Francesco
Gabriele
Il numero dei consiglieri regionali tra Statuto e legge elettorale regionali. Spigolature in tema di fonti suggerite da una interessante sentenza della Corte costituzionale (n. 188 del 2011)*.
Sommario: 1. Sulla “incompetenza” della legge regionale ordinaria e suoi
effetti. – 2. Più assenza che presenza di tale profilo nella intera vicenda. –
3. Può lo Statuto demandare alla legge regionale la possibilità di modificare
il numero dei consiglieri? – 4. Il numero dei consiglieri modificato (o
determinato) con decreto-legge?
1. Con
la sentenza n.
188 del 2011, di accoglimento “tout
court”, la Corte costituzionale ha risolto in radice, per così dire, con
una motivazione semplice e lineare, ma al contempo perentoria e convincente,
una questione che, ove decisa altrimenti sotto il profilo tipologico ancorché,
nella sostanza, sia pure entro certi limiti, non del tutto diversamente,
comunque sarebbe potuta rimanere per lungo tempo “aperta”, o “pendente”, e,
però, non senza possibili effetti, anche gravi, se non destabilizzanti, sulla
stessa legislatura regionale. Non si è fatta irretire, infatti, da
argomentazioni che, abilmente prospettate e non prive di una propria “logica”,
tendevano ad una decisione che, di rigetto “tout court”, o, per gradi,
“interpretativa” di rigetto, o di inammissibilità, comunque non avrebbe avuto
l’effetto di “chiudere” definitivamente una vicenda, e “spegnere” una speranza,
o una aspettativa, alla cui origine di certo non è estraneo il groviglio di
fonti e di norme “piovute” sulla materia con il contributo di tutti i
legislatori (e degli operatori “interpreti”) intervenuti, da quello
costituzionale a quello ordinario a quelli, statutario ed “ordinario”,
regionali. Il primo, per es.
(cioè il legislatore costituzionale), come frequentemente rilevato, non sembra
essere stato particolarmente perspicuo[1]
perché, preso, magari, da un intento
“ecumenico”, non ha negato la presenza, nella materia, ad una pluralità di
fonti (v. gli artt. 122 e 123 Cost:), il cui concorso,
però, può oggettivamente risultare difficile da armonizzare per la non
univocità dei criteri da adottare, o adottabili nella “scomposizione” di una
area “materiale”, che, in realtà, pur nella chiarezza, e nella “semplicità” dei
termini usati (per es.: forma di governo e sistema d’elezione), non appare
affatto “scomponibile” anche perché la disciplina di ogni singola parte, anche
se formalmente “distinta”, o “distinguibile”, influenza inevitabilmente quella
delle altre, ancorché anch’esse “distinte”, e non può essere “concepita”
indipendentemente da esse né, soprattutto, avere una operatività, o possibilità
di vita, autonoma e senza interferenze[2]
. Gli ultimi, cioè i legislatori regionali (non di tutte le regioni ordinarie,
ma di non poche di esse), sono intervenuti in modo tecnicamente “improprio”, se
non discutibile, disciplinando l’oggetto loro attribuito mediante leggi sotto
tale profilo quanto meno “singolari”, come la stessa Corte le ha definite sia
pure senza formalmente “sanzionarle”[3].
Anziché innovare “funditus”,
e, magari, “dimostrare” la bontà ed il buon uso della conseguita attribuzione
della nuova competenza, si limitano, infatti, a recepire la previgente
legislazione statale senza, peraltro, rinunciare a variamente modificarla in
talune parti e, però, non senza lasciare almeno qualche dubbio in ordine alla
nuova situazione giuridica così determinata sia in riferimento al tipo di
rinvio (meramente recettizio, o mobile), sia in relazione ai problemi
interpretativi legati alla difficile lettura e al coordinamento di fonti, di
testi e di norme, regionali e anche statali, con esiti spesso anche totalmente
divergenti[4].
La “lettura” di una disposizione, come è noto, non sempre, se non quasi
mai, conduce ad un unico ed indiscusso significato normativo. Non è
infrequente, così, la possibilità di più di una “lettura”, che, poi, in sede di
sindacato di legittimità costituzionale, può avere, e spesso ha, per effetto,
la possibilità di almeno una alternativa, se non, talora, anche di più di una,
sotto il profilo del tipo di decisione da chiedere, e da adottare, non essendo,
ciò, indifferente sotto vari e, magari delicati profili. Si tratta, però, di un
problema che, nel
caso che ci occupa, avrebbe, a rigore, dovuto, o, almeno, ragionevolmente
potuto non porsi affatto ove si fosse considerato, o ritenuto, che la legge
“ordinaria” regionale, salvo ad assumere il contrario, non avesse alcuna competenza in ordine alla determinazione
del numero dei consiglieri regionali, che, infatti, come si ritiene comunemente,
spetta in via esclusiva allo Statuto rientrando nella materia “forma di
governo”, per la quale lo Statuto stesso incontra il solo limite dell’armonia
con la Costituzione (e ciò a prescindere dal come, poi, la Corte lo ha “letto”
e delineato)[5].
Vogliamo dire, in sostanza, che, non avendo, la legge regionale, alcuna
competenza sul punto, nulla, ovviamente, è legittimata a disporre al riguardo
e, ove lo faccia, è già per questo illegittima a prescindere dal suo contenuto
tranne il caso in cui, richiamando, o indicando un numero identico a quello
stabilito dallo Statuto, lo si ritenga neanche confermativo in senso proprio di
esso, ma meramente ricognitivo, cioè richiamato, bensì, dalla legge, ma per
comodità, o per memoria, nel corso e nel contesto della disciplina del sistema
d’elezione, cui sta provvedendo. Teoricamente, pertanto, nessun problema di
interpretazione della legge finalizzato alla verifica della legittimità del suo
contenuto dovrebbe porsi, quando, in qualche modo, intervenga, o pretenda di intervenire
non con valore semplicemente dichiarativo, o ricognitivo, nella determinazione
del numero dei consiglieri perché ulteriore ed inutile data l’incompetenza, e,
quindi, la illegittimità “originaria”, per così dire, consistente nella pura e
semplice (ma indebita) invasione della sfera di competenza della fonte
statutaria o, forse, potrebbe dirsi, nella semplice “fuoriuscita” dalla sua.
Essa, cioè, concettualmente nasce illegittima, in quanto in violazione di una
disposizione costituzionale, solo, potrebbe dirsi, perché nasce su e per
quell’oggetto, sul quale, però, non ha avuto alcuna “giurisdizione”, anche
se la “prova”, per così dire, sembra più chiara ed evidente proprio in presenza
ed attraverso quella sua, o quelle sue disposizioni che contrastino nel merito
con un disposto statutario.
Un’altra considerazione, inoltre, sembra imporsi o, almeno,
proporsi nel contesto evocato. Come è noto, prima della riforma di cui alla
legge costituzionale 22 dic. 1999, n. 1, la materia elettorale regionale era,
o, meglio, era ritenuta interamente di competenza della legge della Repubblica
anche se il primo comma dell’art. 122 della Costituzione parlava, testualmente,
di “sistema d’elezione” e del “numero” e dei “casi” di ineleggibilità e
incompatibilità dei consiglieri regionali. Nessuna competenza, comunque, veniva
comunemente riconosciuta alle Regioni ordinarie nella materia elettorale
regionale anche se non mancava la prospettazione di alcune osservazioni e
precisazioni, in senso parzialmente diverso, interessanti, bensì, ma rimaste
sostanzialmente senza significativi riscontri pratici[6].
In tale contesto, la legge della Repubblica, così come aveva stabilito (e
potuto stabilire, senza vincoli) il numero dei consiglieri regionali,
ancorandolo rigidamente alla popolazione della regione (art. 2 della legge
17.02.1968, n. 108 ), così aveva potuto, essendone competente, stabilire, non
pochi anni dopo, con il noto “Tatarellum”
(l. 23.02.1995, n. 43), che il numero stesso potesse variare sulla base
dei risultati elettorali di ciascuna elezione in ciascuna regione (c.d. doppio
premio di governabilità). E’ così avvenuto che non pochi consigli regionali
abbiano avuto concretamente, in una legislatura, un numero di consiglieri
maggiore (perfino di dieci) di quello stabilito in linea generale dalla legge
del 1968. Con la novella costituzionale predetta la determinazione del numero
dei consiglieri è divenuta di competenza degli statuti regionali, ciascuno dei
quali, salvo qualche eccezione, ha aumentato il numero a suo tempo stabilito
dalla legge della Repubblica (in Puglia, per es., da 60 a 70), la cui
competenza sul punto cessa appena trascorso, per ciascuna regione, il previsto
“periodo transitorio”[7].
Ciò posto, quando, come nel nostro caso, con una legge elettorale regionale sono
recepite leggi statali, dovrebbero ritenersi escluse, come ha precisato la
stessa Corte costituzionale (v. sent. n. 196 del
2003), quelle parti delle leggi recepite i cui contenuti non siano da essa
assumibili in quanto estranei alla sua competenza (oltre che estranei, ormai,
alla competenza delle stesse leggi, statali, nelle quali sono contenute),
nonché, ovviamente, la stessa possibilità, che nel nostro caso comunque non
sembra ricorrere, di una sorta di rinvio “mobile” per la incompetenza (in un
certo senso “doppia”, per l’una originaria e per l’altra sopravvenuta) sia
della legge regionale sia della legge statale. E’ vero che può pensarsi ad un
recepimento materiale nel senso solo e meramente letterale, non anche
tecnico-giuridico, del termine, cioè ad un (semplice) testo (ancorché
strutturato come un testo normativo) a prescindere, per così dire, dalle sue
condizioni dal punto di vista giuridico e, per es., dalla sua
vigenza o dalla eventuale perdita della sua efficacia, e, quindi, ad una mera
formulazione, o enunciazione, o enunciato, letterale che il legislatore
sopravvenuto ha semplicemente fatto suo con un richiamo, o rinvio, magari
perché, per una sorta di pigrizia, non si è voluto impegnare nella scrittura, o
“riscrittura”, della disposizione. Si può anche sorvolare sulla necessità, o
opportunità, di un eventuale discorso sul recepimento, o, se si preferisce,
sulla “recepibilità”, per così dire, di una legge, o, meglio, della parte di
una legge non più competente con la conseguente cessazione della sua efficacia,
nonché, per l’ipotesi (però da escludere) del rinvio mobile, della permanenza,
in essa, del potere o, si preferisce, della competenza, trasmigrata, per
disposto costituzionale, nello statuto. Non si dovrebbe, o non si potrebbe
almeno e comunque ignorare, però, come la legge nazionale, che, ad un certo
punto, aveva reso variabile, con il (doppio) premio di governabilità, il numero
dei consiglieri, lo avesse fatto in un contesto nel quale essa aveva stabilito,
in precedenza, il numero e l’invariabilità del numero stesso, e, quindi, non
solo era legittimata, per così dire, ad intervenire di nuovo, ma aveva anche le
“sue” ragioni rispetto a quella che era stata una “sua” scelta. La legge
regionale, invece, intesa, o “letta” in un certo senso, sarebbe andata a
rendere variabile un numero non da essa inizialmente indicato come fisso, ma da
altra fonte (lo Statuto) e sulla base, ovviamente, di autonome considerazioni
di questa ultima, cui essa stessa era estranea e sulle quali non aveva alcun
titolo per intervenire. Tra tali considerazioni non si sarebbe potuto
escludere, per es., quella relativa alla consapevolezza, da parte di ciascun
legislatore statutario, di avere già aumentato il numero dei consiglieri
regionali rispetto a quello previsto dal legislatore nazionale (da ciò, magari,
o, comunque, “anche” da ciò, l’indicazione di un numero fisso, che l’adozione
del “Tatarellum” avrebbe, invece, potuto ulteriormente
aumentare rendendo l’aumento complessivo particolarmente consistente). D’altra
parte, la certa, piena consapevolezza del tutto da parte del legislatore
regionale ordinario potrebbe indurre a non escludere l’ipotesi di una qualche
sua non assoluta involontarietà, per così dire, nell’adozione di una legge non
estremamente chiara, che non “sceglieva” con chiarezza (anche per la
discutibile “tecnica” cui aveva fatto ricorso) in ordine all’eventuale, secondo
premio di governabilità e, in ultima analisi, rimetteva la questione, in un
certo senso, all’interprete e, così, in qualche modo, al contesto e alle
vicende in cui l’interpretazione sarebbe avvenuta tenendone, ovviamente, conto,
ma essendone anche “espressione” e, però, ingenerando, o contribuendo ad ingenerare
non pochi dubbi e problemi, e “letture” anche notevolmente diverse (come
proprio la vicenda pugliese e quella laziale chiaramente dimostrano).
2. Dalla lettura degli atti più importanti che riguardano,
e costituiscono l’intera vicenda pugliese (“provvedimento”, o “verbale”,
dell’Ufficio centrale regionale; ordinanza del T.A.R. di Bari, che solleva la
questione di legittimità costituzionale; sentenza della Corte costituzionale;
tesi degli intervenuti, a vario titolo, così come riportate dai due giudici),
il profilo sul quale abbiamo richiamato l’attenzione può sembrare non avere
avuto una considerazione centrale, cioè in qualche modo (ritenuta)
condizionante rispetto a tutti gli altri comunque coinvolti e considerati, e di
certo anche importanti. A ben vedere, anzi, esso sembra al più potersi
presumere spesso, se non sempre, (solo) come sotteso e, in tal senso,
quasi mai davvero ignorato anche quando appare che si ragioni e si discuta a
prescinderne, cioè senza tenerne alcun conto, anche se, poi, non è facile
esserne del tutto certi non mancando spunti anche in senso diverso e, magari,
contrario.
Nella logica che abbiamo prospettato, non avrebbe dovuto
avere molto senso, per es., “interpretare” la legge regionale impugnata onde
“stabilire” se essa avesse, o meno, recepito, della (e/o dalla) legge
statale, il congegno dei seggi aggiuntivi perché comunque, ed a monte,
non aveva alcuna sulla competenza nella determinazione del numero dei consiglieri
(né, ovviamente, sulla sua modifica). La previsione, o, se si preferisce,
l’indicazione, in essa, di un numero di consiglieri identico a quello stabilito
nello Statuto, cioè dello stesso numero, non valeva, a rigore, a renderla
legittima perché non in contrasto con lo Statuto stesso ma solo considerando
tale previsione, o indicazione, senza alcun valore costitutivo, per così dire,
e, quindi, neanche semplicemente confermativo, cioè solo come un mero richiamo,
diciamo così “per memoria”, trattandosi del numero che doveva considerare, o
tenere presente, nella disciplina, di sua competenza, del sistema d’elezione
come un “dato” sul quale non aveva, però, alcuna legittimazione ad intervenire
con un qualche “potere”. Naturalmente, la previsione della variabilità, e,
quindi, la previsione in contrasto con quanto stabilito dallo Statuto
“aggrava”, per così dire, o accentua la illegittimità, e la rende anche, in un
certo senso, più evidente, o più visibile. Ciò, però, solo di fatto perché
giuridicamente una, o, meglio, la illegittimità, per quanto abbiamo detto, e
nel senso che abbiamo detto, preesisteva.
Neanche il discorso relativo alla (richiesta)
interpretazione adeguatrice, o costituzionalmente orientata, ricorrente un po’
in tutta la vicenda e nelle varie sedi, avrebbe dovuto avere, a rigore, un
qualche pregio giuridico nella logica che abbiamo prospettato perché comunque
fondata sulla premessa che la legge regionale potesse, per così dire, cioè
fosse competente ad occuparsi dell’oggetto “de
quo” salva, ovviamente, la questione della legittimità del suo contenuto,
che, però, è logicamente successiva alla prima e si pone, ed ha ragione di
porsi, solo se la prima non pone problemi. L’unica interpretazione corretta,
infatti, se interpretazione la vogliamo chiamare, sarebbe stata, nell’ottica
prospettata, quella consistente nella non considerazione, o, forse meglio,
nella non “considerabilità” (perché inutile) della
legge nella parte in cui interferiva, ovviamente se e nella misura in cui (si
ritenesse che) interferiva, a prescindere dal contenuto, in linea o meno con lo
Statuto, nella determinazione del numero dei consiglieri (in quanto già
illegittima per la ragione predetta). E ciò, ovviamente, salvo ogni dubbio, ed
ogni riflessione, in ordine alla possibilità di ritenere costituzionalmente
“orientata”, o “adeguatrice”, o, magari, “conforme” anche, o, se si
preferisce, la stessa interpretazione consistente nel ritenere illegittima la
legge a prescindere dal suo contenuto fermo restando la necessità di rivolgersi
comunque alla Corte in mancanza prospettandosi configurabile l’istituto della
disapplicazione, che, però, sembra, almeno per ora, da escludere nel nostro
sistema di giustizia costituzionale interno, per così dire, cioè quando non è
coinvolto il diritto comunitario[8].
Non sarebbe, poi, forse fuori luogo domandarsi se, sempre
nella prospettazione proposta, l’eventuale illegittimità della legge sotto il
profilo dell’ipotizzato vizio di incompetenza, sarebbe una violazione della
Costituzione “diretta”, per così dire, o, invece, “indiretta”, cioè mediante la
violazione di una norma interposta, che, nella circostanza, sarebbe lo Statuto.
Nella sentenza “de qua”, invece, la
Corte, ritenuto che la legge regionale “determina, ove ne ricorrano
i presupposti per la sua applicazione, un aumento del numero dei consiglieri
regionali” rispetto a quello stabilito, senza prevedere alcuna possibilità di
variazione, dallo Statuto, afferma che “ne discende un contrasto tra la norma
legislativa regionale e la norma statutaria, con conseguente violazione
dell’art. 123 della Costituzione”, così lasciando aperto, o “by-passando”, per
così dire, il profilo teorico cui abbiamo accennato.
Diverso sarebbe il discorso, ma solo nel senso in cui
diremo, ove, viceversa, si ammettesse la competenza della legge regionale sulla
base di una interpretazione estensiva dell’espressione “sistema d’elezione”
(ritenendola equivalente, per es., a “legislazione elettorale”), cioè facendovi
rientrare anche la determinazione del numero dei consiglieri. A parte la
notevole non indiscutibilità di tale ipotesi, peraltro sostanzialmente priva di
riscontri di una qualche consistenza, va notato che, in tal caso, si avrebbe
solo un rovesciamento della situazione e non anche un suo mutamento
qualitativo. Verrebbe a mancare, infatti, la competenza dello Statuto, e,
quindi, ogni possibilità di intervento da parte sua sull’oggetto in questione
anche se, per la verità, una sua eventuale, esplicita indicazione del numero
dei consiglieri, che, in quanto tale, non potrebbe non essere considerata, non
sarebbe del tutto corrispondente al caso, che abbiamo, della legge regionale,
che, non indicando esplicitamente un numero diverso da quello dello statuto,
lascia, o può lasciare, perfino il dubbio che, in realtà, non si occupi
dell’oggetto in questione o, magari, se se ne occupi, sia suscettibile di una
interpretazione costituzionalmente orientata, o conforme. Potrebbe mancare,
insomma, anche in questo caso, la possibilità che legge e statuto possano, o
debbano agire in concorso e, quindi, in possibile contrasto con la conseguenza
della (in)configurabilità della violazione indiretta della Costituzione, cioè
della violazione mediante la violazione della norma interposta, da
considerare, nella circostanza, solo oggetto del giudizio di costituzionalità
e, ovviamente, salvo a configurare elementi di interposizione anche in tale
circoscritta e specifica fattispecie.
In riferimento agli “attori” della vicenda sembra potersi
dire, più specificamente, quanto segue. Dell’Ufficio centrale regionale, che è
stato, ovviamente, il primo ad intervenire, o a (dover) fare la prima mossa,
occorre considerare che, per la sua natura, non avrebbe potuto sollevare una
questione di legittimità costituzionale e che, quindi, possa essere stato quasi
naturalmente portato ad accentuare, per così dire, l’orientamento di fondo che
già aveva se non “caricandolo” strumentalmente, quanto meno nel senso di non
“indebolire” l’opzione interpretativa prescelta con dubbi ed incertezze di una
certa consistenza. Pur non sottovalutando tale circostanza, va comunque
sottolineato che esso ha fatto ricorso, molto consapevolmente, alla
interpretazione costituzionalmente orientata, che non gli ha “creato”
particolari problemi quanto alla conclusione per cui, non essendo né chiaro né
univoco il significato normativo della legge regionale impugnata l’opzione
interpretativa da privilegiare fosse naturalmente quella che non
poneva, a suo avviso, problemi di costituzionalità. L’impugnazione del
provvedimento di tale Ufficio davanti al T.A.R. da parte di chi, con esso, non
veniva eletto consigliere è, ovviamente, comprensibile, come, in qualche
misura, è comprensibile l’atteggiamento “pilatesco”,
neutrale, e, se vogliamo, l’imbarazzo, peraltro prevalentemente “politico” (né ad
adiuvandum, né ad opponendum),
della Regione, poi mutato, però, nel giudizio davanti alla Corte ancorché non
con una chiara ed esplicita richiesta di una pronuncia di accoglimento, ma
prospettando una irrilevanza, ed una inammissibilità, che, tuttavia, pur se
“interpretativa”, non avrebbe, forse, garantito, o garantito del tutto, in
ordine alla permanenza certa e definitiva del numero stabilito dallo statuto.
Comprensibili sono anche le argomentazioni dei ricorrenti nel giudizio
principale, di certo funzionali all’accoglimento del ricorso da parte del
T.A.R., benché, a nostro avviso, “problematiche” nel merito pur se da questo
definite “pregevoli”e, in realtà, accolte anche se, poi, ha ritenuto di dover
sollevare la questione di legittimità costituzionale sulla base del contrasto
tra la disposizione della legge così interpretata e lo Statuto, sulla cui piena
legittimità costituzionale, e, quindi, sulla cui piena idoneità a fungere, non
solo in generale, ma anche nella specifica circostanza, da parametro ha
motivato ampiamente quasi sorvolando, peraltro, sul profilo della competenza.
Esso, così, pur non percependosi, nel corso dell’ordinanza, qualcosa che
esplicitamente e con certezza possa indurre a pensare che non si sia posto il
problema della competenza in sé della legge regionale, ha concentrato il suo
discorso sul contrasto del contenuto della legge stessa con lo Statuto pur non
avendo omesso di “spiegare” anche i motivi della impossibilità di una
interpretazione costituzionalmente orientata (v., per es., il riferimento
esplicito al criterio della successione delle leggi nel tempo, ritenuto non
applicabile). La Corte costituzionale, a sua volta, sembra aver aderito in
sostanza pienamente all’impostazione della questione data dal giudice “a quo” (per cui la legge regionale
prevedeva i seggi aggiuntivi, ma contrastava con lo Statuto) e, se, per un
verso, pare aver lasciato in ombra, ma di certo in misura minore, il
profilo, per altro forse molto teorico, che abbiamo evidenziato, per l’altro
comunque non ha aderito alle “sirene” che, prospettando, anzi richiedendo, una
decisione di inammissibilità, o di non fondatezza, in qualche modo in
connessione con una presunta inesistenza, e/o irrilevanza della questione, e/o
con una interpretazione adeguatrice, o costituzionalmente orientata (per la
quale non le sarebbe mancato, volendo, un appiglio, o forse più che un
appiglio, se non proprio un “assist” del T.A.R. del Lazio e dello stesso
Consiglio di Stato, sia pure in relazione a fattispecie non identiche, o da
essa ritenute tali), della legge impugnata, miravano a mantenerla in vigore con
tutte le conseguenze possibili tenendo presente la interpretazione che proprio
il giudice aveva già dato di essa nel senso, come abbiamo detto, che
prevedesse, ricorrendone i presupposti, i seggi aggiuntivi [9].
3. Una riflessione merita, poi, anche l’affermazione, netta
e chiara, senza alcuna incertezza, e, quindi, pronunciata quasi come ovvia, o
scontata, della Corte, secondo la quale, in sostanza, se lo Statuto pugliese lo
avesse espressamente previsto, la legge regionale “ordinaria” avrebbe potuto
senza problemi prevedere il congegno dei seggi aggiuntivi, così come del resto
è già avvenuto, ha rilevato, in Calabria ed in Toscana (evidentemente, deve
ritenersi, a suo avviso, senza alcun problema di legittimità). Più
precisamente, secondo la Corte, “quando la fonte statutaria indica un numero
fisso di consiglieri, senza possibilità di variazione, la legge regionale non
può prevedere meccanismi diretti ad attribuire seggi aggiuntivi.” Di
conseguenza, “la Regione che intenda introdurre nel proprio sistema di elezione
il meccanismo del doppio premio deve prevedere espressamente nello
Statuto la possibilità di aumentare il numero dei consiglieri (ciò è avvenuto,
da ultimo, nelle regioni Calabria e Toscana)”. L’affermazione, come si diceva,
è chiara e netta anche se la possibilità di estenderne la portata, se non
proprio la sua generalizzazione, o la sua generalizzabilità,
per così dire, ai rapporti Statuto-legge regionale
quanto all’oggetto in questione potrebbe apparire, se non sconsigliata, quanto
meno raccomandata con una qualche prudenza dai termini e dal tono usati dalla
Corte, che sembrano quasi volerla limitare, per l’appunto, alla fattispecie in
esame anche al di là di quanto ciò, ovviamente, sia normale e fisiologico. Pur
considerando, però, che essa di certo ha in mente, o si riferisce proprio e,
forse, solo al Tatarellum, agli
obiettivi da esso perseguiti, al modo del suo funzionamento ed agli effetti
determinati dalla sua applicazione nel caso di specie, nonché a quelli che può
determinare a seconda dei casi e nelle varie regioni, che di certo hanno
“pesato” sulle sue valutazioni, non sarebbe ragionevole dedurne, tuttavia, che
le sue conclusioni non discendano da una ipotesi teorica più generale, nella
quale le ha inserite e con la quale sono coerenti, cioè che non abbia pensato
ai possibili casi quantitativamente diversi, ma qualitativamente simili, o
equivalenti, e non solo al doppio premio, ma anche, per es., al fatto
che nella (ammessa) possibilità di aumentare i seggi sarebbe stata, e sarebbe
da includere anche quella di diminuirli trattandosi delle due facce della
stessa medaglia, cioè della stessa possibilità di comunque modificare, o
variare, la indicazione dello Statuto (a meno che solo un aumento, e non anche
una riduzione dei seggi da questo indicati possa essere, o sia in linea con
l’obiettivo di un sistema di elezione che agevoli la formazione di stabili
maggioranze e assicuri la rappresentanza delle minoranze, che, peraltro,
risulta imposto alla legge elettorale regionale dalla legge cornice nazionale:
è nei limiti dei principi fondamentali stabiliti da questa, non dallo Statuto,
che, infatti, la legge della Regione, ai sensi dell’art. 122, I c., Cost, deve disciplinare il sistema d’elezione ed i casi di
ineleggibilità e di incompatibilità). E ciò, ovviamente, tranne il caso in cui
una disposizione statutaria richiami testualmente, o nomini il Tatarellum, o altra legge regionale, anziché,
come appare più o ovvio e normale, “la” legge regionale.
Tanto premesso, meritevole di riflessione appare, dunque,
l’affermata facoltà in linea generale ed astratta, per lo Statuto, di
autorizzare la legge regionale ad (o, se si preferisce, di demandare ad essa la
possibilità di) incidere sul numero dei consiglieri da esso indicato (così
rendendolo da questa modificabile), sulla quale, peraltro, salvo errore, già da
prima della sentenza di cui trattasi non sembra siano state sollevate
perplessità di sorta [10].
Formalmente, come abbiamo visto, la Corte si riferisce alla Regione. Dice,
infatti, che, se essa vuole introdurre nel proprio sistema d’elezione il
meccanismo del “doppio premio”, deve prevedere espressamente nello Statuto la
possibilità di aumentare il numero dei consiglieri. Non vi è dubbio, però, che
il tutto vada riferito allo Statuto e alla legge elettorale (pur se neanche
nominata) e che l’unico limite imposto allo Statuto sia quello della previsione
espressa della possibilità di cui trattasi, che, pertanto, sembrerebbe così
attribuibile alla legge praticamente “in bianco”. Non va, infatti, dimenticato
che la Regione è subentrata, per così dire, allo Stato nella disciplina della
materia (rectius, la legge regionale
alla legge nazionale, salvo il limite dei principi fondamentali, rimasti a
questa) e che, volendo, potrebbe in qualsiasi momento modificare e/o sostituire
il Tatarellum con un’altra disciplina,
incidente o meno, e più o meno diversamente, sul numero dei consiglieri, la
quale dovrebbe ritenersi ugualmente “coperta”, per così dire, dalla espressa
autorizzazione statutaria avendo solo i problemi derivanti dall’obbligo di
osservare i principi fondamentali stabiliti dalla legge nazionale (la quale,
però, non avendo, o assumendo che non abbia competenza alcuna in ordine alla
determinazione del numero dei consiglieri regionali, non dovrebbe, o non
potrebbe dettare “principi fondamentali “ al riguardo; sarebbe strano, d’altra
parte, che lo Statuto, fonte, e massima fonte, regionale, autorizzasse la legge
dello Stato ampliandone il campo di intervento, cioè, in un certo senso, che la
regione cedesse allo Stato ciò che è appena riuscita a “conquistare”).
L’autorizzazione, infatti, in mancanza di espressi ed appositi riferimenti,
difficilmente potrebbe essere riferita ad una specifica disciplina, come, nel
nostro caso, al Tatarellum, non potendo non
riguardare la possibilità in astratto conferita alla legge elettorale
regionale.
Nella sentenza,
come abbiamo visto, la Corte richiama esplicitamente, e legittima indicandolo,
anzi, come esempio, ciò che è avvenuto, da ultimo, nelle regioni Calabria e
Toscana. Ora, per quanto riguarda la prima, l’art. 15 dello Statuto (così come
integrato dall’art. 2 della legge regionale, di revisione statutaria,
19.01.2010, n. 3) indica in 50 i membri del consiglio regionale “salvo quanto
stabilito dalla legge elettorale per agevolare la formazione di maggioranze
stabili ed assicurare la rappresentanza delle minoranze”. Non vi si parla, come
può notarsi, di doppio premio, o di aumento, o di seggi aggiuntivi, ma
semplicemente di quanto stabilito dalla legge elettorale sia pure con il
vincolo, per così dire, dell’obiettivo delle maggioranze stabili e della
rappresentanza delle minoranze, che, peraltro, per un verso non sembra
rientrare nella competenza dello Statuto e, per l’altro, corrisponde in tutto,
anche letteralmente, a quanto previsto dalla competente (questa si!) legge
nazionale contenente i principi fondamentali (l. 2 luglio 2004, n. 165, art.
4). L’autorizzazione, comunque, è sostanzialmente in bianco perché, a parte il
predetto obiettivo, oltretutto variamente perseguibile, nulla è indicato quanto
alla possibilità di modificare il numero dei consiglieri indicato dallo Statuto
(minimo o massimo, in aumento e/o in diminuzione, ecc), il quale, pertanto,
appare rimesso alla piena discrezionalità della legge sia pure, per così dire,
volontariamente, o, se si preferisce, per libera scelta (della quale, tuttavia,
occorre vedere se dispone) dello Statuto stesso. L’art. 6, comma 2, dello
Statuto toscano, anch’esso richiamato dalla Corte come disposizione
costituzionalmente corretta, a sua volta, nel testo recentemente sostituito
(art. 1 deliberazione statutaria in B.U.R. della Regione n. 37 del 6.10.2009), stabilisce che
“il Consiglio regionale è composto da cinquantatre consiglieri, fatti salvi gli
effetti dell’applicazione della legge elettorale”. La disposizione appare,
intanto, in qualche misura diversa e, per la verità, anche un po’ singolare
perché richiama gli effetti della applicazione della legge elettorale come se
già la conoscesse e già sapesse (in effetti, come abbiamo visto, già la conosce
e già sa) che la sua applicazione può comportare una incidenza sul numero dei
consiglieri mentre, almeno teoricamente, non la dovrebbe conoscere e, comunque,
così va, o, almeno, andrebbe letta, cioè come se non la conoscesse. Quel che
più conta, però, è che tale legge potrebbe essere, in futuro, modificata dal
legislatore regionale e, magari, questa volta davvero non conosciuta (dallo
Statuto), non avere effetti in sede di applicazione o averli, e averli diversi
e, però, così già accettati (fatti salvi). Sembra non interessarle nulla, in
definitiva, dei contenuti che potrà assumere la legge regionale e degli effetti
che potranno derivare dalla sua applicazione, che, però, comunque sono (fatti)
salvi, in un certo senso, “a scatola chiusa”. Ciò depone chiaramente nel senso
che la disposizione statutaria anche in questo caso sembra conferire una
autorizzazione tutto sommato in bianco.
Le richiamate
disposizioni dei due Statuti sono importanti perché orientano, ove necessario,
anzi confortano l’interpretazione del pensiero della Corte nel senso che
effettivamente, a suo avviso, sia sufficiente, in generale, che lo Statuto
preveda espressamente che la legge elettorale regionale “possa” incidere sul
numero dei consiglieri da esso indicati perché tale legge, nel farlo, sia
legittima a prescindere dal contenuto specifico che assumerà, cioè dal come, e
dal quanto inciderà sul numero stesso (cosicché le disposizioni statutarie
calabrese e toscana sul punto, a loro volta, sono (da ritenere) legittime ora
che si riferiscono a leggi elettorali note, bensì, ma appaiono destinate ad
esserlo anche nel caso di una modifica la cui entità “ammessa” è, però,
imprevedibile).
Quanto agli altri
Statuti sino ad ora adottati, quello abruzzese (art. 14, II c.), stabilisce che
la “legge elettorale può prevedere l’attribuzione di seggi aggiuntivi al fine
di garantire la formazione di una stabile maggioranza” (non anche la
rappresentanza delle minoranze); quello ligure (art. 15, II c.) che
“l’Assemblea legislativa è composta da non più di cinquanta Consiglieri oltre
al Presidente della Giunta”[11];
quello molisano (art. 15, I c.) che “il Consiglio regionale si compone di
trentuno consiglieri e del Presidente della Giunta regionale, salvo quanto
stabilito dalla legge elettorale regionale per agevolare, ove necessario, la
formazione di maggioranze stabili ed assicurare la rappresentanza delle
minoranze”[12];
quello lombardo (art. 12) che il Consiglio è composto da 80 consiglieri “fatti
salvi gli effetti dell’applicazione della legge elettorale”, la quale deve
garantire la rappresentanza di tutti i territori provinciali[13].
Gli altri, salvo errore, non prevedono la possibilità della variazione. Di
quelli che la prevedono, ovviamente, deve presumersi la legittimità
costituzionale alla luce della sentenza ”de qua” e di quanto prevedono i due
Statuti nominati dalla Corte dal momento che le espressioni usate dagli altri
appena richiamati non sono più ampie di quelle di cui ai due predetti (può segnalarsi
l’espressione “ove necessario”, di cui allo statuto molisano, apparendo davvero
difficile il sindacato sul ricorrere di tale presupposto, che basterà, alla
legge, semplicemente richiamare). Sembra comunque da sottolineare sia che
formula usata dallo statuto abruzzese limita la possibilità di variazione solo
all’ipotesi di seggi “aggiuntivi”sia che quella dello statuto ligure, così
distinguendosi da tutti gli altri, stabilisce soltanto il numero complessivo
massimo dei consiglieri[14].
L’attribuzione, più o meno in bianco, della possibilità,
alla legge elettorale regionale, di incidere sul numero dei consiglieri
regionali pone, a nostro avviso, la necessità di una riflessione sulla
legittimità costituzionale delle disposizioni statutarie interessate, e, quindi,
“in parte qua”, degli Statuti, dal
momento che, così, il numero dei consiglieri finisce con l’essere determinato,
in realtà, di volta in volta, e sulla base dei risultati elettorali, (quanto
meno “anche”) dalla legge elettorale e non dallo Statuto. Che tale
determinazione spetti allo Statuto, per la verità, non risulta stabilito,
almeno formalmente, in nessuna disposizione costituzionale. Come è noto, però,
e come abbiamo potuto vedere, si ritiene comunemente che essa rientri nella
“forma di governo” e spetti, pertanto, anzi sia riservata allo Statuto (in tal
senso è, d’altra parte, la sentenza n. 3 del
2006 della Corte costituzionale, la quale, però, più che motivare sul punto,
dà per scontata la competenza statutaria in questione perché competenza “in
ordine alla scelta politica sottesa alla determinazione della forma di governo
della Regione”)[15].
Ciò posto, può, questo, legittimamente rinunciare, per così dire, a tale “potere”
e, sia pure con il limite di una previsione espressa, conferirlo, in sostanza,
e comunque rimetterlo, almeno in parte ed in misura imprecisata, alla legge
regionale? Non altera, in tal modo, l’ordine delle competenze
costituzionalmente stabilito e non vanifica “arbitrariamente”, per così dire,
le ragioni sottese a tale ordine (cioè alla diversità, sotto vari profili, tra
Statuto e legge regionale), sacrificando gli interessi da esso e con esso
protetti e garantiti? La risposta, riteniamo, non è semplice. Ragionando, se
possibile, nei termini più propri e più ricorrenti per la riserva di legge, ci
si potrebbe domandare, intanto, se la riserva di statuto di cui trattasi possa
corrispondere, in qualche modo, sotto il profilo del suo regime giuridico, ad una
riserva assoluta o relativa pur dovendosi considerare, però, che, almeno nel
caso di specie, le due fonti, lo statuto e la legge, sono, entrambe (e,
comunque, così le consideriamo), fonti a competenza riservata (per lo Statuto
la Corte ha parlato di fonte a competenza “riservata e specializzata” e di
fonte costituzionalmente “garantita”, bensì, ma nei limiti dell’armonia con la
Costituzione). Occorre anche considerare, riteniamo (pur se il rilievo non
dovrebbe avere, a rigore, una incidenza qualitativa nel senso che il problema è
qualitativamente identico), ed ammettere, che la variazione di cui si discute è
pur sempre una variazione su un numero base, e di certo di consistenza
prevalente, comunque stabilito dallo Statuto (tranne, forse, almeno in parte, come
abbiamo visto, il caso della Liguria) e comunque modificato entro certi limiti
anche se proprio quelle modifiche possono sicuramente incidere in termini
decisivi e comunque molto importanti sui rapporti tra le forze
politico-consiliari e, in definitiva, sulla legislatura regionale, le cui sorti
vengono così condizionate dagli effetti della applicazione della legge (i
rapporti forma di governo-sistema d’elezione, d’altra parte, sono così stretti,
come si diceva, da rendere difficile escludere una influenza dell’uno
sull’altro e viceversa). Proprio nella regione Puglia, d’altra parte,
l’applicazione del Tatarellum, ma, in
realtà, l’applicazione della legge regionale nel senso che aveva scelto,
razionalizzandolo, per così dire, il meccanismo previsto dal Tatarellum, avrebbe condotto ad un diverso rapporto
numerico tra maggioranza e minoranza e, quindi, ad un possibile, diverso
equilibrio con tutte le conseguenze politiche, istituzionali, sociali ecc., che
ne possono derivare e che certamente non sembrano trascurabili pur nella loro
imprevedibilità. Ragionando in termini di riserva assoluta e, comunque,
almeno, limitatamente al profilo di essa consistente nella irrinunciabilità
alla competenza da parte del titolare, che non può privarsene a nessun titolo,
dovrebbe ritenersi illegittima ogni attribuzione di facoltà, o di delega, o di
trasferimento, o di “cessione” di competenza, o di solo “esercizio” della
competenza da parte dello Statuto alla legge regionale a prescindere,
naturalmente, dalla difficoltà, non, però, tecnica, di portare una norma
statutaria del tipo di quella in questione davanti al giudice delle leggi (nel
caso di cui ci stiamo occupando, peraltro, il T.A.R. di Bari di certo lo
avrebbe potuto fare e, magari, lo avrebbe fatto se, anziché convincersi,
dandone ampia motivazione, della piena costituzionalità dell’art. 24 dello
Statuto pugliese, avesse, invece, raggiunto un convincimento diverso ogni norma
statutaria, in definitiva, potendo costituire parametro e anche oggetto in un
giudizio di costituzionalità). Sembra difficile, inoltre, ragionare, nella
fattispecie, in termini di riserva relativa (di statuto) il numero dei
consiglieri dovendo prestarsi, in tal caso, a costituire una sorta di materia
disciplinabile con norme di principio e norme di dettaglio anziché, come
sembra, un numero e nient’altro che un numero puro e semplice. Sembra chiaro,
tuttavia, che, ove, per altre e più ampie considerazioni, si ritenesse di
poterlo fare, occorrerebbe che le disposizioni statutarie in questione contenessero,
come non sembra potersi dire per quelle che abbiamo richiamato, e per
l’affermazione della Corte (solo espressa previsione della facoltà) elementi
tali da corrispondere, in un aspetto essenziale, allo schema della riserva
relativa di legge, cioè un “quid pluris” e, per es., indicassero un numero massimo e/o
minimo entro il quale la legge regionale possa modificare il numero stabilito
o, comunque, altre condizioni che la legge regionale dovrebbe comunque
rispettare, o, meglio principi entro i quali dovrebbe contenersi. Dovrebbe,
comunque, essere evitato, in definitiva, che la legge alteri, o, meglio, possa
alterare, senza limiti prestabiliti, l’indicazione statutaria. perché si
determinerebbe, in tal caso, una sostanziale alterazione del quadro delle fonti
delineato dalla Costituzione e dalla “ratio” ad esso sottesa, che, riteniamo, non possa essere
riconosciuta, come, invece, sarebbe, nella disponibilità dello Statuto. Nessuna
fonte, in linea generale, dispone, d’altra parte, tranne espressa attribuzione
in tal senso, della competenza attribuitale da una fonte più alta in grado e
non può, riteniamo, “delegare” nemmeno il suo semplice esercizio ad altra senza
che ciò incida, violandolo, sull’ordine più in alto (nel nostro caso
costituzionalmente) stabilito (potrebbe, con tutte le riserve del caso,
ricordarsi la espressa e molto “disciplinata”, e non in bianco, previsione
della delega dell’ ”esercizio” di cui all’art. 76 Cost.). Non appare
convincente l’osservazione per cui “la determinazione del numero dei consiglieri
regionali” sarebbe “comunque rimessa, in prima battuta, allo Statuto, mentre la
successiva specificazione avviene in sede di legge elettorale regionale, in
quanto inestricabilmente connessa al funzionamento del sistema elettorale”[16].
Non si tratta, intanto, di una ipotesi di impossibilità di “funzionare”, cioè
di concreta applicabilità, della determinazione avvenuta “in prima battuta”
(che sembrerebbe , così, già di per sé difficoltosa, se non di impossibile
attuazione), ma solo della previsione della sua modificabilità da parte di
un’altra fonte e, per così dire, per esigenze, o scelte, a questa risalenti
mentre ha l’obbligo di “scegliere” un sistema che non alteri in seconda ciò che
da altri sia stato deciso in prima in ogni caso il sistema d’elezione dovendosi
adeguare al numero prestabilito e non viceversa per l’inammissibilità
dell’inversione. La inestricabilità della connessione richiamata, insomma, pur
reale ed innegabile, non dovrebbe poter comportare di per sé la (o di per sé
risolversi nella) automatica, se non naturale incapacità della determinazione
statutaria di essere attuata né la necessità, e neanche la legittimità della
conseguente inversione dei ruoli, e delle “posizioni”, per cui lo statuto
dovrebbe adeguarsi alla legge anziché il contrario. Meritevole di
considerazione appare la precisazione “almeno fino a quando ci si muove”, come
nel caso della legge elettorale calabrese, “nell’ambito di soluzioni analoghe a
quella disciplinata dalla legge n. 108 del 1968, come modificata dalla legge n.
43 del 1995” anche se sembra trattarsi di una sorta di giustificazione fondata
sulla valutazione degli effetti concreti, e sulla loro “entità”, più o meno
“modesta”, essendo più o meno conoscibili “ex
ante”, anziché sulla questione considerata astrattamente. In realtà, come
abbiamo già osservato, tutto il tema di cui ci stiamo occupando sembra
affrontato da attori che conoscono bene ciò cui si riferiscono, per altro senza
“fare nomi”. Il fatto, tuttavia, che la legge regionale possa in qualsiasi momento
mutare, se così viene deciso, perché ne ha la competenza (ovviamente nei limiti
dei principi stabiliti dalla legge dello Stato), e, quindi, che possa
sopravvenire un sistema d’elezione diverso e diversamente incidente sulla
determinazione statutaria, comporta un atteggiamento diverso nel contesto della
questione sulla quale abbiamo auspicato una attenta riflessione perché allo
stato, quella ipotetica legge elettorale regionale diversa sarebbe legittima
proprio sulla base dello Statuto, il quale non parla del Tatarellum,
pur avendolo avuto davanti agli occhi e sulla base di esso avendo compiuto le
proprie opzioni. Può, invece, sottolinearsi, in questo contesto, che la
rimessione alla legge regionale della determinazione, sia pure parziale e
minoritaria, del numero dei consiglieri in realtà potrebbe comportare il
rischio di rimetterla, in qualche modo, e/o misura, anche, ma qualitativamente
innanzitutto, alla legge della Repubblica (nei limiti dei cui principi
fondamentali la prima, in linea generale, deve introdurre la “sua” disciplina),
la quale, come è ovvio, è, oltretutto, di certo più “altra” della legge
regionale rispetto allo Statuto e/o, per altri versi, più libera o meno
sensibile alle istanze regionali di quanto lo sia, o sia presumibile che sia,
la legge della Regione (anche se, in astratto, non sembra competente né, in
concreto, sembra aver cercato quello che sarebbe un “regalo” o una sorta di
rimessione in gioco). Se, insomma, forma di governo e sistema di elezione si
influenzano tanto che la piena disponibilità della prima appare possibile solo
con quella del secondo, del quale può essere raccomandabile[17],
quindi, la non separazione dalla prima, come, però (diversamente dalla legge
costituzionale n. 2 del 2001 per le regioni speciali) nel nostro caso non è
avvenuto né da parte della Costituzione né da parte della giurisprudenza della
Corte, che certamente non ha attenuato la separazione tra forma di governo e
materia elettorale[18],
lo Statuto, ammettendo la presenza della legge regionale nella determinazione
del numero dei consiglieri, finisce, o potrebbe finire, in qualche modo, per
riammettere la presenza dello Stato nella forma di governo regionale così,
però, alterando il disegno del legislatore costituzionale, che sul punto ha
modificato quello originario della Costituzione. L’attribuzione, da parte
dell’art. 122 Cost. novellato, alla legge regionale della competenza a
disciplinare il sistema d’elezione ecc, non deve, in definitiva, trarre in
inganno perché la precedente presenza della legge della legge nazionale non è
stata, annullata, o cancellata del tutto, ma semplicemente attenuata sia pure
conservandole l’importante ruolo della competenza in ordine ai principi
fondamentali e la sua presenza “legittima” potrebbe fungere da base, o da pretesto,
o da occasione per estensioni magari non volute da nessuno ma oggettivamente
indebite. Sembra da rilevare, infine, che lo Statuto non possa, nel contesto
delle riflessioni proposte, e,comunque, non sia considerato come una sorta di
costituzione nell’ambito della regione né come il “dominus” delle fonti regionali. Il caso di cui ci siamo occupati
non sembra, inoltre, quanto meno pienamente, assimilabile a quello in cui lo
Statuto prescrive, senza apparente opposizione della Corte (v., per es., sent.
n. 2 del 2004), per questa o quella legge regionale, non esclusa, in
particolare, proprio quella elettorale, aggravamenti per quanto riguarda la
maggioranza richiesta per l’approvazione e/o procedimentali[19].
E ciò, riteniamo, neanche in relazione al fatto che, prescrivendo, esso, per
l’approvazione della legge elettorale regionale, una maggioranza qualificata, o
particolarmente qualificata, e tendendo, così, ad avvicinare, in qualche modo e
misura, la legge predetta allo Statuto, attenuerebbe, poi, l’entità della
“cessione” di competenza alla legge stessa. La distanza fra i due atti, in
realtà, rimane comunque incolmabile sotto vari profili pur tenendo presente
che, come è noto, lo stesso statuto è, con la riforma costituzionale del 2001,
una legge regionale. Qualitativamente le due fattispecie rimangono, infatti,
senza dubbio pur sempre diverse.
4. Non si può non segnalare, infine, che recentemente, con
il D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito dalla l.14.9. 2011, n. 148), viene
stabilito che il numero dei consiglieri non sia superiore ad un certo numero in
relazione alla popolazione della regione. Più precisamente, le Regioni “debbono
adeguare i rispettivi ordinamenti, nell’ambito della propria autonomia
statutaria e legislativa”, al parametro predetto “ai fini della collocazione
nella classe di enti territoriali più virtuosa di cui all’art. 20, comma 3, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge
15 luglio 2011, n 111”(art. 14). Sembrerebbe, quindi, che l’adeguamento non sia
obbligatorio, ma condizione per la collocazione nella classe di enti più
virtuosa e, magari, una sorta di onere. Ciò sembrerebbe escludere, in qualche
modo, il problema di costituzionalità che di certo si sarebbe posto ove si
fosse trattato di un obbligo “tout court”
per la evidente incompetenza del legislatore ordinario ad incidere sulla
ripartizione stabilita in costituzione, che, come abbiamo visto, vede, per il
numero dei consiglieri regionali, la competenza degli statuti e, al limite, nei
termini in cui si è visto, della legge regionale. Non sarebbe inutile,
tuttavia, una più attenta riflessione atteso che le regioni potrebbero trovarsi
di fatto “costrette” al predetto adeguamento per conseguire dei benefici che,
magari, non si giustifichino, o appaiano sproporzionati rispetto al
“sacrificio” che, a sua volta, potrebbe, in ipotesi, per motivi di ordine
“istituzionale”, se non indisponibile da parte delle regioni, apparire
“improponibile” e contrario ad oggettive esigenze di natura istituzionale in senso
lato pur nella incontestabilità dell’obiettivo della riduzione dei costi,
specie se diversamente perseguibile. Appare significativo, peraltro, che, a
quanto risulta, dalle regioni non sia state sollevate determinanti
recriminazioni[20]:
ciò può attribuirsi, riteniamo, al particolare momento storico, all’obiettivo
problema dei costi della politica e delle istituzioni, ecc. , che, in qualche
modo, possono aver reso secondario questo aspetto e, magari, poco attuale, e/o
politicamente inopportuna una protesta e, tanto meno, un eventuale ricorso alla
Corte costituzionale. D’altra parte, è in atto una tendenza spontanea e
consapevole, forse anche al di là di quanto necessario, alla riduzione dei
componenti il consiglio regionale anche perché in tal senso sembra il clima
nazionale a prescindere da ogni considerazione sulla reale volontà “politica”.
Non sarebbe, invece, particolarmente apprezzabile un eventuale e puro e
semplice disinteresse per la titolarità di una competenza che finirebbe con il
passare, o con il poter passare, non alla legge regionale, ma, in realtà, alla
legge dello Stato.
* Questo
scritto è destinato agli Studi in onore di Aldo Loiodice.
[1] In senso letteralmente contrario v.,
però, M. Cosulich, Il sistema elettorale del Consiglio regionale tra fonti statali e fonti
regionali, Cedam, Padova, 2008, 258.
[2] V., al riguardo, F. Gabriele, voce Elezioni V) Elezioni regionali, in “Enc. giur. Treccani”, Aggiornamento,
vol. XVII, Roma, 2008, 3 ss.
[3] Cfr. sent. n.196 del
2003 e quella in commento.
[4] V., al riguardo, T.A.R. Lazio, II
Sez. bis, 27 .09. 2010, n. 32495, in https://www.giustizia-amministrativa.it/ . e la nota di A. Racca, Teseo contro il Minotauro. Ancora una pronuncia
del T.A.R. Lazio in materia elettorale regionale, in “Giur. it.”, 2011, 1268 ss., nonché,
ovviamente, l’ordinanza del T.A.R. di Bari, che ha sollevato la questione di
cui alla sentenza in commento.
[5] V., per es., la sent. n. 2 del 2004,
in www.giurcost.it ed, ivi, i numerosi commenti richiamati.
[6] V., al riguardo, F. Gabriele, voce Elezioni V) Elezioni regionali, in “Enc. giur. Treccani”, vol. XII, Roma, 1988, 3 ss.
[7]Per il quale v. F. Gabriele, voce Elezioni V) Elezioni regionali, in “Enc. giur. Treccani”, Aggiornamento, cit., 2 ss., nonché, in
particolare, la sentenza
della Corte costituzionale n. 196 del 2003.
[8] Sulla interpretazione
costituzionalmente conforme v., in particolare, F. Modugno, Sul problema dell’interpretazione conforme
alla Costituzione: un breve excursus,
in “Giur. it.”, 2010,
8-9, 1961 ss., nonché, ivi, M. Raveraira, Le
critiche all’interpretazione conforme: dalla teoria alla prassi
un’incidentalità “accidentata”?, 1968 ss.; G. Serges,
Interpretazione conforme e tecniche
processuali, 1973 ss. e A. Celotto e G. Pistorio, Interpretazioni
com’unitariamente e convenzionalmente conformi, 1978 ss.
[9] V. T.A.R. Lazio II Sez. Bis,
sentenze nn. 32494 e 32495 del 27 settembre 2010 , e
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenze nn. 163 e 165
del 13 gennaio 2011, tutte in https://www.giustizia-amministrativa.it/
, che non hanno sollevato alcuna questione di legittimità pur negando i seggi
aggiuntivi che, invece, l’Ufficio centrale di Roma, a differenza di quello di
Bari, aveva assegnato
[10] Ne parla in termini favorevoli, per
es., G. Tarli-Barbieri, I risultati delle
elezioni regionali in Lazio e in Puglia: si possono assegnare “seggi
aggiuntivi”?, in www.forumcostituzionale.it
.
[11] Sullo specifico punto, v., ora, L.
Trucco, in P. Costanzo (cur.), Lineamenti di diritto
costituzionale della Regione Liguria, Giappichelli,
Torino, 2011, 146.
[12] Sul Presidente v., di recente, F.
Gabriele, voce Presidente della Regione,
in “Enc. giur. Treccani”,
Aggiornamento;vol. XVIII, 2010.
[13] Sulla rappresentanza territoriale
v., tra gli altri, F. Gabriele, voce Elezioni,
Aggiornamento, cit., 7 ss.
[14] Per una sorta di classificazione
degli Statuti sotto il particolare profilo della previsione, o meno, o del modo
della previsione, della possibilità, per la legge elettorale regionale, di
incidere sul numero dei consiglieri da essi indicati v. E. Paparella,
Elezioni regionali 2010: il c.d. premio
di governabilità nel Lazio e in Puglia, in https://www.associazionedeicostituzionalisti.it
/ n. 00 del 02.07.2010.
[15] Secondo M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle
Regioni, Il Mulino, Bologna, 2002, 190, il sistema di elezione presuppone
che il numero dei consiglieri sia già fissato; v. anche M. Raveraira,
I principi fondamentali statali in
materia elettorale regionale: quali vincoli per le Regioni, in M. Raveraira (a cura di), Le
leggi elettorali regionali. Problematiche e approfondimenti, Ed. Sc.,
Napoli, 2009, 22 ss.; v. anche, ivi, 21 ss., M. Cecchetti,
Il rapporto tra gli Statuti e le leggi
elettorali delle Regioni alla luce della giurisprudenza costituzionale. Tra
vincoli reciproci e possibili opportunità.
[16] M. Cosulich,
Il sistema elettorale ecc., cit.,
265.
[17] V., al riguardo, spunti in A.
Ruggeri, Revisioni costituzionali e
sviluppi della forma di governo, in Id., “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti, X, Studi dell’anno
2006, Giappichelli, Torino, 2007, 248-249.
[18] V., per es., G. Tarli Barbieri, Le fonti del diritto regionale nella
giurisprudenza costituzionale sugli statuti regionali, in www.forumcostituzionale.it .
[19] V., al riguardo, di recente, S.
Calzolaio, Le fonti “rinforzate” e
“specializzate” negli Statuti regionali, in www.forumcostituzionale.it ; per
un accenno alla riserva statutaria “apparentemente” inderogabile v. A. Racca, Op. cit., 1271, nota 23
[20] Tra le poche voci critiche,
segnaliamo quella di Eros Brega, presidente del
Consiglio regionale dell'Umbria e vice coordinatore nazionale della Conferenza
dei presidenti dei Consigli regionali e delle Province autonome, che ha
bocciato l'articolo 14 come palesemente
incostituzionale. (https://hurricane_53.ilcannocchiale.it/2011/09/26/tagliare_i_consiglieri_le_regi.html).
In dottrina, cfr.. A. Sterpa, Il decreto-legge n. 138 del 2011: riuscirà la Costituzione a garantire
l’autonomia di Regioni e Comuni?, in www.federalismi.it del 19 agosto 2011.