Tommaso Edoardo Frosini
Il codice di procedura di una Corte
moderna*
La crescita
del contenzioso davanti alla Corte costituzionale – dovuto, negli ultimi anni,
soprattutto per quanto concerne il conflitto di attribuzione tra lo Stato e le
Regioni, alla riforma del Titolo Quinto della Costituzione, specialmente nella
parte delle competenze concorrenti – ha portato la stessa Corte a innovare, con
propria delibera di ottobre, le “Norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale”, la cui disciplina risaliva
al marzo 1956,
sebbene avesse poi conosciuto successive (e numerose) modifiche nel corso degli
anni.
Occorre
fare una premessa. Si può riconoscere ormai un ruolo alla Corte di ultimo e
inappellabile grado di giustizia. Non più, quindi, “legislatore negativo”,
“giudice delle leggi”, ma anche, e vorrei dire soprattutto, Tribunale dei
diritti e delle competenze costituzionali. Si è assistito a una progressiva e
ineludibile trasformazione del ruolo della Corte costituzionale, al pari delle
altri Corti in giro per il mondo, in una Corte Suprema al vertice del sistema giurisdizionale,
dove l’oggetto del giudizio è pur sempre una legge, ma la finalità
giurisprudenziale è la garanzia e la tutela dei diritti. Un carattere bifronte
del processo costituzionale, teso alla ricerca della garanzia sia degli iura che della lex, sia dei diritti soggettivi che del diritto obiettivo. La
trasformazione del ruolo della Corte è dovuta anche all’interpretazione della
Costituzione come tavola dei valori, da cui poter attingere per risolvere casi
e questioni di impatto costituzionale avvalendosi del principio di
ragionevolezza, e quindi del bilanciamento fra diritti costituzionali. E ciò
benché alla Corte italiana sia negata, come invece avviene in Germania e
Spagna, la possibilità di giudicare sul ricorso del singolo cittadino, che
ritiene di essere stato leso dei suoi diritti fondamentali.
C’entra
questa brevissima notazione sulla trasformazione del ruolo della Corte con la
modifica delle “Norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale”? Sì. E c’entra nella misura
in cui l’esigenza di disciplinare in maniera più analitica il diritto
processuale costituzionale è determinata proprio dal fatto che
Nella
osmosi fra la giustizia costituzionale e il diritto processuale costituzionale,
emerge pertanto una moderna concezione del processo costituzionale: che si
esprime attraverso un utilizzo dei poteri istruttori nel giudizio sulle leggi,
e quindi delle norme processuali distinte e organizzate a seconda del “tipo” di
processo, e cioè sulle leggi oppure sui conflitti fra poteri o fra Stato e
Regioni. Norme chiare, precise e puntuali: quasi un piccolo codice del processo
costituzionale. Sebbene si voglia qui segnalare il fatto, che forse si sarebbe
potuto anche disciplinare, in senso processuale, anche il giudizio di
ammissibilità del referendum
abrogativo, chiarendone la natura di camera di consiglio allargata alle parti
ovvero di udienza pubblica informale: tenuto conto, tra l’altro, anche della
presenza sempre maggiore (specialmente numericamente…) dei cosiddetti amici curiae, che chiedono di essere
ascoltati in difesa della legge di cui si chiede l’abrogazione e in
contraddittorio con il Comitato promotore del referendum.
C’è
altresì da dire che il rispetto delle regole procedurali assume, nel processo
costituzionale, un rinnovato rilievo, non solo per quei soggetti i cui
interessi sono coinvolti nel giudizio a
quo, ma, più in generale, per tutti i destinatari delle decisioni, e quindi
nell’interesse pubblico. Le regole processuale, allora, limitano, e pertanto
legittimano la giustizia costituzionale. L’attività della Corte costituzionale
si legittima non solo perché essa è prevista dalla Costituzione, ma anche e
soprattutto perché oggi agisce frenata da quegli stessi criteri e da quelle
modalità procedurali prefigurate nel 1956, e che oggi sono state novellate.
Infatti: il rispetto, da parte dei giudici e da tutti i soggetti coinvolti nel
processo, di quelle regole che determinano la “natura” della funzione
giurisdizionale, costituisce una fonte di legittimazione diversa da quella
delle branche politiche. Come ha scritto Gustavo Zagrebelsky a proposito dei
giudici della Corte e del loro ruolo: «Ad ogni modo, noi siamo giudici. Quando
sediamo in giudizio, siamo sotto giudizio».