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Guerino Fares

Appalti pubblici e misure pro-concorrenziali: ancora da decifrare gli spazi per l’intervento normativo delle regioni

 

La decisione in commento, ponendosi dichiaratamente in scia alla più nota sentenza della stessa Corte costituzionale n. 401/07, che di poco l’ha preceduta, aggiunge nuovi elementi alla riflessione sul delicato tema delle competenze legislative in materia di attività contrattuale della pubblica amministrazione.

Il settore interessato è, precisamente, quello degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, disciplinati congiuntamente, per quanto attiene alla normativa nazionale, dal d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163.

Le statuizioni contenute nelle due pronunce del giudice costituzionale appaiono convergenti ed inequivoche nel ricondurre a titoli di competenza esclusiva statale entrambe le fasi di cui notoriamente di compone tale modulo di attività nel suo complesso: l’affidamento del contratto e la sua esecuzione.

Richiamando ampiamente i principi affermati dalla sent. n. 401 [1], la Corte sottolinea ancora una volta la connotazione finalistica della voce “tutela della concorrenza”, evidenziandone le peculiarità applicative nell’ambito preso in esame: consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti a tutti gli operatori economici.

Su tali premesse, viene riconosciuta l’inderogabilità delle disposizioni racchiuse nel citato d. lgs. n. 163 del 2006 che regolano la procedura di evidenza pubblica e, in particolare, le modalità di svolgimento delle gare, i requisiti di qualificazione e partecipazione e le cause di esclusione dei concorrenti, i casi di anomalia delle offerte e le relative forme di accertamento, i criteri di selezione dei contraenti e di aggiudicazione dell’appalto [2].

Identiche conclusioni sono raggiunte in ordine alla fase cronologicamente successiva; rifacendosi, anche qui, al decisum della sent. n. 401, la Corte colloca nella materia dell’ordinamento civile, parimenti ricompresa tra le attribuzioni esclusive statali, l’intera attuazione del rapporto contrattuale: si tratta, fra l’altro, delle norme dettate in tema di garanzie fideiussorie, cauzioni e coperture assicurative, di tipologie contrattuali, di modalità di stipula e termini di durata del contratto, di subappalto e cessione, di affidamento dell’attività di direzione dei lavori, di varianti della prestazione e aggiornamento prezzi, di spese, verifiche e collaudi [3].

In definitiva, «l’attività contrattuale della pubblica amministrazione inerente agli appalti pubblici consta di due fasi, la prima delle quali, relativa alla scelta del contraente, si articola nella disciplina delle procedure di gara, riconducibile alla tutela della concorrenza; la seconda, che ha inizio con la stipulazione del contratto, corrisponde alla disciplina della esecuzione del contratto e deve essere ascritta all’ambito materiale dell’ordinamento civile» [4].

Nel passo più importante e denso di interrogativi viene delineato il ruolo che residua in capo alle regioni dinanzi a disposizioni espressive del titolo di competenza statale “tutela della concorrenza”: il carattere trasversale tipico di quest’ultima esigerebbe che anche le normative con cui le regioni esercitano le proprie competenze debbano poter produrre effetti proconcorrenziali sebbene a condizione che siano, oltre che connessi alla specificità dei settori disciplinati, “indiretti e marginali” e non contrastino con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza.

Un tale ordine di proposizioni viene supportato sul piano motivazionale dalla Consulta attraverso un raccordo con altra sua rilevante decisione, coeva e resa in materia di organizzazione del servizio farmaceutico (14 dicembre 2007 n. 430), i cui contenuti essenziali vengono pertanto riportati: la disciplina dettata dal legislatore statale in materia di tutela della concorrenza può ben essere integrale e dettagliata ed incide legittimamente sulla totalità degli ambiti materiali in cui trova specifica applicazione senza arrecare alcun sacrificio irragionevole e sproporzionato alle prerogative regionali; la stessa disciplina, avendo ad oggetto la disciplina del mercato di riferimento delle più varie attività economiche, “influisce” anche su materie rimesse alla sfera delle competenze, concorrenti o residuali, delle regioni.

Si impone, a questo punto, una doverosa puntualizzazione.

Nella giurisprudenza costituzionale più risalente, ma pur sempre successiva alla riforma del titolo V, aveva cominciato a profilarsi un’opinabile interpretazione dei tratti fisionomici della materia in questione, affermandosi la necessità di sottoporre ad uno scrutinio di proporzionalità ed adeguatezza la normativa statale onde evitare che questa, esorbitando dall’obiettivo della tutela della concorrenza, desse luogo ad una illegittima compressione dell’autonomia regionale (sentt. n. 345 e n. 272 del 2004) [5].

Le ultime pronunce rinnegano opportunamente, e sia pure in modo non dichiarato, una simile opzione esegetica, ed anzi tengono a precisare che: una volta ricondotta alla tutela della concorrenza, la normativa nazionale «può avere anche un contenuto analitico», non commisurandosi la sua proporzionalità ed adeguatezza necessariamente al livello di dettaglio che essa presenta (sent. n. 401); restano estranee alla tutela della concorrenza le sole misure statali «che non intendono incidere sull’assetto concorrenziale dei mercati o che addirittura lo riducono o lo eliminano» (sent. n. 430).

Non è, in altri termini, l’area di intervento lasciata ai legislatori regionali ciò che conta, bensì la effettiva funzionalizzazione allo scopo, si potrebbe dire il rispetto della missione: accertare se realmente la singola disposizione scrutinata «sia strumentale ad eliminare limiti e barriere all’accesso al mercato ed alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale».

Oltre a fornire un indispensabile contributo di chiarezza e coerenza sistematica (come distinguere, altrimenti, il proprium delle materie concorrenti da quello delle materie trasversali spettanti allo Stato?), il nuovo indirizzo inaugurato dal giudice costituzionale introduce un apprezzabile temperamento al paradosso che è venuto in ogni caso a stabilirsi nel rapporto fra competenze ripartite ed esclusive statali, quale emerge anche dalla lettura delle più recenti decisioni.

Scorrendo, infatti, ancora il testo della sent. n. 430, che – come detto – fornisce la piattaforma argomentativa alla sent. n. 431 qui in commento, si prende atto del vincolo, posto a carico della regione, al rispetto delle prescrizioni, anche a contenuto di dettaglio, fissate dal legislatore statale nella materia concorrente della tutela della salute qualora le medesime si risultino legate al principio fondamentale, che unicamente lo Stato è abilitato ad adottare, da un evidente rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione: diviene, in tal modo, mobile ed elastico il confine tra norme di principio e norme di dettaglio, secondo un’operazione logica peraltro non inedita (cfr., invero, la sent. n. 336 del 2005 in tema di installazione di impianti di comunicazione elettronica [6]).

Sorprendentemente generosa, al contrario, risulta la soluzione di legittimare interventi normativi regionali in contesti di pertinenza esclusiva statale quali la tutela della concorrenza, in cui la regione finirebbe, in pratica, per poter fare di più di quanto le sia consentito in ambiti ricompresi nell’elenco di cui al comma 3 dell’art. 117 (per enunciati di analogo tenore, attinenti alla materia della protezione civile, cfr. sent. n. 284 del 2006).

Anche nel tentativo di disinnescare, almeno in parte, le singolari ricadute della contraddizione ora evidenziata, ci si deve chiedere quali chances di concreto coinvolgimento del legislatore regionale la Corte abbia voluto prefigurare nella sent. n. 431, dopo che, in realtà, una siffatta prospettiva pareva avere radicalmente escluso nella sent. n. 401, in linea con il pensiero espresso da parte della dottrina [7].

È decisivo, in tal senso, il significato da attribuire correttamente alla locuzione “effetti indiretti e marginali”, che allude alla misura della capacità facoltà legiferante della regione.

Ebbene, che gli effetti pro-concorrenziali debbano essere spiegati in via indiretta suona come conferma del fatto che la regione non ha competenza ad intervenire direttamente in materia di tutela della concorrenza; la necessità che siano, oltre che mediati, anche marginali sembra, poi, voler dire che, pur fondata su altri titoli di propria competenza, la legislazione regionale non può prevedere una regolamentazione integrale o completa di tutti i profili attinenti alla tutela della concorrenza, potendo spiegare solo un intervento secondario o accessorio.

Ma quali possono essere, di fatto, le ipotesi in cui si svolge un simile intervento non a titolo principale della regione nel settore degli appalti?

Sembrano, decisamente, da escludersi ingerenze nella regolamentazione delle procedure di gara: esse rientrano direttamente ed interamente nella sfera di competenza statale (così la sent. n. 401, evidenziando la forte connessione tra le esigenze di salvaguardia delle libertà comunitarie e dei principi di non discriminazione e parità di trattamento e la necessità di una disciplina unitaria).

Sarebbe, d’altro canto, difficilmente conciliabile sul piano sistematico un intervento della regione che accresca il diritto di partecipare mitigando la soglia di anomalia delle offerte o inasprendo i casi di ricorso alla procedura negoziata: qui verrebbero in gioco, infatti, interessi contrapposti da bilanciare (efficacia e tempestività dell’azione amministrativa) secondo parametri di uniformità territoriale anche a voler escludere che quella statale possa fungere da privilegiata norma interposta rispetto all’art. 97 Cost. (sull’unitarietà procedimentale, v. sent. n. 336 del 2005, cit.).

Il quadro è assai complicato: la Corte avverte che i lavori pubblici non sono una materia, come non lo è l’attività contrattuale della p.a., e nemmeno il procedimento amministrativo è una materia: in partenza tutto è res nullius, terra di nessuno [8].

Le procedure di evidenza pubblica sono procedimenti amministrativi che, non per l’oggetto ma per gli aspetti che le caratterizzano e soprattutto le finalità cui tendono, vengono attratti nella materia-funzione tutela della concorrenza, materia che – come tutte quelle definite da uno scopo o da un obiettivo (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, tutela dell’ambiente, sicurezza dello Stato, tutela del risparmio, coordinamento informativo, tutela del lavoro, ecc…) – tende a debordare in ambiti assegnati ad altri livelli di governo: il fine da promuovere o il valore da tutelare tende, cioè, ad ignorare i confini delle competenze.

Come ben posto in luce in dottrina, la concorrenza, al pari della difesa, dell’ordine pubblico, della sicurezza, è un valore, è il fine pubblico consistente nel promuovere o consolidare, ove già instaurata, una situazione di fatto, o meglio una relazione fra una pluralità di soggetti che consenta loro di competere liberamente e ad armi pari in un determinato settore economico: la tutela della concorrenza implica, dunque, la tutela del mercato e si risolve in un limite indirizzato, in primo luogo ma non solo, alla potestà legislativa regionale, concorrente o esclusiva [9].

Solo muovendo da un tale scenario di fondo, è possibile astrattamente ritenere anche le regioni legittimate ad emanare norme tese ad implementare gli spazi di concorrenzialità nel mercato di volta in volta considerato (qui, degli appalti pubblici), benché compatibili con le regole essenziali che informano le procedure di gara: non è in base al carattere trasversale di una competenza pur sempre esclusiva dello Stato che può invocarsi un coinvolgimento delle autonomie regionali, ma piuttosto facendo leva sulla natura della concorrenza quale valore protetto sul piano costituzionale e comunitario.

Non è affatto semplice, tuttavia, immaginare quali possano essere nel concreto questi spazi di intervento, tanto più alla luce di quanto statuito dalla sent. n. 401, secondo cui nel settore degli appalti «deve ritenersi che la interferenza con competenze regionali si atteggia in modo peculiare, non realizzandosi normalmente un intreccio in senso stretto con ambiti materiali di pertinenza regionale, bensì la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa».

Si tratta di un inciso fondamentale e gravido di implicazioni problematiche da sviluppare, dopo aver tentato di mettere a fuoco i postulati logico-giuridici che gli fanno da sfondo.

La Corte aveva già individuato il particolare modus di manifestarsi delle competenze trasversali nel fatto che «incidono naturalmente, nei limiti della loro specificità e dei contenuti normativi che di esse possano ritenersi propri, sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano» (sent. n. 80 del 2006), anche con riguardo alle materie legislative regionali di tipo residuale che del caso intersechino (es. trasporto pubblico locale: sent. n. 452 del 2007).

Ora prendiamo atto di un nuovo dato: la tutela della concorrenza presenta tratti di ulteriore peculiarità rispetto alle altre materie a vocazione trasversale.

Riflettendo sul modo di atteggiarsi di queste altre competenze, l’assunto può essere, in effetti, compreso.

Se si pensa, ad es., alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ci si rende conto che essa presuppone, per l’appunto, l’esistenza di diritti civili o sociali da garantire in modo uniforme sul territorio.

Analoga constatazione si raggiunge nel caso del coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale: anche qui preesiste un quid da coordinare (ossia l’oggetto della potestà di coordinamento), e può inoltre verificarsi un’interferenza forte (es. con gli aspetti di rilevanza organizzativa).

Lo stesso è a dirsi per la tutela dell’ambiente, che postula la preesistenza di beni ambientali o culturali o dell’ecosistema.

La tutela della concorrenza, invece, coincide puramente e semplicemente con le condizioni per la sua realizzazione e, in quanto tale, ha un ontologico ed ineliminabile carattere di genericità ed astrattezza quanto al substrato materiale da incidere, che perciò la differenzia anche da altre materie trasversali sempre teleologicamente caratterizzate ma che assumono ambiti di intervento o di disciplina più o meno delimitabili (sicurezza dello Stato, tutela del risparmio, tutela del lavoro).

La competenza in materia di concorrenza nel settore degli appalti pubblici non si intreccia, pertanto, in senso proprio con le competenze regionali, considerato pure che l’attività contrattuale della p.a. ha, a sua volta, un oggetto a priori indefinito e che peraltro si concretizza non all’atto dell’esercizio del titolo di competenza statale ma al momento dell’indizione della gara da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, e che può vertere in materie sia esclusive (come i servizi pubblici locali o la formazione professionale) sia concorrenti (es. porti e aeroporti civili, protezione civile, alimentazione, grandi reti di trasporto, produzione e distribuzione dell’energia, ecc…): l’oggetto della concorrenza (l’assetto concorrenziale del mercato) non coincide con l’oggetto dell’appalto (la materia).

Si vuol dire, in altre parole, che i diritti e i beni dei soggetti, i mercati (es. telecomunicazioni, energia) e i vari possibili settori (trasporti, ecc…), insomma tutto ciò che può essere inciso da atti legislativi miranti alla tutela della concorrenza si dispone sempre in una condizione di alterità rispetto a quest’ultima, che si configura di conseguenza come un’entità separata e resistente all’amalgama con altri ambiti materiali, che, a ben vedere, sovrasta o affianca.

Dire che la tutela della concorrenza non forma intrecci in senso stretto significa, in sostanza, che essa non interseca, permeandole, altre materie, bensì le sorvola o le lambisce, in ogni caso imponendosi ad esse in via di principio (“prevale”, nella terminologia impiegata della sent. n. 401) e senza quindi richiedere l’utilizzo di strumenti cooperativi [10], nemmeno in sede di esercizio del potere regolamentare [11].

Possono verificarsi, riepilogando, due possibili modelli relazionali: una estrinsecità di tipo verticale (sovrapposizione) ed una estrinsecità in senso orizzontale (lateralità) che vede situarsi le possibili competenze regionali in una posizione, rispettivamente, sottostante o contigua a quella occupata dalla tutela della concorrenza.

Nel momento in cui, con l’indizione della gara, viene ad attualizzarsi l’oggetto dell’appalto (es. forniture aeroportuali oppure lavori per la realizzazione di una grande rete di navigazione), l’autorità amministrativa sarà tenuta ad osservare le eventuali misure proconcorrenziali che, nei ristretti limiti sopra precisati, le regioni abbiano eventualmente adottato, legiferando in una delle due materie, stando all’esempio surriportato, di competenza ripartita; e tenendo, comunque, ben presente che la disciplina della procedura concorsuale sarà pressoché integralmente assorbita nella potestà legislativa statale di tutela della concorrenza, eccettuati gli eventuali profili di competenza, rispetto a quest’ultima però eterogenei, afferenti ad esempio all’organizzazione amministrativa (si pensi alla composizione del seggio di gara) o al governo del territorio o alla programmazione dei lavori o agli istituti procedimentali che ricadano in sfere di competenza residuale o concorrente (come la definizione dei compiti e requisiti del responsabile del procedimento, ma il punto è controvertibile, privilegiando lo scrivente la soluzione della sussumibilità nella lett. m dell’art. 117, comma 2).

A parte le menzionate eccezioni, il prevalere delle disposizioni statali ispirate dal fine di tutela della concorrenza sulle altre fonti normative risulta, invero, evidente nella coordinata sequela diacronica di istituti, momenti ed attività in cui si sostanzia la fase della procedura di evidenza pubblica.

L’attività di progettazione, ad es., che dovrebbe essere attratta nell’ambito materiale di appartenenza dell’opera da realizzare, oppure la disciplina dei criteri di predisposizione dei piani di sicurezza, che dovrebbe rientrare nella materia a competenza ripartita della tutela e sicurezza del lavoro, vengono assorbite nella competenza statale, in quanto il fine di tutela della concorrenza prevale sulla spettanza del titolo competenziale che nella circostanza si “materializza”.

In conclusione, dalla sperimentazione di entrambi i piani di indagine (orizzontale e verticale) [12] scaturisce una medesima certezza: la tutela della concorrenza, materia-funzione a valenza teleologica ed assiologica e ad oggetto ontologicamente astratto, prevale sulle altre competenze, sia che le incroci nell’arco della regolamentazione della procedura di affidamento – esclusi, per la loro eterogeneità e non assoggettabilità al giudizio di prevalenza, taluni aspetti di disciplina – sia che vi si sovrapponga nel corso dello svolgimento della gara d’appalto specificamente bandita, tranne la limitata facoltà di integrazione normativa proconcorrenziale ad effetti indiretti e marginali.

Una comune ratio autorizza interventi regionali a carattere integrativo anche al cospetto della funzione espletata dallo Stato attraverso l’esercizio della potestà legislativa in materia di ordinamento civile: anche qui, non sarà possibile porre in discussione gli elementi fondanti della disciplina, ad es. i casi di sospensione dell’esecuzione o il subentro di altre imprese o le modalità di consegna dei lavori, senza pregiudicare il buon esito della prestazione.

Analogamente, non è ammessa l’alterazione delle regole stabilite dal legislatore nazionale nella ricerca di un equilibrio che non generi ingiusti vantaggi o svantaggi competitivi, introducendo discriminazioni legate alla territorialità del mercato: si pensi ad una sanatoria per le imprese che abbiano violato prescrizioni in tema di sicurezza o regolarità contributiva; o alla previsione di ulteriori ipotesi di trattativa privata o di procedure di gara maggiormente semplificate; o al conferimento di un diritto di prelazione che consenta di essere preferito all’aggiudicatario, ceteris paribus, al promotore che abbia presentato all’amministrazione proposte relative alla esecuzione di opere da realizzarsi con l’apporto di capitale privato; o alla modifica delle modalità di validazione dei progetti o di determinazione del corrispettivo per l’affidamento dei lavori; o ad una disciplina differenziata circa il ricorso alle spese in economia.

Non paiono esservi molti dubbi riguardo al fatto che le norme regionali integrative debbano produrre un aumento del livello di concorrenzialità. Per il resto, un criterio più puntuale potrebbe essere desunto in via empirica dalla stessa giurisprudenza costituzionale, che ha mostrato, in una significativa pronuncia concernente i servizi pubblici locali (sent. n. 29 del 2006), aperture verso il legislatore regionale nei casi di vuoto di disciplina statale, mostrandosi viceversa irriducibile nell’arginare tentativi di deroga a disposizioni aventi carattere anche soltanto transitorio: in specie, il differimento – con portata di “complessivo riequilibrio” e “progressivo adeguamento del mercato” – disposto dalla legge nazionale dell’entrata in vigore di un divieto a valenza pro-concorrenziale la cui efficacia veniva tuttavia precluso alla regione anticipare [13].

 



[1] Fra cui, il passo ove viene rimarcata la finalizzazione della disciplina delle procedure di gara ad assicurare il rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari di garanzia delle libertà di stabilimento, di circolazione delle merci e di prestazione dei servizi, nonché dei principi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento. La sentenza ha, in sostanza, convalidato la scelta del legislatore nazionale di farsi interprete delle predette esigenze ed unificare all’interno di un unico testo normativo l’intera ed esaustiva trama di regole concernenti i contratti pubblici di appalto, scelta posta non troppo velatamente in discussione da parte della dottrina: v., ad es., L.A. Mazzarolli, Il concetto di «materie» nell’art. 117, Titolo V, Cost. Se i «lavori pubblici» e gli «appalti pubblici» si prestino a esservi riportati e come si attui, per essi, il riparto di competenze tra enti, in Regioni, 2007, 473 ss.; A. Ambrosi, L’applicazione del nuovo Codice dei contratti pubblici tra legge regionale e disposizioni comunitarie, ivi, 515 ss. Preoccupato di contenere, più in generale, l’erosione degli ambiti di competenza concorrente ad opera della legislazione statale, D. Messineo, Competenze finalistiche concorrenti e giudizio costituzionale: sindacato teleologico vs limite dei principi, ivi, 543 ss.

[2] Nel senso dell’implicita abrogazione delle normative regionali incompatibili con il d. lgs. n. 163/06 si è nettamente espresso Tar Puglia – Lecce, sez. II, 26 gennaio 2007 n. 178 (in Urb. app., 2007, 633 ss., con nota di I. Filippetti, L’abrogazione delle leggi regionali contrastanti con il nuovo Codice appalti), a proposito di una disposizione che, introducendo l’onere a pena di esclusione per i concorrenti di allegare giustificazioni preventive circa gli elementi costitutivi dell’offerta presentata, incideva sul diritto di partecipazione delle imprese alla gara. Sui diversi punti di emersione dell’interesse pubblico primario alla concorrenza nella procedura concorsuale, e relative tecniche normative di tutela, si rinvia a Fr. Garri – Fa. Garri, Disciplina del mercato dei lavori pubblici, in Riv. trim. app., 2006, fasc. 2, 292 ss. Fa notare, del resto, A. Carosi, La disciplina dell’affidamento di incarichi di progettazione nelle amministrazioni pubbliche alla luce dell’influenza del diritto comunitario, in App. urb. ed., 2005, 537, che «i cardini della concorrenza negli appalti possono essere identificati nella pubblicità, nella qualificazione professionale, concretamente riferita alla prestazione richiesta, nei criteri di aggiudicazione di natura quali-quantitativa».

[3] Sul collaudo la sentenza si sofferma particolarmente, rilevando come esso, da un lato, conservi una “prevalente natura privatistica” benché caratterizzato anche da tratti di matrice pubblicistica, e, dall’altro, svolga una parallela funzione di presidio della concorrenzialità del mercato. All’ambivalenza del collaudo, si unisce il suo situarsi a cavallo anche fra ordinamento civile e organizzazione amministrativa, benché con prevalenza della prima materia sulla seconda, come precisato dalla sent. n. 401.

[4] Il brano riecheggia chiaramente la sottolineatura della “struttura bifasica” operata dalla sent. n. 401.

[5] In senso adesivo, in dottrina, A. Concaro – I. Pellizzone, Tutela della concorrenza e definizione delle materie trasversali: alcune note a margine della sent. n. 345 del 2004 della Corte costituzionale, in Regioni, 2005, 434 ss.

[6] Nel senso che gli interessi infrazionabili non possono essere lasciati solo agli accordi interregionali né possono considerarsi sempre soddisfatti dall’esercizio delle competenze secondo il rigido elenco dell’art. 117 Cost., M. Carli, I limiti alla potestà legislativa regionale, in Regioni, 2002, 1368 ss.

[7] M. Libertini, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, in Giur. cost., 2005, 1435, il quale si esprime per la «sottrazione alle regioni e agli enti locali di qualsiasi potere (normativo od amministrativo) di intervento positivo in materia, ancorché con finalità integrative o rafforzative degli standard di intervento determinati dalla normativa statale». Di diverso avviso, R. Caranta, La tutela della concorrenza, le competenze legislative e la difficile applicazione del Titolo V della Costituzione, in Regioni, 2004, 990 ss.

[8] L’affermazione, peraltro discutibile, relativa ai lavori pubblici è contenuta nella sent. n. 303 del 2003; la sent. n. 465 del 1991 ha, invece, escluso per prima l’identificazione del procedimento con una materia; analoga soluzione, riguardo all’attività contrattuale, è stata maturata dalla sent. n. 401 del 2007.

[9] G. Corso, La tutela della concorrenza come limite della potestà legislativa (delle regioni e dello Stato), in Dir. pubbl., 2002, 981 ss., che pone in luce come tale limite operi anche nei confronti del legislatore statale, il quale «dovrà trattare la concorrenza non come un fatto da regolare (magari in modo restrittivo della sua portata), ma come un valore o un bene o un fine da promuovere» (985). Il concetto di concorrenza effettiva come bene giuridico costituzionalmente tutelato, rileva d’altra parte M. Libertini, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, cit., 1434, «denota un processo dinamico e non una certa struttura del mercato», dovendosi procedere alla sua ricostruzione sulla base di tre elementi, quali: la mancanza di barriere all’ingresso; il riscontro di una libertà effettiva di scelta dei consumatori; la sussistenza di un reale processo dinamico, connotato da innovazioni tecniche, commerciali ed organizzative.

[10] In merito, si veda, per maggiori approfondimenti, V. Lopilato, Appalti e servizi pubblici fra Stato e Regioni, in www.giustamm.it, 2007, n. 12, 15 ss. del dattiloscritto.

[11] Un’interferenza forte non si determina, dunque, fra la concorrenza ed altre competenze le quali restano separate o perché contigue ad essa nel dispiegarsi della gara ma tuttavia eterogenee oppure dalla stessa assorbite, o perché situate all’esterno della procedura concorsuale. La trasversalità sui generis della tutela della concorrenza è rivelata, in dottrina, da G. Corso, Tutela della concorrenza, in G. Corso – V. Lopilato (a cura di), Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, p. spec., vol. I, Milano, 2006, 27 ss., che ne evidenzia il modus operandi distinto da quello delle altre competenze trasversali prive di un oggetto predefinito e che viene individuato all’atto del loro effettivo esercizio, il quale solo vincola pertanto le interferenti competenze regionali e statali; la tutela della concorrenza, al contrario, opera «anche quando manca una legge statale con la quale la legge regionale contrasti, ma ciò nonostante la legge regionale violi il principio di concorrenza»; specularmente, l’a. deduce la costituzionalità della norma regionale «sebbene si discosti dalla legge statale in tema di concorrenza se essa è più “concorrenziale” della corrispondente norma di legge statale», cioè dagli standards immodificabili in senso peggiorativo da questa definiti (32).

[12] Per una pregevole impostazione dell’analisi secondo i due piani, orizzontale e verticale, cfr. ampiamente V. Lopilato, Appalti e servizi pubblici fra Stato e Regioni, cit., 11 ss., il quale perviene a conclusioni in parte simili a quelle elaborate nel presente scritto.

[13] Le lacune della legislazione statale, dinanzi a cui si consentiva (per l’appunto “nel silenzio” o “in mancanza di una qualsiasi previsione” della prima) il ragionevole esercizio della discrezionalità dei legislatori regionali riguardavano, rispettivamente: il divieto per le società a capitale interamente pubblico proprietarie delle reti di partecipare alle gare per la scelta del gestore del servizio o del socio privato della società mista; la definizione della quota minima di partecipazione al capitale sociale del socio privato da scegliere con procedura di evidenza pubblica.