I
vizi denunciabili
Dr. Federico Furlan, assegnista di
ricerca presso l’Università di Milano - Bicocca
(versione provvisoria)
INDICE : 1. Introduzione -
Il regionalismo italiano ed il giudizio in via principale dopo le
modifiche costituzionali del 1999 / 2001 2. L’attuazione dell’art. 127 Cost.
nella legge
1. Introduzione - Il regionalismo italiano ed il giudizio in
via principale dopo le modifiche costituzionali del 1999 / 2001
Il tema che mi è
stato assegnato, che consiste nell’esaminare quali siano e come si atteggino,
nel diritto costituzionale vigente, i vizi denunciabili nel giudizio in via
principale (cui sono naturalmente correlati i profili del parametro invocabile
e dell’interesse a ricorrere ed azionare questa modalità del giudizio sulla
legittimità costituzionale degli atti normativi), non appare avvicinabile
partendo unicamente dal dato processuale e dalle pronunce che (in numero sempre
crescente) il giudice delle leggi sta sfornando a getto continuo nell’ultimo
triennio.
A monte, si trova e
va affrontata - come è ovviamente noto anche ai giudici che siedono a Palazzo
della Consulta - una questione di fondo: la stagione delle grandi riforme del
regionalismo italiano (che non può ancora considerarsi conclusa stante il decisivo
passaggio referendario che attende, ad ottobre di quest’anno, la riforma
costituzionale approvata dalle due Camere nell’ottobre 2005) ha condotto ad una totale equiparazione dello
stato e delle regioni i cui effetti si riverberano sul giudizio in via
principale anche al di la del dato formale di cui all’art. 127 Cost. ? Oppure
lo stato e gli enti regionali, pur nella loro ampliata autonomia, si trovano su
due differenti livelli e, soprattutto, sono portatori (o se si vuole garanti)
di differenziati interessi / valori ontologici, essendo l’uno chiamato ad
impedire la generica violazione della Costituzione da parte delle regioni
nell’esercizio dell’attività normativa primaria (la funzione di “polizia
costituzionale” per dirla con Zagrebelski) e le altre unicamente a
difendere la propria sfera di autonomia costituzionalmente individuata dagli
sconfinamenti dello stato centrale?
La risposta al
quesito riverbera i suoi effetti sul giudizio in via principale, che sembra
diventato - anche per la suo intrinseca componente di politicità (legata come
noto alla facoltatività dell’esercizio dell’azione) - il terreno di battaglia
preferito da stato e regioni per
raggiungere quella pax romana che l’assenza di una seconda camera
federale (sul modello del Bundesrat tedesco) rende impossibile da raggiungere
in sede politica.
Le dispute che
Ma facciamo un passo
indietro.
Prima della riforma
del titolo V si sosteneva, da parte della dottrina maggioritaria, che diverse
ragioni militassero a favore della c.d. asimmetria del giudizio in via
principale[1]
che la giurisprudenza del giudice costituzionale aveva, sin dai suoi primi anni
di attività (si v. sent. 38/1957 e 30/1959 e 32/1960), riconosciuto come
immanente al sistema e che comportava, quale fondamentale postulato,
l’impossibilità per le regioni di sollevare questioni di legittimità
costituzionale in relazione a parametri costituzionali diversi da quelli che
disciplinavano la sfera di autonomia normativa costituzionalmente attribuita,
laddove lo stato poteva censurare le leggi regionali per qualunque vizio di
legittimità costituzionale:
a)
da un lato, guardando all’aspetto
sostanziale, si evidenziava sia il ruolo spettante al governo in qualità di
garante e custode della legalità ed unità dell’ordinamento (e quindi anche di
sentinella contro le violazioni della legalità costituzionale perpetrate dalla
legislazione regionale) sia la difficoltà di impugnazione in via incidentale di
leggi regionali che per loro stessa natura non potevano regolare i rapporti tra
i privati;
b)
dall’altro lato, sotto una prospettiva
più formalistica e processuale, deponevano a favore di detta interpretazione
sia la diversità lessicale tra le disposizioni di livello costituzionale che
disciplinavano le modalità di accesso in via principale (l’art. 127, III comma,
Cost. che legittimava il ricorso del governo alla Corte
costituzionale nel caso di legge approvata dal Consiglio regionale che eccedesse
la competenza della regione stessa e l’art.
Invero, lo stesso
giudice costituzionale aveva reso, nel tempo, meno profondo il solco
dell’asimmetria intervenendo sul parametro e consentendo alle regioni di
lamentare non solo la violazione, da parte della legislazione statale, di norme
costituzionali direttamente attributive di competenza (e quindi per le regioni
ordinarie gli articoli 117, 118 e 119) ma anche di altri precetti costituzionali collocati al di fuori del
titolo V della Costituzione qualora il vizio rilevato “ridondasse” in
violazione delle competenze regionali ovvero venisse ad incidere negativamente
- sia pure indirettamente - sulla sfera di autonomia costituzionalmente
assegnata (come affermato, in via di principio fin dalla sent. 32/1960).
Ugualmente, alle
regioni è stato consentito - sia pure con le limitazioni di cui sopra - di far valere, nel giudizio in via
principale, il vizio di eccesso di delega da parte di un decreto legislativo
(sent. 183/1987)[2].
In una celebre sentenza
del 1991, la n. 276, il giudice costituzionale aveva pure ammesso la
possibilità per le regioni di sollevare questione di legittimità costituzionale
in riferimento al principio della parità di trattamento previsto dall’art. 3
Cost., anche al di fuori dell’incisione diretta o mediata sulle competenze
regionali; insegnava
Di fatto, se talvolta
questi motivi di ricorso fondati sulla violazione di parametri posti al di
fuori del Titolo V sono stati dichiarati ammissibili, nel merito sono sempre
stati respinti.
Unica eccezione può
essere considerato il precedente della sentenza 393 del 1992, nella quale il
giudice delle leggi ha fondato la propria pronuncia di illegittimità
costituzionale di una legge statale (la legge 179/1992, con la quale era stata istituita
una nuova tipologia di piani territoriali,
i programmi integrati di intervento) anche sul contrasto con il
parametro costituito dall’art. 97 della Costituzione[4].
Poi è arrivato il
vento della riforma costituzionale che, per un verso, ha inciso fortemente (con
conseguenza non ancora del tutto valutate) il versante dei rapporti stato -
regioni - enti locali soprattutto in relazione all’esercizio delle funzioni
legislative ed amministrative, mentre, per altro verso, ha lasciato pressoché
inalterate le regole del giudizio in via principale.
Invero, nel nuovo
testo dell’art. 127 Cost. trova la propria disciplina anche il ricorso
regionale in via d’azione ma la promovobilità del ricorso rimane legata a
parametri diversi almeno dal lato terminologico: così mentre il Governo può
impugnare la legge regionale lamentando il vizio di “eccesso di competenza”,
per la regione l’interesse a ricorrere resta subordinato ad una differenziata “lesione
della sfera di competenza” (che prende il posto della “invasione”).
Ma, poiché non ci si
può mai fermare alla sola interpretazione letterale (soprattutto quando si
parla di norme di livello costituzionale),
la dottrina costituzionalistica si è interrogata sulle possibili
ricadute (implicite) della novella sul processo costituzionale.
Una volta caduto il
sistema dei controlli preventivi sulla legislazione e l’attività amministrativa
delle regioni; invertita l’enumerazione delle competenze legislative con
l’accoglimento del principio tipico delle costituzioni federali che riserva un
elenco di materie allo stato centrale e attribuisce le residue agli enti
membri; equiordinata, almeno quanto a limiti e vincoli, la potestà legislativa
dei due enti; eliminato il riferimento all’interesse nazionale quale possibile
vizio delle leggi regionali, il giudizio in via principale poteva dirsi ancora
lo stesso?
Soprattutto il
profilo dei vizi denunciabili (e dell’interesse a ricorrere) in questa modalità
di accesso al giudice costituzionale ha movimentato un dibattito dottrinale nel
quale si possono distinguere tre principali filoni interpretativi:
a) una pattuglia
nutrita di commentatori [5]
ha sostenuto che la riforma avesse determinato una “parificazione verso
il basso” dei due soggetti nel giudizio principale, essendo stata di fatto
eliminata la funzione di tipo tutorio assegnata allo stato nei confronti del
legislatore regionale che giustificativa l’asimmetria, e che, di conseguenza,
dopo il 2001, lo stato avrebbe potuto far valere davanti alla Corte
costituzionale unicamente il vizio di competenza strettamente inteso ovvero lo
straripamento regionale dalle materie assegnate. Questa linea interpretativa
poteva appoggiarsi anche ai lavori preparatori della legge costituzionale
3/2001 e, in particolare, alla relazione di maggioranza al testo di riforma
(on. Cerulli Irelli e Soda) che, nel commentare il nuovo testo dell’art. 127
Cost., espressamente postulava una parità di Stato e regioni nel giudizio in
via principale e individuava la legittimazione del Governo a ricorrere avverso
le leggi regionali solo “qualora ritenga che essa ecceda la competenza della
Regione medesima e non per qualunque vizio di incostituzionalità”;
b) una opposta
corrente di pensiero[6]
annettendo, al contrario, una valenza decisiva alla formulazione letterale del nuovo
art. 127 Cost., ha argomentato in favore del mantenimento dell’asimmetria e
della facoltà per il Governo di impugnare le leggi regionali per qualunque
vizio di legittimità costituzionale, così come avveniva in precedenza (la
chiameremo corrente “continuista”);
c) altri ancora, in
una posizione intermedia, hanno evidenziato nelle due tesi precedenti la
contestuale presenza di elementi di forza e di debolezza [7].
Quanto al giudice
ultimo della controversia,
Non era ovviamente
sufficiente questo inciso per ritenere che il giudice costituzionale avesse
avallato l’una o l’altra delle possibili interpretazioni.
E, infatti, nel 2003
sarebbe giunta quella che si potrebbe definire la svolta “unitarista”
del giudice costituzionale, il cui apice viene toccato con le sentenze 274 e
303, con le quali
Una lettura alla
tedesca, se vogliamo, del regionalismo italiano post 2001, ricordando che nel
federalismo germanico l’art. 72 GG consente al legislatore federale di
intervenire nelle 26 materie di potestà concorrente che sono attribuite alla
potestà normativa dei Lander qualora ciò si renda necessario appunto per
garantire la tutela dell’unità giuridica od economica, e, in particolar
modo, la tutela dell’uniformità delle condizioni di vita, prescindendo dai
confini territoriali d’ogni singolo Land (c.d. clausola di salvaguardia
dell’unità).
2. L’attuazione dell’art. 127 Cost. nella legge
Pochi giorni prima
che
Ai nostri limitati
fini prenderemo in esame solo l’art. 9 della
In particolare degno
di interesse appare detto articolo nella parte in cui ha previsto che la
questione di legittimità costituzionale della legge regionale possa essere
sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri “anche su proposta della
Conferenza Stato-Citta e autonomie locali” e, parallelamente, che la
regione (in persona del Presidente della Giunta previa delibera di Giunta)
possa sollevare la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un
atto avente forza di legge “anche su proposta del Consiglio delle autonomie
locali”.
Se appare evidente
che con queste disposizioni è stato fornito agli enti locali un “surrogato”[8]
per quell’accesso diretto alla Corte che non è stato previsto dalla novella
costituzionale e che, ugualmente, la proposta non è in alcun modo vincolante
per gli organi politici chiamati a decidere se promuovere ricorso[9],
il punto controverso resta un altro: si tratta di stabilire se si tratti di
norme puramente di natura processuale e dai limitatissimi effetti (considerando
la mancanza di vincolatività) ovvero capaci di innovare, nella sostanza, anche
la struttura del giudizio in via principale. In altre parole, dovremmo ritenere
che con queste norme lo stato e le regioni siano divenuti enti esponenziali
degli interessi degli enti locali che potrebbero essere oggetto di lesione da
parte di leggi statali ovvero regionali e quindi possano far valere questi
interessi avanti il giudice costituzionale?
Ancor più
specificatamente: lo stato potrebbe ricorrere, in nome e per conto delle
province, nei confronti di una legge regionale che comprima le loro funzioni
amministrative in violazione dei principi posti dall’art. 118 Cost.? E le regioni
potrebbero, da parte loro, ricorrere avanti
Cercherò di formulare
una risposta al duplice quesito nei paragrafi successivi.
3. La sentenza 274 del 2003 : perdura l’asimmetria del
giudizio in via principale ?
Come già accennato,
la sentenza 274 del
Né, a detta della
Corte, il dato letterale dell’art. 114 Cost., che pone sullo stesso piano
stato, regioni, comuni, province e città
metropolitane, comporta “una totale equiparazione” tra questi enti che
“dispongono di poteri profondamente diversi tra loro”.
Da ciò l’apodittica
conclusione: “pur dopo la riforma, lo stato può impugnare in via principale
una legge regionale deducendo la violazione di qualsiasi parametro
costituzionale”.
Ovviamente, la
sentenza ha creato nuova divisione in dottrina, ponendosi da un lato chi ha
ritenuto corretto l’operato della Corte[10],
dall’altro chi non l’ha condivisa nelle motivazioni giudicandola “gracile,
evasiva, ambigua ed internamente oscillante”[11].
Da parte di questi
ultimi la critica è stata a trecentosessantagradi in quanto
La mia impressione è
che
Quanto alla
violazione di tutti gli altri parametri costituzionali, al di là dell’argomento
“unitarista” usato dalla Corte (con il quale il giudice costituzionale si
espone alla critica di reintroduzione sotto mentite spoglie dell’abrogato
riferimento all’interesse nazionale), non mi sembra che si possa negare che gli
ordinamenti regionali continuano, pur nel rinnovato spettro delle competenze ad
essi attribuite, ad avere una natura sub-statuale e derivata e ciò giustifica
un intervento in via repressiva da parte dell’ordinamento originario qualora le
sue principali regole di convivenza (le norme costituzionali) non siano
rispettate.
Quanto
all’attribuzione al governo della predetta funzione si consideri che analoga
configurazione è stata accolta dal legislatore della revisione sia per
l’impugnazione degli statuti (di cui non mi occupo in questa sede ma che
presenta notevoli spunti di riflessione per la teoria generale dei vizi) sia
per l’esercizio del potere sostitutivo.
Ben altro è, allora,
il problema: come giustamente osservato dal prof. Ruggeri, il punto cruciale di
quella sentenza sembra consistere nella consapevolezza della Corte che la
riforma costringe ad abbandonare l’antica sponda dello squilibrio
(costituzionalizzato) di posizioni processuali tra lo stato e le regioni senza
che, però, nel contempo,
La sentenza
interveniva, infatti, in relazione ad una impugnativa statale e nulla (neppure
in sede di obiter dictum) lasciava trasparire in ordine alle
potenzialità (nel nuovo assetto delle competenze) dell’impugnativa regionale in
relazione alle leggi statali, in relazione alla quale deve ora essere misurato
il permanere o meno dell’asimmetria.
Proprio questo
aspetto sembra, anche alla luce della “ondivaga” giurisprudenza costituzionale
dell’ultimo triennio in materia di vizi e parametri denunciabili dalle regioni,
quello da approfondire maggiormente.
Anticipo che chi
scrive è pienamente d’accordo con quanto sostenuto dalla prof.ssa D’Amico nella
sua relazione introduttiva sulla necessità di interpretare la novella del
Titolo V come contenente quale corollario, per il processo in via principale,
non tanto l’esigenza di una “parificazione verso il basso” quanto
l’aspirazione ad un “livellamento verso l’alto” con un allargamento
delle maglie dell’ammissibilità delle questioni presentate dalle regioni.
Ma v’è, prima di
analizzare detta questione, un quesito da sciogliere legato all’impugnativa
statale: come si può collegare la svolta “unitarista” con il nuovo art.
art. 31, comma
Il fatto che la legge
4. Le impugnative regionali : i vizi denunciabili nei
confronti delle legge statali (è possibile una rilettura del concetto di
lesione della competenza?) e nei confronti delle leggi delle altre regioni (
Il punto di partenza
del ragionamento mi sembra possa essere questo: vi è un rapporto di
proporzionalità diretta e necessaria tra portato della novella costituzionale
del titolo V (sinteticamente riassumibile nell’ampliamento delle competenze e
nell’abolizione dei controlli di natura preventiva sui loro atti) e margini di
intervento spettanti alle regioni nel giudizio in via principale? Ed ancora,
fino a che punto si può spingere il livellamento verso l’alto?
La mia tesi, che ora
vado a spiegare, si articola in tre punti . 1) appare
auspicabile, alla luce della riforma costituzionale, una rilettura da parte del
giudice costituzionale del concetto di “lesione della sfera di competenza”
che porti il Giudice delle leggi ad ammettere le impugnative regionali con
maggiore ampiezza; 2) questo non si può, tradurre, tuttavia, nella piena
omologazione con il ruolo di tutore della legalità costituzionale spettante
allo stato stante la diversità di posizione ed interessi da difendere da parte
dei due enti; 3) l’allargamento delle maglie appare possibile in una duplice
direzione: a) da un lato intervenendo sulle limitazioni in ordine al parametro
costituzionale evocabile, che non sembrano più consone al nuovo ruolo
costituzionale delle regioni; b) dall’altro lato ammettendo la piena facoltà
delle regioni di porsi come enti esponenziali degli enti locali surrogandosi ad
essi nella difesa della proprie prerogative.
I presupposti logici
e di interpretazione costituzionale che supportano la tesi sono i seguenti:
I)
la novella costituzionale non ha mutato
il carattere di erma bifronte dell’impugnativa regionale nei confronti delle
leggi statali, che, sin dalla legge costituzionale 1 del 1948, si è
caratterizzato per essere “allo stesso tempo strumento per la risoluzione dei
conflitti di competenza e meccanismo di attivazione del generale controllo di
costituzionalità delle leggi”[12],
punto di incontro tra le opposte concezioni della giurisdizione costituzionale
di Verfassungsgerichtsbarkeit ovvero di Staatsgerichtsbarkeit.
Non si trovano, nel nuovo Titolo V, spunti che ci spingano ad
affermare che il ricorso regionale possa oggi essere completamente slegato
dall’ambito delimitato dalle competenze costituzionalmente attribuite.
Il
presupposto/interesse costituito dalla lesione della competenza continua a vincolare
l’impugnativa regionale non solo dal punto di vista del lessico impiegato
nell’art. 127 Cost. ma soprattutto perché non è mutata la posizione
costituzionale delle regioni.
La revisione
costituzionale del 1999-2001 non ha, infatti, modificato, quanto alla divisione
verticale dei poteri, la forma di stato delineata dal costituente del 1948,
dovendosi ritenere che il nostro ordinamento statuale non sia ancora da
annoverarsi tra quelli federali ma resti ancora di tipo regionale.
Ostano, infatti, a questo
tipo di riconoscimento: i) la formulazione dell’art. 5 Cost. (che fa
riferimento all’unicità ed indivisibilità della repubblica); ii) la
mancanza di una seconda camera federale nel senso di una assemblea nella quale
gli stati membri della federazione siano ugualmente rappresentati e possano far
valere i propri interessi (come il Senato Usa, il Bundesrat tedesco, il
Consiglio degli Stati in Svizzera); iii) il fatto che le regioni non
siano titolari di funzioni giurisdizionali; iv) il fatto che le regioni
non partecipino al procedimento di revisione costituzionale (art. V cost. Usa; art. 79 GG; art. 193
cost. Svizzera del 2000)[13];
v) il fatto che le regioni non dispongano della potestà normativa in
materia di ordinamento degli enti locali minori[14].
II)
Il solo ribaltamento delle competenze
legislative contenuto nell’art. 117 Cost. (pure gravido di conseguenze, come si
vedrà) non è in grado, da solo, di orientare in modo diverso l’interprete, così
come - ad un primo esame - non sembra in grado di modificare la forma di stato
l’ultima e controversa riforma costituzionale approvata nel 2005 (e sub
condicione referendaria) che, pur contendo riferimenti letterali al
federalismo (tra tutti la nuova denominazione di senato federale) non
recepisce, nella sostanza, i tratti distintivi degli stati federali.
Si tenga
ulteriormente in considerazione che la clausola dei poteri residui non ha la
latitudine della legge fondamentale tedesca (art. 30 GG: “L’esercizio delle
competenze statali e l’adempimento dei compiti statali spettano ai Lander
qualora la presente legge fondamentale non disponga o conceda diversa
regolazione”) ma è limitata all’esercizio della potestà legislativa.
Pertanto, non si può
leggere l’art. 127 Cost. come se fosse la traduzione dell’art. 93, II, della Legge
Fondamentale tedesca, in forza del quale i Lander sono legittimati ad
impugnare le leggi federali per qualunque forma di incompatibilità formale o
sostanziale del diritto federale con la legge fondamentale.
Questa forma ampia di
impugnativa appare, invero, possibile solo in un contesto federale.
III)
Nella forma di regionalismo (ormai
senza differenziazioni) che emerge dalla revisione costituzionale, gli
ordinamenti regionali continuano a trovarsi all’interno dell’ordinamento
costituzionale in una posizione ancora subordinata rispetto allo stato
unitario, dal quale derivano ed all’interno del quale, come soggetti ad
autonomia garantita, esplicano le funzioni che sono loro assegnate (si v. sul
punto anche supra § 3).
In una organizzazione
politica così strutturata solo lo stato è sovrano e solo lo stato è chiamato ad
impedire che i precetti fondanti l’ordinamento costituzionale siano violati.
IV)
Non si può, tuttavia, non notare che,
nel sottosistema delle fonti, la riforma ha creato una zona nella quale, eccezionalmente,
le regioni si trovano sullo stesso livello dello stato: qui la legge dello
stato ha perso (almeno così afferma la miglior dottrina[15])
il carattere di fonte a competenza generale e, quindi, se, dopo il 2001, il
legislatore statale interviene in un settore deve fondare il proprio intervento
su uno dei titoli di legittimazione costituiti dagli elenchi di materie di cui
all’art. 117 II e III comma (sul punto si v. anche Corte cost. sent. 282/2002).
Ribaltando l’ordine
logico su cui il giudice costituzionale aveva fondato la propria giurisprudenza
sin dalla sent. 32/1960 è ora lo stato ad avere “una sfera determinata di
poteri”.
Almeno sul versante
della normazione la lettera e lo spirito della riforma impongono, dunque, la
parità delle armi tra i due contendenti.
Ma questa parità non
deve essere ricercata tanto sul piano della funzione finale perseguibile
attraverso l’impugnativa (che è legata alla diversa posizione nell’ordinamento
costituzionale) quanto, piuttosto, proprio sul piano dei motivi deducibili a
tutela di quel principio/valore dell’autonomia che ancora oggi, insieme al
principio unitario, permea ed informa il
nostro regionalismo.
Ecco l’auspicio ad
una rilettura, da parte del giudice costituzionale, del concetto di “lesione
della competenza”, che ancora costituisce il presupposto legittimante il
ricorso regionale e ne vincola in senso concreto il contenuto.
Due sembrano le
strade percorribili:
a) parametri
evocabili
Se, alla luce dei
presupposti sopra enucleati, non appare sorretto da alcuna giustificazione
logico - sistematica sostenere che le regioni possano portare all’attenzione
del giudice costituzionale atti normativi di valore primario che disciplinino
le materie (di cui al 117, II comma, Cost.) nelle quali
Le regioni non sono
legittimate né hanno interesse, nella prospettiva accolta, alla tutela della
legalità costituzionale tout court, ma devono poter intervenire a
difendere la conformità alla costituzione nella misura in cui la legislazione
statale intervenga in materie nelle quali esse siano titolari di una
competenza.
A titolo di esempio
si pensi all’impugnativa regionale di una legge cornice in materia di previdenza complementare motivata con la
violazione, da parte dei principi fondamentali in essa contenuti, dei parametri costituiti dagli articoli 3 e
38 Cost.; oppure ad una legge statale in materia di professioni che le regioni
ritengano approvata in violazione degli obblighi comunitari; oppure ancora ad
una legge in materia di tutela della salute ritenuta in contrasto con l’art. 32 Cost.[16].
Per questa strada si
può giungere a sostenere che, in siffatte ipotesi, le Regioni siano abilitate a
denunciare non solo vizi di natura sostanziale ma anche i vizi formali relativi
al procedimento di formazione della legge e questo, a maggior ragione, se il
referendum costituzionale dovesse confermare la complessa architettura
costituzionale della funzione legislativa ripartita tra camera dei deputati e
senato federale.
E, dal punto di vista
processuale, le regioni non dovrebbero più neppure dimostrare l’esistenza di un
particolare interesse a ricorrere ma limitarsi ad individuare, nel ricorso, il
titolo in base al quale sorge la competenza.
L’interesse al
giudizio dovrebbe, infatti, essere valutato astrattamente ed unicamente in
relazione alla sussistenza di una competenza regionale sulla materia nel cui
ambito ricade la legge impugnata.
Si immagina che
In questa prospettiva
si inverte anche l’onere della prova: non è più la regione a dover
dimostrare la sussistenza di un proprio qualificato interesse ma è lo stato
(per bocca del governo) a dover provare l’esistenza di una riserva in favore
della legge statale ovvero il fatto che le censure non sarebbero ammissibili
perché non vi è, in materia, competenza regionale.
In fondo, mi sembra
che
In altre decisioni si
nota, con estrema evidenza, come
In quella decisione,
il giudice costituzionale, a fronte delle censure delle regioni che lamentavano
presunte violazioni dell’art. 3 Cost. da parte del legislatore statale, da un
lato ha dichiarato inammissibile la questione in relazione al principio di
eguaglianza inteso come principio di non discriminazione mentre, nel contempo,
ha giudicato nel merito (salvo poi ritenerla comunque infondata) la questione
in relazione al principio di ragionevolezza. Ugualmente è stata esaminata nel
merito (e respinta) la questione sollevata in relazione all’art. 79 Cost..
b) la regione come
ente esponenziale degli interessi degli enti locali
L’altra possibile via
è legata al ruolo che le regioni possono svolgere nella loro qualità di enti
esponenziali sia degli enti locali sia della collettività territoriale
difendendone le prerogative costituzionalmente garantite.
Che le regioni
fossero enti esponenziali della collettività territoriale in relazione alla
tutela del bene ambientale e paesaggistico, era stato già riconosciuto dal
Consiglio di Stato (sez. VI, sent. 27 febbraio 1991 n. 119) quando il supremo
consesso amministrativo aveva riconosciuto agli enti regionali la
legittimazione ad impugnare atti e provvedimenti lesivi dell’integrità
ambientale.
Analogo
riconoscimento era giunto, nel medesimo periodo, con la sent. 276/1991 del
giudice delle leggi, che aveva ammesso l’impugnativa regionale a tutela della
irragionevole discriminazione (asseritamente illegittima per contrasto con
l’art. 3 Cost.) patita dal territorio regionale ad opera di una legge statale.
Quanto alla
possibilità che le regioni ad autonomia ordinaria[17]
possano far valere la posizione di enti esponenziali anche rispetto agli enti
locali minori, un’apertura della Corte costituzionale in questa direzione è
stato compiuto con la sentenza n. 533/2002[18],
con la quale è stato deciso il primo ricorso promosso da una regione nei confronti di un’altra regione.
In quel caso, a fronte dell’eccezione della
regione resistente (
Ora, il riferimento
contenuto nell’art. 9 della legge
Ed è legata,
preliminarmente ed inscindibilmente, alla impossibilità per gli enti locali
(sia pure equiparati alle regioni quanto a posizione costitutiva
dell’ordinamento nell’art. 114 cost.) di far valere direttamente avanti il
giudice costituzionale la lesione della propria sfera di autonomia.
Portando alle estreme
conseguenze questa impostazione, si potrebbe, dunque, sostenere che le regioni
si surroghino (d’ufficio o su richiesta del Consiglio delle autonomie locali)
agli enti territoriali presenti sul proprio territorio impugnando le leggi
dello stato che, violando i precetti costituzionali, pregiudichino gli
interessi degli enti locali e delle rispettive comunità[19].
5. De iure condendo : il progetto di riforma costituzionale
della c.d. “devolution”
L’ultimo punto di cui vorrei occuparmi concerne il possibile impatto
sull’argomento trattato del più recente progetto di riforma costituzionale,
quello della c..d. devolution, che è stato definitivamente approvato
dalle Camere il 20 ottobre 2005 ed è in attesa di essere sottoposto a
referendum popolare confermativo.
Se, come già affermato supra, il progetto di riforma non trasforma
la nostra forma di stato in federale e se, inoltre, complessivamente la
posizione delle regioni non esce, dal testo, visibilmente e concretamente
rafforzata, proprio per quanto riguarda il giudizio in via principale si
avrebbero significativi sviluppi.
Due sono le novità principali in materia: a) la riproposizione del
giudizio di merito avanti le Camere (in seduta comune) per violazione, da parte
regionale, dell’interesse nazionale; b) il ricorso diretto al giudice
costituzionale per comuni, province e città metropolitane[20].
Premesso che non si capisce il motivo per cui far rivivere un istituto
che, pur previsto dal testo del 1948, non era mai stato attivato ed era, anzi
divenuto desueto (se non implicitamente abrogato), mi sembra di poter
osservare, quanto alla innovazione sub a) che l’entrata in vigore di questa
disposizione da un lato non modificherebbe in nulla il giudizio in via
principale (salva la possibile ri-giurisdizionalizzazione del vizio) ma,
d’altro canto, confermerebbe (qualora ve ne fosse bisogno) la superiore
posizione dello stato centrale nei confronti delle regioni.
Non verrebbero meno, tuttavia, le istanze che stanno alla base
dell’allargamento dell’impugnativa regionale, tenendo nella giusta
considerazione l’inserimento, nel testo costituzionale, del lemma “federale” e
l’esplicita attribuzione, nella sfera di potestà esclusiva, di nuove materie
quali l’organizzazione scolastica, la gestione degli istituti scolastici e la
polizia amministrativa regionale.
Invece, il riconoscimento agli enti locali minori del diritto di accesso
al giudizio in via principale farebbe venir meno, com’è ovvio, la
legittimazione delle regioni a surrogarsi ad essi.
[1] Per una ricostruzione della giurisprudenza costituzionale sul tema e per un completo panorama comparatistico si veda, di recente, la monografia di C. Padula, L’asimmetria nel giudizio in via principale, Padova, 2005.
[2] Si veda, però, la sentenza 302/1988 che ha dichiarato inammissibile, per mancanza di interesse, la questione di legittimità di un decreto legge proposta dalla regione denunciando la mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza e la violazione del divieto di reiterazione dei decreti non convertiti.
[3] Il
precedente è stato invocato di recente per sostenere il diritto della regione
Valle d’Aosta di impugnare la nuova legge elettorale proporzionale per
[4] Si
veda il commento alla sentenza di R.
Tosi, Pretese delle Regioni e parametri costituzionali nel giudizio
principale, in Le Regioni, 1993, 947. Sottolinea, d’altronde, C. Padula, L’asimmetria, cit.,
p. 307, che
[5] A. D’Atena,
[6] P. Caretti, L’assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione: aspetti problematici, in Le Regioni, 2002, 1230; R. Romboli, Le modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione. Premessa, in Foro Italiano, 2001, V, 185; F. Teresi, Le istituzioni repubblicane, Torino, 2002, 467; G. Gemma, Impugnativa di leggi regionali e nuovo art. 127 della Costituzione, in E. Bettinelli - F. Rigano (a cura di), La riforma del Titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Torino, 2004, 39; S. Bartole - R. Bin – G. Falcon – R. Tosi, Diritto regionale, II ed. 2005, 244
[7] Ad es. A. Saccomanno, Il controllo di legittimità alla luce del nuovo art. 127 Cost. , in S. Gambino (a cura di), Diritto regionale e degli enti locali, Milano 2003, 233 ss., il quale sottolineava, tuttavia, che il nuovo art. 117, I comma, Cost. nella parte in cui subordina stato e regioni al rispetto dei medesimi parametri (costituzionale, internazione e comunitario) non può, da solo, fondare una equiparazione nel giudizio in via principale dal momento che i due enti non possiedono “uno stesso interesse alla difesa complessiva dell’ordinamento costituzionale, considerato che l’ordinamento regionale resta pur sempre un ordinamento parziale”.
[8] Così E. Lamarque,
Art.
[9] Ma
sostiene Lamarque, op. cit.,
p. 244, che il Consiglio dei Ministri e
[10] G. Gemma, Vizi di leggi regionali ed
impugnativa statale:
[11] Così A. Ruggeri, La questione dei vizi delle leggi regionali e l’oscillante soluzione ad essa data da una sentenza che dice e … non dice (nota a Corte cost. n. 274 del 2003), in www.forumcostituzionale.it; con argomenti simili F. Drago, Il soddisfacimento delle istanze unitarie giustifica la vecchia giurisprudenza in merito ai vizi delle leggi regionali, (Brevi osservazioni sulla sent. n. 274/2003), in www.federalismi.it, numero 8/2003.
[12] Così
G. Volpe, Art.
[13] Per l’individuazione di quali siano i tratti distintivi dei sistemi federali si rinvia a G. Bognetti, Federalismo, Torino, 2001.
[14] Quest’ultimo aspetto è sottolineato da Bartole - Bin - Falcon - Tosi, Diritto regionale, cit., 47, i quali ugualmente concludono nel senso della non avvenuta trasformazione in uno stato federale.
[15] Si v. tra gli altri, M. Olivetti, Le funzioni legislative regionali, in Groppi - Olivetti (a cura di), La repubblica delle autonomie, Torino 2003, 93.
[16] In
questo senso già R. Tosi, op.
ult. cit., in relazione alla “vecchia” potestà concorrente e C.
Padula, L’asimmetria, cit., 308, ad avviso del quale la
compressione dell’attività legislativa ed amministrativa regionale in un quadro
di norme incostituzionali “non comporta solo una menomazione del generale
interesse della Regione a non essere impedita nell’adempimento dell’obbligo di
rispettare
[17] Le regioni ad autonomia speciale, infatti, sono titolari di potestà esclusiva in materia di ordinamento di enti locali e quindi non necessitano di un ulteriore titolo di legittimazione per ricorrere: si v. art. 3, comma I, lett. b) Statuto Sardegna; art. 14, lett. o), Statuto Sicilia; art. 2, lett. b), Statuto Valle d’Aosta (come modificato nel 1993); srt. 4, n.ro 1 bis. Statuto Friuli Venezia Giulia (come modificato nel 1993); art. 4, n. 3 Statuto Trentino Alto Adige (come modificato nel 1993).
[18] Sulla quale, si veda il commento di C. Padula, La problematica legittimazione delle Regioni ad agire a tutela della propria posizione di enti “esponenziali”, in www.forumcostituzionale.it , che tuttavia si dichiara scettico sulla possibilità di utilizzare il criterio dell’esponenzialità per interpretare in modo estensivo il concetto di “sfera di competenza di cui all’art. 127, II co., Cost., ritenendo che detta sfera di competenza “non può che essere intesa in senso tecnico come somma delle pubbliche potestà specificamente attribuite alle regioni dalla Costituzione e non comprende quei poteri che sostanzialmente costituiscono svolgimento dell’ordinaria capacità di agire”.
[19] Si dichiara contrario a questa ipotesi, C. Padula, L’asimmetria, cit., 300, ad avviso del quale il potere di proposta del Consiglio delle autonomie potrà trovare applicazione solo nel caso in cui alla lesione degli interessi locali si accompagni una possibile lesione delle competenze regionali.
[20] Scarso rilievo pratico sembrerebbe avere, invece, la partecipazione dei rappresentanti regionali (1 espresso dal Consiglio regionale ed 1 espresso dal Consiglio delle autonomie) all’attività del Senato federale, che dovrebbe consentire una sorta di diritto di tribuna, ma senza diritto di voto, agli enti territoriali.