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CONTENZIOSO
STATO-REGIONI E CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE:
LA CORTE RACCONTA UN ANNO
DI GIUSTIZIA COSTITUZIONALE
Tommaso Edoardo Frosini
Ordinario di
Diritto pubblico comparato nella Facoltà di giurisprudenza dellUniversità di
Sassari
1. Lannuale appuntamento
che la Corte
costituzionale, per il tramite del suo presidente, ha con la stampa italiana,
costituisce un momento significativo per fare un bilancio dellattività svolta
dallorgano di giustizia costituzionale nei dodici mesi appena trascorsi. E si
tratta, peraltro, dellunica occasione in cui la Corte dialoga con il popolo
italiano, come ebbe a dire una volta il presidente Branca; nel senso che è
lunica volta in cui, in forma ufficiale, la Corte espone allesterno i risultati della sua
attività, spiegando cioè le ragioni delle scelte giurisprudenziali da essa
compiute, sia pure sotto il profilo prettamente costituzionale. E quindi,
questa della conferenza stampa, loccasione ove con maggiore ponderazione e
capacità di persuasione può farsi emergere limmagine della Corte e i suoi
indirizzi complessivi. Certo, che il presidente della Corte debba convocare
annualmente una conferenza stampa non lo prevede nessuna norma: si tratta,
piuttosto, di una prassi che si è venuta a consolidare nel tempo, a partire dal
primo anno di attività della Corte e dettata, allora, dalla necessità di far
conoscere ai cittadini il nuovo organo costituzionale. Una prassi mai
interrotta, che appare oramai difficilmente sopprimibile: al punto che il
presidente della Corte non si potrebbe sottrarre allincontro con i giornalisti
in assenza di serie ed esplicite ragioni. Il fatto poi che spetti proprio al
presidente incontrarsi con la stampa e relazionare sullattività annuale della
Corte (nonché, cosa di non poco conto, rispondere alle domande che i
giornalisti gli rivolgono) è dovuto al suo potere di rappresentare lorgano
verso lesterno, così come stabilito dallart. 22 del regolamento generale.
Sia chiaro: non si tratta di un potere di esternazione attribuito al presidente
della Corte; egli, infatti, quale presidente di un organo collegiale, è tenuto
essenzialmente a caratterizzarsi come portavoce dellorgano nel suo complesso,
sottostando così a dei limiti in relazione allesercizio di questa sua
specifica funzione di rappresentanza. Limiti derivati sia dal principio di
collegialità sia da norme di correttezza: losservanza di queste ultime, in
particolare, dovrebbero impedire al presidente di esprimere valutazioni o
suggerire esiti relativamente a questioni sulle quali la Corte è chiamata (o può
essere chiamata) a pronunciarsi, così pure di rilevare episodi, comportamenti,
prese di posizione che, non proprio nel segreto, dovrebbero essere coperti da
una opportuna riservatezza.
2. La conferenza stampa
sullattività della Corte nel 2004, tenuta dal presidente Valerio Onida, si
è svolta a pochi giorni di distanza dallesito sullammissibilità dei referendum abrogativi della legge sulla
procreazione medicalmente assistita (su 5 richieste di referendum la Corte
ne ha ammesse 4, tutti parzialmente abrogativi): una decisione importante su
una questione altrettanto importante, sia pure riferibile allattività della
Corte nel 2005 e quindi rimasta fuori dagli argomenti trattati in conferenza
stampa.
Due sono in particolare i
temi sui quali la Corte
costituzionale si è dovuta particolarmente concentrare durante lanno passato:
a) il contenzioso fra Stato e Regioni e
b) i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato.
Questo impegno per la
risoluzione di controversie, più che per i giudizi di legittimità
costituzionale, induce a fare una considerazione sul ruolo odierno della Corte,
evidenziata anche dal presidente Onida: e cioè, si può constatare come la Corte sia divenuta o stia
divenendo, prevalentemente, la
Corte dei conflitti e non più la Corte dei diritti: che cioè
essa si stia trasformando, da presidio dei diritti e delle libertà
costituzionali, in arbitro delle controversie fra poteri. Certo, loccasione
per tornare a essere la Corte
dei diritti cè stata ma è rimasta delusa: mi riferisco alle (recenti)
decisioni sugli statuti regionali (sentenze nn. 372, 378 e 379),
che hanno stabilito che le norme degli statuti sui nuovi diritti hanno natura
culturale o anche politica, ma non certo normativa. La Corte non ha voluto fare
proprio, almeno in questa occasione, linsegnamento di Vezio Crisafulli,
secondo il quale ogni atto normativo va interpretato magis ut valeat, al meglio delle sue capacità espansive. Al
contrario: la Corte
ha teorizzato che lo statuto, in questo momento storico, deve essere letto al
ribasso, minus quam dixit. In tal
modo, si è ridotta la portata del progetto federalistico avviato con la riforma
del titolo quinto della Costituzione, che si fonda anche sullautonomia
statutaria e sulla sua vocazione costituzionale. E a proposito del nuovo titolo
quinto, questo ha finito col generare, quantomeno sul piano della distribuzione
delle competenze legislative fra Stato e Regioni, un notevole contenzioso, che
ha impegnato la Corte
come mai era avvenuto in passato; costringendola a svolgere una supplenza
legislativa non richiesta e non gradita. Ciò è stato dovuto in parte dalla
mancanza di norme transitorie che regolino il passaggio dal vecchio al nuovo
sistema costituzionale; dalla scarsa legislazione ordinaria attuativa della
riforma (lunica legge è la n. 131 del 2003, cosiddetta legge La Loggia); dalla perdurante
assenza di una nuova disciplina della finanza regionale e locale, che ha finito
per bloccare lassetto dei poteri disegnato dalla riforma. Come ha affermato il
presidente Onida, nella vicenda del nuovo titolo quinto della Costituzione si
sono individuati degli obiettivi, più o meno condivisibili che siano, ma non si
sono individuati con sufficiente precisione e realismo i percorsi necessari e
possibili per passare dallassetto preesistente a quello nuovo prefigurato. Da
qui, le numerose decisioni della Corte, con le quali sono state risolte le
controversie e sono state offerte delle soluzioni per uscire dallimpasse: come quella, per citarne una
particolarmente significativa, del caso della forma di governo della Regione
Calabria (sent. n. 2),
che ha fatto da apripista alle scelte poi effettuate da altre Regioni in tema
di forma di governo. Di particolare significato sono altresì le sentenze nn. 196, 198 e 199 in
tema di condono edilizio, che possono essere definite come sentenze di dichiarazione
di costituzionalità eventuale pro-futuro.
3. Laltro tema che ha
impegnato la Corte
nel 2004 è stato quello dei conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato. Si
è assistito, infatti, a una notevole crescita dei conflitti, che rischia di favorire
un eccesso di giurisdizionalizzazione delle relazioni costituzionali, e che
hanno visto la Corte
esprimersi con 30 ordinanze di ammissibilità e 11 sentenze o ordinanze su
conflitti giunti alla fase di merito. Protagonisti dei conflitti sono stati,
quasi esclusivamente, gli organi giudiziari da una parte e gli organi
governativi e soprattutto parlamentari dallaltra. E la spia ha sostenuto
Onida di una conflittualità per così dire endemica, di una tensione
sottostante, potremmo dire, fra politica e giustizia. Ciò è dovuto dal fatto
che vi è un eccesso di attacchi pubblici a magistrati da parte di
parlamentari, o un eccesso di iniziative giudiziarie di magistrati nei
confronti di dichiarazioni politiche di parlamentari, o forse che vi siano
entrambi gli eccessi. Infatti, la norma che ha generato buona parte dei
conflitti è lart. 68
Cost., in particolare lapplicazione del primo comma, che di per sé
dovrebbe avvenire a opera del giudice, dopo la delibera di insindacabilità
della Camera si trasferisce di fatto, per iniziativa del giudice, alla Corte
costituzionale. Tra le decisioni in materia assunte dalla Corte, si può citare
quella che può essere ritenuta, a parere di chi scrive, meno persuasiva: la n. 347 che,
nellannullare la delibera di insindacabilità per un senatore, finisce con irrigidire
il concetto di nesso funzionale, che si esplica tra le dichiarazioni del
parlamentare e lattività dello stesso, perché lo riconduce a una sostanziale
identità di contenuti (di non facile riscontro) e lo impone alla sola attività
parlamentare precedentemente svolta rispetto alle dichiarazioni rese. Sullo
sfondo della vicenda, non solo questa naturalmente, rimane ancora una volta non
risolto, ovvero non chiarito il diritto costituzionale al libero mandato
parlamentare e alla libertà di critica politica dello stesso (di questo ne è
perfettamente consapevole il presidente Onida in un passaggio della sua
conferenza stampa). Va infine ricordata la sentenza n. 24, con la
quale la Corte
ha censurato la norma sulla immunità per le (cinque) alte cariche dello Stato,
che si lascia apprezzare per aver risolto una questione delicata con pacatezza
argomentativa e con un intervento di alta chirurgia giuridica, che non ha
lasciato nessuna ferita sullordinamento.
La conferenza stampa del
presidente Onida si è chiusa con una riflessione e una proposta. La prima, si riferisce
alla prossima entrata in vigore del Trattato costituzionale europeo, che non finirà
col determinare una sorta di regionalizzazione delle Corti costituzionali
nazionali, dal momento che la tutela dei diritti dovrà comunque passare
attraverso esse e poi, semmai, trasferirsi alla Corte di giustizia europea. La
proposta, invece, è presentata in forma interrogativa, sebbene viene data
implicitamente risposta affermativa, e cioè: ci si può domandare se una
caratteristica negativa del nostro sistema non sia data dallassenza di un
rimedio interno di carattere generale del tipo di ricorso diretto individuale
in caso di lamentata violazione di diritti fondamentali, quale quello
conosciuto in molti altri paesi europei. Una funzione, questa del giudizio su
ricorso diretto dei cittadini, qualora venisse attribuita alla Corte, allora,
la farebbe tornare a essere, in servizio permanente effettivo, la giurisdizione
costituzionale dei diritti e delle libertà.