PAOLO PASSAGLIA
DIRITTO DI ACCESSO AD INTERNET
E GIUSTIZIA COSTITUZIONALE. UNA (PRELIMINARE) INDAGINE COMPARATA*
Sommario: 1. Delimitazione del
tema e premessa di metodo. – 2. «Accesso»
a che cosa? – 3. Un accesso a che
scopo? – 4. «Diritto» a che cosa?
– 5. Un diritto di che tipo? – 6. Appunti per una (non-)conclusione.
1. Delimitazione del tema e premessa di metodo
Quella della qualificazione della situazione giuridica
soggettiva che deve essere attribuita all’accesso ad internet è tematica sulla quale il diritto comparato può offrire
diversi spunti di riflessione. Tanto ciò è vero che un’analisi che volesse
essere a tutto tondo imporrebbe, con ogni probabilità, un lavoro di tipo monografico,
nel quale affrontare le definizioni deducibili dai vari formanti delle singole
esperienze, senza poter trascurare quelle emergenti – magari in forma crittotipica – dalla prassi.
Ai limitati fini che sono propri di queste pagine, si
impone, dunque, una delimitazione del tema da trattare, che consenta, per un
verso, di ridurre ad una mole relativamente ristretta i dati da prendere in
considerazione, ma, per l’altro, di tratteggiare un panorama che, sia pure in
via di sineddoche, possa dirsi sufficientemente indicativo dello stato
dell’arte.
Ciò posto, si è ritenuto opportuno concentrarsi sul formante
giurisprudenziale, circoscrivendo ulteriormente il raggio dell’indagine – con
qualche minima eccezione, là dove fosse inevitabile – alle giurisdizioni costituzionali
o supreme. Non sono quindi state prese in considerazione né le qualificazioni
dell’accesso ad internet contenute
nelle o comunque deducibili dalle costituzioni[1] né quelle fornite da fonti legislative e/o regolamentari[2]. Parimenti escluse dall’analisi sono state le fonti,
essenzialmente di Soft Law, riconducibili ad ordinamenti sovranazionali, alle
quali si è operato, al più, un riferimento indiretto.
Ora, una simile actio finium regundorum sembra
produrre l’effetto di impoverire la base dell’analisi fino a circoscriverla a
due sole decisioni di organi di giustizia costituzionale che hanno avuto
esplicitamente ad oggetto la collocazione sub
specie juris del diritto di accesso ad internet: la décision n. 2009-580 DC, 10
giugno 2009, resa dal Conseil constitutionnel
francese[3], e, più di recente, la sentencia 30 luglio 2010, n.
12790, della Sala Constitucional
de la Corte Suprema de Justicia costaricense[4], che – oltretutto – alla prima si richiama esplicitamente
(ed in maniera tutt’altro che incidentale), non senza aggiungervi, però, alcune
interessanti specificazioni.
In effetti, sono esclusivamente queste le decisioni che
rilevano a stretto rigore, giacché soltanto in queste – almeno, a quanto
risulta – i giudici costituzionali hanno provveduto ad abbozzare una
categorizzazione giuridica da riferire all’accesso ad internet.
Il punto è, tuttavia, che pare assai arduo poter escludere
un nesso tra queste statuizioni ed altre, provenienti da diversi ordinamenti,
che, sebbene relative ad oggetti solo parzialmente sovrapponibili, hanno
toccato gli stessi ambiti, per tacere dell’influenza che l’insieme delle
affermazioni rintracciabili in questa composita giurisprudenza ha avuto
sull’evoluzione del diritto sovranazionale, il quale, a sua volta, non può non
avere avuto ricadute sulle due decisioni citate: basti pensare alla
circostanza, evidentemente non casuale, che la decisione del Conseil constitutionnel
segua di dodici giorni e, soprattutto, faccia eco, da un punto di vista
contenutistico, alla Dichiarazione di Reykjavik su «una nuova concezione dei media» adottata in seno al Consiglio
d’Europa[5].
L’altro aspetto da tener presente è che le pronunce francese
e costaricense abbozzano,
come si è accennato, una categorizzazione, di talché, leggendo le due
statuizioni, dubbi non possono non affacciarsi in ordine alla loro reale
portata definitoria. Ma, se così è, l’interrogativo
di fondo cui devesi tentare di rispondere, con ciò iniziando ad entrare in medias res, è se le due pronunce costituiscano un punto di
arrivo oppure un punto di partenza nella conformazione giuridica dell’accesso
ad internet.
La risposta è lungi dall’essere scontata, tanto è vero che,
in una prospettiva comparatistica, probabilmente le due decisioni in esame non
sono né l’uno né l’altro.
Non può fondatamente parlarsi di un punto di partenza
proprio perché già altre (e non poche) decisioni (anche) di giudici
costituzionali (o che esercitano la funzione di giustizia costituzionale) hanno
affrontato o, almeno, lambito le tematiche trattate. La definizione di che cosa
internet sia, anche in termini di
stretto diritto, non è argomento su cui si attende(va) una presa di posizione,
essendo, anzi, oggetto di una giurisprudenza ormai piuttosto articolata, specie
nell’ordinamento statunitense. Non mancano, poi, statuizioni che affrontano
problematiche specifiche connesse all’accesso ad internet, sotto il profilo, ad esempio, della tutela della privacy dell’internauta o anche di colui
che si trova «esposto», per così dire, alla altrui navigazione. Ancor più ricca
è la casistica inerente a vari temi riconducibili a ciò che l’accesso ad internet consente, non consente o non
deve consentire.
A queste decisioni, nel loro insieme, non può non essere
riconosciuta una qualche dignità a fini ricostruttivi, non fosse altro perché è
presumibile che alcune di esse abbiano avuto un peso non secondario (sebbene
non esplicitato) sulla configurazione dell’accesso ad internet che le pronunce francese e costaricense
hanno proposto.
D’altro canto, queste due statuizioni neppure possono essere
salutate come un punto di arrivo, e ciò in ragione di quanto si è accennato (e
che si cercherà nel prosieguo di dimostrare) in merito alla loro non conclusività nel senso di chiarire tutti gli aspetti che
attorno all’accesso ad internet
possono evocarsi. A tutto concedere, si tratta di decisioni che offrono una
linea ricostruttiva di ordine generale, dalla quale è possibile prendere le
mosse per un inquadramento più compiuto del fenomeno trattato.
Quanto sin qui detto non deve essere interpretato come una
sottovalutazione. Tanto il Conseil francese quanto la Sala Constitucional costaricense
compiono un passo decisivo, nella misura in cui esplicitano la definizione
dell’accesso ad internet come un diritto: si tratta delle prime
affermazioni rese da organi giurisdizionali di livello tanto elevato[6], che seguono le (invero assai limitate) affermazioni del
medesimo segno inserite all’interno di disposizioni normative[7]. Si è, quindi, in presenza di un autentico snodo
giurisprudenziale, che non pare velleitario pensare che possa influenzare anche
giurisdizioni di altri ordinamenti, alla luce della crescente influenza che il
diritto comparato assume nell’incedere argomentativo delle corti[8], specie in relazione a tematiche che risultano
effettivamente transnazionali: da questo punto di vista, l’«orizzonte giuridico
dell’internet»[9] è oggetto che si presta come pochi alla interconnessione
delle giurisprudenze, come del resto dimostra in modo lampante proprio la
sentenza costaricense.
Una tale transnazionalità viene,
in questa sede, assunta a fondamento dell’opzione metodologica. Alla luce dei
casi (più o meno) direttamente incidenti sulla tematica dell’accesso nei vari
ordinamenti (recte,
in quelli per i quali più agevole si dimostra il reperimento di informazioni),
si cercherà infatti di tratteggiare alcuni degli elementi più significativi
dell’accesso ad internet che sono
emersi in via pretoria, al fine di operare una
sistematizzazione che non sia legata ad un ordinamento o ad un gruppo di
ordinamenti, ma che possa essere valida – o, forse meglio, utilizzabile – in un
numero indefinito di ordinamenti (in ipotesi, in tutti).
Sul piano operativo, questo obiettivo verrà perseguito
prendendo spunto dalla necessità di dare risposta a quattro interrogativi
suggeriti dalla lettura delle precitate pronunce francese e costaricense:
se di «diritto di accesso ad internet»
si parla, deve chiarirsi, innanzi tutto, a che cosa si accede (par. 2) ed a che
scopo (par. 3), secondariamente, deve specificarsi l’oggetto del diritto (par.
4) ed il tipo di diritto che si ritenga sussistere (par. 5).
2. «Accesso» a che cosa?
La risposta al primo dei quesiti posti appare, prima facie,
di assoluta banalità: è, infatti, dell’accesso «ad internet» che si sta discutendo.
Il fatto è, però, che, di per sé, non è ben chiaro come
possa definirsi internet, quanto meno
adottando il punto di vista del giurista. La giurisprudenza degli ordinamenti
nei quali la tematica si è maggiormente sviluppata suggeriscono, in effetti,
due impostazioni che, pur non essendo alternative, non sono comunque del tutto
sovrapponibili: in talune decisioni, internet
viene definito sul piano eminentemente tecnico, in talaltre
l’enfasi viene posta – più che sugli aspetti connessi al progresso
scientifico-tecnologico – sulle ricadute che l’esistenza e la diffusione di internet hanno sulla dimensione
soggettiva dell’utente.
Il primo punto di vista è ben presente soprattutto nella
giurisprudenza anglosassone e, in particolare, in quella statunitense. In
proposito, il riferimento obbligato è alla sentenza sul caso Reno v American Civil Liberties
Union, del 1997[10], che rappresenta il primo intervento della Corte suprema federale
relativo ai contenuti presenti sulla rete internet.
Nella specie, è stata dichiarata l’incostituzionalità di alcune disposizioni
del Communication Decency Act of 1996, in quanto
contrastanti con la freedom of speech sancita dal Primo emendamento. Al di là di
quelli che erano i contenuti della legge, di matrice evidentemente censoria, a
rilevare in questa sede sono state soprattutto le considerazioni svolte a
proposito di internet, che è stato
definito come «un mezzo di comunicazione tra gli uomini di tutto il mondo unico
e completamente nuovo», al quale «gli individui possono avere accesso [...] da
molte fonti diverse». E, «chiunque abbia accesso ad internet può trarre beneficio da un’ampia varietà di metodi di
comunicazione e di recupero di informazioni»: «tutti questi metodi possono
essere usati per trasmettere testi; molti possono trasmettere suono, foto e
video»; «nel loro insieme, questi strumenti costituiscono un unico mezzo –
conosciuto dai suoi fruitori come “cyberspazio” – senza una particolare
collocazione geografica, ma fruibile da parte di chiunque, dovunque nel mondo»[11].
In queste notazioni, che registravano una evoluzione che
aveva allora da poco raggiunto i primi significativi traguardi, si coglie già
un elemento fondamentale delle problematiche giuridiche originate da internet, e cioè il suo rientrare –
indiscutibilmente – nel genus
dei mezzi di comunicazione, identificando, però, al contempo una species affatto
nuova, non potendo essere assimilato ad alcun altro mezzo di comunicazione esistente[12].
La lettura «tecnica» di internet,
che pone al centro, più che la sua efficacia quale veicolo di comunicazione, il
suo essere uno strumento trova
riscontri, come rilevato, in molte altre statuizioni. A titolo meramente
esemplificativo, può richiamarsi la – ormai ampiamente consolidata –
giurisprudenza statunitense che, sulla scorta della Declaratory Ruling emanata nel marzo 2002 dalla Federal Communications Commission[13], ha definito la banda larga come un information service, negando che fosse un telecommunications service, fondamentalmente sull’assunto
che «l’accesso ad internet è una
capacità di manipolare ed immagazzinare informazioni»[14]. Questa configurazione ha avuto la conseguenza di sceverare
la fornitura del servizio internet da
quella del servizio telefonico, tematica che è stata esaminata, ad esempio,
anche dalla Corte suprema di Guam, la quale, nel 2002, ha evidenziato come «il
servizio di accesso ad internet permett[a] un tipo di trasmissione di dati ed informazioni
che è, nel complesso, non collegato al servizio telefonico ordinario, e quindi
non è un supplemento dello stesso»[15]. La natura «tecnologicamente originale» di internet ha trovato anche più
recentemente riscontri probanti, soprattutto in casi nei quali, a livello
locale, si contestava l’applicazione per la banda larga delle tassazioni
previste per i servizi di telecomunicazione[16].
Sotto altro profilo, internet
come apparato tecnologico è stato evocato da quelle decisioni che hanno
configurato gli strumenti di accesso alla rete come un mero presupposto per
attività poste in essere attraverso l’utilizzo di specifici prodotti software. In tal senso, può segnalarsi,
tra i più recenti, il caso risolto dalla Federal Court of Australia, nel quale si è
affermato – diversamente da quanto stabilito in altre pronunce[17] – che la violazione delle leggi sul copyright operata attraverso il download
non giustifica la sospensione dell’accesso ad internet per l’autore delle violazioni, in ragione del fatto che
non è tale accesso lo strumento attraverso cui si produce l’infrazione, ma è
l’utilizzo – possibile solo per il tramite della connessione, ma da essa
distinto – del software particolare,
in grado di violare le leggi sul copyright[18].
Ora, i brani sopra citati, e specie quelli estratti dalla
decisione della Corte suprema statunitense sul caso Reno, sebbene incentrati prevalentemente sugli aspetti «tecnici» di
internet, non mancano – quanto meno –
di abbozzare alcune considerazioni relative al significato che di internet è (può essere) proprio con
riferimento alla estensione delle possibilità di comunicazione sul piano
personale. Questi accenni, particolarmente notevoli anche in ragione del
momento in cui sono stati espressi, vale a dire in un momento in cui internet era ancora lungi dall’aver
assunto la rilevanza attuale, suggeriscono una seconda prospettiva nella quale
è possibile calarsi onde tratteggiare una definizione di internet; una prospettiva volta ad enfatizzare il legame di questo
con lo sviluppo di nuove dimensioni della personalità.
Sul tema, gli spunti offerti dalla Corte suprema
statunitense sono stati ripresi, con ben altra enfasi, e sistematizzati dalle
menzionate decisioni francese e costaricense, il
contributo delle quali è da ritenersi, in proposito, assolutamente
fondamentale.
La strada è stata tracciata dal Conseil constitutionnel, secondo cui, «allo
stato attuale dei mezzi di comunicazione, ed avuto riguardo allo sviluppo
generalizzato dei servizi di comunicazione al pubblico on line, nonché all’importanza assunta da
questi servizi per la partecipazione alla vita democratica e per l’espressione
delle idee e delle opinioni», il diritto sancito dall’art. 11 della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen
del 1789 alla libera comunicazione delle idee e delle opinioni «implica la libertà
di accesso a questi servizi»[19]. Pur con la stringatezza che caratterizza lo stile
argomentativo del Conseil
(e, in generale, dei giudici francesi), le affermazioni rese hanno un peso
affatto notevole: innanzi tutto, si collega espressamente internet alla garanzia dell’art. 11 della Dichiarazione del 1789,
con ciò lasciando intendere che la tutela dell’accesso ad internet è consustanziale alla tutela della libertà d’espressione,
e dunque – in ultima analisi – ad un corretto sviluppo della personalità umana;
in secondo luogo, si è configurato internet
come una base di «servizi» che, dall’ambito della comunicazione in senso
stretto, si estende sino alla partecipazione democratica, con il risultato che
la comunicazione on line
diviene strumento mediante il quale, per un verso, l’individuo accresce le
proprie risorse in termini di relazione e, per l’altro, si completano (almeno
«allo stato attuale dei mezzi di comunicazione») le dimensioni nelle quali
l’individuo può concretizzare le sue potenzialità espressive[20].
Queste deduzioni escono rafforzate dalla lettura della assai
meno ermetica decisione resa dalla Sala Constitucional costaricense.
Vi si rileva, infatti, che «l’evoluzione negli ultimi venti anni in materia di
tecnologia dell’informazione e della comunicazione […] ha rivoluzionato
l’ambiente sociale dell’essere umano»; tanto che, «senza timore di equivoci,
può affermarsi che questa tecnologia ha avuto un impatto sul modo nel quale l’essere
umano comunica, facilitando la relazione tra persone ed istituzioni a livello
mondiale ed eliminando la barriera di spazio e tempo». Ne discende che, «in
questo momento, l’accesso a queste tecnologie si converte in uno strumento
primario per agevolare l’esercizio di diritti fondamentali, come, tra gli
altri, la partecipazione democratica (democrazia elettronica) ed il controllo
dei cittadini, la formazione, la libertà di espressione e di pensiero,
l’accesso all’informazione ed ai servizi pubblici on line, il diritto a rapportarsi con i
pubblici poteri attraverso strumenti elettronici e la trasparenza
amministrativa»[21].
La Sala Constitucional ha dunque enfatizzato il ruolo di internet come catalizzatore della
comunicazione interpersonale e di quella tra il privato ed i pubblici poteri,
attraverso il superamento di barriere tecniche che gli strumenti previamente
esistenti non erano in grado di eliminare. E queste caratteristiche si
riverberano nella strumentalità rispetto all’esercizio di diritti fondamentali
che attengono alla sfera personale e pubblica. Ciò equivale a dire che internet rappresenta un «non luogo»
(ché, per definizione, elimina i tradizionali ostacoli spazio-temporali) «ove –
per riprendere l’art. 2 della nostra Costituzione – si svolge la […]
personalità» dell’individuo: una dimensione ulteriore, rispetto a quelle
«classiche», nella quale l’essere umano vive, si forma, si informa, comunica,
forgia, cioè, la sua identità, come uomo e come cittadino (del proprio Stato e
del mondo).
Come è chiaro, questa concezione di internet connessa al principio personalistico non si pone in
contraddizione con quella eminentemente tecnica. Le due risultano, anzi,
necessariamente complementari, l’alternativa sostanziandosi nel punto di vista
che si intenda adottare, nella faccia della medaglia che si ritenga di
osservare. Nell’ottica costituzionalistica, che di questo lavoro è propria,
l’opzione è scontata, anche se – come si vedrà – riferimenti alla dimensione
tecnica non possono comunque essere trascurati.
3. Un accesso a che scopo?
Quanto si è venuti dicendo in merito alla dimensione
personalistica alla luce della quale analizzare il panorama giuridico di internet rende sostanzialmente oziosa,
perché scontata, la risposta all’interrogativo circa lo scopo che con l’accesso
ad internet si persegue. Se internet è una dimensione ulteriore nel
cui ambito di sviluppa la personalità dell’individuo, è ovvio che si accede ad internet per concretizzare tale
sviluppo. Il concetto potrebbe, in astratto, essere specificato facendo
riferimento a quella pluralità di atti, comportamenti e relazioni che vengono
in rilievo nel formarsi della personalità dell’individuo; il punto è, però, che
una qualunque elencazione finirebbe per essere lacunosa, essendo in concreto
impossibile cristallizzare le forme attraverso cui lo sviluppo della
personalità si alimenta. Tanto ciò è vero che, se la décision del Conseil constitutionnel rifugge da ogni
elencazione, la statuizione costaricense – come si è
visto nel paragrafo precedente – ne propone una piuttosto analitica, la cui
ricchezza non la pone tuttavia al riparo da omissioni: basti pensare, solo per
fare un esempio, all’assenza di qualunque richiamo alle implicazioni che internet può avere nell’organizzazione
del tempo libero.
In questa sede, peraltro, non pare necessario, proprio per
quanto in precedenza argomentato, indugiare oltre sul punto. Semmai, giova
accennare alla peculiarità del concetto di «accesso ad internet», che ha una connotazione evidentemente diversa rispetto
all’id quod plerumque accidit in materia
di «diritto di accesso». L’accesso per antonomasia, quello agli atti
amministrativi, disciplinato nel nostro ordinamento dalla legge n. 241 del
1990, è infatti condizionato dalla sussistenza di un interesse che sia «diretto,
concreto ed attuale», oltre che «corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento di cui si chiede l’accesso»[22]. Di contro, l’accesso ad internet prescinde da ogni specifico interesse, per il semplice
fatto che l’interesse è presupposto nella stessa configurazione di internet come sede di estrinsecazione
della personalità[23].
Più che di un interesse
all’accesso, dunque, nel caso di internet
può parlarsi di un accesso all’interesse,
cioè di un accesso rivolto a realizzare un interesse, quale è quello dello
sviluppo della propria personalità nella dimensione ulteriore offerta dalla
rete. È ovvio che, a seconda di come si cataloghi questo tipo di accesso, varia
in misura significativa il grado di tutela riconosciuta all’interesse che per
il suo tramite si realizza. La definizione dell’accesso come un «diritto»,
almeno sul piano formale, parrebbe offrire il massimo di tutela. I prossimi
paragrafi saranno dedicati a sottoporre questa affermazione a verifica.
4. «Diritto» a che cosa?
Anche in questo caso, la risposta al quesito posto nel
titolo sembra quanto di più ovvio possa immaginarsi: dell’accesso si discute;
non può che essere l’accesso, quindi, l’oggetto del diritto invocato.
Dietro la banalità di queste deduzioni si cela, tuttavia,
ancora una volta una problematica su cui pare il caso di brevemente
soffermarsi. È, infatti, ancora da chiarire che cosa in realtà debba intendersi
per «accesso», giacché, sulla base del punto di vista che si adotti, le soluzioni
che possono prospettarsi variano in misura non irrilevante.
Facendo impiego del significato letterale del termine, un
«accesso», come atto dell’accedere, riferito ad internet e configurato alla stregua di un diritto appare obiettivamente sproporzionato, non fosse altro
perché un diritto di accesso tout court,
oggi come oggi, non può dirsi sussistente: opinare nei termini di un diritto ad
accedere ad internet che sia
opponibile da parte di chiunque,
magari anche in qualunque momento e da qualunque luogo, è escluso
dal livello di progresso tecnico-scientifico e – soprattutto – da quello
infrastrutturale, ancor prima che da ragioni di ordine giuridico.
Certo, le decisioni francese e costaricense
parlano di un diritto di accesso, ciò
che parrebbe in stridente contrasto con quanto appena esposto. A ben vedere,
però, sono queste stesse decisioni che finiscono per offrire una conferma della
validità dell’assunto da cui si parte. In tal senso, valgono, più che le rationes decidendi, le
occasiones
che hanno condotto i giudici costituzionali a pronunciarsi.
Il Conseil constitutionnel
era chiamato a giudicare su disposizioni legislative che consentivano ad una
autorità amministrativa di sospendere l’accesso ad internet allorché l’account
dell’utente fosse stato utilizzato per porre in essere condotte lesive dei
diritti di autore[24]. Ed in sede di scrutinio, il Conseil ha svolto la seguente
argomentazione: posto che «i poteri sanzionatori, introdotti dalle disposizioni
criticate, abilitano la commission de protection des droits, che non è una giurisdizione, a
restringere o ad impedire l’accesso ad internet
a titolari di abbonamento, nonché alle persone che ne beneficiano», «la
competenza riconosciuta a questa autorità amministrativa non è limitata ad una
categoria particolare di persone, ma si estende alla totalità della
popolazione», mentre «i suoi poteri possono condurre a limitare l’esercizio, da
parte di chiunque, del proprio diritto ad esprimersi ed a comunicare
liberamente, in particolare dal proprio domicilio». Da questi rilievi, si è
dedotto che, «avuto riguardo alla natura della libertà garantita dall’articolo
11 della Dichiarazione del 1789, il legislatore non poteva, quali che fossero
le garanzie che connotassero l’irrogazione delle sanzioni, conferire siffatti
poteri ad una autorità amministrativa allo scopo di proteggere» diritti, quali
quello d’autore, la cui tutela non giustifica, evidentemente, il sacrificio
imposto al diritto di accedere alla rete[25].
Questi passaggi si collegano strettamente a quanto in
precedenza rilevato in termini di riconoscimento, da parte del Conseil, di un
diritto all’accesso. Il punto nodale, tuttavia, risiede qui nella constatata
strumentalità del diritto di accesso ad internet
rispetto alla garanzia della libertà di espressione. Tanto che la
determinazione in ordine alla costituzionalità o meno delle disposizioni
contestate si basa essenzialmente sull’impossibilità di prescindere in toto dal vaglio giurisdizionale al
fine di procedere ad una compressione della libertà di espressione.
Quanto tali considerazioni incidano in concreto sulla
definizione dell’accesso ad internet
è più agevolmente individuabile operando un ulteriore richiamo, ad un caso per
molti versi analogo, concluso con una pronuncia piuttosto recente della High Court irlandese[26]. Nella specie, si contestava un accordo tra società
titolari di copyright ed un internet provider nel quale veniva
previsto che, in determinate circostanze ed a determinate condizioni, il provider procedesse ad interrompere il
servizio di accesso ad internet
offerto a soggetti che avessero commesso infrazioni alle norme poste a tutela
del copyright.
Anche in tal caso, quindi, il punto controverso consisteva
in una reazione a comportamenti illeciti, stavolta operata, però, non già –
come in Francia – da pubblici poteri nella forma di una sanzione
amministrativa, bensì jure privatorum,
nella forma della interruzione di un rapporto di durata. La risposta
giurisdizionale, di contro, è stata marcatamente diversa. Il giudice irlandese,
ammesso che «trattasi di una sanzione grave», anzi tanto grave che «qualcuno
potrebbe sostenere che è una imposizione concernente una libertà dell’uomo», ha
tuttavia sottolineato, onde asseverare la legittimità dell’accordo contestato,
che «non esiste una libertà di violare la legge». Ad abundantiam, lo stesso giudice ha
rimarcato che, «sebbene sia comodo avere un accesso ad internet a casa, molte persone, in Irlanda, debbono soltanto
recarsi presso il centro della loro città per ottenere un accesso al costo di
circa 1,50 euro all’ora»[27].
Proprio da quest’ultimo obiter dictum si coglie una distinzione che,
nella decisione del Conseil,
è presupposta, ma non esplicitata se non fugacemente (e parzialmente):
all’accesso presso il proprio domicilio si contrappone l’accesso presso luoghi
pubblici. Il Conseil constitutionnel
si è concentrato esclusivamente sul primo, mentre la High Court ha utilizzato il secondo per ponderare il sacrificio del
primo.
A completare il quadro si pone, poi, la sentenza della Sala Constitucional
costaricense, che ha deciso un recurso de amparo nel quale si lamentava la
mancata tempestiva attuazione, da parte del Governo, dell’obbligo fissato per
legge di rendere concorrenziale il mercato delle telecomunicazioni[28]. Accogliendo il ricorso, la Sala Constitucional ha condannato il
Governo a porre in essere, entro tre mesi dal deposito della pronuncia, gli
atti di propria competenza per rilasciare le concessioni per le bande di
frequenza di telefonia cellulare ed altre onde. A fondamento della decisione si
è posto il principio secondo cui, «nella [descritta[29]] situazione della società dell’informazione o della
conoscenza, si impone ai poteri pubblici, a beneficio degli amministrati, il
compito di promuovere e garantire, in forma universale, l’accesso a[lle] nuove tecnologie».
Come è chiaro, l’accesso che è stato preso in considerazione
in questo contesto è cosa diversa da quello cui hanno fatto riferimento il Conseil francese
e/o la High Court irlandese: non ci
si è concentrati sull’atto dell’accedere ad internet,
ma, semmai, sulla possibilità di accedervi. Altrimenti detto, non è venuto in
rilievo – nonostante la terminologia utilizzata nella pronuncia – l’accesso in
concreto, bensì la mera accessibilità.
Ora, combinando le tre statuizioni appena passate in rassegna,
pare che possano sinteticamente trarsi i rilievi che seguono. Innanzi tutto, la
sentenza costaricense e, in forma implicita, quella
irlandese suggeriscono la configurabilità di un diritto ad essere posti nella
situazione di accedere ad internet o,
per meglio dire, di accedere ad internet
in condizioni accettabili, cioè non troppo gravose. In secondo luogo, il
diritto di accesso ad internet in
privato (id est, dal proprio domicilio) è una
situazione giuridica protetta, se è vero che in Francia viene configurata alla
stregua di un diritto, mentre in Irlanda si ipotizza che possa essere definita
come una libertà connessa all’essere umano; una siffatta protezione, tuttavia,
non è assoluta, dal momento che l’interesse sotteso all’accesso ad internet dal proprio domicilio non è
sempre validamente opponibile, ben potendosi dare fattispecie nelle quali
l’accesso venga limitato – e finanche escluso – in chiave sanzionatoria, scil. al
ricorrere di determinati presupposti. Sul punto, la sentenza della High Court irlandese è quanto mai
esplicita, ma, a ben vedere, l’iter
argomentativo della décision
del Conseil
francese lascia intendere che una compressione del diritto di accesso (dal
domicilio) possa ammettersi. La differenza tra le due pronunce non risiede,
infatti, tanto sull’an
della limitabilità dell’accesso, quanto sulle condizioni in presenza delle
quali la limitazione è consentita. La High
Court pone l’accento su profili sostanziali, inerenti essenzialmente al
«contesto tecnologico» in cui la sanzione si colloca, per trarre la legittimità
della stessa allorché l’accessibilità ad internet
possa essere comunque garantita aliunde, a condizioni accettabili. Il Conseil constitutionnel, nel negare la
costituzionalità della previsione legislativa che permette di precludere
l’accesso dal domicilio, trae, dalla sussunzione di tale accesso nella
esplicazione della libertà di espressione, una condizione di ordine procedurale
che si impone allorché si intenda sospendere l’accesso: la ratio decidendi che conduce alla declaratoria
di incostituzionalità non risiede, infatti, nella impossibilità di precludere
l’accesso, ma nella impossibilità di farlo senza l’intervento di una autorità
giurisdizionale.
Se queste sono le deduzioni che si traggono dalle tre
decisioni, è agevole constatare il perdurare di una lacuna non irrilevante,
consistente nella tendenziale assenza di una qualunque indicazione concernente
il concreto accesso ad internet in
luoghi pubblici: sul presupposto che sia garantita l’accessibilità in astratto,
manca la disciplina della situazione giuridica corrispondente all’esercizio
dell’accesso presso sedi diverse dal proprio domicilio.
Con riferimento all’accesso ad internet non (necessariamente) dal proprio domicilio, non si
riscontrano, nel panorama comparatistico, decisioni
di particolare rilievo. Più precisamente, non si rintracciano statuizioni
relative alla definizione della situazione giuridica come tale; di contro, non
mancano – e sono, anzi, piuttosto numerosi – gli interventi relativi a profili
particolari: si pensi, ad esempio, a quelli riguardanti l’accesso (non ad internet, bensì) a determinati siti o
servizi[30] ovvero a quelli concernenti le condizioni «tecniche» nelle
quali l’accesso avviene[31]. Siffatte problematiche, comunque, hanno una rilevanza
assai marginale ai presenti fini, proprio perché riguardano ambiti particolari,
e non la situazione giuridica complessivamente considerata.
L’assenza di statuizioni che possano essere prese
specificamente in considerazione non pare, però, di per sé sufficiente a
giustificare la radicale pretermissione del tema. Ciò in quanto il diritto di
accedere concretamente ad internet
non pare sfuggire ad un inquadramento, sia pur solo tratteggiato, anche allo
stato attuale dell’evoluzione della giurisprudenza, quanto meno adottando un
precipuo angolo visuale.
È chiaro che il diritto di accesso in concreto, come tale,
possa venire in gioco quando, sussistendone in astratto le condizioni (e,
dunque, potendosi riscontrare quella che si è sopra definita l’accessibilità),
ad un individuo venga impedito di accedere.
Ora, l’impedimento può essere, ovviamente, di vario tipo,
potendo dipendere da fattori propri del soggetto ovvero a fatti oggettivi (si
pensi a casi di forza maggiore) o, ancora, a comportamenti di terzi (come, ad
esempio, in ipotesi collocabili nelle fattispecie di violenza). Se negli ultimi
due casi il mancato accesso ad internet
rappresenta una conseguenza di altri atti o fatti giuridicamente rilevanti, nel
primo il mancato accesso è il fatto (lato sensu
inteso) che viene direttamente in rilievo. È dunque logico che gli impedimenti
più significativi siano proprio quelli connessi a condizioni soggettive del
(potenziale) utente. E queste condizioni soggettive possono riassumersi
principalmente nella incapacità o nella insufficiente capacità di utilizzare un
computer e/o di navigare sulla rete.
Trattasi, in altri termini, del problema della c.d. «alfabetizzazione
informatica», per la quale si ripropongono le questioni che, in passato, sono
state evocate relativamente all’analfabetismo tout court, tra le quali, evidentemente, assume un ruolo centrale
la configurabilità o meno, nella specie, di un motivo di discriminazione che
colpisca determinate categorie di soggetti.
Si è giunti, per tal via, ad evocare la tematica del c.d. «digital divide»[32], argomento che, sviluppatosi in origine nel quadro di studi
soprattutto sociologici, o comunque non precipuamente giuridici[33], va assumendo una sempre maggior consistenza anche
nell’ambito della scienza giuridica[34]. Tanto che anche gli organi di giustizia costituzionale,
sebbene in modo ancora episodico, hanno avuto modo di affrontarlo, magari anche
solo incidentalmente. L’idea è, comunque, che nei prossimi anni il corpus giurisprudenziale sia destinato a
crescere in maniera affatto consistente, giacché è presumibile – sulla scorta
dell’esperienza maturata in relazione ad altre categorie di motivi di
discriminazione – che siano proprio
tali istanze quelle cui verrà con più forza richiesto di rendere concreto
quello che – per riprendere l’art. 3, secondo comma, della Costituzione
italiana – è il «compito de[i pubblici poteri di] rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti […] all’organizzazione politica, economica e sociale
del Paese».
Il richiamo al principio di eguaglianza suggerisce la
possibilità di tracciare un collegamento ideale tra le problematiche connesse
al digital divide e la feconda giurisprudenza con
cui le corti costituzionali e supreme hanno affrontato i grounds of discrimination,
non di rado riscontrando illegittimità che sono state quindi elise
dall’ordinamento giuridico[35].
Ad oggi, una decisione che affronta, sia pure
implicitamente, il tema del digital divide è
rintracciabile anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale italiana.
Il riferimento va ad una sentenza del 2004
con cui si sono dichiarate infondate le questioni di legittimità costituzionale
aventi ad oggetto disposizioni istitutive di fondi speciali destinati ad
incentivare l’acquisto e l’utilizzo di personal computer, da parte di
giovani o di soggetti aventi determinati requisiti reddituali, mediante
l’erogazione di contributi economici. Trattandosi di un giudizio di legittimità
costituzionale in via principale, le censure riguardavano principalmente la
lesione di competenze legislative regionali che la disciplina aveva asseritamente prodotto. La risposta della Corte è stata, però,
nel senso che «la mera previsione di contributi finanziari, da parte dello
Stato, erogati con carattere di automaticità in favore di soggetti individuati
in base all’età o al reddito e finalizzati all’acquisto di personal computer
abilitati alla connessione ad internet,
in un’ottica evidentemente volta a favorire la diffusione, tra i giovani e
nelle famiglie, della cultura informatica» integra un intervento che, nella
misura in cui «non [è] accompagnato da alcuna disciplina sostanziale
riconducibile a specifiche materie, non risulta invasivo di competenze
legislative regionali». Esso, infatti, «corrisponde a finalità di interesse
generale, quale è lo sviluppo della cultura, nella specie attraverso l’uso
dello strumento informatico, il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in
tutte le sue articolazioni (art. 9 della Costituzione) anche al di là del
riparto di competenze per materia fra Stato e Regioni di cui all’art. 117 della
Costituzione»[36]. La Corte, in buona sostanza, ha assegnato all’impegno a
favore dell’alfabetizzazione informatica ed alla eliminazione delle barriere
(economiche) che si frappongono alla diffusione delle tecnologie informatiche
(almeno tra i giovani) un ruolo tanto significativo da giustificare azioni da
parte dei pubblici poteri che non siano astrette al rigoroso rispetto del
riparto competenziale.
Se la Corte non parla esplicitamente di divario digitale (ma
certo lo sottintende), la Sala Constitucional costaricense,
nella pronuncia già più volte ricordata, ha dedotto, dall’art. 33 della
Costituzione[37], un «derecho a la igualdad y la erradicación
de la brecha digital (info-exclusión)», collegandolo all’impegno dei pubblici
poteri alla eliminazione degli ostacoli infrastrutturali.
Le altre decisioni qui prese precipuamente in esame, invece, trascurano il
tema del digital divide, giacché tanto la High Court irlandese quanto il Conseil constitutionnel
francese partono dal presupposto che il soggetto il cui accesso ad internet venga negato abbia la capacità
di accedere.
Assai più significative sono, allora, le affermazioni
contenute in una decisione della Cour constitutionnelle belga, l’analisi delle quali deve,
tuttavia, essere rinviata al prossimo paragrafo, offrendo esse alcuni spunti
interessanti nell’ottica di definire la tipologia di diritti nei quali
l’accesso ad internet può
annoverarsi.
5. Un diritto di che tipo?
La cautela che si è imposta nell’affermare che l’accesso ad internet è un diritto, con tutte le
precisazioni che una siffatta definizione ha reso opportune (se non necessarie),
si ripropone, ed anzi appare ancor più indispensabile, allorché si tenti di
tratteggiare la configurazione che di questo diritto è propria. Ne è una
dimostrazione – non conclusiva, ma di sicuro non trascurabile – la circostanza
che, sinora, le corti costituzionali e le corti supreme, generalmente, abbiano
cercato di rifuggire da qualificazioni che potessero rivelarsi troppo
impegnative.
In questo contesto, la décision del Conseil constitutionnel francese ha segnato un
passo avanti assai significativo, nella misura in cui, non solo si è operata
una esplicita classificazione dell’accesso ad internet in termini di «diritto», ma si è collegata la situazione
giuridica soggettiva al riconoscimento da parte della Déclaration des droits de l’homme et du
citoyen del 1789, cioè del documento più
«solenne» tra quelli che compongono il bloc de constitutionnalité[38]. Proprio in ragione di questo collegamento, taluni
annotatori della pronuncia sono andati oltre quanto dal Conseil dichiarato[39], attribuendo all’accesso ad internet il rango di diritto fondamentale[40]. Una analoga inferenza è stata proposta dalla Sala Constitucional
costaricense, la quale ha ritenuto che il richiamo
della Déclaration
del 1789 abbia veicolato la configurazione del diritto di accesso ad internet alla stregua di un non meglio
precisato, sul piano tecnico, «derecho básico»[41], salvo compiere essa stessa un passo ulteriore, affermando,
sia pure nella forma più anodina possibile, il suo carattere di diritto
fondamentale, relativamente al quale si è parlato, dapprima, per constatare
quanto da altri (presumibilmente, dal Conseil constitutionnel) sostenuto[42] e, finalmente, per riconoscere il rango di diritto
fondamentale – tra l’altro – a quelli all’«accesso alle nuove tecnologie
dell’informazione» ed all’accesso «ad internet
attraverso l’interfaccia che il consumatore o l’utente scelga»[43].
A ben vedere, peraltro, la qualificazione non sembra
decisiva, nella misura in cui è concreto il rischio di applicare etichette che,
oltre ad essere tanto opinabili quanto intrise di soggettivismo, alla fine dei
conti non offrano particolari benefici nella prospettiva di ricostruire, in
concreto, uno statuto giuridico di una determinata situazione: anche ammettendo
di poter proporre l’attributo della «fondamentalità»,
difficilmente potrebbe trarsi, ad esempio, la conclusione di una azionabilità del diritto in qualunque circostanza e di una
sua opponibilità, ad esempio, nei confronti dei
pubblici poteri, salvo ovviamente le necessità di bilanciamento con
contrapposti interessi. Le circostanze fattuali sono talmente decisive da porre
in subordine ogni classificazione: l’iter
argomentativo seguito dalla High Court
irlandese nella sentenza precitata è particolarmente eloquente, se è vero che
si ammette la compressione di un diritto (di accesso ad internet dal proprio domicilio) in relazione alla presenza di certe
circostanze (la facilità di accedere in pubblico), in difetto delle quali – si
fa intendere – la compressione non sarebbe più ammissibile.
Tutto ciò senza contare che l’accesso è, come si è visto,
nozione polisemica, che riassume diverse sfaccettature, per le quali è
tutt’altro che scontato che possa proporsi una equivalenza a livello di
classificazione: solo per prospettare una esemplificazione, se si intende
l’accesso come accessibilità in astratto, è presumibile che la tutela debba
essere più forte rispetto all’ipotesi in cui si intenda l’accesso come la
garanzia di poter accedere ad internet
dal proprio domicilio, poiché una assenza, nel primo caso, postula
l’impossibilità radicale di accedere ad internet,
mentre nel secondo si traduce in un aggravio per colui che voglia accedervi.
In definitiva (e senza indugiare oltre sul tema, che evoca
inevitabilmente problematiche teoriche la cui trattazione si porrebbe come un
fuor d’opera in questa sede), più che interrogarsi sul rango attribuibile nella
teoria al diritto di accesso ad internet,
sembra assai più utile, sul piano operativo, percorrere altre strade. A tal
proposito, può rivelarsi utile il partire dalla definizione che si è data di internet quale sede (recte, una delle sedi) in cui si
realizza la personalità dell’individuo. Tale essendo la definizione, sub specie juris,
di internet, è chiaro che quello
all’accesso si configura alla stregua di un diritto che è strumentale alla realizzazione della propria personalità, e quindi,
in ultima analisi, all’esercizio di tutti quei diritti – fondamentali e non – e
(è il caso di non trascurarlo) di doveri[44] nel cui perimetro si inscrive il pieno sviluppo di una
persona[45].
Ora, se l’accesso ad internet
è un diritto strumentale all’esercizio di altri, la sua natura ed il suo rango
e, quindi, il grado di tutela ad esso approntata non è determinabile a priori ed in astratto, ma deve essere
commisurato al tipo di situazione specifica che l’accesso medesimo è volto a
tutelare: al crescere del rilievo del diritto (o del dovere) al cui esercizio è
funzionale, la protezione del diritto di accesso si rafforza.
Questa tutela «a geometria variabile» si scontra con l’ovvia
difficoltà di segmentare ed isolare le singole finalità che l’accesso ad internet permette di perseguire,
difficoltà che – lo si è visto supra, par. 3. – è, in un certo senso, consustanziale alla
stessa finalità generale di realizzazione della personalità.
Nonostante gli ostacoli che si pongono, pare comunque
possibile – ed a taluni riguardi finanche tutto sommato agevole – enucleare
diritti specifici in relazione ai quali l’accesso ad internet si colloca in posizione servente. Non potendo neppure aspirare
a proporre una panoramica compiuta, ci si limiterà ad evocare un unico esempio,
sul quale si auspica che si possa concordare in ordine alla sua valenza
emblematica. Il riferimento va al profilo della certezza del diritto
consistente nel diritto a (poter) conoscere il diritto, e segnatamente alla
conoscibilità degli atti normativi. Un diritto che, a seguito della rivoluzione
francese, è stato riconosciuto e garantito attraverso la pubblicazione di fogli
ufficiali precipuamente dedicati allo scopo[46].
Con riguardo ad un siffatto diritto, l’accesso ad internet può effettivamente porsi come
strumentale, se la pubblicazione avviene in via telematica. Chiaramente, la
strumentalità muta – e non poco – a seconda che la pubblicazione legale sia
quella cartacea ovvero quella telematica[47] o, ancora, che sia previsto un doppio binario.
Il confronto tra due interventi – solo il secondo dei quali
di tipo propriamente giurisdizionale – resi a distanza di pochi anni in due
ordinamenti diversi, ma prossimi, offre, in proposito, una chiave di lettura
non priva di spunti di interesse.
Viene in considerazione, in primo luogo, il rapport del Conseil d’État
francese, pubblicato il 23 novembre 2001, a seguito di una richiesta formulata,
in data 9 novembre 2000, dall’allora Primo ministro Lionel Jospin relativamente
alla opportunità di apportare modifiche alla (invero piuttosto farraginosa)
disciplina della vacatio legis[48]. Il Conseil d’État è
partito dalla constatazione dell’esistenza di una pubblicazione telematica dei
fogli ufficiali che offre un’alternativa gratuita alla consultazione della
copia cartacea, per interrogarsi circa l’opportunità di far transitare almeno
una parte dei contenuti del Journal officiel dal doppio canale a quello unicamente
telematico, ciò che avrebbe, evidentemente, avuto ripercussioni sul dies a quo della vacatio (individuato dal diritto
vigente nella data di arrivo dei fogli ufficiali nel capoluogo di arrondissement).
Constatando come, al momento della redazione del rapport, la diffusione di
strumenti informatici non fosse sufficiente a garantire una piena accessibilità
a (tutti) i destinatari, il Conseil ha ritenuto che il valore legale della pubblicazione
cartacea non potesse essere superato, ma, al più, potesse essere esteso anche a
quella telematica. Altrimenti detto, il grado di penetrazione delle conoscenze
informatiche nella società non consentiva – con l’eccezione di alcuni atti,
enucleati sulla base del triplice criterio della natura, della portata e delle
caratteristiche dei destinatari, per i quali una «dématérialisation»
pareva possibile – di eliminare la pubblicazione cartacea e di sostituire il
sistema vigente, improntato su una doppia pubblicazione, dove quella cartacea
ha valore legale, con un sistema in cui almeno parte dei fogli ufficiali
fossero pubblicati solo in via telematica[49].
Queste considerazioni hanno trovato una eco non tenue in una
decisione del 2004 della (allora ancora) Cour d’arbitrage belga, che si è pronunciata
su un ricorso promosso avverso la legge che modificava le forme di
pubblicazione del Moniteur belge
limitando la stampa a sole tre copie cartacee oltre a quelle richieste in
abbonamento e facendo della pubblicazione telematica il canale normale di
accesso alla legislazione[50]. Una delle doglianze riguardava l’asserita discriminazione
tra cittadini in ragione della loro situazione economica e sociale, che si
riverberava sulla capacità e sulle possibilità di accedere ad internet.
Nel decidere in merito a tale questione, la Cour d’arbitrage
ha riconosciuto che neppure la tradizionale pubblicazione cartacea garantiva la
conoscenza da parte di chiunque degli atti normativi, ed ha rilevato anzi che,
«per talune persone, la messa a disposizione dei testi su un sito internet [avrebbe favorito] il loro
accesso e lo [avrebbe reso] parimenti meno oneroso». Nonostante queste
considerazioni, «un numero importante di persone si [sarebbe visto] privato
dell’accesso effettivo ai testi ufficiali, in particolare per l’assenza di
provvedimenti di accompagnamento [della legge recante la modifica del sistema
di pubblicazione] che [avrebbero dato] loro la possibilità di consultare questi
testi, mentre prima avevano la possibilità di prendere conoscenza del contenuto
del Moniteur belge senza
dover disporre di un materiale particolare e senza avere altra qualifica che
quella di saper leggere»[51]. Conseguentemente, la Cour ha dichiarato
l’incostituzionalità delle disposizioni legislative impugnate per gli effetti
pregiudizievoli che esse arrecavano, in assenza di adeguati provvedimenti di
accompagnamento volti a garantire comunque l’accesso ai fogli ufficiali a
determinate categorie di persone[52]-[53].
Dai due interventi menzionati, pare di potersi cogliere con
chiarezza che la pubblicazione telematica degli atti normativi costituisce un
valido surrogato di quella cartacea solo se, e nella misura in cui, l’accesso
ad internet sia assicurato in maniera
efficace a chiunque. Da questo presupposto deriva che, in ragione della
circostanza che un accesso generalizzato, per un motivo o per l’altro, non è
(ancora) constatabile, non è possibile prescindere dalla conservazione di una
consultazione dei fogli ufficiali nelle forme tradizionali. Per dirla in altri
termini, il principio di certezza del diritto, richiedendo che al consociato
sia data una effettiva possibilità di conoscenza degli atti normativi, impone
una alternativa tra l’esistenza, accanto alla pubblicazione telematica, di una
forma di pubblicazione (e/o di consultazione) ulteriore e la predisposizione di
infrastrutture tecnologiche e l’avanzamento delle condizioni di fruibilità
delle stesse che rendano l’accesso ad internet
garantito a tutti, non solo in astratto ma anche in concreto (id est, attraverso l’eliminazione del digital divide).
L’alternativa appena prospettata si spiega alla luce della
non derogabilità del dovere in capo ai pubblici poteri di assicurare la
conoscibilità del diritto (o, almeno, delle fonti-atto): infatti, se riferito a
questo specifico ambito, il diritto di accesso ad internet diviene assoluto, quando rappresenti l’unica via di conoscenza;
e poiché lo stato di avanzamento tecnologico non rende tollerabile questa
assolutezza, non si ha altra scelta che quella di dimidiare
la rilevanza del diritto-dovere di consultare gli atti normativi attraverso internet. Non è il diritto strumentale
(l’accesso ad internet) ad essere
affievolito, ma è la situazione giuridica della quale è servente ad essere
ridimensionata.
In definitiva, anche in un settore nel quale il carattere di
diritto assoluto sembrerebbe prima facie attribuibile al diritto di accesso ad internet, si constata come esso, in
realtà, dipenda integralmente dalle finalità che mira a soddisfare. Il diritto
in questione, dunque, non ha, né può avere, uno statuto predefinito.
6. Appunti per una (non-)conclusione
Cercando di trarre qualche spunto conclusivo da quanto si è
venuti dicendo in ordine alla configurazione sub specie juris di internet ed alla definizione dell’accesso, nelle sue diverse
accezioni, possono esporsi alcune riflessioni, la cui provvisorietà consiglia
di derubricare a meri appunti, auspicabilmente utili
per una più ampia ed approfondita ricerca sulla tematica in questa sede
analizzata solo per sommi capi.
Un primo punto da evidenziare riguarda la questione relativa
all’enucleazione di un diritto
all’accesso ad internet,
enucleazione che, per quanto si è avuto modo di argomentare, non appare di per
sé conclusiva, nel senso che lascia aperte molte problematiche, tanto in
termini di definizione dell’oggetto del diritto quanto (e, forse, soprattutto)
relativamente al grado di tutela che l’ordinamento appresta o può apprestare.
Questa considerazione non conduce necessariamente alla
constatazione della inutilità di attribuire all’accesso ad internet la qualifica di diritto:
essa, infatti, può orientare
l’interprete (e, scil.,
il legislatore) nell’elaborazione di soluzioni acconce dei problemi che si
pongano in concreto. È chiaro, infatti, che parlare di diritto all’accesso ad internet
suggerisce l’esigenza di approntare forme di garanzia che, altrimenti,
potrebbero venire neglette od obliterate.
Altro elemento che è emerso dalla
ricognizione che si è compiuta concerne l’intensità variabile che del «diritto»
di accesso ad internet è propria. Più
precisamente, l’intensità si configura come una variabile dipendente dal
diritto che l’accesso ad internet
contribuisce a far esercitare, donde l’inevitabile traslazione dell’attenzione
dall’accesso ad internet ut sic (cioè, il diritto funzionale) al «diritto-scopo», per così
dire: sul piano fattuale, il primo condiziona il secondo, mentre sul piano
giuridico il secondo determina il modo di essere del primo.
Ne discende, in buona sostanza, la sensazione di
incompiutezza che affligge la formulazione in
vitro – pure meritoria, da un punto di vista di politica del diritto – di un diritto all’accesso ad internet, dal che consegue l’opportunità
di ricercare altre categorie concettuali che possano mostrare una maggiore
rispondenza alla prassi dei rapporti giuridici e, soprattutto, che meglio si
attaglino a descrivere ciò che l’accesso ad internet
effettivamente è e rappresenta. E, probabilmente, questa ricerca può rivelarsi
non troppo complessa, se è vero che l’accesso ad internet è, in sé e per sé, un servizio
che viene offerto, un servizio di cui i pubblici poteri – come la sentenza costaricense ha chiaramente rimarcato – non possono non
farsi carico[54]. Più che il richiamo al concetto di «diritto», sembra
allora che possa risultare di una qualche utilità il riferimento alla nozione
di «servizio pubblico»: come dire che, più che indugiare sulla qualificabilità dell’accesso alla stregua di un diritto, si
possono raggiungere approdi concreti fondandosi sulla qualificazione di internet come «servizio pubblico».
L’equazione appena proposta – giova evidenziarlo – è lungi
dall’essere rivoluzionaria, se è vero che la dottrina, anche italiana[55], ha già ampiamente sottolineato la percorribilità di una
tale impostazione teorica e se è vero che la definizione cui si addiviene si
colloca alla base di molte delle politiche del Consiglio d’Europa in materia[56].
Riprendere questa definizione, in un certo qual modo
tradizionale, associandola però alle acquisizioni fornite da diverse
giurisdizioni costituzionali (e non solo) in termini di qualificabilità
dell’accesso ad internet in termini
di diritto e, forse, di diritto fondamentale, può essere una strada da
percorrere per tratteggiare un affresco compiuto di ciò che internet e l’accesso ad internet rappresentano da un punto di
vista giuridico.
L’ampiezza, la delicatezza e la difficoltà di una indagine
che possa coniugare in maniera efficace i due piani evocati consigliano,
tuttavia, di arrestarsi in limine,
rassegnandosi a non presentare in questa sede conclusioni che siano
effettivamente tali. Nell’auspicio di poter tornare sulla tematica in un futuro
prossimo.
[1] Allo stato, sono soltanto due le
costituzioni nelle quali l’accesso ad internet
è configurato alla stregua di un diritto. A seguito della revisione
costituzionale del 6 aprile 2001, la Costituzione ellenica, all’art. 5A, comma
2, stabilisce che «ognuno ha il diritto di partecipare alla Società
dell’informazione», precisando, allo scopo, che «lo Stato ha l’obbligo di
agevolare l’accesso alle informazioni che circolano in forma elettronica,
nonché la produzione, lo scambio e la diffusione di queste informazioni». Più
articolata è la disciplina che reca la Costituzione dell’Ecuador del 2008:
all’art. 16, infatti, essa pone un diritto soggettivo («Todas las personas, en forma individual o colectiva, tienen derecho a: | […] | 2. El acceso universal a las tecnologías de información y comunicación. | 3. La
creación de medios de comunicación social, y al acceso en igualdad
de condiciones al uso de las
frecuencias del espectro radioeléctrico para la gestión de
estaciones de radio y televisión
públicas, privadas y comunitarias, y a bandas libres para la explotación de redes inalámbricas»), che
viene rafforzato, all’art. 17, da previsioni inerenti agli impegni che lo Stato
si assume per renderlo effettivo («EI
Estado fomentará la pluralidad y la diversidad en la comunicación, y al efecto: | 1. Garantizará la asignación,
a través de métodos
transparentes y en igualdad de condiciones,
de las frecuencias del espectro radioeléctrico, para la gestión de estaciones de radio y televisión públicas, privadas y comunitarias, así como el acceso
a bandas libres para la explotación de redes inalámbricas, y precautelará que en su utilización
prevalezca el interés colectivo. | 2.
Facilitará la creación y el
fortalecimiento de medios
de comunicación públicos, privados y comunitarios, así como el acceso
universal a las tecnologías
de información y comunicación
en especial para las personas
y colectividades que carezcan
de dicho acceso o lo tengan de forma limitada. | 3. No
permitirá el oligopolio o monopolio, directo ni indirecto,
de la propiedad de los medios
de comunicación y del uso de las frecuencias»).
[2] È comunque da segnalare che, a
quanto consta, in due legislazioni europee, e segnatamente in quella estone
(dal febbraio 2000) ed in quella finlandese (dal luglio 2009), l’accesso ad internet è qualificato in termini di
diritto soggettivo.
[3] La decisione è consultabile on line alla
pagina https://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank/download/cc-2009580dc.pdf;
una traduzione in lingua italiana è stata pubblicata in Dir. informazione e informatica, 2009, 524 ss. Su tale decisione, v. J.-M.
Bruguière, Loi «sur la protection
de la création sur internet»: mais à quoi joue le Conseil constitutionnel?,
in Rec. Dalloz, 2009, 1770 s.; L. Marino, Le droit d’accès à internet, nouveau droit fondamental, in Rec. Dalloz,
2009, 2045 s.; W. Benessiano,
L’inconstitutionnalité,
sanction de l’identification
d’un pouvoir de répression
pénale dévalué, in Rev. fr. dr. const.,
2010, 168 ss.; nella dottrina italiana, v. G.
Votano, Internet fra diritto
d’autore e libertà di comunicazione: il modello francese, in Dir. informazione e informatica, 2009,
533 ss., B. Carotti,
L’accesso alla rete e la tutela dei
diritti fondamentali, in Giornale
dir. amm., 2010, 643 ss., N. Lucchi, La legge «Création et Internet»: le censure
del Conseil constitutionnel,
in Quaderni costituzionali, 2010, 375
ss., nonché, volendo, P. Passaglia, L’accesso ad Internet è un diritto (il Conseil constitutionnel francese dichiara l’incostituzionalità di
parte della c.d. «legge anti file-sharing»), in Foro it., 2009, IV, 473 ss.
[4] La sentenza è consultabile on line
accedendo alla seguente pagina di ricerca: https://200.91.68.20/scij/ .
[5] La dichiarazione politica è stata
redatta in occasione della Prima Conferenza del Consiglio d’Europa dei ministri
responsabili dei media e dei nuovi
servizi di comunicazione, Une
nouvelle conception des médias?, Reykjavik, Islanda, 28-29 maggio 2009,
consultabile on line
alla pagina https://www.coe.int/t/dghl/standardsetting/media/MCM%282009%29011_fr_fin_web.pdf.
[6] Non è qui il caso di soffermarsi
sulla vexata quaestio della natura del Conseil constitutionnel,
per taluno ancora estraneo, a stretto rigore, alla funzione giurisdizionale. La
prevalenza della tesi opposta, che appare ad oggi assodata, soprattutto dopo
l’introduzione di un controllo di costituzionalità in via incidentale (con la
revisione costituzionale del 23 luglio 2008), consente di assimilare, almeno ai
presenti fini, il Conseil
ad una corte costituzionale. Per una sintesi della annosa controversia in
materia, sia consentito, anche per ulteriori riferimenti, operare un rinvio a
quanto in altra sede esposto (P. Passaglia, La
Costituzione dinamica. Quinta Repubblica e tradizione costituzionale francese,
Torino, Giappichelli, 2008, 265 ss.).
[7] V. supra, note 1 e 2.
[8] Sul tema, v., per tutti, G.F. Ferrari – A. Gambaro (a
cura di), Corti nazionali e comparazione giuridica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane,
2006.
[9] La formula è mutuata da V. Frosini, L’orizzonte giuridico dell’Internet, in Dir. informazione e informatica, 2000,
271 ss.
[10] Reno v American Civil Liberties
Union, 521 U.S. 844. La decisione, del 26 giugno 1997, è consultabile on line alla
pagina https://supreme.justia.com/us/521/844/case.html;
per una traduzione in italiano della opinion
of the Court, v. R.
Tarchi (a cura di), Corso di diritto comparato. Casi e materiali,
vol. I, Milano, Giuffrè, 1999, 203 ss.
[11] «The Internet is “a unique and wholly new
medium of worldwide human communication.” [...] Individuals can obtain access to the
Internet from many different sources, generally hosts themselves or entities
with a host affiliation. [...] Anyone
with access to the Internet may take advantage of a wide variety of
communication and information retrieval methods. These methods are constantly
evolving and difficult to categorize precisely. But, as presently constituted,
those most relevant to this case are electronic mail (e-mail), automatic
mailing list services (“mail exploders,” sometimes referred to as “listservs”), “newsgroups,” “chat rooms,” and the “World
Wide Web.” All of these methods can be used to transmit text; most can transmit
sound, pictures, and moving video images. Taken together, these tools
constitute a unique medium-known to its users as “cyberspace” – located in no
particular geographical location but available to anyone, anywhere in the
world, with access to the Internet»: Reno v American Civil Liberties Union, 521
U.S. 850 s.
[12] Come noto, una siffatta problematica
si è tradotta, nell’esperienza italiana, nella difficoltà di collocare la
comunicazione via internet
nell’ambito dell’art. 15 ovvero in quello dell’art. 21 della Costituzione, e
dunque se la garanzia della stessa sia da inquadrare nella tutela
dell’inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di
ogni altra forma di comunicazione oppure in quella del diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero. Sulla configurazione di internet nell’ordinamento costituzionale italiano, v. A. Cerri, Telecomunicazioni e diritti fondamentali, in Dir. informazione e informatica, 1996, 785 ss.; P. Costanzo, Aspetti evolutivi del regime giuridico di Internet, in Dir. informazione e informatica, 1996,
831 ss.; V. Zeno Zencovich,
Appunti sulla disciplina costituzionale
delle telecomunicazioni, in Dir.
informazione e informatica, 1996, 393 ss.; P.
Costanzo, Profili costituzionali
delle telecomunicazioni, in F. Bonelli – S. Cassese (a
cura di), La disciplina giuridica delle
telecomunicazioni, Padova, Cedam, 1999, 347 ss.; P. Costanzo, voce Internet (Diritto pubblico), in Digesto
disc. pubbl., Aggiornamento, Torino, 2000, 347 ss.; A. Valastro, Libertà di comunicazione e nuove tecnologie, Milano, Giuffrè, 2001; G.
Cassano – A. Contaldo, Internet e tutela della libertà di espressione, Milano, Giuffrè, 2009.
[13] Cfr. Federal
Communications Commission, Declaratory
Ruling and Notice of Proposed Rulemaking, FCC 02 -77, 14 marzo 2002, consultabile on line
alla pagina https://hraunfoss.fcc.gov/edocs_public/attachmatch/FCC-02-77A1.pdf,
spec. 34 ss.
[14] In tal senso, v., in particolare, la
decisione della Corte suprema federale sul caso National Cable & Telecommunications
Association et al. v Brand X Internet Services
et al., 545 U.S. 967 (2005), consultabile on line alla
pagina https://www.law.cornell.edu/supct/html/04-277.ZS.html.
[15] «Internet access service allows for a type of
transmission of data and information that is by-and-large unrelated to ordinary
telephone service, and therefore does not supplement such service»: Carlson
v. Guam Telephone Authority, 2002 Guam 15, consultabile
on line alla
pagina https://www.justice.gov.gu/Opinions/images/2002%20Guam%2015.pdf
(il brano citato è a p.
23).
[16]
Per una compiuta analisi delle problematiche
emerse al riguardo, v. T.L. Lay, Recent Broadband, Communications and Tax-Related Developments of
Interest to Counties, 2010 National
Association of Counties Annual Conference, July 16 – 20, 2010, Reno, Nevada, consultabile
on line alla
pagina https://www.spiegelmcd.com/publications/pubs/20100720_NACo.pdf.
[17]
V., in particolare, le decisioni
della stessa Federal Court sui casi
Universal
Music Australia Pty Ltd v Cooper, [2005] FCA 972, e Universal
Music Australia Pty Ltd and Others v
Sharman License Holdings Ltd and Others, [2005] FCA 1242.
[18] Cfr. la sentenza del 4 febbraio 2010 resa dalla Federal Court
of Australia, sul caso Roadshow Films Pty Ltd v iiNet Limited (No.
3) [2010] FCA 24, consultabile on line alla pagina
https://www.austlii.edu.au/au/cases/cth/FCA/2010/24.html:
«it is obvious that the […] provision of the internet was a
necessary precondition for the infringements which occurred. However, that does
not mean that the provision of the internet was the ‘means’ of
infringement. The provision of the internet was just as necessary a
precondition to the infringements which occurred […]»: «the use of the BitTorrent
system as a whole was not just a precondition to infringement; it was, in a
very real sense, the ‘means’ by which the applicants’ copyright has been
infringed. This is the inevitable conclusion one must reach when there is not a
scintilla of evidence of infringement occurring other than by the use of the BitTorrent system. Such conclusion is reinforced by the
critical fact that there does not appear to be any way to infringe the
applicants’ copyright from mere use of the internet. There will always have to
be an additional tool employed»; «absent
the BitTorrent system, the infringements could not
have occurred» (§§ 401-402; enfasi testuali).
[19] Conseil constitutionnel, décision n. 2009-580, considérant 12: «Considérant qu’aux termes de l’article 11 de la Déclaration des droits
de l’homme et du citoyen de 1789: “La libre communication des pensées et des
opinions est un des droits les plus précieux de l’homme: tout citoyen peut donc
parler, écrire, imprimer librement, sauf à répondre de l’abus de cette liberté
dans les cas déterminés par la loi”; qu’en l’état actuel des moyens de
communication et eu égard au développement généralisé des services de
communication au public en ligne ainsi qu’à l’importance prise par ces services
pour la participation à la vie démocratique et l’expression des idées et des opinions,
ce droit implique la liberté d’accéder à ces services; […]».
[20] Su questa stessa problematica nell’ordinamento
italiano, v. P. Costanzo, Quale partecipazione politica attraverso le
nuove tecnologie comunicative in Italia, in Dir. informazione e informatica, 2011, 19 ss.
[21] Sala Constitucional
de la Corte Suprema de Justicia, sentencia n. 12790 del 2010, par. V: «[…]
en los últimos veinte años en materia de tecnologías de la información y comunicación (TIC´s) ha revolucionado
el entorno social del ser humano. Sin temor a equívocos, puede afirmarse que estas tecnologías han impactado el modo
en que el ser humano se comunica,
facilitando la conexión
entre personas e instituciones
a nivel mundial y eliminando las barreras de espacio
y tiempo. En este momento,
el acceso a estas tecnologías se convierte en un instrumento básico para facilitar el ejercicio de derechos fundamentales como la participación democrática (democracia electrónica) y el control ciudadano,
la educación, la libertad
de expresión y pensamiento,
el acceso a la información
y los servicios públicos en
línea, el derecho a relacionarse con los poderes públicos por medios
electrónicos y la transparencia
administrativa, entre otros».
[22] Cfr. l’art. 22, lettera b), della legge 7 agosto 1990, n. 241,
come sostituito dall’art. 15 della legge 11 febbraio 2005, n. 15.
[23] A questo proposito, può forse
tratteggiarsi, non senza le dovute cautele, un parallelismo tra l’accesso ad internet e quello alle informazioni
ambientali, per il quale vale oggi quanto disposto dall’art. 3, comma 1, del
decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, ai sensi del quale i detentori di
informazioni che siano o che agiscano sotto il controllo di organismi pubblici
– cfr. la definizione di «autorità pubblica» di cui all’art. 2, lettera b) – sono tenuti a rendere disponibili
le informazioni ambientali detenute «a chiunque ne faccia richiesta, senza che
questi debba dichiarare il proprio interesse». L’irrilevanza di un interesse
diretto al fine di accedere all’informazione ambientale pare che debba essere
letta, in effetti, come un corollario della qualificazione dell’ambiente in
termini di «valore», con la conseguente riferibilità a chiunque dell’interesse
alla conoscenza del suo stato. Il parallelo tra l’accesso ad internet e l’accesso all’informazione
ambientale non può, tuttavia, andare oltre la comune irrilevanza di un
interesse specifico, giacché è evidente che, nell’un caso, l’accesso
(all’informazione ambientale) è finalizzato a futuri ed eventuali atti ed
attività da compiere o comportamenti da adottare (di tutela, gestione o
valorizzazione dell’ambiente) per proteggere un interesse, mentre, nell’altro,
l’accesso (ad internet) è già di per
sé un’attività che soddisfa l’interesse. Per una compiuta analisi della
disciplina e della portata dell’accesso all’informazione ambientale nel nostro
ordinamento, v. C. Aliberti
– N. Colacino – P. Falletta,
Informazione ambientale e diritto di
accesso, a cura di G. Recchia, Padova, Cedam, 2007, passim.
[24] Articoli 5 e 11 di quella che
sarebbe divenuta la loi
n. 2009-669 del 12 giugno 2009, favorisant la diffusion et la protection de la création sur internet (c.d. Loi Hadopi).
[25] «Les pouvoirs de
sanction institués par les dispositions critiquées habilitent la commission de
protection des droits, qui n’est pas une juridiction, à restreindre ou à
empêcher l’accès à internet de titulaires d’abonnement ainsi que des personnes
qu’ils en font bénéficier; […] la
compétence reconnue à cette autorité administrative n’est pas limitée à une
catégorie particulière de personnes mais s’étend à la totalité de la
population; […] que ses pouvoirs
peuvent conduire à restreindre l’exercice, par toute personne, de son droit de
s’exprimer et de communiquer librement, notamment depuis son domicile; […] que, dans ces conditions, eu égard à la
nature de la liberté garantie par l’article 11 de la Déclaration de 1789, le
législateur ne pouvait, quelles que soient les garanties encadrant le prononcé
des sanctions, confier de tels pouvoirs à une autorité administrative dans le
but de protéger les droits des titulaires du droit d’auteur et de droits
voisins»: cfr. Conseil constitutionnel, décision
n. 2009-580 DC, del 10 giugno
2009, considérant 16.
[26] Il riferimento va alla sentenza sul
caso Emi Records
(Ireland) Ltd. et al. v Eircom Ltd., [2010] IEHC 108, pronunciata il 16 aprile 2010,
consultabile on line
alla pagina https://www.scribd.com/doc/39179082/EMI-Records-v-Eircom-Ltd.
[27] «This is a serious sanction. Some would argue
that it is an imposition on human freedom. There is no freedom, however, to
break the law. Further, while it is convenient to have internet access at home,
most people in Ireland have only to walk down to their local town centre to gain
access for around €1.50 an hour»: cfr. Emi Records (Ireland) Ltd. et al. v Eircom Ltd., par. 9.
[28] Ley General de Telecomunicaciones
n. 8642, del 4 giugno 2008.
[29] V. supra, par. 2.
[30] Un tema reso classico dalla
precitata sentenza della Corte suprema statunitense sul caso Reno è, ad esempio, quello della pedopornografia su internet,
il cui contrasto implica, evidentemente, limitazioni all’accesso a siti, per
quanto, a rigori, ancor prima di
questa limitazione si pone (si porrebbe) la limitazione alla comunicazione su internet consistente nel divieto di
veicolare determinati contenuti che divengano accessibili.
Sempre a
titolo esemplificativo, un altro ambito da segnalare è relativo alla tutela
della privacy di soggetti che trovino
esposti propri dati alla conoscibilità dell’internauta, ciò che si traduce in
una limitazione per quest’ultimo ad accedere a determinate informazioni
riguardanti i primi. Tra le varie decisioni che potrebbero essere menzionate,
particolarmente interessante appare quella resa dalla (allora) Cour d’arbitrage
belga nella quale si è dichiarata incostituzionale una disposizione legislativa
rivolta alla lotta contro il doping,
nella parte in cui prevedeva che le sanzioni disciplinari inflitte a
determinate categorie di sportivi, rese tradizionalmente note attraverso i
canali comunicativi ufficiali delle federazioni sportive, lo fossero anche su
un sito web liberamente accessibile. Onde giungere alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, si
è tra l’altro ammesso che «une forme restreinte de publication électronique pour les besoins des
fonctionnaires chargés de la surveillance et des responsables des associations
sportives peut être jugée nécessaire pour assurer le respect effectif des
sanctions imposées aux sportifs et sert un but légitime»; ciò nondimeno, «la diffusion de données personnelles, prévue
par le décret, sur un site web non sécurisé et, partant, accessible à chacun va
cependant au-delà de ce que cet objectif requiert», giacché
«une telle publication n’a pas seulement
pour effet que chacun peut prendre connaissance de ces données, même si cela
n’est d’aucune utilité, mais elle permet également que les données publiées
soient utilisées à d’autres fins et soient traitées plus avant, ce qui a pour
conséquence qu’elles peuvent encore être diffusées après l’expiration des
sanctions et la disparition de la publication dudit site web» (Cour d’arbitrage, arrêt n. 16/2005, del 19 gennaio 2005, par. B.6.1.; la decisione è consultabile on line alla pagina https://www.const-court.be/public/f/2005/2005-016f.pdf).
Una
problematica per certi versi connessa è stata affrontata anche dal Tribunal Constitucional
spagnolo, allorché esso è stato chiamato a decidere su un recurso de amparo, nel quale veniva tra l’altro
avanzata la richiesta che la decisione che avrebbe reso il Tribunal venisse pubblicata, tanto nel formato elettronico del Boletín Oficial del Estado quanto sul sito internet dell’istituzione, citando le sole iniziali (e non con il
nome completo) del ricorrente (STC 114/2006, del 5
aprile, consultabile on line alla pagina https://www.tribunalconstitucional.es/es/jurisprudencia/Paginas/Sentencia.aspx?cod=8910).
Il Tribunal ha ribadito l’esigenza
costituzionale di massima diffusione e pubblicità del contenuto integrale delle
sue decisioni, ammettendo però il suo carattere non assoluto, giacché si
richiede una ponderazione tra gli interessi costituzionali in gioco (tra cui,
evidentemente, il diritto all’intimità). Ciò posto, il Tribunal ha sottolineato che chi partecipa per decisione propria ad
un procedimento pubblico non può opporre, salvo casi limitati, il suo diritto
fondamentale all’intimità personale né la garanzia dei diritti nei confronti
dell’uso dell’informatica. In definitiva, la determinazione in ordine alla
pubblicazione del nome delle parti non può non spettare al Tribunal Constitucional, che dovrà
operare, caso per caso, un bilanciamento tra gli interessi contrapposti, onde
giungere, eventualmente, a riscontrare la sussistenza delle condizioni in
presenza delle quali può farsi luogo ad una eccezione al principio generale che
impone la pubblicità. Per quel che attiene alla protezione della riservatezza
sulla rete, con precipuo (anche se non esclusivo) riferimento all’ordinamento
spagnolo, v. M.d.C. Guerrero Picó, El Impacto
de Internet en el Derecho Fundamental a la Protección de Datos de Carácter Personal,
Madrid, Thomson – Civitas,
2006.
[31] A tal proposito, sono venute in
rilievo principalmente problematiche connesse alla privacy ed al trattamento dei dati di coloro che accedono ad internet. Varie pronunce sono state
originate, in special modo, dall’attuazione della
direttiva 2006/24/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006,
riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della
fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di
reti pubbliche di comunicazione.
Sul tema, le
esigenze di rispetto della privacy
sono state alla base dell’annullamento, da parte della Suprema corte
amministrativa bulgara, con decisione dell’11 dicembre 2008, di un atto
regolamentare che consentiva ad organismi governativi (in ispecie,
del ministero dell’interno) di accedere a tutti i dati personali detenuti da internet providers
(oltre che da operatori di telefonia mobile), senza che fosse all’uopo
necessario l’intervento autorizzativo da parte di un
giudice (su tale decisione, per una sintetica informazione, v. The Bulgarian
Supreme Administrative Court (SAC) repealed a provision of the Data Retention in the
Internet Regulation, https://www.aip-bg.org/documents/data_retention_campaign_11122008eng.htm).
Sempre con
riferimento alla data retention,
di notevole interesse è la decisione della Corte costituzionale rumena che ha
dichiarato incostituzionale la legge n. 298/2008 (di attuazione della direttiva
2006/24/Ce), che autorizzava la registrazione di dati inerenti alle
comunicazioni (telefoniche o) elettroniche da parte dei providers, senza operare una
specifica delimitazione dei dati per i quali fosse prevista la retention
(sentenza 8 ottobre 2009, n. 1258, di cui è consultabile on line una traduzione in inglese alla
pagina https://www.legi-internet.ro/english/jurisprudenta-it-romania/decizii-it/romanian-constitutional-court-decision-regarding-data-retention.html).
La normativa
interna di recepimento della direttiva è stata oggetto di scrutinio anche da
parte del Bundesverfassungsgericht,
che ha censurato l’insufficienza di previsioni inerenti alla sicurezza, alla
trasparenza ed alla proporzionalità, nonché quelle relative alla tutela
giurisdizionale degli individui sottoposti ad indagini, nell’ambito della
disciplina che imponeva (tra gli altri) agli internet providers di registrare il
traffico telematico e di conservare per sei mesi i dati concernenti la
navigazione sul web, il traffico e-mail ed i collegamenti internet, affinché questi dati fossero
resi disponibili, su richiesta, per l’autorità giudiziaria e potessero essere
messi a disposizione di polizia, procure e servizi segreti nell’intento di
prevenire gravi reati o per perseguire chi li avesse commessi (sentenza 2 marzo
2010, 1 BvR 256/08; 1 BvR 263/08;
1 BvR 586/08, consultabile on line alla pagina https://www.bverfg.de/entscheidungen/rs20100302_1bvr0256/08.html).
[32] In effetti, «alla base del digital divide ci sono degli ostacoli
prettamente cognitivi: la mancanza di conoscenze linguistiche, la mancanza di
competenze di base (competenze alfabetiche, numeriche e informatiche), di
competenze trasversali (competenze riconducibili alle categorie del
diagnosticare, relazionarsi ed affrontare la situazione) e di competenze di
gestione (di tipo organizzativo e strategico, per il reperimento delle
informazioni e una visione critica delle stesse)» (così G. Cassano – A. Contaldo, Internet e tutela della libertà di
espressione, cit., 23).
[33] Cfr., ad es., con riferimento alla
dottrina italiana, V. Bianchini – A.
Desiderio, Atlante del divario
digitale, in I quaderni speciali di Limes, 2001, n. 1, suppl., 42 ss.; L. Sartori, Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze sociali,
Bologna, il Mulino, 2006; S. Bentivegna, Disuguaglianze
digitali. Le nuove forme di esclusione nella società dell’informazione,
Roma – Bari, Laterza, 2009.
[34] A titolo puramente indicativo,
possono menzionarsi – sempre con riguardo unicamente alla dottrina italiana – i
lavori di T. Pucci,
Il diritto all’accesso nella società
dell’informazione e della conoscenza. Il digital
divide, in Informatica e diritto,
2002, 119 ss.; P. Costanzo, La democrazia elettronica (note minime sulla
c.d. e-democracy), in Dir. informazione e
informatica, 2003, 465 ss.; M. Muti,
Spunti per una riflessione su un modo di
essere cittadino: utente digitale, in Informatica
e diritto, 2006, 47 ss.; M. Da Bormida – D. Domenici, Software libero, copyleft
e digital divide, in Dir. autore e nuove tecnologie, 2006, n. 2, 143 ss.; E. De Marco (a cura di), Accesso alla rete e uguaglianza digitale,
Milano, Giuffrè, 2008.
[35] Solo per fare accenno alla normativa
italiana, il digital divide pare che possa pianamente
inserirsi nel contesto delle discriminazioni sulla base delle «condizioni
personali e sociali», evocato dall’art. 3, primo comma, della Costituzione.
[36] Corte
costituzionale, sentenza 21 ottobre 2004, n. 307, par. 3.1. del Considerato in diritto.
[37] Il quale così recita, a seguito
delle modifiche apportate dall’art. 1° della ley n. 7880 del 27 maggio 1999: «Toda persona es igual ante la ley y no podrá practicarse discriminación alguna contraria a
la dignidad humana».
[38] Come noto, la costituzione francese
della V Repubblica si compone, oltre che della Carta del 1958, di diversi testi
costituzionali, che nel loro complesso vanno ad integrare il parametro di
giudizio del Conseil constitutionnel,
definito – appunto – «bloc de constitutionnalité»
da L. Favoreu,
Le principe de constitutionnalité. Essai de
définition d’après la jurisprudence du Conseil constitutionnel, in Recueil
d’études en hommage à Charles Eisenmann, Cujas,
Paris, 1975, 33 ss. (sul bloc de constitutionnalité, per ulteriori riferimenti, sia
consentito rinviare a P. Passaglia, La
Costituzione dinamica, cit., 175 ss.).
[39] … e confermato in Commentaire de la décision n° 2009-580 DC –
10 juin 2009, Loi relative à la diffusion et à la protection de la création sur
internet, in Cahiers Cons. const.,
n. 27, 2010, p. 7 della versione
consultabile on
line alla pagina https://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank_mm/commentaires/cahier27/ccc_580dc.pdf,
in cui, per l’accesso ad internet, si è precisato
che «la
reconnaissance d’une telle liberté ne revient pas à affirmer, comme le
soutenaient les requérants, que l’accès à internet est un droit fondamental»,
dal momento che «affirmer la liberté d’accéder à internet ne
revient pas à garantir à chacun un droit de caractère général et absolu d’y
être connecté», di talché «la portée de la décision, sur ce point, consiste à affirmer que, “en l’état”, les atteintes à la liberté d’accéder à internet s’analysent, au
regard de la Constitution, comme des atteintes à la liberté garantie par
l’article 11 de la Déclaration de 1789» (enfasi testuale).
[40] Così, in particolare, L. Marino, Le droit d’accès à internet, nouveau droit fondamental, cit., 2045 s.
[41] Sala Constitucional
de la Corte Suprema de Justicia, sentencia n. 12790 del 2010, par. V: «el
Consejo Constitucional de
la República Francesa, en
la sentencia No. 2009-580 DC de 10 de junio de 2009, reputó como un derecho básico el acceso a Internet, al desprenderlo,
directamente, del artículo 11 de la Declaración de
los Derechos del Hombre y del Ciudadano de 1789».
[42] Sala Constitucional
de la Corte Suprema de Justicia, sentencia n. 12790 del 2010, par. V: «se
ha afirmado el carácter de derecho fundamental que reviste […] el derecho de acceso a la Internet o
red de redes».
[43] Cfr. il brano della sentencia n.
12790 del 2010 riportato supra,
nota 20, in fine.
[44] Il profilo dei doveri acquista una
particolare rilevanza soprattutto in determinati ambiti, come, in primo luogo,
quello dell’e-work (su cui, v. A. Contaldo, Le politiche del diritto in materia di
e-work, in Dir. econ.
mezzi comunicaz., 2007, 281 ss.); una dimensione
connessa (anche) ai diritti è però rintracciabile, tra gli altri, negli strumenti
di e-democracy
(per i quali, v., ad es., M. Pietrangelo, E-government e società
dell’informazione: la prima legge regionale, in Informatica e diritto, 2003, nn. 1-2, 145 ss.; P.
Costanzo, La democrazia
elettronica (note minime sulla c.d. e-democracy), cit., 465 ss.).
[45] Per un inquadramento complessivo del
collegamento tra l’accesso ad internet
e le estrinsecazioni della personalità dell’individuo, v. G. Cassano – A. Contaldo,
Internet e tutela della libertà di
espressione, cit., 209 ss.
[46] Per la ricostruzione, anche in
chiave storica, dell’affermarsi della garanzia pubblicitaria, v. A. D’Atena, La pubblicazione delle
fonti normative. I. Introduzione storica e premesse generali,
Padova, Cedam, 1974, 65 ss.; M. Ainis, L’entrata in vigore
delle leggi. Erosione e crisi d’una garanzia costituzionale: la vacatio legis, Padova, Cedam, 1986, 3 ss. Sulla problematica attuale della
pubblicazione telematica delle leggi, v. P. Costanzo
e M. Pietrangelo, Theory and
Reality of the Official Publication of Legal Acts on Internet, in G. Peruginelli, M. Ragona (eds), Proceedings of the IX
International Conference "Law
via the Internet" (Firenze, 30-31/10/2008), Florence,
European Academic Publishing Press, 111 ss.
[47] Una ipotesi, questa, che è ben lungi
dall’essere futuristica anche nel nostro ordinamento, come dimostra il
combinato disposto dell’art. 124 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
(Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), e dell’art. 32
della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), da cui
si evince l’obbligo per le amministrazioni degli enti locali di approntare un
albo pretorio in forma unicamente telematica.
[48] V. Conseil d’État, Publication et entrée
en vigueur des lois et de certains actes administratifs, 23 novembre 2001, Paris, La
Documentation française, 2001, consultabile on line alla pagina https://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/BRP/014000761/0000.pdf.
Sui contenuti di tale rapport, v., amplius, P. Passaglia, L’entrata
in vigore delle leggi in un recente rapport
del Conseil d’État
francese: fra tradizione e futur(ism)o,
in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 161
ss.
[49] Si legge, nelle conclusioni
del rapport,
che si pone la necessità «de
garantir au niveau législatif l’existence et les caractéristiques essentielles
du Journal officiel de la République française, en consacrant le fait qu’il est désormais publié non seulement sur
support papier mais aussi sous forme électronique et que sa consultation sous
cette dernière forme est gratuite». Ciò posto, «la question
de savoir si et dans quelle mesure la publication du Journal officiel sous forme électronique devrait être
substituée à sa publication sur support papier, qui se pose en pratique en
raison du volume actuel du Journal officiel imprimé, appelle une réponse très prudente, notamment pour la raison
évidente que la population dotée d’un équipement informatique reste très
minoritaire. Il est néanmoins proposé que la loi habilite le Gouvernement à
opérer cette substitution pour des catégories d’actes administratifs dès lors
que la nature, la portée et les caractéristiques du public qu’ils concernent le
justifieraient raisonnablement» (Conseil
d’État, Publication et entrée en vigueur des lois et de certains
actes administratifs, cit., 44).
[50] Cfr. la loi-programme (I) del 24 dicembre
2002 (Procédure de publication
au Moniteur belge), ed in particolare gli articoli 472-478.
[51] «Sans doute le Moniteur belge édité
sur papier n’assurait-il pas non plus la connaissance par chacun des textes qui
l’obligent. Pour certaines personnes, la mise à la disposition des textes sur
un site Internet favorisera même leur accès et le rendra également moins
onéreux.
«Mais il reste
que, du fait des dispositions entreprises, un nombre important de personnes se
verront privées de l’accès effectif aux textes officiels, en particulier par
l’absence de mesures d’accompagnement qui leur donneraient la possibilité de
consulter ces textes, alors qu’elles avaient la possibilité, antérieurement, de
prendre connaissance du contenu du Moniteur
belge sans devoir
disposer d’un matériel particulier et sans avoir d’autre qualification que de
savoir lire» (Cour d’arbitrage,
arrêt n. 106/2004, del 16 giugno 2004, par. B.21.; la decisione è consultabile on line alla
pagina https://www.const-court.be/public/f/2004/2004-106f.pdf).
[52] «Faute d’être accompagnée de mesures
suffisantes qui garantissent un égal accès aux textes officiels, la mesure
attaquée a des effets disproportionnés au détriment de certaines catégories de
personnes» (Cour d’arbitrage, arrêt n. 106/2004, cit.,
par. B.22.).
[53] La decisione ha avuto un seguito
nella legge del 20 luglio 2005, che ha introdotto, tra l’altro, previsioni
dirette ad agevolare la consultazione dei fogli ufficiali da parte delle
categorie ritenute tecnologicamente svantaggiate. Tra le modifiche apportate
alla legge del 2002, oltre alla introduzione di una quarta copia cartacea e di
una copia in microfilm, ha assunto una particolare importanza la disposizione
in base alla quale è divenuto possibile ottenere, a prezzo di costo, una copia
degli atti pubblicati, individuabili anche attraverso un servizio ausiliario
prestato via telefono che è stato messo a disposizione gratuitamente (art. 475bis della loi-programme (I) del 24 dicembre 2002, come introdotto dalla loi del 2005: «tout citoyen peut obtenir à prix coûtant auprès
des services du Moniteur belge, par le biais d’un service d’aide téléphonique gratuit, une copie des actes et
documents publiés au Moniteur belge. Ce service est également chargé de
fournir aux citoyens un service d’aide à la recherche de documents»). La legge, che faceva rinvio, per
altri provvedimenti di agevolazione della consultazione, ad una fonte
regolamentare, è stata impugnata nuovamente (dallo stesso ricorrente del
giudizio precedente) di fronte alla Cour d’arbitrage, la quale ha disatteso però le censure
dichiarando che le previsioni introdotte potevano dirsi «de nature à éviter que
les citoyens soient victimes d’une discrimination dans l’accès aux textes
officiels publiés au Moniteur belge» (Cour d’arbitrage, arrêt n. 10/200, del 17 gennaio 2004, par. B.14.1.; la
decisione è consultabile on line alla pagina https://www.const-court.be/public/f/2007/2007-010f.pdf).
[54] In tal senso, v., da ultimo, S. Rodotà, Una costituzione per internet?, in Pol. dir., 2010, 337 ss.
[55] Cfr., in particolare, A. Valastro, Il
servizio universale, fra libertà di comunicazione e diritto all’informazione, in
Dir. radiodiffusioni e telecomunicazioni, 1999, 56 ss.; R. Zaccaria, Dal servizio pubblico al servizio universale, in L. Carlassare
(a cura di), La comunicazione del futuro
e i diritti delle persone, Padova, Cedam, 2000, 5
ss.
[56] A titolo meramente esemplificativo,
può citarsi, tra i molti documenti, il titolo di un information sheet presentato all’Internet Governance
Forum tenutosi a Vilnius, dal 14 al 17 settembre 2010 (ma, certo non
casualmente, un analogo information sheet era stato predisposto anche per i due precedenti fora): The Internet, a public service accessibile to
everyone (https://www.coe.int/t/dc/files/events/internet/2010_Fiche_internet.pdf).