93/2010);
per la seconda, invece, ci si distaccherebbe dalle indicazioni fornite dalla
Corte a partire dalle sentenze del 2007, e che ormai sembrano costituire
patrimonio acquisito, in forza delle quali l’operatore non potrebbe far luogo
in alcun caso alla immediata disapplicazione della CEDU. Poiché, però, sembra che al giudice non resti altra possibilità
oltre alle due appena dette, si deve concludere nel senso che, per quanto la
seconda ipotesi appaia più in linea con una visione integrata degli
ordinamenti, l’operatore si troverebbe costretto a percorrere la prima via.
A
questo punto, occorre analizzare il caso in cui, invece, l’operatore non sia in
grado di far luogo all’interpretazione conforme[11],
trattandosi quindi di una legge in contrasto con la CEDU (e perciò in
violazione dell’art. 117, I c., Cost.); in tale evenienza, occorre verificare
se la tutela più “intensa” sia quella che proviene dalla legge ovvero dalla
CEDU, alla luce della Costituzione, che – com’è noto – funge da parametro di
riferimento. Allo stesso tempo, l’operatore dovrebbe altresì chiedersi se la
migliore protezione degli interessi in gioco sia quella offerta dalla Carta
costituzionale ovvero dalla Convenzione[12].
Nel
caso che la tutela più intensa dovesse essere quella offerta dalla legge si
aprirebbero per il giudice le stesse due possibilità già dietro viste, e cioè
sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla (legge di
esecuzione della) CEDU ovvero applicare la legge e disapplicare la Convenzione[13];
un’eventualità, quest’ultima, che non parrebbe ammessa dalla giurisprudenza
costituzionale che, così come non acconsente alla applicazione diretta della
norma esterna[14],
allo stesso modo non acconsente – a quanto pare – alla sua immediata
disapplicazione.
Nel
caso in cui la tutela più intensa dovesse considerarsi quella della CEDU, al
giudice non rimarrebbe – almeno sembra – da far altro che sollevare una
questione di legittimità costituzionale sulla legge, restando invece esclusa
l’applicazione diretta della Convenzione, malgrado sia stata propugnata da
alcuni autori e talora praticata in sede giudiziaria[15].
La giurisprudenza costituzionale è infatti ferma – perlomeno ad oggi – nel precludere questa eventualità.
Vanno,
a questo proposito, richiamate due recenti pronunzie dei giudici
amministrativi, ampiamente commentate[16],
che parrebbero propendere per l’immediata applicazione dei precetti CEDU (il
riferimento è a Cons. St. n. 1220 del 2010 e a Tar Lazio, Sez. II-bis, n. 11984 del 2010); invero, l’atteggiamento tenuto
dai giudici non è affatto nuovo rispetto al passato, non pochi essendo stati i
tentativi, sia prima che dopo le sentenze “gemelle” del 2007, volti ad
estendere il trattamento riservato al diritto comunitario anche al diritto
convenzionale[17],
quasi a volersi concedere “una maggiore ‘libertà di manovra’ in un’area nevralgica
come quella dei diritti fondamentali”[18].
3. Profili di diritto sostanziale, ovverosia
come stabilire dov’è la tutela più intensa? – Già nella sent. n. 348/07,
come osserva O. Pollicino[19],
la Consulta aveva invero avuto modo di rilevare che una norma della CEDU
potesse offrire una miglior tutela ai diritti fondamentali rispetto a quella
fornita da una norma costituzionale, ma è nella sentenza di due anni più tardi
che la Corte getta le basi per una complessiva riconsiderazione dei rapporti
tra le norme relative ai diritti, dandone un inquadramento in prospettiva non
formale (facendo, cioè, leva sul criterio della tutela più intensa), pur
lasciando finora irrisolta una serie di nodi, come quello relativo alle
modalità con cui misurare e valutare il parametro dell’“intensità”[20];
ciò che si intende dire è che non è agevole individuare quale sia la fonte
(interna o internazionale) in grado di offrire una maggiore tutela
all’interesse in gioco.
Anche
sotto questo aspetto, infatti, appare chiaro come un ruolo di assoluto rilievo
lo giochi l’operatore del diritto (ed in particolare il giudice o la Corte
costituzionale) chiamato in causa. Come si evince dalla sentenza n. 317,
la Consulta non fornisce puntuali indicazioni da seguire in questi casi[21],
lasciando probabilmente ad una futura occasione la possibilità di compiere tali
precisazioni e, nell’attesa, implicitamente “delegando” la dottrina a formulare
adeguati schemi entro cui ricondurre l’attività della giurisprudenza (ordinaria
o costituzionale che sia).
Volendo,
allora, provare ad avanzare qualche proposta in merito e rinviando per maggiori
approfondimenti ad una successiva riflessione, potrebbe richiedersi al giudice,
in prima battuta, di verificare se la soddisfazione del diritto del singolo
comporti un costo più elevato per i diritti dei terzi, oppure no. In questo
caso, infatti, qualora ne venissero pregiudicati diritti di altri soggetti,
occorrerebbe fare una delicata opera di bilanciamento tra tutti gli interessi
coinvolti. Va altresì tenuto presente ogni altro bene-valore costituzionalmente
protetto[22]
(forse, anche dello stesso soggetto), soprattutto dell’intera collettività, non
di rado l’interesse privato dovendo confrontarsi con l’interesse pubblico (o,
comunque, superindividuale), in vista del conseguimento del punto più alto di
sintesi tra i valori in campo.
In
fondo, è quanto la stessa Corte sembra voler suggerire con la sentenza n. 317,
laddove fa riferimento al “sistema” degli interessi protetti nella ricerca
della soluzione che comporta il minor costo per la Costituzione[23].
Non sembra, invece, voler guardare al “sistema” così inteso la giurisprudenza
della Corte EDU[24].
Da
quanto appena detto, appare chiara la difficoltà insita in operazioni siffatte,
essendo rimesso al giudice un compito di “sistematizzazione” di plurimi
interessi costituzionalmente protetti.
In
ogni caso, ragionando con questa logica, sembra che si passi da una prospettiva
verticale di ordinazione delle fonti ad una orizzontale; in questo senso,
infatti, il valore delle indicazioni fornite dalla Consulta in merito al posto
superlegislativo (ma subcostituzionale) della CEDU
nella gerarchia delle fonti sembrerebbe ridimensionato, in quanto la suddetta
Convenzione verrebbe posta sullo stesso piano della Carta costituzionale e con
quest’ultima idonea a confrontarsi in condizioni di parità, ogni qual volta
l’operatore debba individuare la fonte in grado di offrire la migliore tutela
all’interesse in gioco[25].
Si ha pertanto l’impressione che, qualora una tale impostazione dovesse avere
seguito, si potrebbe rimettere in discussione gran parte dell’impalcatura
costruita dalla Corte con le sentenze qui richiamate[26],
non rilevando tanto il posto formalmente occupato dalla CEDU, ma la capacità
sostanzialmente da essa esplicata nella protezione dei diritti[27].
La giurisprudenza costituzionale del 2009 sembra infatti guardare alla CEDU da
una prospettiva assai diversa rispetto a quella adottata dalla Carta di Nizza-Strasburgo, il cui art. 52, c. III, affida alla
Convenzione europea il compito di garantire il minimo livello di protezione dei diritti, laddove nell’impostazione
adottata dalla pronuncia
n. 317 essa invece si pone quale strumento in grado di garantire il massimo livello di tutela[28].
Quanto
appena detto appare ancor più attendibile se si considera che le disposizioni
costituzionali relative ai diritti richiedono di essere lette ed integrate da
quelle contenute nei documenti internazionali che si occupano della protezione
degli stessi diritti fondamentali, quest’ultima necessariamente giovandosi delle
Carte costituzionali e delle Carte dei diritti quali strumenti privilegiati a
disposizione del singolo operatore giuridico. Ciò che si intende dire, insomma,
è che l’apertura del nostro ordinamento a quello sovra- e inter-nazionale si
presenta quale effettiva attuazione dello stesso dettato costituzionale del
quale l’apertura stessa costituisce valore fondante[29].
In questa luce, pertanto, Costituzioni e documenti internazionali, quale la
CEDU, si immettono in un circolo virtuoso di tutela dei diritti umani,
vicendevolmente arricchendosi di contenuti e significati grazie ad un uso (si
spera, sapiente) che Corti e giudici comuni sapranno farne.
4. … e se manca una disciplina legislativa? Può
farsi luogo all’applicazione diretta di norma convenzionale? – Si può a
questo punto prendere in considerazione il caso che manchi una specifica
disciplina legislativa e, pertanto, l’operatore si trovi a dover ricercare la
tutela più intensa attraverso il confronto diretto ed esclusivo tra CEDU e
Costituzione; una tale evenienza si è verificata, anche di recente, in tragiche
questioni relative al fine-vita, quali quelle di cui ai casi Welby ed Englaro[30].
In circostanze del genere, il giudice, trovandosi a dover prendere scelte assai
complesse, potrebbe individuare la protezione più intensa nel diritto
internazionale pattizio, piuttosto che nella
Costituzione. Di modo che, anche per questo aspetto, potrebbe assistersi
all’applicazione diretta di norma convenzionale idonea ad offrire la più
adeguata tutela al diritto. D’altro canto, non si vede perché mai si consideri
possibile l’applicazione immediata di norma costituzionale, mentre non lo
sarebbe quella di norma convenzionale[31].
È pur vero, poi, che la stessa applicazione di norma costituzionale potrebbe
mascherare l’applicazione della norma internazionale che, di fatto, acquisterebbe rilievo per la pratica giuridica, essendo
utilizzata in sede d’interpretazione del dettato costituzionale.
Come la stessa giurisprudenza costituzionale ha
efficacemente rilevato, in una sua notissima pronunzia (la n. 388 del 1999),
Costituzione e Carte dei diritti “si integrano, completandosi reciprocamente
nella interpretazione”. È dunque da prendere in conto il caso che proprio la
norma convenzionale possa giocare un ruolo di primo piano in sede
interpretativa, concorrendo in significativa misura a riempire di contenuti
aggiornati il dettato costituzionale.
Quanto
da ultimo detto, però, non deve indurre a credere che la migliore protezione di
uno o più interessi sia quella che risulta necessariamente
dalla “fusione” di precetti contenuti in atti normativi diversi, ben potendo
risiedere anche in una sola delle fonti in campo. Ciò dal quale, tuttavia, non
si può – a parere di chi scrive – prescindere è, appunto, un’attività
interpretativa che tenga in adeguato conto tutti
i documenti (di origine interna o esterna che siano) che concorrono (almeno
potenzialmente) alla salvaguardia dei diritti; in questo senso, allora, ci si
muoverebbe in una prospettiva integrata di tutela, i bilanciamenti che si devono
di volta in volta operare non riguardando tanto singole norme quanto sistemi che,
caso per caso, devono confrontarsi senza “scarti aprioristici”[32].
In
definitiva, l’indicazione che si ricava dal quadro disegnato dalla sent. n. 317 è
che il giudice, il cui ruolo – come detto – appare assai rinvigorito[33],
si trova sulla sua scrivania una folla di materiali normativi da gestire in
modo accorto attraverso un’opera interpretativa di non poco conto e grande
delicatezza, volta ad estrarre dai documenti che ha di fronte il massimo
livello di tutela, frutto di un processo di integrazione non solo delle Carte, ma anche delle Corti[34].
Ben si intende, allora, come la logica della
separazione tra ordinamenti non sia più particolarmente confacente a quella
della tutela più intensa dei diritti, quest’ultima potendosi davvero realizzare
da una lettura (e applicazione) integrata
delle fonti del diritto in campo e degli ordinamenti cui esse appartengono[35].
5. È possibile adattare l’interpretazione della
CEDU all’interpretazione della Costituzione? – È da chiedersi, da ultimo,
se in siffatta opera di mutuo soccorso che i documenti normativi relativi ai
diritti si danno, sia possibile piegare l’interpretazione dell’una fonte a
quella dell’altra, in particolare adattando l’interpretazione della CEDU a
quella della Costituzione[36]:
ipotesi, questa, che sembra invero esclusa (con specifico riferimento alla
CEDU) dalla giurisprudenza costituzionale, ad avviso della quale la CEDU può
essere intesa nel solo modo con cui la intende e mette in atto la Corte di
Strasburgo[37].
La
questione è stata in modo specifico di recente molto discussa[38].
Senza riprendere ora neppure i termini essenziali di questo dibattito, due sole
osservazioni vanno fatte a questo proposito.
In
primo luogo, è da distinguere il caso che su una data norma si abbia un vero e
proprio “diritto vivente”, cioè un consolidato indirizzo interpretativo ormai
formatosi a Strasburgo, rispetto al caso che esso non si sia ancora radicato[39].
In questa seconda eventualità, sembra che debba riconoscersi un margine di
manovra alla Corte e, prima ancora, ai giudici comuni in sede di
interpretazione-applicazione della CEDU che invece non sia ha nella prima.
In secondo luogo, viene ancora una volta in
rilievo il canone della tutela più intensa. Se grazie all’adattamento
interpretativo è possibile offrire una più adeguata tutela al diritto (anzi,
come si è detto, all’intero sistema dei
diritti), ed allora perché non farvi luogo? Una soluzione, questa, che si
fa preferire rispetto all’altra della possibile invalidazione della norma
convenzionale.
In
conclusione, sembra da preferire l’esito che vede flessibili e mobili i
rapporti tra le Carte (e tra le Corti), le stesse tecniche interpretative
dovendo essere adottate allo scopo di assicurare la più adeguata, intensa,
tutela ai diritti, rifuggendo da sterili irrigidimenti frutto di prospettiva formale-astratta ed ispirati alla logica della separazione
degli ordinamenti, come tali inidonei a dare soddisfazione ai diritti, alle
loro pretese crescenti, che possono essere appagate in modo adeguato unicamente
attraverso lo sforzo congiunto, “integrato”, degli ordinamenti stessi e dei
loro garanti, Corti e giudici comuni.
* Il presente contributo farà parte degli Atti relativi al Convegno
del Gruppo di Pisa su Corte costituzionale e sistema istituzionale, Pisa
4 e 5 giugno 2010, in corso di stampa.
[1] Il quadro
giurisprudenziale si è poi arricchito di altre pronunce sostanzialmente
riproduttive di quelle appena richiamate; da ultimo, si può ricordare la sent. n. 1/2011.
[2] O. Pollicino, Margine di apprezzamento, art 10, c.1, Cost.
e bilanciamento “bidirezionale”: evoluzione o svolta nei rapporti tra diritto
interno e diritto convenzionale nelle due decisioni nn.
311 e 317 del 2009 della Corte costituzionale?, in www.forumcostituzionale.it,
par. 1. Annotano la sent. n. 317/2009,
tra gli altri, G. Ubertis,
Sistema multilivello dei diritti
fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale, in Giur. cost. 6/2009, 4765 ss. e, pure ivi, F. Bilancia,
Con l’obiettivo di assicurare
l’effettività degli strumenti di garanzia la Corte costituzionale italiana funzionalizza il ‹‹margine di apprezzamento›› statale, di cui alla giurisprudenza CEDU,
alla garanzia degli stessi diritti fondamentali, 4772 ss.; D. Butturini, La partecipazione paritaria della
Costituzione e della norma sovranazionale all’elaborazione del contenuto
indefettibile del diritto fondamentale. Osservazioni a margine di Corte cost.
n. 317 del 2009, in Giur. cost. 2/2010, 1816 ss. Si vedano anche
le osservazioni relative alla sent. n. 317/09 di E.
Lamarque,
Gli effetti delle sentenze della Corte di
Strasburgo secondo la Corte costituzionale italiana, in Corr. giur. 7/2010, 955 ss. (v. spec. 961, in
relazione al principio della “massima espansione delle garanzie”).
[3] O. Pollicino, Margine
di apprezzamento, cit., par.
1.
[4] … come, tra gli altri, osservano A. Ruggeri, Interpretazione conforme e tutela dei diritti fondamentali, tra
internazionalizzazione (ed “europeizzazione”) della Costituzione e costituzionalizzazione del diritto internazionale e del
diritto eurounitario, in www.associazionedeicostituzionalisti.it,
par. 5, e D. Butturini, La partecipazione paritaria, cit., spec. 1820.
[5] In argomento, v. ancora O. Pollicino, Margine
di apprezzamento, cit., par.
1, e, ora, AA.VV., Corti
costituzionali e Corti europee dopo il
Trattato di Lisbona, Verona 24 giugno 2010, a cura di M. Pedrazza Gorlero, Napoli 2010,
dove sono numerosi riferimenti alla decisione in parola. Il profilo indicato
nel testo aveva già fatto capolino nella sent. n. 348/07
ed è stato quindi ripreso anche nella sent. n. 93/2010.
Nella sent. n. 196/2010, la Corte ha poi precisato – richiamando la sent. n. 349/2007
– che, in caso di contrasto tra norme nazionali e norme CEDU, ad essa spetti di
verificare se le ultime garantiscano una tutela almeno equivalente a quella
offerta dal dettato costituzionale.
[6] In questa sede si fa esclusivo
riferimento alla CEDU e non anche alle altre Carte dei diritti, le pronunce
costituzionali richiamate non estendendo il trattamento riservato alla prima
anche alle seconde. Tuttavia, non poche sarebbero le ragioni che spingerebbero
ad equiparare lo “statuto” delineato dalla Consulta per la Convenzione europea
anche ad altre fonti di diritto internazionale pattizio
a tutela dei diritti umani; pur non potendoci soffermare ora sul punto (in
mancanza di adeguati riscontri giurisprudenziali), è sufficiente constatare che
non minori obblighi internazionali, rispetto a quelli derivanti dalla CEDU,
discendono da Carte che potrebbero trovare copertura negli artt. 2, 3, 10 e 11
(oltre che, appunto, 117, I c.) della Costituzione. In merito agli obblighi
internazionali derivanti da fonti diverse dalla CEDU, v., tra i molti altri, I.
Carlotto,
I giudici comuni e gli obblighi
internazionali dopo le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte
costituzionale: un’analisi sul seguito giurisprudenziale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it,
par. 8, ora anche in Pol. dir. 2/2010,
297 ss.
[7] Non è
invero certo che una norma della CEDU giudicata idonea ad offrire una tutela
meno intensa di quella data dalla Carta costituzionale sia con quest’ultima in
tutto compatibile; per quanto l’evenienza del contrasto non possa essere
scartata, si è tuttavia dell’idea che l’ipotesi formulata nel testo meriti di
essere presa in considerazione.
[8] Va tuttavia rammentato che la Corte
parrebbe escludere un’ipotesi del genere, in quanto, discorrendo di
interpretazione conforme a CEDU, dà per scontato che quest’ultima sia
compatibile rispetto al dettato costituzionale.
[9] Non vi è chi non veda, però, che se
in un caso del genere fosse possibile disapplicare la Convenzione europea
dovrebbe, al contrario, essere ammissibile una sua applicazione diretta ( …
dalla Corte esclusa) nell’ipotesi in cui la tutela più intensa risiedesse nella
CEDU. Ad avviso di I. Carlotto,
I giudici comuni e gli obblighi
internazionali, cit., 1/2010, 66, nel caso in cui un giudice accerti la
conformità di una norma interna alla Costituzione ma il contrasto della stessa
norma con la CEDU, potrebbe “ignora[re] il diritto convenzionale”.
[10] In alternativa alla dichiarazione di
incostituzionalità della norma convenzionale si è infatti prospettata l’ipotesi
che la norma stessa possa essere qualificata come “irrilevante” per il caso,
non integrando pertanto il parametro costituzionale (A. Ruggeri, Interpretazione
conforme, cit., par. 3 e, dello stesso A., già Corte costituzionale e Corti europee: il modello, le esperienze, le
prospettive, in www.associazionedeicostituzionalisti.it,
spec. par. 4).
[11] È l’ipotesi verificatasi nella sent. n. 196/2010
della Corte costituzionale.
[12] Sul punto, v. spec. infra, par. 4.
[13] La seconda soluzione, come si è
rammentato, è preferita da I. Carlotto. Si badi,
peraltro, che lo scenario in tal caso configurabile appare del tutto uguale a
quello che si ha qualora, pur potendosi operare l’interpretazione della legge
conforme alla CEDU, quest’ultima dovesse apparire…
non conforme rispetto alla Costituzione.
[14] Si è, tuttavia, osservato che
possono darsi dei casi in cui l’applicazione diretta delle norme convenzionali
parrebbe ammissibile (sul punto, v. A. Ruggeri,
Interpretazione conforme, cit., par.
7).
[15] Riferimenti, da ultimo,
in F. Polacchini, Cedu e diritto
dell’unione europea nei rapporti con l’ordinamento costituzionale interno.
parallelismi e asimmetrie alla luce della più recente giurisprudenza
costituzionale, par. 6 a), in Consulta OnLine.
[16] Da ultimo, tra i tanti, v. quanto
rilevano E. Lamarque,
Gli effetti delle sentenze, cit., 963
s. e F. Polacchini, Cedu e diritto dell’unione europea, cit.,
spec. par. 6 b).
[17] Non si dimentichino, tuttavia, le
strutturali differenze, dalla stessa Corte più volte evidenziate, esistenti tra
il diritto della Unione europea e la CEDU (e il diritto internazionale in
genere).
[18] M.C. Villani,
La rinnovata battaglia dei giudici comuni
a favore della diretta applicabilità della CEDU. Tra presunta “comunitarizzazione” dei vincoli convenzionali e crisi del
tradizionale modello di controllo accentrato della costituzionalità, in www.federalismi.it 20/2010, par. 2.
[19]
O. Pollicino, Margine di
apprezzamento, cit., 5 del paper.
[20] A. Ruggeri,
Interpretazione conforme, cit., par.
5. Per D. Butturini, La partecipazione paritaria, cit., 1820, “la soluzione è nel bilanciare i bilanciamenti: cioè nel
porre una gerarchia finale nella quale a prevalere sia quello standard di
garanzia che non sia peggiorativo delle condizioni di esercizio del diritto
fondamentale così come indicate rispettivamente dalla CEDU e dalla
Costituzione”.
[21] È pur vero, tuttavia, che ciò non
gli era stato chiesto dalle autorità remittenti.
[22] Invita a
fermare l’attenzione sul punto, di recente, anche E. Cannizzaro, Il bilanciamento fra diritti fondamentali e l’art. 117, 1° comma, Cost.,
in Riv. dir. int. 1/2010, 130.
[23] Che si debba guardare all’intero
“sistema dei diritti” lo rileva anche A. Ruggeri,
Interpretazione conforme, cit., par.
5 e, già, Id., Conferme e
novità di fine anno in tema di rapporti tra diritto interno e CEDU (a prima
lettura di Corte cost. nn. 311 e 317 del 2009),
in www.forumcostituzionale.it,
nonché, in versione priva di note, in Quad.
cost. 2/2010, 418 ss., spec. 422.
[24] E. Lamarque,
Gli effetti delle sentenze, cit., 961
s.
[25] Si veda, quanto afferma A. Ruggeri, Conferme e novità, cit., 421, che peraltro rileva che il confronto
volto ad individuare la tutela più intensa non riguarda più solo la legge
comune e la CEDU, ma anche la Costituzione.
[26] Quale possa poi essere il costo per
la certezza del diritto comportato da questo così come da ogni altro criterio
sostanziale è un nodo che non può essere in questa sede sciolto.
[27] Sembra poi
che si possa tentare di conciliare il dichiarato carattere “subcostituzionale”
della CEDU (la prospettiva formale, quella delle fonti) con la ricerca
della norma idonea ad assicurare la più intensa tutela ai diritti (la
prospettiva sostanziale, delle norme), se ci si pone nell’ordine di idee
secondo cui la seconda può aversi solo dopo che si sia dapprima accertata la
idoneità della norma convenzionale ad integrare il parametro costituzionale, in
quanto in tutto compatibile con la Carta. Resta comunque il fatto che,
rinvenuta la tutela maggiore nella norma convenzionale, per ciò stesso quest’ultima
si porrebbe allo stesso livello della Carta costituzionale e, anzi, addirittura
ad uno superiore, affermandosi al posto di questa. Se ne ha che la dottrina
della fonte interposta può comunque rivelarsi inadeguata, quanto meno con
riferimento al caso da ultimo descritto.
[28] D. Butturini,
La partecipazione paritaria, cit.,
1825.
[29] Sul punto, si veda A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit.,
par. 5. Non a caso, l’A., osserva (par. 9) che “quanto più si
internazionalizza (ed “europeizza”), tanto più la Costituzione si… costituzionalizza;
e, ancora, che quanto più il diritto di origine esterna si costituzionalizza,
tanto più si… internazionalizza
(o “europeizza”).
[30] In merito all’applicazione diretta della
Costituzione, v. quanto affermano R. Romboli, L’attività
creativa di diritto da parte del giudice, in AA.VV., La Costituzione repubblicana. I principi, le libertà, le buone ragioni,
Quad. di Quest. giust., a
cura di A. Caputo e L. Pepino, 2009, 195 ss. e R. Bin - G. Pitruzzella,
Le fonti del diritto, Torino 2009, 40 ss. e 52 ss. Da ultimo, v. anche
F. Mannella, Giudice comune e Costituzione: il problema dell’applicazione diretta
del testo costituzionale,
in www.federalismi.it 24/2010.
[31] Poco
importa, a tal proposito, che l’una è fonte di diritto interno, anzi la massima
delle fonti, mentre l’altra è fonte di origine esterna (peraltro, resa efficace
con legge nazionale). Importa infatti solo che vi sia una disciplina normativa
cui l’operatore possa appigliarsi per offrire tutela ai diritti in gioco.
[32] A. Ruggeri, Conferme e novità, cit., 422.
[33] R. Conti,
CEDU e interpretazione del giudice:
gerarchia o dialogo con la Corte di Strasburgo?, in www.federalismi.it 6/2010. L’A. rileva (20
del paper)
che spetta “alle autorità nazionali” garantire “sempre più elevati standard di
tutela dei diritti fondamentali, individuati attraverso continue ed incessanti
operazioni di bilanciamento fra i diritti fondamentali”, la salvaguardia di
questi ultimi passando, proprio, “dalla tutela domestica a pena di divenire
inefficace”. Del “ruolo cruciale che spetta in materia al giudice comune” parla
anche I. Carlotto,
I giudici comuni e gli obblighi
internazionali, cit., in Pol. dir.
2/2010, 287.
[34] R. Conti,
CEDU e interpretazione del giudice,
cit., 16 del paper.
[35] In argomento, v. A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit., spec. le notazioni finali, di cui al par. 9; D. Butturini, La partecipazione paritaria, cit., 1824, osserva che nella sent. n. 317,
cit., “l’area del diritto fondamentale non è governata da gerarchie formali,
perché la scelta sul livello competente è data dai contenuti prodotti dalla migliore integrazione fra gli
ordinamenti”. Ad avviso di chi scrive, pertanto, il massimo grado di tutela
passa da una compiuta integrazione fra ordinamenti o – se si vuole, ragionando a contrario – è il frutto di un sistema
integrato di ordinamenti: tanto più quest’ultimo è avanzato ed effettivo, tanto
più sembra realizzabile una protezione dei diritti che sia concreta e la più
intensa.
[36] Trattandosi, invece, di altra Carta
dei diritti non affidata alla salvaguardia di una Corte allo scopo
specificamente istituita (qual è, per la CEDU, la Corte di Strasburgo),
l’ipotesi formulata nel testo sembra senz’altro fattibile, fermo comunque
restando che ogni documento
internazionale richiede di essere interpretato in applicazione dei canoni suoi
propri, quali risultano dalla Convenzione di Vienna.
[37] … come dire: “prendere o lasciare”;
in argomento, v., da ultimo, anche O. Pollicino,
Margine di apprezzamento, cit., 2 del paper,
il quale rileva che in alcuni casi la Corte EDU acconsente che ci si possa
discostare dalla propria interpretazione, riconoscendo un certo margine di
apprezzamento agli Stati. A tal proposito, occorre mettere in luce che un tale
orientamento appare oggi mitigato da quanto si legge nella sent. n. 317,
nella quale si chiede che l’interpretazione fornita dal giudice interno presti
rispetto nella sostanza a quella data
a Strasburgo (sul punto, sarebbe comunque necessario un approfondimento che non
è possibile svolgere in questa sede).
[38] Riferimenti in A. Ruggeri, Interpretazione conforme, cit., par. 6.
[39] Non assegna rilievo a questa
distinzione E. Lamarque,
Gli effetti delle sentenze, cit., 957 ss.