Federico
Girelli
Dall'inammissibilità
all'ammissibilità (quando la
Corte vuol decidere nel merito)
Con l’ordinanza n. 341
del 2004 la Corte
costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione promosso
dalla Corte d’appello di Genova nei confronti del Senato della Repubblica in
relazione alla deliberazione d’insindacabilità ex art. 68, primo comma, Cost.
del 14 maggio 1998. Il conflitto è sorto nel corso del giudizio di appello
proposto dal senatore Paolo Emilio Taviani avverso la sentenza del Tribunale
civile di Genova, che lo aveva condannato al risarcimento dei danni non
patrimoniali sofferti dall’allora senatore Massimo Riva e quantificati in
centomilioni di lire.
Il processo civile aveva
tratto origine dall'affermazione fatta dal senatore Taviani nel corso di
un’assemblea riservata agli iscritti della Democrazia Cristiana di Busalla sul
tema “Dalla Gladio alla pace garantita” e poi così riportata da “Il Secolo XIX”
del 25 febbraio 1992: «Il caso Gladio è venuto fuori per il complotto di De
Benedetti, Scalfari ed il miliardario della Sinistra Indipendente Riva contro
il Presidente Cossiga. Si è andato a cercare in tutti i vecchi documenti ed è
saltato fuori quello firmato da Cossiga nel 1964, perché allora era
Sottosegretario alla difesa».
Considerato che il senatore
Taviani aveva svolto, prima dell’«Assemblea di Busalla» del febbraio 1992,
alcuni interventi sul caso Gladio «nelle Commissioni interparlamentari (la Commissione cosiddetta
“sulle stragi” e quella sui servizi segreti)», e che le considerazioni da lui
svolte «riguardavano una riunione tenuta nella sede del suo partito, in una
cornice politica, quale la campagna elettorale del 1992, nella quale il
senatore a vita interveniva forte del suo ruolo istituzionale di parlamentare»,
la Giunta
delle elezioni e delle immunità parlamentari ha ravvisato «un chiaro
collegamento» tra le affermazioni del senatore e l’esercizio delle sue funzioni
di parlamentare, dichiarandone, quindi, l’insindacabilità in base alla costante
giurisprudenza parlamentare (vedi Atti Senato, XIII Legislatura, Doc.
IV-quater, n. 23; relatore: Diana). Nella seduta del 14 maggio 1998 l’Assemblea
del Senato ha approvato la proposta della Giunta.
Va ricordato, come peraltro
puntualizza la Corte,
che non è la prima volta che il medesimo giudice ricorrente promuove conflitto
di attribuzione in relazione a questa delibera parlamentare. Infatti già con l’ordinanza n. 266 del
2002 era stato dichiarato inammissibile il ricorso della Corte d’appello di
Genova poiché l’atto aveva contenuto talmente atipico da non poter «essere
propriamente qualificato in termini di ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato». Sulla base di tale precedente statuizione il Giudice
dei conflitti, nell’ordinanza in commento, asserisce che il ricorso di cui ora
è chiamato a delibare l’ammissibilità «deve essere considerato, non la
riproposizione di un precedente ricorso per conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato, ma l’atto con il quale per la prima volta viene
effettivamente sollevato il conflitto», dichiarandolo così ammissibile.
Nell’ordinanza n. 266
del 2002 la Corte
costituzionale, però, aveva individuato puntualmente i “vizi” dell’atto di
promovimento della Corte d’appello di Genova affermando che conteneva
«frammisti, elementi di due diversi schemi tipici relativi, rispettivamente, al
conflitto di attribuzione ed alla questione incidentale di legittimità
costituzionale»; che in esso non si lamentava una lesione della sfera di
attribuzioni costituzionalmente garantita, ma, dopo aver illustrato il merito
del giudizio in corso, si perveniva «ad una valutazione, del tutto estranea al
ricorso per conflitto di attribuzione, di “non manifesta infondatezza della
domanda attrice”»; che «l’atipicità propria del ricorso» si rifletteva nel
petitum in quanto si richiedeva di «decidere sull’esistenza di un conflitto» e
non di «risolvere un conflitto in atto, mediante l’annullamento della delibera
di insindacabilità».
È evidente, allora, come, per
quanto atipico, la Corte
avesse riconosciuto quale “ricorso per conflitto di attribuzione” l’atto di
promovimento oggetto di delibazione, tanto che, subito dopo l’aver affermato
che non potesse essere qualificato come tale, in conseguenza delle
considerazioni richiamate, dichiara nel dispositivo «inammissibile il ricorso
proposto dalla Corte d’appello di Genova, sezione terza civile, nei confronti
del Senato della Repubblica, con l’atto indicato in epigrafe».
Sembra proprio che la Corte predicando l'atipicità
di quel primo ricorso volesse intendere la mancanza in esso dei requisiti
minimi formali e sostanziali perché potesse essere dichiarato ammissibile ex
art. 37 della legge n. 87/1953.
Com’è noto con la sentenza n. 116 del
2003 la Corte
ha escluso la riproponibilità del ricorso a seguito della mancata notificazione
dell'atto introduttivo e dell'ordinanza che ne dichiara l'ammissibilità,
assimilando a questa l'ipotesi di ricorsi già dichiarati improcedibili per
tardività della notifica o del deposito degli atti (vedi per la giurisprudenza
conseguente le ordd.
nn. 40 del 2004 e 247 del 2003).
L'ipotesi oggetto
dell'ordinanza in esame certamente non coincide con le due appena richiamate,
ma, invero, pare potersi ricondurre senza particolare difficoltà a quei
presupposti da cui nella sent. n. 116 si
è fatta derivare l'inammissibilità del ricorso riproposto. La Corte in quell'occasione ha
chiarito che, se effettivamente non sono previsti termini di decadenza per la
proposizione del ricorso, il deposito di quest'ultimo, però, «attesta che non è
possibile la composizione spontanea della controversia» e la assoggetta alla
sua cognizione. Nella fase preliminare di ammissibilità il Giudice dei
conflitti esercita un «potere di conformazione del giudizio» attraverso la
fissazione di regole che «non possono essere eluse». La situazione di
conflittualità fra i poteri così "giurisdizionalizzata", proprio «al
fine di assicurare il regolare esercizio delle funzioni costituzionali», a
questo punto deve essere superata «in termini certi non rimessi alle parti
confliggenti» (sul punto vedi già ord. n. 123 del
1979).
Alla luce insomma di quanto
statuito nella sentenza
n. 116 del 2003 emerge come la
Corte d'appello di Genova avesse esaurito le sue chances con il deposito di quel primo
"atipico" ricorso e come la proposizione di quello oggetto
dell'ordinanza in commento non dovrebbe valere quale sorta di "rimessione
in termini" di un ricorrente, che non si è dimostrato sin da principio
particolarmente rigoroso nell'incardinare il giudizio costituzionale.
Di tutto ciò anche la Corte pare avere piena
contezza; infatti, proprio per non far "impigliare" nelle maglie
della sent. 116 almeno la fase preliminare di ammissibilità, si preoccupa di
precisare come il nuovo ricorso sia «l'atto con il quale per la prima volta
viene sollevato il conflitto». Si noti che solo pochi mesi prima dell'ordinanza
in esame la Corte
ha escluso la riproponibilità del conflitto dopo una dichiarazione di
inammissibilità dello stesso per mancata prospettazione del thema decidendum (vedi ord. n. 217 del
2004) e che, seppure con riferimento ad altro profilo, nella sent. n. 247 del 2004
ha affermato: «Né ha influenza, al fine della tempestività del deposito e
della procedibilità del ricorso, che a promuovere il conflitto sia l'Autorità
giudiziaria; le difficoltà che questa può incontrare sia nel seguire il
processo con la propria organizzazione, sia nel munirsi di difesa tecnica, sono
inconvenienti di mero fatto che non possono indurre a dare alle norme sul
deposito, in sede di conflitto di attribuzione, un contenuto diverso a seconda
che a proporre il conflitto sia il potere giudiziario o un altro potere dello
Stato».
Si ha l'impressione che il
Giudice dei conflitti questa volta tenga davvero a potersi pronunciare nel
merito, creando a tal fine persino una sorta di corsia preferenziale per il
ricorso dell'autorità giudiziaria. Da tempo è stato sottolineato come la Corte non sia certo immune
dalla tentazione di adottare decisioni di rito proprio per evitare di decidere
nel merito e come a questo scopo abbia elaborato veri e propri escamotages. Nel
caso in esame, invece, sembra voler cambiare rotta di 180° asserendo pretestuosamente
che il ricorso oggetto di delibazione sarebbe il "vero e primo" atto
di promovimento del conflitto, quando già aveva dichiarato (giustamente)
l'inammissibilità di un precedente ricorso promosso dalla medesima autorità
giudiziaria, nell'ambito del medesimo giudizio e in relazione alla medesima
delibera parlamentare d'insindacabilità. Inammissibilità dichiarata, come sopra
detto, non certo perché non avesse riconosciuto quell'atto quale ricorso per
conflitto di attribuzione, ma per il semplice motivo che il suo contenuto era,
come elegantemente affermato dalla Corte, "atipico".
È pur vero, in ogni modo, che
la valutazione preliminare di ammissibilità ha carattere meramente delibatorio
e che la Corte
in precedenti occasioni per via della presenza di profili di particolare novità
ha intanto dichiarato comunque ammissibili ricorsi di per sé non proprio
ortodossi (vedi ordd.
n.n. 455 e 253
del 2002).
È auspicabile allora che
nella fase successiva nel contraddittorio tra le parti e con l'approfondimento
delle questioni sottese al giudizio costituzionale in corso, non consentito
nella delibazione preliminare, il Giudice delle leggi voglia ancor meglio
definire la portata di quanto affermato nella sent. n. 116 del
2003, per giungere così o ad una definitiva decisione di inammissibilità
ovvero ad una di merito, sulla quale, peraltro, incidenza alcuna potrà avere
l'intervenuta scomparsa del senatore Taviani, in quanto, com’è noto, saranno in
questione le prerogative costituzionali del Senato della Repubblica e non già
la posizione del singolo parlamentare.