Roberta Greco
Dialogo tra Corti
ed effetti nell’ordinamento interno. Le implicazioni della sentenza della Corte
costituzionale del 7 aprile 2011, n. 113
1. La sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 7 aprile
2011 si iscrive in una lunga e complessa vicenda giudiziaria nota come il
caso “Dorigo” che ha investito le corti di merito,
La vicenda è nota e può essere brevemente sintetizzata come
segue.
Il sig. Paolo Dorigo, a seguito
della condanna definitiva della Corte d’Assise di Udine a 13 anni e sei mesi di
reclusione per reati a finalità terroristica[1],
rivolgeva un’istanza alla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo sostenendo
la lesione del proprio diritto ad un equo processo, ai sensi dell’art. 6 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (d’ora in avanti: “CEDU”), per essere stato condannato sulla base
di dichiarazioni rese da tre coimputati non esaminati in contraddittorio.
Il Pubblico Ministero di Udine, di conseguenza, sollevava
la questione della sopravvenuta inefficacia del titolo esecutivo a carico del
sig. Dorigo per contrasto con la decisione di
Strasburgo e chiedeva alla Corte d’Assise di Udine (giudice dell’esecuzione) di
verificare la legittimità della detenzione e di sospendere l’esecuzione della
pena. Il tribunale locale rigettava la richiesta del p.m. sostenendo, tra
l’altro, che l’assenza nell’ordinamento italiano di un apposito rimedio per la
rinnovazione del processo valutato non equo dalla Corte europea fosse di
ostacolo alla liberazione del condannato, in quanto si sarebbe potuta
determinare la sospensione sine die dell’esecuzione della pronuncia di condanna.
Contro l’ordinanza di rigetto della Corte d’Assise di Udine
il p.m. proponeva ricorso per Cassazione.
Contestualmente
Posta di fronte all’inerzia del legislatore,
In ambito strettamente penalistico la dichiarazione di
incostituzionalità dell’art 630 c.p.p. comporta una
deroga al “dogma” dell’intangibilità del giudicato[8]
per motivi processuali e solleva importanti problemi pratici per gli operatori
del diritto.
In questa breve nota di commento, tuttavia, si
vogliono analizzare le questioni di carattere internazionalistico toccate nella
sentenza e che meritano di essere approfondite.
2.
Essa
sottolinea, in primo luogo, come questa previsione sia “di centrale rilievo nel
sistema europeo di tutela dei diritti fondamentali”, in quanto dall’esecuzione del
giudicato di Strasburgo dipende la “consistenza dell’obbligo primario” assunto
dagli Stati contraenti di riconoscere ad ogni persona i diritti e le libertà
garantiti dalla Convenzione (art. 1 della CEDU).
Analizzando,
in particolare, le misure individuali, se ne identifica la finalità nella restitutio in integrum consistente nel porre il
ricorrente nella situazione equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se
non vi fosse stata la violazione della Convenzione.
Dalla
necessità di adottare le misure individuali idonee a consentire il ripristino
della situazione del ricorrente, deriva anche l’obbligo dello Stato contraente
di rimuovere gli eventuali impedimenti presenti nell’ordinamento giuridico
interno che si frappongono a tale obiettivo.
Nelle
ipotesi, correlate allo svolgimento di un procedimento penale, in cui
Pertanto,
lo Stato contraente avrebbe il dovere di predisporre meccanismi idonei a
consentire la riapertura del processo riconosciuto “non equo” da Strasburgo[10].
L’esame
condotto dalla Corte costituzionale merita, a nostro avviso, alcune
precisazioni.
La
dottrina che ha approfondito il tema del contenuto dell’obbligo di dare
esecuzione alle sentenze della Corte europea, come sancito dall’art. 46 della
CEDU, ha rilevato come
Come
noto, secondo i termini del Progetto di articoli sulla responsabilità dello
Stato della Commissione di Diritto Internazionale, lo Stato che ha commesso un
fatto internazionalmente illecito deve: porre fine al fatto illecito (art. 30
lett. a); riparare integralmente il pregiudizio causato (art. 31, c. 1);
offrire garanzie di non ripetizione se le circostanze lo richiedono (art. 30,
lett. b).
Conformemente
ai principi di diritto internazionale generale, anche dalla violazione
dell’obbligo di conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea deriva
la nascita di nuovi obblighi in capo allo Stato responsabile (oltre,
ovviamente, al dovere di eseguire l’obbligo violato, che permane, e nel caso
della CEDU consiste nel rispetto dei diritti dell’uomo ex art. 1 della Convenzione). In particolare, quando le sentenze
della Corte europea impongono l’adozione sia di misure individuali che
generali, dalla mancata ottemperanza discendono gli obblighi di porre termine
alla violazione constatata dalla Corte, di cancellare le conseguenze della
violazione e di adottare le misure generali volte a garantire la non
ripetizione della violazione causata da problemi strutturali dell’ordinamento.
Da
queste brevi premesse si evince che le misure individuali soddisfano, oltre
all’obbligazione di rispettare i diritti dell’uomo, anche gli obblighi di
cessazione e cancellazione delle conseguenze della violazione constatata dalla
Corte europea.
In
particolare la restitutio in integrum, consiste
nel ristabilimento dello status quo ante e nella compensazione per i danni sofferti. Va
sottolineato che detta compensazione differisce dall’equo indennizzo che viene
accordato dalla Corte europea, ai sensi dell’art. 41 della CEDU, solo ove “il
diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata non consenta che una
parziale riparazione delle conseguenze di tale violazione”[12].
Strettamente
inteso, quindi, il contenuto dell’obbligo di conformarsi alle sentenze della
CEDU si differenzia dalla corresponsione di un equo indennizzo, che dovrebbe
essere accordata solo ove lo Stato contraente non possa dare esecuzione alle
sentenze della Corte europea e quindi riparare, in tutto o in parte, le
conseguenze della violazione.
Le
misure generali, invece, devono essere adottate per garantire la non
ripetizione della violazione della CEDU, qualora la sentenza della Corte di
Strasburgo abbia messo in luce la necessità di rimediare a problemi strutturali
presenti nell’ordinamento. A tal fine possono essere indispensabili modifiche
legislative o di prassi amministrative e giurisdizionali dello Stato
contraente.
Come
visto, il riesame o la riapertura dei processi interni considerati “non equi”
dalla Corte di Strasburgo rappresenta una forma di restitutio in integrum, in quanto
consente di cancellare le conseguenze di una violazione della CEDU.
Tuttavia,
ove sussista una sentenza interna con autorità di cosa giudicata e manchi un
meccanismo, legislativo o giurisprudenziale idoneo a consentire la riapertura
del processo riconosciuto “non equo” da una sentenza definitiva della Corte
europea, il riesame del caso sarà problematico.
In
tale circostanza potrebbero sussistere due giudicati contrastanti, uno interno
e l’altro internazionale, ed occorre stabilire se essi possano coesistere o
meno.
Sulla
base di quanto fin qui esposto in merito al contenuto dell’obbligo di
conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea, si dovrebbe desumere
una risposta negativa. Lo Stato dovrebbe essere tenuto ad adottare tutte le
misure individuali e generali volte a garantire la riapertura del processo
interno.
Qualora
ciò non avvenga, ci si domanda se la pronuncia della Corte europea sia idonea a
rimuovere il giudicato di una sentenza interna ed a sostituirsi ad esso[13].
A
tale quesito
3. La tematica dell’idoneità del giudicato di Strasburgo a
rimuovere quello interno ed a sostituirsi ad esso si iscrive nella problematica
relativa alla natura[14]
e agli effetti del giudicato della Corte europea nei giudizi interni[15].
Parte della dottrina[16]
e della giurisprudenza italiana[17],
nonché lo stesso Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa[18]
si sono espressi a favore dell’effetto diretto del giudicato di Strasburgo che
sia idoneo a produrlo (si precisa, infatti, che non tutte le sentenze della
Corte europea sarebbero idonee nel contenuto ad avere effetti diretti. Nella
maggioranza dei casi
In particolare,
Da queste premesse ed in assenza di un
meccanismo idoneo a rinnovare il processo,
Nella sentenza qui in esame
In particolare, essa ritorna sulla qualifica delle norme
CEDU quali “norme interposte” ai fini della verifica del rispetto dell’art.
117, c. 1, della Cost., nella parte in cui impone al legislatore di conformarsi
agli obblighi internazionali[22].
Pertanto, il giudice che ravvisi un contrasto insanabile in
via interpretativa tra una norma interna e una norma della Convenzione, non può
disapplicare la norma interna, ma deve sottoporla a scrutinio di
costituzionalità per valutarne la compatibilità in rapporto alla disposizione
convenzionale[23].
Anche le sentenze della Corte europea,
allo stesso modo delle norme CEDU, si inseriscono nel rinvio operato dall’art.
117 Cost. al rispetto degli obblighi internazionali. Ne consegue che il giudice
a quo non può disapplicare la norma
interna di cui
Da queste considerazioni discende,
altresì, la conseguenza che l’eventuale contrasto di giudicati, quello interno e
quello sovranazionale, possa essere risolto unicamente proponendo la questione
di legittimità costituzionale in riferimento al parametro espresso dall’art.
117, primo comma, Cost., e assumendo l’art. 46 della CEDU quale norma
interposta.
Con la sentenza in esame
4.
Infine,
Il nuovo ricorso per inadempimento,
quindi, da un lato accresce la rilevanza del giudicato di Strasburgo nei
processi interni, dall’altro ha una funzione “politica”, per la capacità di
esercitare una pressione ulteriore sugli Stati affinché essi diano esecuzione
alle sentenze della Corte europea[29].
Queste valutazioni sono senz’altro
condivisibili, anche alla luce del rapporto esplicativo del Protocollo n. 14,
dove si parla del procedimento di infrazione in termini di “political
pressure”[30].
Tuttavia, occorrono a nostro avviso
ulteriori riflessioni sulla modifica in esame al fine di comprenderne meglio la
portata. In particolare, ci si domanda se essa muti lo status della CEDU nell’ordinamento interno.
La dottrina che ha studiato il nuovo
meccanismo di infrazione lo ha giudicato come un tentativo di rafforzare
l’efficacia del sistema di controllo della CEDU. Essa ha chiarito che le
pronunce di inottemperanza della Corte europea hanno natura di sentenze di
accertamento in quanto devono limitarsi a constatare la violazione dell’art.
46, c. 1, della CEDU e non possono ordinare allo Stato le misure da prendere
per dare esecuzione alla sentenza di condanna della Corte europea[31].
Al Comitato dei Ministri, invece, viene espressamente attribuito il potere di
adottare provvedimenti in caso di accertata violazione da parte di uno Stato
membro dell’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea[32](come
noto, infatti, il Comitato dei Ministri è l’organo deputato, ai sensi dell’art.
46 della CEDU, a sorvegliare sull’esecuzione delle sentenze della Corte
europea).
Ad una prima valutazione, quindi, la
previsione di una procedura di infrazione promossa dal Comitato dei Ministri
del Consiglio d’Europa nei confronti degli Stati contraenti inadempienti
rispetto all’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea
sembrerebbe spostare la competenza della materia dei diritti fondamentali a
favore dell’ordinamento sovranazionale.
Il legislatore italiano, infatti, ha
ratificato il Protocollo n. 14, prestando il proprio consenso alla
sottoposizione ad un nuovo esame della Corte EDU sulla questione
dell’adempimento dell’obbligo di conformarsi alle decisioni definitive sulle
controversie delle quali è parte[33].
Anche nella sentenza “Dorigo”,
Ora che il Protocollo è entrato in vigore
A nostro avviso la sentenza di
inottemperanza potrà esercitare sulla Consulta una certa influenza.
Si pensi, in particolare, all’ipotesi di
un contrasto sull’idoneità delle misure adottate dallo Stato al fine di dare
esecuzione alla sentenza di condanna della Corte EDU che rilevava una
violazione strutturale della Convenzione. Se la pronuncia di inottemperanza
accertasse l’inidoneità di dette misure a modificare la legislazione interna
per renderla conforme alla CEDU difficilmente
Il dialogo tra Corti, sovranazionale e
nazionale, dovrebbe presumibilmente condurre ad espungere dall’ordinamento
interno la norma che preclude, secondo
Infine, appare opportuna un’ultima
considerazione.
Negata la diretta applicabilità
nell’ordinamento italiano delle sentenze di condanna della Corte europea, e ciò
anche in presenza di una ulteriore pronuncia di inottemperanza, cosa
succederebbe se non venisse sollevata la questione di legittimità
costituzionale?
L’obbligo di conformarsi alle sentenze
della CEDU rischierebbe di rimanere inevaso, lasciando un vuoto di tutela che
evidenzierebbe una carenza nel sistema di tutela dei diritti fondamentali[37].
Il
problema nasce dall’assenza di un meccanismo di adeguamento dell’ordinamento
italiano alle pronunce di condanna, e a fortiori,
di inottemperanza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Infatti, la legge
n. 12, del 9 gennaio 2006, recante “Disposizioni in materia di esecuzione delle
pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo”, disciplina un sistema di
impulso e di supervisione da parte del Governo dell’implementazione delle
sentenze della Corte EDU che non soddisfa del tutto le aspettative [38]
manifestate da una parte della giurisprudenza[39]
e della dottrina[40].
La vicenda in esame ne é testimonianza[41].
A tale
carenza si aggiunge il dato che la procedura di infrazione introdotta dal nuovo
Protocollo non prevede meccanismi sanzionatori adeguati tali da indurre lo
Stato al rispetto delle sentenze di Strasburgo.
Come visto, il meccanismo di infrazione
attribuisce al Comitato dei Ministri il potere di adottare misure nei confronti
dello Stato inadempiente, ma non indica quali tipi di provvedimenti esso possa
prendere, e, quindi, quali conseguenze discendano in capo agli Stati in caso di
mancato adeguamento all’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte
europea.
Da
un’analisi della Convenzione[42] e dello Statuto del
Consiglio d’Europa[43]
si desume che il Comitato dei Ministri possa sostanzialmente adottare
raccomandazioni e risoluzioni, misure di cui si è sinora avvalso per
stigmatizzare le violazioni strutturali alla Convenzione da parte degli Stati
contraenti. Dette misure non hanno forza vincolante.
Inoltre,
il Comitato dei Ministri, ai sensi dell’art. 8 dello Statuto, ha il potere di
sospendere lo Stato inadempiente dal diritto di rappresentanza e di invitarlo a
recedere dal Consiglio d’Europa. La mancata ottemperanza a tale invito può
indurre il Comitato dei Ministri a risolvere l’appartenenza dello Stato Membro
dal Consiglio. A nostro avviso, appare remota la possibilità che il Comitato si
avvalga di tale potere in caso di mancato rispetto degli obblighi pattizi, tra cui quello di adeguare la normativa interna
alle sentenze della Corte EDU.
Infine,
il rapporto esplicativo del Protocollo esclude che il Comitato dei Ministri
possa comminare sanzioni pecuniarie a carico dello Stato inadempiente[44].
Una simile proposta era stata avanzata dall’Assemblea parlamentare del
Consiglio d’Europa, ma abbandonata durante i lavori preparatori del Protocollo[45].
Parte
della dottrina sostiene che lo Stato potrebbe essere chiamato a corrispondere
alla vittima una riparazione pecuniaria aggiuntiva, rispetto all’equa
soddisfazione dovuta ai sensi dell’art. 41 della CEDU[46],
per danni causati dall’inottemperanza alla precedente sentenza di condanna[47].
Pertanto, anche in ragione dell’assenza di una normativa
nazionale adeguata e di poteri incisivi del Comitato dei Ministri capaci di
garantire l’effettività della previsione di cui all’art. 46 della CEDU, se non
viene sollevata la questione di legittimità costituzionale, sussiste la
possibilità che l’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea
rimanga inadempiuto e che permangano due giudicati contrastanti, quello interno
e quello internazionale.
In conclusione, il problema del rispetto
delle sentenze della Corte EDU, come già mostrato dalla nota vicenda della c.d.
“accessione invertita”[48]
che ha dato origine alle sentenze 348 e 349 del 2007,
continuerebbe a risolversi nei rapporti tra Corte europea e Corte
costituzionale.
Sotto questo profilo bisogna riconoscere la
"perdurante validità" della ricostruzione delle norme CEDU, in
particolare dell’art. 46, quali "norme interposte"[49].
5.
Tuttavia,
il protocollo n. 14 alla Convenzione ha previsto anche la possibilità per
l’Unione Europea di aderire alla CEDU[50].
Ci si
domanda se l’auspicata adesione cambierà l’approccio della Corte costituzionale
in materia di adattamento dell’ordinamento interno alle norme CEDU e di vincolatività delle sentenze della Corte europea.
Come noto,
Il rispetto degli obblighi assunti con l’adesione alla
Convenzione viene imputato, come per qualsiasi altro trattato internazionale,
alla previsione del comma 1, dell’art. 117 della Costituzione.
Alcuni autori hanno criticato tale impostazione
sottolineando come appaia difficile disconoscere le peculiarità della CEDU
rispetto agli altri trattati multilaterali e non trarne le dovute conseguenze.
Senza voler ripercorrere in questa sede le argomentazioni
di quella dottrina favorevole al rilievo dell’art. 11 della Costituzione ai
fini dell’adattamento dell’ordinamento italiano alle norme CEDU, ci sembra che
esse possano trarre conferma dalle disposizioni del protocollo n. 14 alla
Convenzione[53].
Infatti, da un lato riteniamo che la tesi della
sussistenza di una “limitazione di sovranità” di fatto derivante dall’adesione
alla Convenzione venga avvalorata dalla previsione di un procedimento di
infrazione contro lo Stato inadempiente rispetto all'obbligo di conformarsi
alle sentenze della Corte europea. Inoltre, a noi appare che l’adesione
dell’UE alla CEDU fornirà ulteriori elementi di riflessione.
A suo
giudizio, inoltre, “anche a prescindere dalla circostanza che al momento
l’Unione europea non è parte della CEDU”, il rapporto tra CEDU e ordinamenti
giuridici degli Stati membri, non essendovi nella materia dei diritti
fondamentali una competenza comune attribuita alle istituzioni comunitarie,
sarebbe disciplinato da ciascun ordinamento nazionale[56].
Nella sentenza in commento
Si può, a nostro avviso, ravvisare in tale
inciso un’apertura rispetto all’impianto sinora delineato dalla Corte
costituzionale, che fa in ogni caso salva la propria competenza a vagliare la
legittimità costituzionale delle norme CEDU[60].
Parte della
dottrina ritiene che, considerata la diretta efficacia delle norme dell’Unione
europea all’interno degli ordinamenti degli Stati membri, il corollario
dell’adesione dell’UE alla CEDU sarebbe quello di ammettere anche la
disapplicazione diretta delle norme interne incompatibili con
La tematica
è complessa e meriterebbe ulteriori approfondimenti non possibili in questa sede.
Si vuole, tuttavia, sottolineare l’impressione di assistere ad un processo in
evoluzione a favore di un sistema sovranazionale di tutela dei diritti
fondamentali che spinge verso un cambiamento della giurisprudenza
costituzionale nella direzione di riconoscere le peculiarità della CEDU
rispetto agli altri trattati multilaterali.
In conclusione, le modifiche apportate dal protocollo n. 14
non mutano la posizione della Corte costituzionale di garante ultimo dei
diritti fondamentali. Tuttavia, nulla esclude che
Pertanto, se allo stato attuale al giudice italiano
continuano ad offrirsi due sole alternative: interpretazione conforme alla
giurisprudenza della Corte europea (ove possibile) oppure incidente di
costituzionalità, si attende di vedere la posizione della Corte costituzionale
all’esito della procedura di adesione.
Non è
inutile, infine, ricordare che il riconoscimento, oggi pacificamente accettato,
della diretta applicabilità delle norme comunitarie produttive di effetti
diretti all’interno dell’ordinamento
nazionale non è altro che il frutto di una lunga elaborazione giurisprudenziale[64].
6. L’approccio
della Corte costituzionale resta, in linea teorica, nel solco della tradizione
e, quindi, espressivo della volontà di mantenere un apprezzabile margine di
sindacato nella materia dei diritti fondamentali.
I mutamenti in atto nel panorama internazionale,
all’interno del quale anch’essa opera, non sono stati considerati idonei a
cambiare, seppure parzialmente e nell’immediato, le posizioni assunte.
Tuttavia, si vuole rappresentare un dato, a nostro
avviso, di grande rilievo:
Con la sentenza in esame
Essa mostra, inoltre, di prestare una particolare
attenzione alla giurisprudenza della Corte europea ed ai moniti del Comitato
dei Ministri[68],
che persino nella risoluzione finale con cui chiudeva il caso “Dorigo” affermava “Strongly urging the Italian authorities to complete, as rapidly as
possible, the legislative action
needed to make it possible,
in Italian law, to reopen proceedings
following judgements given by the Court”.
Incisive sono anche le conseguenze derivanti dalla
pronuncia di incostituzionalità rispetto alle quali
Infine, la pronuncia di incostituzionalità in esame ha
permesso, a differenza della sentenza della Cassazione nel caso “Dorigo”, di dare completa esecuzione all’obbligo di conformarsi
alle sentenze della Corte europea.
Come illustrato in precedenza, con la sentenza n. 2800
del 2006,
La pronuncia della Corte costituzionale, invece,
permette la rinnovazione del processo e quindi la piena restitutio in integrum del ricorrente, che viene
posto nella situazione in cui si sarebbe trovato se la violazione della
Convenzione non fosse avvenuta, ossia quella di venire giudicato con le
garanzie del contraddittorio (il che non esclude una nuova pronuncia di
condanna).
Inoltre, essa fornisce le garanzie di non ripetizione.
Infatti, dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in
cui omette di prevedere la riapertura del processo giudicato “iniquo” dalla
Corte di Strasburgo,
[1]Corte d’Assise, 3 ottobre 1994,
sentenza divenuta irrevocabile il 27 marzo
[2]Affaire Dorigo c. Italie, requête
no 33286/96, Rapport de la Commission
du 9 septembre 1998. Résolution du Comité des Ministres DH(99)258 du 15 avril 1999. Come noto il protocollo n. 11
della CEDU, entrato in vigore il 1˚ novembre
[3]Risoluzioni interinali ResDH (2002)30 del 19 febbraio 2002, ResDH
(2004)13 del 10 febbraio 2004, ResDH (2005)85 del 12
ottobre 2005. Da ultimo si vedano
[4]Cass., sez. I, 1 dicembre 2006 - 25 gennaio 2007, n.
2800.
[5] Corte di Appello di Bologna,
ordinanza del 22 marzo 2006, n. 337.
[6] Corte Cost., sentenza 30 aprile
2008, n. 129, punto 7 del Considerato in Diritto. Sulla decisione v. i
commenti di G. Campanelli, La sentenza 129/2008 della Corte
costituzionale e il valore delle decisioni della Corte EDU: dalla ragionevole
durata alla ragionevole revisione del processo, reperibile al link https://www.giurcost.org; V. Sciarabba, Il problema dell’intangibilità del
giudicato tra Corte di Strasburgo, giudici comuni, Corte costituzionale e… legislatore?, 2008, reperibile sul sito https://www.giurcost.org
.
[7] Corte di Appello di Bologna,
ordinanza del 23 dicembre 2008, n. 303.
[8] Il principio dell’intangibilità del
giudicato per motivi processuali collide con la regola del previo esaurimento
dei ricorsi interni, come sancita dall’art. 35 della CEDU. Infatti, poiché la
presenza di una sentenza definitiva costituisce un presupposto necessario per
adire
[9] Punto 4 del Considerato in diritto.
[10] Si veda al riguardo
[11] Per un’analisi approfondita. si veda X.-B. Ruedin, Exécution des arrêts de la Cour européenne
des droits de l’homme. Procédure, obligations
des Etats, pratique et réforme, 2009, 122 ss.
[12] A
questo riguardo si ricorda che spesso
[13] In molti Stati la giurisprudenza ha
negato l’efficacia diretta delle sentenze della Corte europea dei diritti
dell’uomo. Per una ricostruzione più esaustiva si veda F. M. Palombino, Gli effetti della sentenza internazionale
nei giudizi interni, 2008, 93 ss.
[14] X.-B. Ruedin, cit., 85, 86, 97,
attribuisce alle sentenze della Corte europea natura constatatoire o condamnatoire,
mentre nega che le stesse possano avere effet cassatoire, intendendosi per tale la capacità di
provocare direttamente l’annullamento o la modifica dell’atto dichiarato
incompatibile con la CEDU; secondo l’autore “La cour n’a
d’ailleur pas la compétence de modifier directement
des jugements interns definitifs..”,
97.
[15] Sul tema si veda F. M. Palombino,
op. cit., 24 ss.
[16] M.
L. Padelletti, L’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani tra obblighi
internazionali e rispetto delle norme costituzionali, in Diritti umani e diritto internazionale,
2 (2008), 349 ss. Secondo l’Autrice le ragioni, condivisibili, per le quali
[17] Cass., 3 ottobre 2006, n. 32678
(caso “Somogy”), punto 11: “..si deve ritenere che la
richiesta di restitutio in integrum
(avanzata dopo l’accoglimento del ricorso alla Corte europea e dopo che
quest’ultima ha riconosciuto il diritto a tale restitutio) tragga origine e
legittimazione, anzitutto dalla violazione dell’art. 6 CEDU riconosciuta dalla
sentenza della Corte medesima, di immediata precettività
nell’ordinamento interno.”.
[18] ResDH(2005)
[19] Si veda al riguardo, F. Salerno, La garanzia costituzionale della Convenzione europea dei diritti
dell’Uomo, in Rivista di diritto
internazionale, 2010, 658 ss. L’autore fa riferimento alle Sentenze della
Corte EDU Öcalan
del 12 maggio 2005 e Seidović,
1˚marzo 2006, al fine di esemplificare la distinzione tra pronunce con
possibili effetti diretti e pronunce che richiedono l’intervento del
legislatore interno, 662.
[20] Cass., cit.,
punti 5 e 6.
[21] Corte Cost., 24 ottobre
2007, n. 348 e 349. Per i
commenti alle sentenze: F. Donati,
[22] Punto 8 del Considerato in diritto.
[23]
[24] Sent. 113/2011,
punto 8 del Considerato in diritto. Al riguardo si ricorda la sentenza n.
348/2007, cit., punto 4.7 del Considerato in diritto in cui
[25] Sent. n. 348,
cit., punto 4.6. Per un commento: M. L. Padelletti, cit., 351 - 352; C. Zanghì,cit., 61.
[26] Il protocollo n. 14 alla Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali , firmato
a Strasburgo il 13 maggio 2004, é entrato in vigore il 1 giugno 2010. Sulle
modifiche apportate dal protocollo si veda: F.
Salerno, Le modifiche strutturali
apportate dal protocollo n. 14 alla procedura della Corte europea dei diritti
dell’uomo, in Rivista di Diritto
Internazionale Privato e Processuale, 2006, n. 2, 377 ss.; A. Saccucci, L’entrata in vigore del Protocollo n. 14 e
le nuove regole procedurali per la sua applicazione, in Diritti umani e diritto internazionale,
2010, n. 4, 319-343.
[27] Punto 4 del Considerato in diritto.
[28] Punto 4 del Considerato in diritto.
[29] Punto 4 del Considerato in diritto.
[30] Explanatory Report, par 99: “It is felt that the
political pressure exerted by proceedings for not – compliance in the Grand
Chamber and by the latter’s judgment should suffice to secure execution of the
Court’s initial judgment by the State concerned”. Sul punto F. Salerno, cit., 396; A.
Saccucci, cit., 338.
[31] X.-B. Ruedin, cit., 409.
[32] L’art. 16 del Protocollo n. 14 alla CEDU modifica
l’articolo 46 della Convenzione e crea un procedimento di infrazione nei
riguardi degli Stati contraenti. Secondo il nuovo meccanismo, qualora lo Stato
rifiuti di conformarsi a una sentenza definitiva in una controversia di cui è
parte, il Comitato dei Ministri può avviare davanti alla Corte europea una
procedura di infrazione. Se
[33] L'Italia ha ratificato il Protocollo n.
[34] Cass., cit., supra nt. 8, punto 5.
[35] Cass., cit., supra nt. 4, punto 5.
[36] Punto 8 del Considerato in diritto
ove
[37]Il problema si pone, in particolare, rispetto
agli obblighi di cessazione della violazione constatata e di riparazione del
pregiudizio subito. Il mancato riconoscimento dell’efficacia diretta delle
sentenze CEDU non incide, invece, sull’adempimento dell’obbligo di non
ripetizione dell’illecito quando sussistono violazioni sistematiche della CEDU
dovute ad un problema strutturale della legislazione interna. In tale ipotesi,
infatti, la pronuncia di Strasburgo che indica le misure generali da adottare
nell’ordinamento interno si rivolge direttamente al legislatore e non al
giudice investito della controversia, il quale non è competente a svolgere le
complesse valutazioni necessarie a predisporre una diversa disciplina
normativa. Sul punto si veda Palombino,
cit., 52 e ss.
[38] Secondo E. Sciso, Punta Perotti a Bari: ancora una condanna per una confisca da
parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Rivista di Diritto Internazionale, 2009, 495, la legge 9 gennaio
2006 n. 12 (G.U. n. 15 del 19 gennaio
2006), prevede un meccanismo che non assicura l’assunzione nel merito di
“iniziative legislative concrete”. Un’analisi delle disposizioni rilevanti
della legge 12/2006 mostra, infatti, come essa si limita ad attribuire alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri il compito di promuovere gli adempimenti
di competenza governativa conseguenti alla pronunce della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo emanate nei confronti dello Stato italiano.
[39]Cass., cit., supra nt 8, punto 5, “In un certo senso si potrebbe dire che
l'auspicio, formulato da una parte della dottrina, che venga varato "uno
strumento che, a livello nazionale, consenta, anzi imponga l'uniformarsi a una
decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo" è stato realizzato
proprio con l'approvazione della Legge di Ratifica del Protocollo n. 14, legge
che, entrata in vigore il 6 gennaio 2006, prevede all'art. 2 che venga data
"piena ed intera esecuzione" a tale Protocollo. “Tanto più che la
volontà del legislatore italiano nel senso suddetto è ulteriormente confermata
dall'approvazione di un altro recentissimo e assai rilevante testo di legge: si
tratta della L. 9 gennaio
2006, n. 12 ("Disposizioni in materia di esecuzione delle
pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo")".
[40] Sul tema C.
Ciuffetti, La legge n. 12 del
2006: alla ricerca di un ruolo parlamentare in tema di attuazione delle
sentenze della Corte di Strasburgo, in I
Diritti dell'uomo. Cronache e Battaglie, Roma, 2006, n.2; B. Nascimbene,
Riflessioni sui problemi posti
dall’attuazione della giurisprudenza della Corte EDU, in All’incrocio tra Costituzione e Cedu. Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia
interna delle sentenze di Strasburgo. Atti del Seminario di Ferrara, 9
marzo 2007, disponibile online al sito https://www.unife.it/amicuscuriae; B. Randazzo, Gli effetti delle pronunce della Corte
europea dei diritti dell’uomo, https://www.cortecostituzionale.it.,
paragrafo 7.
[41]Con particolare riferimento all’ipotesi di revisione
del processo conclusosi con sentenza definitiva di condanna, il disegno di
legge n. 1797 recante “Disposizioni in materia di revisione del processo a
seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo” presentato dal
Governo al Senato, il 18 settembre 2007, non è stato oggetto di esame. E’
disponibile sul sito https://www.senato.it .
[42]In particolare, l’art. 54 della CEDU rubricato “Poteri del Comitato dei
Ministri” stabilisce che le disposizioni della Convenzione non possano portare
pregiudizio ai poteri conferiti al Comitato dei Ministri dallo Statuto del
Consiglio d’Europa.
[43]Statuto del Consiglio d’Europa,
Londra, 5 maggio 1949, reperibile sul sito https://conventions.coe.int. Sui
poteri del Comitato si vedano gli articoli 13-21.
[44]
Explanatory Report, par 99: “Paragraphs 4
and 5 of Article 46 accordingly empower the Committee of Ministers to bring
infringement proceedings in the Court .. This infringement procedure does not …
provide for payment of a financial penalty by a High Contracting Party found in
violation of Article 46, paragraph
[45] Assemblea parlamentare del Consiglio
d’Europa, Risoluzione n. 1226/2000, adottata il 28 settembre 2000.
[46] La vittima accertata di una
violazione ha diritto a vedersi liquidata dal Ministero dell’Economia la somma
stabilita nella sentenza europea di condanna. Si veda al riguardo F. Salerno, cit.,
[47] A.
Saccucci, cit., 338.
[48]Anche nella disciplina dei casi di occupazione
acquisitiva, oggetto di molteplici sentenze di condanne da parte della Corte
europea, poteva riscontrarsi una sistematica violazione delle norme CEDU. Ad
esempio,
[49] Sentenza 113/ 2011,
punto 8 del Considerato in diritto.
[50] L’art. 17 del Protocollo n. 14 alla
CEDU modifica l’art. 59 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inserendo un nuovo par. 2 dal
seguente tenore: “2. L’Unione europea
può aderire alla presente Convenzione”. Anche il nuovo Trattato sull’Unione
Europea (entrato in vigore il 1 dicembre 2009) conferisce personalità giuridica
internazionale all’Unione europea (Articolo 47 TUE) e ne dispone l’adesione
alla CEDU (Articolo 6, comma 2 del TUE).
[51]Non ci soffermeremo sulle posizioni
di una parte della dottrina che ritiene auspicabile il riconoscimento
dell’adattamento automatico in virtù dell’art. 10 della Costituzionale rispetto
ad alcune norme della CEDU riproduttive di norme consuetudinarie. Sul punto si
veda da ultimo Saccucci,
cit., 28 e ss.
[52] Sentenza 349/2007,
supra nt
21, punto. 6.1 del Considerato in diritto. Nel commento alla sentenza A. Saccucci,
cit., 27, sostiene, inoltre, che il sindacato accentrato di costituzionalità da
parte della Corte Costituzionale abbia, tra l’altro, lo scopo di garantire che
la prevalenza della CEDU sull’ordinamento interno sia assicurata in modo
uniforme da parte di tutti i giudici comuni.
[53] Sul punto, M. Lugato, Struttura e Contenuto della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo al Vaglio della Corte Costituzionale,
in Liber Fausto Pocar,
Diritti Individuali e Giustizia Internazionale, Milano, 2009, par.
[54] La tesi della comunitarizzazione
delle norme CEDU ha trovato sostenitori anche in giurisprudenza. Al riguardo
Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1220; T.A.R. Lazio, 18 maggio 2010, n.
11984
[55] Sentenza 349/2007,
supra nt
21, punto. 6.1 del Considerato in diritto.
[56] Sentenza 349/2007,
supra nt
21, punto. 6.1 del Considerato in diritto.
[57] Corte Cost.,
sentenza 26 novembre 2009, n. 311, punto 6 del Considerato in diritto: “il
giudice comune, il quale non può procedere all’applicazione della norma della
CEDU (allo stato, a differenza di quella comunitaria provvista di effetto
diretto) in luogo di quella interna contrastante”. Sul punto si veda E. Sciso, Il
principio dell’interpretazione conforme alla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e la confisca per lottizzazione abusiva, in Rivista di Diritto Internazionale, Vol. 1, 2010, 131.
[58] Punto 6 del Considerato in diritto.
[59] Corte Cost.,
sentenza 11 marzo 2011, n. 80, punto 5 del Considerato in diritto.
[60] Al riguardo, A. Saccucci,
cit., 43 e ss; E. Sciso,
cit., 131.
[61] Al riguardo, A. Saccucci, cit., 43 e ss.
[62] Si veda M. L. Padelletti, cit., 357 e ss.
in cui chiarisce la nozione di “diretta applicabilità”, nonché il significato
che essa ha assunto con riferimento al diritto comunitario in cui ha finito
“per essere considerata in stretta connessione con il principio della
“ritrazione”del diritto interno incompatibile”.
[63] Si veda in proposito: Draft Revised Accession Agreement, Appendix
III to the Meeting Report of the 7th Working meeting of the CDDH Informal Working
Group on the accession of the European Union to the European Convention on
Human Rights (CDDH – UE ) with the European Commission, dove il secondo considerando
del preambolo chiarisce “Considering that the accession of the
European Union to the Convention will enhance coherence in human rights
protection throughout Europe”, CDDH – UE(2011)10, disponibile
sul sito www.coe.int ; Motion for a European parliament
resolution on the institutional aspects of the accession of the European Union
to the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental
Freedoms, par. 21: “the accession
will, first and foremost, contribute to a more coherent human rights system
within the EU” ( Included in the
Report on the institutional aspects of the accession of the European Union to
the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental
Freedoms, Committee on Constitutional Affairs, 6 May 2010, 2009/2241(INI)),
disponibile sul sito https://www.europarl.europa.eu
[64] Come è noto l’art. 11 della
Costituzione è stato, in origine, pensato e redatto dai Costituenti per
consentire l’adesione italiana alle organizzazioni internazionali, in primis all’Onu, e di conseguenza
ammettere limitazioni di sovranità dell’ordinamento interno. Tuttavia, dopo un
lungo scontro con
[65] Punto 8 del Considerato in diritto.
Per un’analisi della legislazione interna e della prassi giurisprudenziale
degli Stati contraenti della CEDU in tema di riapertura del giudicato nazionale
si veda Palombino,
cit., 41 ss.
[66] Corte cost.,
sentenza 129 del 2008, punto 7 del Considerato in diritto.
[67] Corte cost.,
sentenza 9 febbraio 2007, n. 33, punto 4.3 del Considerato in diritto dove
chiarisce che “non rientra nei poteri di questa Corte creare un nuovo tipo di
processo contumaciale”.
[68] Raccomandazione No R(2000)2,
del 19 gennaio
[69] Punto 8 del Considerato in diritto.
[70] Punto 8 del Considerato in diritto.
[71] Punto 9 del Considerato in diritto,
nella parte in cui chiarisce che la declaratoria di incostituzionalità “non
implica una pregiudiziale opzione della Corte a favore dell’istituto della
revisione” e che “il legislatore resta pertanto e ovviamente libero di regolare
con una diversa disciplina … il meccanismo di adeguamento alle pronunce
definitive della Corte di Strasburgo”.