Ugo De Siervo

L’ istituzione della Corte costituzionale in Italia: dall’Assemblea costituente ai primi anni di attività della Corte ©

 

1. Delimitazione del tema. Svilupperò solo piccola parte dei tanti profili che potrebbero rientrare nell’amplissimo tema di questa relazione, relativa alla difficile traduzione in pratica, in anni molto difficili a causa delle fortissime tensioni politiche, di una delle più profonde innovazioni della nostra Costituzione, per di più solo sommariamente disciplinata nel testo costituzionale e del tutto estranea alla nostra tradizione giuridico-istituzionale [1].

Solo una attenta ed equilibrata ricostruzione delle vicende politiche e parlamentari di quel difficile periodo unita ad una piena considerazione della materia affrontata dal legislatore [2], nonché uno studio analitico e sistematico della dottrina e della giurisprudenza di quegli anni potrebbero portare a risultati davvero significativi, peraltro con il non indifferente rischio di essere indotti, sulla base della nostra conoscenza della esperienza successiva, a troppo facili critiche verso tanti protagonisti di quelle vicende che spesso potrebbero apparirci inadeguati dinanzi alle profonde novità che venivano manifestandosi.

Il tempo tanto limitato di cui dispongo per svolgere ricerche giuridiche di tipo scientifico da quando sono impegnato come giudice alla Corte costituzionale mi induce quindi a cercare semplicemente di colmare qualche perdurante vuoto di conoscenza, che continua a sussistere anche in riferimento ad alcune importanti vicende relative alla elaborazione ed adozione del sistema normativo di cui la Corte costituzionale poté disporre all’inizio della sua attività e che tuttora, almeno in larga parte, ne caratterizza l’attività.

Pertanto, cercherò anzitutto di colmare quella che mi sembra una carenza di conoscenza particolarmente vistosa e grave relativamente alla stessa elaborazione della legge costituzionale n. 1 del 1953 (“norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale”) e della legge ordinaria n. 87 (“norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale”). Ciò per due motivi fondamentali: in primo luogo, non esistono –come vedremo- ricerche soddisfacenti relative all’elaborazione dei contenuti istituzionali di queste due leggi ed anzi la considerazione di quanto è stato allora elaborato è stato tanto largamente schiacciato dalla diffusa predominanza di sommari canoni interpretativi di origine politica, da rendere in sostanza sconosciuto questo importante passaggio istituzionale o da deformarlo gravemente [3]. Questa vistosa carenza di ricerche di base mi obbligherà, anzi, a dovermi riferire essenzialmente a vicende e materiali documentativi finora troppo sottovalutati (malgrado si tratti fondamentalmente di semplici atti parlamentari), senza neppure poterne trarre in questa sede tutte le conseguenti opportune considerazioni: ma non mancano certo giovani studiosi che potranno utilmente lavorare su questi materiali, che mi permetto loro di segnalare.

Per la fase successiva alla costituzione della Corte ed al suo insediamento, mi limiterò ancora di più, anche perché molto di recente i primi dodici anni di funzionamento della Corte sono stati ampiamente analizzati in un assai interessante (e largamente condivisibile) saggio di Andrea Simoncini [4]: pertanto per il periodo successivo all’insediamento della Corte, cercherò di illustrare e di rendere infine noto agli studiosi (per la prima volta, a quanto mi risulta) un passaggio istituzionale particolarmente importante e cioè l’intenso confronto attraverso il quale la Corte costituzionale nel febbraio/marzo 1956 giunse all’adozione delle “norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”, con tutti gli innovativi (e da molti imprevisti) suoi contenuti, che da allora hanno caratterizzato profondamente il modo di essere e di operare della Corte.

Ancora una volta (vicende analoghe mi sono capitate in numerose altre ricerche) devo purtroppo constatare la mancata ricerca o considerazione da parte di troppi giuristi di pur rilevanti documentazioni relative al prodursi di significative vicende istituzionali, mentre troppo spesso continua la stanca ripetizione delle tradizionali linee interpretative anche quando vi sarebbero elementi significativi per sollecitare una verifica della loro fondatezza: ciò forse per un eccessivo e “comodo” rispetto verso coloro che del tema si sono già occupati (malgrado che dovrebbe essere noto il rischio di forzature politiche o culturali specialmente fra i primi commentatori di vicende istituzionali del genere), o forse anche per la tendenza di troppi giuristi ad analisi strettamente formali o, al contrario, altamente politico-ideologiche.

 

2. Attuazione della Costituzione o caso emblematico di ostruzionismo della maggioranza ? Allorché si intende valutare le scelte legislative relative alla Corte costituzionale operate durante la prima legislatura repubblicana, occorre quindi superare una preliminare e singolare difficoltà: se in molti scritti in tema di giustizia costituzionale non mancano certo valutazioni su singoli istituti disciplinati nella legge cost. n. 1/1953 e nella legge n. 87/1953, fonti che, pur più volte integrate od emendate, tuttora costituiscono la principale base normativa dell’organizzazione e del funzionamento della Corte, ciò che difetta clamorosamente è una analitica ricostruzione delle numerose scelte istituzionali allora operate attraverso i tormentati procedimenti che hanno infine portato alla adozione di questi testi normativi quasi al termine della prima legislatura repubblicana [5].

Credo che su questa discutibile carenza di studi abbia pesato in modo decisivo il fatto che il ritardo nella istituzione della Corte costituzionale sia stato erroneamente accomunato e quasi assunto a simbolo del più generale fenomeno dell’inattuazione di tanta parte della nuova Costituzione repubblicana durante la prima legislatura e sia stato pertanto accomunato in un duro giudizio di mero espediente dilatorio. Non si può dimenticare che, ad esempio, i tre brevi articoli che Piero Calamandrei pubblica su “Il ponte” nel 1953 e che si riferiscono espressamente alle due leggi che ci interessano, hanno per titolo una espressione poi divenuta in certa misura classica e cioè “ostruzionismo di maggioranza”: la vigorosa polemica allora sviluppata sulla sostanziale pretestuosità del lungo confronto parlamentare, definito addirittura come “l’esperimento più perfetto di ostruzionismo strategico di maggioranza” [6] e sulla assoluta centralità delle sole scelte allora operate o tentate relativamente alla titolarità ed ai metodi di designazione dei giudici costituzionali, hanno fortemente contribuito –proprio per la grande autorevolezza dell’autore (ma di cui si è forse dimenticato l’intenso e vivace impegno politico)- ad una successiva acritica ripetizione di un giudizio drasticamente liquidatorio [7] e soprattutto al mancato esame delle scelte allora operate ed anche delle differenziate soluzioni che, pur avanzate, furono respinte. Davvero –a leggere non pochi scritti successivi- sembra che tutti i complessi lavori legislativi si siano esauriti nei vari tentativi (che pure vi furono) di escludere la nomina di giudici designati dai partiti dell’opposizione di sinistra [8], fino ad arrivare alla curiosa tesi che l’adozione finale delle leggi sia dipesa dalla scelta contemporanea per la legge con premio di maggioranza del 1953 [9], dimenticando quanto meno che il dibattito sulle modalità di nomina dei giudici di designazione parlamentare e presidenziale risalgono ad alcuni anni prima del dibattito sulla legge elettorale e che comunque tutte e due le leggi sulla Corte costituzionale risultano infine approvate nel tumultuoso mese del marzo 1953 con maggioranze larghissime, che vanno ben oltre la maggioranza parlamentare (non solo la legge costituzionale, che allora – come ben noto - poteva essere adottata solo con la maggioranza prescritta dal terzo comma dell’art. 138 Cost., ma anche la legge ordinaria, che risulta approvata definitivamente, ad esempio, dalla Camera con una maggioranza pari a quasi il 90% dei voti [10].

Tra l’altro, mentre queste leggi furono approvate con maggioranze così vaste, alcune delle proposte più radicalmente ostili alla possibilità delle minoranze parlamentari di determinare l’elezione di giudici costituzionali quale prevista dall’art. 3 della legge n. 87, dovettero manifestarsi in proposte di legge di singoli parlamentari della maggioranza [11], destinate a non essere neppure discusse.

Ma poi soprattutto sono i tanti e complessi contenuti delle due leggi che non possono essere ridotti ai soli (pur politicamente assai importanti) meccanismi di designazione dei giudici costituzionali, tenendo anche presente la vistosa espansione della materia disciplinata fra l’originario d.d.l. governativo e le due leggi infine approvate [12].

Condivido quindi pienamente l’ affermazione di Livio Paladin che, nel suo volume postumo sulla nostra recente storia costituzionale [13] e proprio nel capitolo intitolato “la prima legislatura repubblicana e il congelamento della Costituzione”, afferma che l’ adozione nella prima legislatura delle due leggi (costituzionale ed ordinaria) sulla Corte costituzionale fa sì che non sia pienamente convincente lo stesso “assunto del sistematico ostruzionismo di maggioranza” [14].

In realtà vi è il rischio effettivo che l’analisi, giustamente critica del fenomeno dell’inattuazione costituzionale nel contesto della prima legislatura, appiattisca eccessivamente le valutazioni fra fenomeni tra loro difformi e soprattutto eviti che ci si faccia seriamente carico dell’ampio e significativo lavoro legislativo allora fatto e delle scelte operate per dare attuazione alle scarne previsioni contenute negli artt.134/137 della Costituzione e nella stessa sommaria legge costituzionale n. 1 del 1948. A questo proposito, invece giustamente Paladin ha scritto “che gli scontri che hanno tanto rallentato l’entrata in vigore della legge 87 (come pure – di riflesso - quella relativa alla legge costituzionale n. 1 del ’53) non sono stati affatto deliberati in funzione dilatoria. Tutto al contrario, essi esprimevano divergenze reali e profonde, riguardanti il ruolo della Corte ed i suoi rapporti con gli organi costituzionali di indirizzo politico, che hanno traversato e scomposto –non a caso- la maggioranza stessa” [15].

Quasi contemporaneamente un giovane studioso di storia delle istituzioni, ripercorrendo proprio i dibattiti relativi alle due leggi istitutive della Corte [16], attribuisce la lentezza dell’iter parlamentare non solo ad evidenti ragioni politiche, ma anche a ragioni “istituzionali”, intendendo con ciò i tanti problemi da risolvere ed i dubbi da superare nell’impegnativo completamento ed integrazione di un disegno costituzionale tanto innovativo, quanto largamente incompleto.

Né i dubbi e le incertezze, a parere di questo studioso, erano propri dei soli esponenti politici, ma riguardavano anche i giuristi: “se si analizza il dibattito scientifico in tema di giustizia costituzionale negli anni che vanno dal 1948 al 1953, non si può dire che esso abbia saputo fornire al legislatore repubblicano un ausilio che brillasse per univocità e compattezza: uno sguardo d’ insieme sui contributi dedicati all’argomento restituisce l’immagine di una dottrina non meno scettica e non meno problematica dei parlamentari che stavano attendendo alla legge n. 87/1953 e alla legge costituzionale 1/1953” [17]. Questo giudizio appare in realtà esatto, poiché i contributi dottrinali dei primi anni dopo l’approvazione della Carta costituzionale, quando non si riducono sostanzialmente a parafrasi delle disposizioni costituzionali, appaiono non di rado largamente perplessi o addirittura ancora dominati da opinioni ormai precluse dalle scelte operate in sede costituente [18].

A spiegazione di queste diffuse incertezze, credo che debba essere considerata la stessa profonda novità di tante parti della nuova Costituzione (e non solo degli istituti relativi alla giustizia costituzionale) rispetto alle concezioni precedentemente dominanti: ad esempio, la stessa affrettata adozione della legge cost. n. 1 del 1948 da parte della Assemblea costituzionale è stata il frutto di una esplicita volontà politica di realizzare al più presto la Corte costituzionale, evitando di dover utilizzare il più lento procedimento di cui all’art. 138 Cost.; peraltro, per conseguire questo fine si è certamente data una lettura alquanto “ardita” al rapporto fra i poteri dell’Assemblea costituente in regime di prorogatio ed il potere “costituito” di revisione ed integrazione costituzionale [19].

Ma allora può valere la pena – seppure in estrema sintesi – cercare di verificare quali siano state le scelte originarie del disegno di legge governativo che sono venute meno e come e quali altre scelte si sono affermate nei dibattiti parlamentari (tutto ciò ovviamente solo in riferimento ad alcuni temi più significativi).

 

3. Il disegno di legge governativo sulla costituzione ed il funzionamento della Corte costituzionale. Il disegno di legge governativo, presentato al Senato nella seduta del 14 luglio 1948, assumendo che la legge cost. n. 1 del 1948 avesse pienamente adempiuto a quanto previsto nel primo comma dell’art. 137 Cost., avrebbe inteso adempiere tramite i suoi 45 articoli, a tutto quanto, invece, prescritto dal secondo comma dell’art. 137 [20].

Nel Titolo dedicato all’assetto organizzativo della Corte le scelte fondamentali apparivano la articolazione numerica dei giudici nominati dalle alte magistrature fra Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei conti, mentre nulla si diceva sui sistemi di nomina dei giudici costituzionali da parte del Presidente della Repubblica, del Parlamento in seduta comune e delle supreme magistrature ordinaria ed amministrative.

Una scelta almeno in apparenza rilevante era rappresentata dalla previsione che la Corte operasse articolata in due distinte Sezioni [21], ciascuna presieduta da un Presidente di Sezione, “che esercitano le funzioni che sono ad essi dal Presidente delegate” , nonché tramite una adunanza plenaria (cfr. art. 3 del d.d.l.). Peraltro altre disposizioni del d.d.l. riservavano all’adunanza plenaria “le questioni di legittimità costituzionale delle leggi e degli altri atti aventi forza di legge della Repubblica”, la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e, seppure implicitamente, il giudizio sulle accuse contro il Presidente della Repubblica o contro i Ministri (cfr. art. 28. 2, 30.2, 41.1 del d.d.l.), tanto da potersi ipotizzare che le Sezioni avrebbero potuto decidere solo nel giudizio su leggi regionali o in relazione ai conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni.

In tema di durata in carica e ricambio dei giudici la scelta era nel senso che la lunga durata in carica (l’art. 135 Cost. prevedeva un mandato di dodici anni) avrebbe dovuto essere accompagnata da un complesso sistema di rinnovo per sorteggio relativo a circa metà del collegio ogni sei anni (iniziando dal secondo mandato), mentre l’eventuale sostituto di un giudice venuto meno prima del termine del suo mandato sarebbe restato in carica solo per il periodo residuo.

 Molto rivelatrice di una concezione alquanto riduttiva del nuovo organo e delle funzioni che avrebbe dovuto espletare è la disposizione in tema di incompatibilità, là dove, dopo aver determinato la generale regola sulle incompatibilità dei giudici con uffici pubblici o privati ed attività professionali o imprenditoriali, tuttavia si prevede che la Corte possa autorizzare i giudici a continuare a svolgere le loro precedenti attività di magistrati o di docenti universitari o “partecipare a Commissioni ed adempiere incarichi di studio” (cfr. art. 6 d.d.l.).

Inoltre poco garantita appariva la configurazione della Corte come vero e proprio organo costituzionale: basti qui accennare che si ipotizzava di mantenere alcuni raccordi con il Ministro per la giustizia (art. 8), che le stesse autorizzazioni a procedere contro giudici costituzionali avrebbero potuto essere negate solo entro termini perentori (art. 8, comma terzo), che sembrava non garantita alla Corte costituzionale la disponibilità di un autonomo apparato organizzativo (art. 12) ed un proprio autonomo potere normativo (artt. 12 e 19).

Nel Titolo dedicato al “funzionamento della Corte” erano particolarmente significative almeno due importanti scelte negative, consistenti nella mancata proposta di disciplinare istituti del tutto fondamentali e pur necessitati dalla nuova disciplina costituzionale, ma la cui specificazione evidentemente suscitava dibattiti ancora irrisolti: manca, infatti, ogni soluzione relativa all’efficacia temporale della dichiarazione di illegittimità costituzionale sui rapporti in corso, nonché all’ individuazione di cosa fosse configurabile come conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato [22]. Inoltre, mentre nulla si diceva del potere della Corte in tema di ammissibilità dei referendum abrogativi, la stessa analitica disciplina della funzione penale della Corte appariva in realtà non poco incompleta.

La perdurante incertezza sul nuovo organo e sul contenuto della legge in elaborazione trova una autorevolissima conferma nelle stesse osservazioni critiche di Einaudi, Presidente della Repubblica, sul disegno di legge governativo: anzitutto egli avanza perfino un non secondario rilievo di legittimità costituzionale, poiché dubita che la legge di cui al secondo comma dell’art. 137 Cost. possa contenere “disposizioni relative alla competenza della Corte, quali sono sostanzialmente quelle degli articoli 31, 32 e 36 del disegno, anche se appaiono impostate sotto il profilo processuale del funzionamento della Corte stessa” [23] ; ciò perché le competenze della Corte sarebbero già determinate “dall’art. 134 della Costituzione e dalla legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; sicché non potrebbe il legislatore ordinario porre norme secondarie , anche a scopo meramente interpretativo, dato che ciò non pare possa essere fatto rientrare nel mandato ricevuto”. In concreto il dubbio si riferiva alla esclusione dai possibili conflitti fra i poteri dello Stato dei già esistenti conflitti di attribuzione ed alla previsione che i conflitti fra Stato e regioni potessero essere originati da norme non legislative.

Fra i non pochi rilievi di merito alle disposizioni proposte, significativo al fine di garantire la piena indipendenza dell’organo, appare il rilievo critico alla prevista compatibilità della funzione di giudice costituzionale con quella di docente universitario o di giudice ordinario; peraltro non può che meravigliare che, al tempo stesso, Einaudi, all’affermato fine di non estraniare i giudici “dalla vita del paese”, condivida, invece, la proposta del d.d.l. che il Governo possa “chiamarli a partecipare –e spesso accadrà che essi le presiedano- commissioni incaricate di assolvere importanti compiti o di dare loro incarichi di studio” [24].

 

4. Le modificazioni apportate da parte del Senato. Rispetto al testo di disegno di legge del Governo, ampio ma tuttavia certamente opinabile in alcune scelte e soprattutto non poco incompleto, già l’esame condotto presso il Senato introduce alcune scelte diverse soprattutto in riferimento ad alcuni profili organizzativi: anzitutto viene motivatamente [25] respinta l’articolazione della Corte in Sezioni, inoltre la designazione dei giudici di competenza del Parlamento dovrebbe avvenire “secondo le norme stabilite dal Regolamento della Camera dei deputati” ed i componenti delle “supreme magistrature” vengono identificati in termini alquanto estensivi (cfr. art. 2), mentre nulla si dice sui giudici di nomina presidenziale.

Significativo il mutamento, non puramente formale, della posposizione del Presidente della Repubblica nell’elenco dei soggetti chiamati a comporre la Corte: infatti la motivazione per questo mutamento rispetto al formale elenco contenuto nel primo comma dell’art. 135 Cost., espressa da De Nicola in Commissione e successivamente largamente condivisa era che “il Presidente della Repubblica esercita una certa facoltà equilibratrice e moderatrice per le eventuali omissioni che si fossero verificate nelle due votazioni precedenti” [26].

In tema di status dei giudici, cade la previsione di un possibile mantenimento di parte della precedente attività professionale [27] ed anzi si afferma esplicitamente il principio opposto. Al tempo stesso scompare la possibilità che i giudici possano partecipare a commissioni o avere incarichi.

Molto meno significative le innovazioni relative alle disposizioni sul funzionamento della Corte: può ricordarsi che nel nuovo art. 22, al secondo comma, appare per la prima volta ciò che diverrà il giudizio di rilevanza della questione di costituzionalità [28], mentre non viene condivisa dalla assemblea la proposta della Commissione del Senato che possano intervenire nel giudizio di costituzionalità sulle leggi anche le Camere o i Consigli regionali interessati [29].

Molto ridotte le innovazioni anche in riferimento alle disposizioni relative alla competenza penale della Corte, mentre si decide di prevedere una relazione annuale sull’attività della Corte, da comunicare al Presidente della Repubblica.

Ma soprattutto restano ancora indeterminati i due grandi problemi irrisolti dal d.d.l. relativamente agli effetti giuridici della sentenza di dichiarazione di illegittimità costituzionale sui rapporti in corso [30] e la definizione di quali siano i conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato: anzi, in quest’ultimo caso l’indeterminatezza aumenta, poiché scompare la precedente disposizione che escludeva quanto meno “le questioni di competenza tra i diversi organi dello Stato, qualora sia già stabilito nell’ordinamento vigente il modo di risolvere dette questioni”.

In buona sostanza sembra che esista un diffuso ritardo di consapevolezza della complessità dei tanti problemi necessariamente da affrontare e risolvere con la realizzazione della Corte costituzionale; e ciò non solo a livello parlamentare, se in questa fase furono decisamente pochi i giuristi che si riferirono alla elaborazione della legge, per di più esprimendo opposte valutazioni sulla sostanziale accettabilità del d.d.l. governativo, ovvero del valore e della sufficienza del lavoro correttivo e integrativo svolto dal Senato [31].

 

5. Le notevoli innovazioni introdotte dalla Camera dei deputati anche con la presentazione di un disegno di legge costituzionale. In realtà è solo nel lungo esame che si svolge alla Camera dei deputati che assume forma definitiva la istituzione della Corte costituzionale: da una parte, il testo del disegno di legge costituzionale assorbe molti profili prima –almeno in parte impropriamente- trattati dal disegno di legge ordinaria; dall’altra, vengono apportate alcune decisive modifiche ed integrazioni alle disposizioni del testo del disegno di legge ordinaria.

Particolarmente importanti appaiono le proposte ed i lavori della Commissione speciale della Camera, il cui Presidente (Giovanni Leone) fu anche il proponente nel 1950, unitamente ad altri, del d.d.l. cost.; al tempo stesso, Alfonso Tesauro fu relatore –come ben noto- sia per il d.d.l. cost. che per il d.d.l. ordinario.

La scelta di utilizzare il procedimento di cui all’art. 138 Cost. fa in realtà venir meno uno dei fondamentali presupposti del d.d.l. governativo ed evidenzia come ormai il legislatore sia consapevole della sommarietà di varie disposizioni costituzionali in tema di giustizia costituzionale e dell’insufficiente integrazione degli artt. 134/137 Cost. ad opera della legge cost. n. 1 del 1948. Inoltre, deve considerarsi che questa scelta era assai rilevante sul piano politico, poiché significava ricercare e conseguire un’intesa con l’ opposizione parlamentare, non essendo stata varata la legislazione attuativa in tema di referendum ed essendo quindi indispensabile per l’adozione di una legge del genere ottenere il voto favorevole dei due terzi dei componenti di entrambe le Camere.

Né si trattava di una proposta puntuale di integrazione del dettato costituzionale: se nell’originario disegno di legge le disposizioni proposte erano 7, nel testo adottato dalla Camera erano salite a 16 (ma divennero 15 in sede di seconda approvazione [32], essendo stata stralciata la disposizione relativa alla cessazione dell’attività dell’Alta Corte per la Regione siciliana). Le materie così disciplinate riguardavano prevalentemente la competenza penale della Corte costituzionale, ma anche l’attribuzione alla Corte del giudizio di ammissibilità delle richieste referendarie, la disciplina della durata in carica e del rinnovo dei giudici costituzionali, vari aspetti del loro status in coerenza con una chiara configurazione della Corte come organo costituzionale (valutazione dei titoli dei nuovi giudici, la loro insindacabilità penale, la retribuzione, la rimozione, la sospensione, la decadenza dalla carica), un potere processuale del Presidente della Corte.

Di particolarissimo rilievo l’ardita operazione istituzionale realizzata con l’approvazione dell’attuale articolo 1 della legge costituzionale n. 1 del 1953, che -­come ben noto- afferma che la “Corte costituzionale esercita le sue funzioni nelle forme, nei limiti ed alle condizioni di cui alla Carta costituzionale, alla legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1, ed alla legge emanata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali”. Questa disposizione, approvata senza discussione quasi al termine del dibattito della Camera di prima approvazione del testo del disegno di legge costituzionale, come uno degli articoli aggiuntivi proposti dalla Commissione, non ha certo solo una funzione puramente enunciativa [33], ma –a ben vedere- appare finalizzata a eliminare ogni dubbio in punto di legittimità costituzionale sulle materie disciplinate nel disegno di legge ordinario in discussione e già in parte approvato [34], se non anche ad eliminare ogni possibilità di dubbio sulla stessa legge costituzionale n. 1 del 1948 [35]: non a caso, in quella occasione il relatore Tesauro motivò la proposta significativamente affermando che “la norma proposta è indispensabile , per impedire che comunque si possa elevare una eccezione di incostituzionalità della legge ordinaria di attuazione della Corte costituzionale” [36].

Malgrado la conseguente eliminazione dal disegno di legge ordinario delle varie materie trasferite nel testo di revisione costituzionale, durante i lavori alla Camera le disposizioni contenute nel disegno di legge ordinaria non solo non diminuiscono di numero rispetto al testo proveniente dal Senato, ma anzi si accrescono decisamente, dal momento che vengono finalmente sciolti tutta una serie di nodi in precedenza evitati o non considerati.

Non è questa certo la sede per valutazioni analitiche del contenuto di questo testo (d’altronde simile –salvo che su alcuni punti- al testo finale della legge n. 87 del 1953), ma vorrei semplicemente mettere in evidenza solo cinque scelte che mi sembrano particolarmente importanti e che furono operate in questa sede, mentre le innovazioni significative sono certamente molte di più. Tanto meno mi riferisco a tutti i complessi confronti relativi alla durata in carica ed alle modalità di ricambio dei giudici o alla sorte dell’Alta Corte per la Regione siciliana, dal momento che tutto ciò è successivamente radicalmente mutato.

Neppure posso soffermarmi sui temi generali affrontati nella imponente relazione di Tesauro, quale, in primo luogo, la dimostrazione della natura giurisdizionale, per quanto a livello costituzionale, della Corte [37], dal momento che si trattava fondamentalmente di un confronto –per quanto importante- essenzialmente di tipo politico-istituzionale, polemico contro chi aveva invece sostenuto la politicità dell’organo, ma senza specifiche ricadute dirette sulla progettazione legislativa di attuazione delle disposizioni costituzionali.

Anzitutto si cerca di sciogliere il nodo tormentatissimo dei criteri di nomina dei giudici: per ciò che riguarda i collegi rappresentativi delle “supreme magistrature” si opta per una loro composizione ristretta ai soli componenti effettivi della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato [38]; per le designazioni parlamentari si fa la scelta della loro elezione “a scrutinio segreto e con maggioranza di tre quinti dell’Assemblea” per le prime due votazioni o successivamente “a maggioranza dei tre quinti dei votanti”; per le nomine presidenziali si ipotizza la necessità di un “decreto emanato su proposta del Ministro di grazia e giustizia e controfirmato anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri”.

La seconda e la terza fra queste scelte rappresentano il cuore dello scontro politico, poiché furono lette entrambe come artifizi, contrari allo spirito della Costituzione, per arrivare a composizioni filogovernative dell’organo di giustizia costituzionale; ed è significativo del clima politico molto surriscaldato di allora che entrambe queste scelte furono adottate durante i lavori del plenum della Camera, mentre non erano presenti nel testo proposto dalla Commissione.

Piuttosto, nella relazione di Tesauro si trova una ampia (ed, invero, per me ineccepibile) giustificazione dell’opportunità di scegliere il sistema del voto a maggioranza qualificata, piuttosto che quello utilizzato per la formazione di organi collegiali nell’organizzazione parlamentare, con la meccanica garanzia di alcuni posti alle minoranze: per garantire l’indipendenza e la funzionalità della Corte è necessario un sistema “che consenta di costituire la Corte in modo che i componenti siano i rappresentanti di tutte e di nessuna corrente politica” e quindi è preferibile “un sistema di nomina che consenta al Parlamento, pur nel dissenso delle ideologie politiche, di far cadere la scelta su uomini che, anche rimanendo, come è inevitabile, fedeli alle loro idee personali o di partito, diano, per il loro passato, per la loro esperienza, per la loro dirittura, la garanzia della imparzialità nello svolgimento della funzione ad essi affidata” [39]. Inoltre – ma il tema non sembra essere emerso nei dibattiti di allora, forse perché si aveva presente esclusivamente il problema di nominare i primi cinque giudici – un sistema come quello utilizzato nei regolamenti parlamentari, in assenza di solide convenzioni fra i gruppi, avrebbe paradossalmente potuto produrre una sovrarappresentazione della maggioranza parlamentare nel caso (rapidamente divenuto normale [40] di sostituzione di singoli giudici designati dal Parlamento.

Tutt’altro giudizio è da esprimere in relazione al grave tentativo che fu posto in essere da parte delle forze politiche di maggioranza di far condizionare le nomine presidenziali da parte del Governo, se non di attribuirle sostanzialmente al Governo, tramite la previsione nel testo della legge della necessità di una proposta ministeriale (e ciò in contrasto anche con quanto lo stesso Tesauro aveva scritto, quando si era riferito alla scelta “equilibratrice del Presidente della Repubblica” [41]: un tentativo tutto politico, ma che trovò argomentazioni anche di ordine tecnico sulla base di letture alquanto discutibili relative all’esistenza di un presunto rigido modello di forma di governo parlamentare che avrebbe impedito la titolarità di poteri di nomina sostanzialmente presidenziali, malgrado il dettato costituzionale. A quest’ultimo proposito, posso semplicemente rinviare alla recente sentenza n. 200 del 2006 della Corte costituzionale, che ha espressamente citato fra “i poteri propri del Presidente della Repubblica” proprio la nomina dei giudici costituzionali, con ciò intendendo che la controfirma in questa materia ha “valore soltanto formale”.

Una seconda scelta, per quanto implicita, è il rifiuto dell’opinione dissenziente: qui la relazione Tesauro, riferendosi all’art. 19 del d.d.l. (art. 18 del testo della legge vigente) è esplicita nel riferire che “si è esaminata e respinta la proposta che ogni giudice potesse o dovesse esporre i motivi del voto dato” e motiva questo diniego con l’opinione che un sistema del genere potrebbe agevolare “una forma di controllo sull’attività dei giudici da parte di forze politiche organizzate” [42].

Una terza importante scelta è la conferma e migliore specificazione della necessità che la questione debba essere anche rilevante (“qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale”) e la previsione che l’ordinanza del giudice che respinge le eccezioni di illegittimità costituzionale debba essere “adeguatamente motivata”. Ma certo non minore importanza hanno le innovazioni riguardanti la disciplina dei casi nei quali la Corte può decidere direttamente in Camera di consiglio (art. 26.2), la previsione della illegittimità consequenziale (art. 27), la affermazione esplicita che il controllo di costituzionalità sulle leggi “esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento (art. 28).

Quarta importantissima novità è introdotta dall’adozione degli attuali terzo e quarto comma dell’art. 30 della legge: a questo proposito la motivazione della relazione Tesauro è ampia e convincente, poiché parte dalla assoluta non assimilabilità della illegittimità costituzionale all’abrogazione legislativa [43] per giungere all’affermazione che “la decisione della Corte toglie alla legge incostituzionale qualsiasi efficacia, per cui questa, dal giorno successivo a quello della pubblicazione della decisione, non esiste più nel mondo giuridico e, perciò, non può essere più applicata da parte del giudice a qualsiasi rapporto …”.

Infine occorre ovviamente ricordare che è solo in questa sede che finalmente si giunge a dare un contenuto preciso, su esplicita proposta di Tesauro [44], al concetto di conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, superando le incertezze e le diffuse tendenze ad assimilarli ai preesistenti conflitti di attribuzione previsti dal Codice di procedura civile.

La scelta operata è, invece, nettamente a favore di una competenza su “conflitti affidati per l’innanzi al solo controllo delle forze politiche” ed il punto di arrivo è che “la competenza della Corte non sussiste per qualsiasi conflitto tra poteri, ma solo per quei conflitti tra poteri che abbiano rilevanza costituzionale e tali sono quelli che non solo impegnano non i singoli organi dei poteri , ma i poteri nel loro complesso, ma vertono, in particolare, sull’applicazione di una norma costituzionale”. Mi sembra anche significativo che nella sua relazione Tesauro, in riferimento alla identificabilità dei “poteri”, appaia particolarmente prudente verso tendenze restrittive ed affermi, invece, che il problema di “quali e quanti siano i poteri non può essere posto in astratto, ma solo in concreto, esaminando le funzioni attribuite dalla Costituzione al complesso degli organi costituzionali e che sarà la Corte costituzionale stessa , nella risoluzione dei problemi concreti ed utilizzando la elaborazione dottrinale, a stabilire in definitiva quali organi fanno parte, in base alla Costituzione, dello stesso potere e quali organi appartengono a poteri diversi”.

 

6. Dal secondo esame da parte del Senato del d.d.l. ordinario alla approvazione definitiva delle due leggi . Il successivo esame da parte del Senato apportò, a sua volta, alcune ulteriori modificazioni (oltre venti), ma sostanzialmente accettò la vasta integrazione operata dalla Camera dei deputati.

L’unica scelta di rilevante valore politico, oltre che istituzionale, fu quella relativa alla modificazione della disposizione relativa alla nomina dei giudici di competenza del Presidente della Repubblica, eliminando la proposta ministeriale e mantenendo solo la controfirma del Presidente della Repubblica: è certo interessante che – a questo proposito – il relatore Persico [45] si appoggi esplicitamente alla ricostruzione degli articoli 135 e 89 della Costituzione operata da Serio Galeotti, ma la decisione sul punto fu evidentemente anche il frutto di un mutamento all’interno delle forze maggioritarie [46].

D’altra parte è ormai noto che il Presidente della Repubblica Einaudi si oppose ad ogni successivo tentativo di rimodificare la disposizione, fino a minacciare il rinvio del testo legislativo nel quale fosse stato reintrodotto il testo precedente e addirittura le proprie dimissioni nel caso in cui il Parlamento avesse riapprovato la legge da lui rinviata per questo motivo [47].

Al tempo stesso, il Senato –a riprova dei perduranti ritardi di consapevolezza tecnico-giuridica- modifica anche la disposizione sui conflitti di attribuzione, cercando di utilizzare la categoria degli organi costituzionali piuttosto che quella dei “poteri” (ma la Camera nell’esame successivo accetterà la prima modificazione, ma non la seconda).

Certamente cinque passaggi parlamentari per una legge ordinaria non sono pochi, ma la necessità di adottare in parallelo una apposita legge costituzionale seguendo il procedimento del terzo comma dell’art. 138 Cost. e soprattutto l’esistenza di un forte e diffuso ritardo di consapevolezza fra politici e giuristi [48] relativamente ai molteplici problemi da affrontare e risolvere per istituire la Corte costituzionale in un ordinamento che mai aveva avuto qualcosa di analogo, possono spiegare la lentezza e complessità dei lavori parlamentari, senza con ciò assolutamente negare che in questo contesto si sono anche sviluppate aspre linee di contrapposizione politica, tipiche di una fase come quella dell’inizio dei primi anni cinquanta. Ma –vorrei dire- il lavoro istituzionale di allora fu portato a termine infine senza “strappi costituzionali” e soprattutto con l’adozione di due leggi che l’esperienza successiva ha dimostrato essere sostanzialmente adeguate (anche se sono state più volte integrate e modificate).

Sul versante dei giuristi, la piena consapevolezza delle profonde trasformazioni intervenute tarderà ancora, mentre per lo più ci si limiterà a descrivere le nuove disposizioni ed “il contributo fornito dalla dottrina alla soluzione delle questioni maggiormente controverse” [49]. Occorrerà attendere ancora alcuni anni perché la dottrina colga la radicale novità del un nuovo organo costituzionale e le molteplici conseguenze necessitate dal suo operare [50]

 

7. L’approvazione delle norme integrative da parte della Corte costituzionale appena nominata. Certo –come ben noto- la concreta entrata in funzione della Corte ritarderà ancora notevolmente per le evidenti difficoltà di intesa fra i gruppi parlamentari sui giudici da eleggere [51], specie per la preclusione dei partiti di maggioranza verso un candidato espressivo del partito comunista: una vicenda certamente grave (tanto da suscitare perfino un intervento del nuovo Presidente della Repubblica Gronchi per superare l’impasse [52], ma di tipo essenzialmente politico, e che semmai anticipò la ricorrente scarsa capacità del nostro sistema parlamentare di superare logiche di parte nella ricerca di una condivisa selezione dei giudici costituzionali (ciò ha portato nei cinquanta anni di funzionamento della Corte a ritardi spesso gravi nella nomina dei giudici designati dal Parlamento [53]).

Ma la Corte, infine, viene istituita nel dicembre 1955 ed inizia a funzionare intensamente prima e dopo la notissima prima sentenza dell’aprile 1956. Già si è ricordato efficacemente la notevole capacità dimostrata fin dall’inizio dall’organo appena nominato per affrontare e risolvere i molti problemi giuridici ed organizzativi esistenti, con uno stile ed una determinazione che denotavano una non usuale piena consapevolezza da parte dei giudici appena eletti della “identità costituzionale” del nuovo organo [54].

In quest’ambito giustamente si è messo anzitutto in evidenza la rapida ed ampia utilizzazione del potere di autoregolamentazione da parte della Corte costituzionale, ben al di là di quanto era previsto dalla stessa legge n. 87 del 1953, attraverso la adozione delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale [55], che furono pubblicate nella G.U. del 24 marzo 1956. Già uno dei primi commentatori notò immediatamente che “esse appaiono come la prima manifestazione dell’attività del nuovissimo organo in cui possiamo vedere riflessa, sia pure implicitamente ed indirettamente, la concezione che la Corte medesima ha del significato e delle caratteristiche delle sue funzioni, che rappresentano un’esperienza senza precedenti nella nostra vita costituzionale e nella storia del nostro paese” [56].

E’ ben noto che queste norme, pur adottate “visti gli articoli 14, comma primo, e 22, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87”, derogano puntualmente ad alcune delle disposizioni processuali contenute in questa legge, contengono alcune discipline del tutto nuove e, più in generale, rovesciano quanto previsto nell’art. 22, primo comma, là dove si prescrive che “nel procedimento davanti alla Corte costituzionale, salvo che per i giudizi sulle accuse di cui agli articoli 43 e seguenti, si osservano , in quanto applicabili, anche le norme del regolamento per la procedura dinnanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale”. Ci si trova quindi dinanzi alla previsione che il potere regolamentare della Corte, di cui al secondo comma del medesimo art. 22, possa eventualmente integrare il Regolamento per il Consiglio di Stato in funzione meramente suppletiva [57], ma non possa certo concretizzarsi in una funzione normativa di tipo primario o tale da ridurre ad ipotesi del tutto marginali l’ utilizzazione del Regolamento del 1907.

 Non è questa la sede per analizzare puntualmente i casi in cui le norme integrative innovano il sistema legislativo vigente né entrare nel noto dibattito sul fondamento costituzionale dell’esercizio di poteri normativi di tipo primario da parte della Corte costituzionale [58]; certo è che ben presto tutti i giuristi hanno dovuto concludere che –come notò Crisafulli- seguitare a parlare a proposito dei regolamenti della Corte di usuali norme di tipo regolamentare o di autorganizzazione “diventa non più di un eufemismo” [59].

Ciò che in questa sede può essere utile e interessante è piuttosto cercare di comprendere se ed in che misura i giudici della Corte fossero consapevoli delle innovazioni che andavano a produrre: da ciò l’interesse di verificare come la Corte è giunta all’approvazione delle norme integrative e sulla base di quali considerazioni.

Una personale ricerca sui primi verbali della Corte costituzionale rende noto che essa nella sua seconda seduta (23 gennaio 1956) “su proposta del Presidente la Corte delibera altresì di avvalersi della facoltà che la legge le riconosce, di integrare il regolamento di procedura del Consiglio di Stato che, fin dove possibile, deve essere osservato dalla Corte giusta la legge. A tal fine si costituisce un Comitato composto di tre giudici: Azzariti, Bracci, Jaeger il quale sottoporrà all’esame della Corte proposte in una delle prossime sedute”.

Già nella seduta del 10 febbraio 1956 la Corte “inizia l’esame dello schema di regolamento processuale predisposto dalla Commissione Azzariti-Bracci-Jaeger” e questo esame viene completato il 18 febbraio dopo una serie di serrate riunioni. In questa occasione, peraltro il verbale riporta che “il Presidente dà mandato al giudice Bracci di curare la revisione formale e il coordinamento degli articoli del Regolamento di procedura. Il giudice Bracci farà pervenire ai colleghi copia del Regolamento revisionato, perché nella prossima seduta la discussione possa essere rapida e conclusiva”.

Il verbale dell’8 marzo riferisce che “il giudice Bracci presenta alla Corte lo schema definitivo del Regolamento processuale ed illustra i criteri formali seguiti nella stesura”. Sempre in questa occasione si stabilisce che il titolo delle disposizioni di procedura in elaborazione siano intitolate “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale” e che queste norme siano precedute dalla formula “La Corte costituzionale, visti gli artt. 14 e 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87, approva le seguenti norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”.

Le disposizioni di questo testo vengono esaminate ed approvate in quattro riunioni e così il verbale del 10 marzo dà atto della approvazione di tutte le disposizioni, salvo che “la Corte dà incarico al giudice Bracci di redigere il testo definitivo sulla base degli articoli approvati e di uno schema di ripartizione sistematica proposto dal giudice Lampis”.

Già nella seduta seguente del 15 marzo “la Corte riprende l’esame del testo delle norme integrative nell’ultima redazione predisposta dal giudice Bracci”, mentre si dà atto che non è riuscito il tentativo di costruire una diversa sistematica per le disposizioni. L’esame e l’ approvazione del testo definitivo delle Norme integrative si esaurisce nella seduta pomeridiana del 16 marzo.

Questi dati già significativi, ma certamente sommari a causa della solo essenziale verbalizzazione delle riunioni della Corte, devono essere integrati da alcuni altri materiali fortunatamente reperiti presso la famiglia ed uno degli assistenti del giudice Bracci [60]: in particolare, un apposito opuscolo [61] corrisponde evidentemente alla proposta di Bracci di cui si dà atto nel verbale dell’otto marzo ed un analitico manoscritto dovrebbe corrispondere alle stesse prime proposte di Bracci (nell’opuscolo appena citato si riferisce che, in realtà, per il primo esame ognuno dei tre giudici inizialmente incaricati “preparò per suo conto un progetto di regolamento”), per di più accompagnate da una vera e propria breve relazione illustrativa.

Di particolare interesse, ai fini del presente scritto, appaiono i motivi addotti da Bracci in questo manoscritto per la redazione, per quanto provvisoria e parziale, delle norme integrative: “la formazione d’un organico e completo regolamento di procedura si presenta particolarmente ardua e forse inopportuna allo stato delle cose”, dal momento che l’organo è del tutto nuovo e lo stesso nuovo quadro costituzionale in parte deve essere ancora completato, mentre comunque non appare opportuna una disciplina analitica che lasci solo spazi limitati “per il regolare svolgimento dell’attività del nuovo organo costituzionale”; ciò nonostante, peraltro “alcune norme integrative della l. 11 marzo 1953 n. 87 sono necessarie sia perché questa legge è, dal punto di vista processuale, frammentaria ed incompleta, sia perché il riferimento della legge al regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato 17 aprile 1907 n. 642 non è stato felice. Difatti si tratta di un regolamento plasmato sul R.D. 17 aprile 1907 n. 638 sulle funzioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e sul codice di procedura civile del 1865, l’uno e l’altro non più in vigore e largamente superati in ogni senso dalla vigente legislazione processuale, a prescindere dalle differenze sostanziali per le impugnazioni degli atti amministrativi e le questioni costituzionali dirette a privare di efficacia erga omnes le leggi formali” [62].

In altri termini, quello che nei criteri iniziali della Corte riportati nel verbale del 23 gennaio appare ancora un dubbio relativo alle lacune conseguenti alla parziale inapplicabilità del Regolamento per il Consiglio di Stato, entro cui sviluppare un potere normativo di tipo integrativo, alcune settimane dopo diviene nell’opinione del redattore delle proposte delle norme integrative la volontà di integrare direttamente la legge, in sostanza sostituendosi alle disposizioni processuali del 1907 erroneamente riferite dal legislatore all’attività del nuovo organo costituzionale.

Appare significativo che, una volta adottate, le norme integrative non solo non suscitino contestazioni a livello istituzionale, ma vengano pacificamente citate dai primi Presidenti della Corte come recanti “innovazioni processuali” [63] o come norme necessitate “ad integrazione di quelle scarse e lacunose contenute nelle leggi costituzionali e nella legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87” [64].

A ben vedere, con l’adozione di queste norme continua a produrre i suoi effetti quella progressiva presa di consapevolezza della natura di organo costituzionale della Corte costituzionale, che era implicita nelle disposizioni costituzionali relative alla giustizia costituzionale, ma che era stata largamente misconosciuta nel d.d.l. n. 24 del 1948, mentre -come argomentato in precedenza - si era fatta progressivamente largo nei lunghi lavori parlamentari di elaborazione della legge cost. n. 1 del 1953 e della legge n. 87 del 1953. Adesso sono i giudici costituzionali che completano questo recupero di “sovranità” della Corte, sostanzialmente eliminando un pesante condizionamento all’esercizio delle funzioni di giustizia costituzionale. Quando Paolo Barile denuncerà le perduranti limitazioni alla configurazione della Corte costituzionale come vero e proprio organo costituzionale, ivi compresa la previsione del suo potere regolamentare in una legge ordinaria e non costituzionale, potrà perciò aggiungere sul punto che “l’intervento di una legge costituzionale sarebbe opportuno, ma non indispensabile” [65].

 

8. I diversi protagonisti nella fase di istituzione della Corte. Ci si potrebbe chiedere come mai i giudici costituzionali appena eletti avessero questa consapevolezza e una sufficiente determinazione per operare in modo così deciso: qui pesò senza dubbio la loro matura professionalità e quindi la consapevolezza delle conseguenze necessitate dalla configurazione nel nuovo testo costituzionale di un organo tanto innovativo e dalla sua messa in azione.

Ma poi in occasione del loro giuramento il Presidente della Repubblica Gronchi, malgrado tutte le polemiche ed i timori ancora esistenti, aveva, seppur sinteticamente, indicato con grande chiarezza un ruolo molto significativo per la Corte nel nuovo ordinamento costituzionale: “i credenti nella libertà hanno cercato (…) di attuare uno Stato di diritto, nel quale la separazione e l’equilibrio dei vari poteri configurino con maggiore rigore la sfera di sovranità di ciascuno di essi. La Corte si inserisce, appunto, in questo complesso sistema di equilibri come elemento che può dirsi nello stesso tempo moderatore, e, per taluni aspetti, anche propulsore delle attività legislative ed esecutive, reso formalmente necessario da quella rigidità della nostra Carta fondamentale in cui il costituente ripose gran parte delle speranze per una lunga stabilità delle nostre Istituzioni” [66].

Certamente i riferimenti alla “sfera di sovranità” di tutti gli organi costituzionali ed alla funzione anche propulsiva della Corte costituzionale furono colti dai destinatari del discorso, in una situazione nella quale, invece, si registravano diffuse spinte verso la riedificazione di un debole regime parlamentare e comunque si diffidava largamente di un ruolo attivo degli organi di controllo: non a caso, negli anni seguenti proprio a questo breve discorso si riferì più volte il Presidente Azzariti [67].

D’altra parte, Enrico de Nicola, primo Presidente della Corte costituzionale, proprio parlando nella solenne udienza inaugurale del 23 aprile 1956, in presenza delle massime autorità dello Stato, sinceramente affermò che il nuovo organo, proprio perché garante di una Costituzione tanto innovativa, sarebbe stato “destinato ad inattesi sviluppi”. Ciò sembra, in realtà, essere avvenuto –almeno a giudicare da molteplici studiosi, che pure giustamente non lesinano neppure rilievi critici a singole vicende e pronunce- ed occorre quindi essere sostanzialmente grati ai diversi protagonisti che operarono nel difficile contesto della prima e seconda legislatura repubblicana.

Come Giuseppe Guarino ha scritto nel 1958 [68], ciò si inscriveva in una prospettiva storica di “progressivo e pacifico attuarsi della Costituzione”; anzi, in quell’occasione egli usava l’ immagine suggestiva della Costituzione come di una rete da pesca “gettata intorno alla complessa realtà rappresentata dalla vita politica e sociale italiana. Quanto più i componenti di questa società si agitavano, tanto più, anche se inconsapevolmente, essi venivano ad imprigionarsi nella intricata trama che li avvolgeva”.



© Testo destinato alla pubblicazione negli atti del Convegno La giustizia costituzionale fra memoria e prospettive (a cinquant’anni dalla pubblicazione della prima sentenza della Corte costituzionale), svoltosi il 14 e 15 giugno 2006 a cura delle Facoltà di scienze politiche e di giurisprudenza della Università di Roma 3 .

[1]) Costantino Mortati (La Corte costituzionale ed i presupposti per la sua vitalità, Iustitia 1949, pag. 69) ha scritto dell’esistenza di “un’atmosfera di disinteresse generale, e in alcuni ceti dirigenti di vero e proprio fastidio o di malcelato disappunto per trovarsi impegnati alla formazione di un organo che si poteva forse considerare utile nel caso paventato di una vittoria elettorale dell’estrema …”, ma ha anche aggiunto che la problematica della Corte costituzionale si presentava già alla Costituente “particolarmente ardua, non solamente per le difficoltà inerenti alla natura stessa di un’ istituzione del genere, ma anche per la (…) novità di essa rispetto alla tradizione costituzionale non pure italiana ma europea”.

[2]) Rispetto a precedenti ricostruzioni assai sommarie e molto orientate politicamente, si veda ora il documentato volume di Francesco Bonini, Storia della Corte costituzionale, La Nuova Italia scientifica, Roma 1996, pag. 68 ss., che si ripromette di esaminare il tema sia sotto il profilo istituzionale che storico, anche se la considerazione dei temi più strettamente giuridico-istituzionali appare non poco sacrificata dalla preminente considerazione delle tante circostanze storiche.

[3]) Rivelatrice è la scelta manifesta dello studioso che ha pure dedicato un importante volume all’origine della Corte costituzionale, di non considerare nei dibattiti parlamentari relativi alle due leggi del 1953 i confronti concernenti gli “innumerevoli problemi tecnici, organizzatori e processuali allora esaminati”, ma di prendere in considerazione solo “alcuni momenti di più chiaro significato politico-costituzionale del dibattito, in ordine ai quali maggiormente vivace fu lo scontro degli opposti orientamenti politico-parlamentari” (Giustino D’Orazio, La genesi della Corte costituzionale. Ideologia, politica, dibattito dottrinale: un saggio di storia delle istituzioni, Ed. di Comunità, 1981, pag. 158). Una scelta del genere rischia paradossalmente di ridurre tutto alla logica della politica contingente, per di più quale rappresentata da alcuni protagonisti parlamentari di quelle contingenti vicende, soprattutto sottovalutando in modo drastico l’oggettivo significato politico-istituzionale del modello di giustizia costituzionale che in quell’occasione si venne edificando e quindi lo stesso ruolo effettivamente svolto nella sua elaborazione ed adozione dai diversi protagonisti politici e culturali. Oltre a tutto, le posizioni dei vertici politico-parlamentari ed anche culturali su un tema come quello della giustizia costituzionale appaiono spesso poco significative o comunque largamente strumentali, come dimostrato dagli stessi dibattiti riportati nel volume di D’Orazio (ma si veda anche Paolo Petta, Ideologie costituzionali della sinistra italiana (1892-1974), pag. 130 ss., 142 ss.).

[4]) Andrea Simoncini , L’avvio della Corte costituzionale e gli strumenti per la definizione del suo ruolo: un problema storico aperto, Giurisprudenza costituzionale 2004, pag.3065 ss.

[5]) Si ricordi che le fasi fondamentali dei lavori parlamentari furono le seguenti: il Governo presenta al Senato il 14 luglio 1948 il disegno di legge “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale”, in attuazione del secondo comma dell’art. 137 Cost.; il Senato lo approva nel marzo 1949 con non pochi emendamenti; la Camera non solo vi apporta altri numerosi emendamenti, ma ne stralcia diverse disposizioni che vanno a comporre una proposta di legge costituzionale (p.d.l. Leone ed altri); entrambi questi testi sono approvati dalla Camera nel marzo 1951; successivamente il p.d.l. costituzionale viene riapprovato dalla Camera nel luglio 1952 ; a sua volta il Senato esamina ed approva nell’ottobre 1952 questo p.d.l. cost. e lo riapprova definitivamente il 5 marzo 1953; nel frattempo, il d.d.l. ordinario viene approvato con modifiche dal Senato nell’ ottobre 1952; successivamente approvato con ulteriori modifiche dalla Camera nel marzo 1953, viene infine approvato definitivamente dal Senato il 7 marzo 1953.

[6]) Piero Calamandrei , L’ostruzionismo di maggioranza, Il ponte 1953, pag. 274.

[7]) “… le apparenti difficoltà tecniche, gli indugi giustificati dalla precedenza di altre leggi più urgenti, gli “ulteriori studi”, i pentimenti, gli emendamenti, i ripensamenti sono stati in realtà mosse di un unico giuoco, di cui oggi, alla fine della legislatura, è facile ricostruire la ingegnosa preordinazione” (Piero Calamandrei , op. ult.cit., pag. 136).

[8]) Per tutti, cfr. Giustino D’Orazio, op. cit., pag. 156 ss.; Alessandro Pizzorusso, art. 134, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Garanzie costituzionali. art. 134-139, Zanichelli – Foro italiano, 1981, pag. 76 ss.; Elena Malfatti, Saulle Panizza, Roberto Romboli, Giustizia costituzionale, Giappichelli, 2003, pag. 43 ss.

([9]) Per tutti cfr. Gustavo Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Il Mulino 1977, pag. 490 ss.; Ettore Rotelli, La prima legislatura repubblicana ed il ruolo del Parlamento, Quaderni costituzionali 1981, pag. 109.

[10]) Cfr. Atti parlamentari, Prima legislatura, Camera dei deputati, Discussioni, pag. 46845.

[11]) Cfr. p.d.l. Sturzo (Senato n.82) e p.d.l. Agrimi (Camera n.365).

[12]) Solo per ricordare semplicemente il numero degli articoli: il d.d.l. conteneva 45 articoli, mentre la l.cost. n. 1 del 1953 è composta di 15 articoli e la l. n. 87 del 1953 di 53 articoli, più alcune disposizioni transitorie. Ancora più evidenti sono i dati che emergerebbero dalla considerazione analitica delle disposizioni contenute nei diversi testi.

[13]) Livio Paladin, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Il Mulino 2004, pag. 98.

[14]) Una tesi analoga è stata in precedenza espressa da Francesco Bonini, op. cit., pag. 68 ss., sulla base di una ampia ricostruzione dei vari dibattiti politici e parlamentari in materia, ma senza una specifica attenzione ai diversi contenuti istituzionali che si confrontarono nei diversi testi e nelle diverse fasi.

[15]) Livio Paladin, op. cit., pag. 98.

[16]) Giovanni Bisogni, Le leggi istitutive della Corte costituzionale, in La prima legislatura repubblicana. Continuità e discontinuità nell’azione delle istituzioni, a cura di Ugo De Siervo, Sandro Guerrieri, Antonio Varsori, Carocci 2004, vol. I, pag. 71 ss.

[17]) Ibidem pag.80.

[18]) Basti esaminare le opinioni espresse all’inizio dei dibattiti parlamentari da alcuni primari protagonisti del dibattito giuridico: Piero Calamandrei, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Cedam 1950; Carlo Esposito, Il controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi in Italia, relazione del settembre 1950 al Congresso internazionale di diritto processuale civile, ora in La Costituzione italiana: saggi, Cedam, Padova 1954, pag. 263 ss., Gaetano Azzariti, Gli effetti delle pronunzie sulla costituzionalità delle leggi, ora in Problemi attuali di diritto costituzionale, Giuffrè 1951, pag.136 ss. Ma si vedano anche gli autori di cui alla nota n. 31.

[19]) Così si esprime in proposito la relazione governativa di accompagnamento del d.d.l.: “Non occorre rilevare l’urgenza e la necessità che la legge costituzionale così prevista sia emanata dall’Assemblea costituente, a ciò autorizzata anche dal numero XVII delle disposizioni transitorie finali. E’ chiaro che, se l’emanazione della legge costituzionale fosse rimandata alle due future Camere legislative, occorrerebbe almeno un anno di tempo prima che la Corte costituzionale potesse entrare in funzione”.

Per una esplicita critica sul piano della costituzionalità dell’attribuzione alla Costituente del potere di integrazione costituzionale in questa materia, cfr. Carlo Lavagna, Atti ed eventi costituzionali in Italia dal 1 gennaio 1948 al 31 dicembre 1950, Riv. trim. dir. pubbl. 1951 , pag. 431 ss.

[20]) Si veda la relazione illustrativa in Senato della Repubblica, disegno di legge n.23 su “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale”.

[21]) Estremamente sintetica la motivazione addotta nella relazione al d.d.l.: “…gioverà al rapido espletamento dei giudizi. Resta però fermo –come sarà precisato in altri articoli- che le questioni di legittimità costituzionale di leggi o atti aventi forza di legge dello Stato e la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato devono sempre essere trattati in adunanza plenaria”.

[22]) A questo proposito addirittura si affermava nella relazione al disegno di legge che “solo una lunga pratica costituzionale potrà fornire elementi e dati sicuri per un orientamento in materia”.

[23]) Si veda Sul disegno di legge recante norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, in Segretariato della Presidenza della Repubblica. Servizio archivio storico, documentazione e biblioteca, Discorsi e messaggi del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, Roma 2005, pag. 65. I rilievi, relativi alle disposizioni in tema di conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e tra lo Stato e le Regioni, non riguardavano, invece, gli articoli relativi ad altre competenze della Corte, ma solo perché le disposizioni del d.d.l. erano ritenute mera “riproduzione o parafrasi” del dettato costituzionale.

[24]) Ibidem.

[25]) Già nella Commissione Affari costituzionali si argomentò che una scelta del genere avrebbe reso possibile decisioni assunte da un numero assai ridotto di giudici , “senza contare il pericolo di difformità di giurisprudenza delle tre Sezioni (due ordinarie ed una a Sezioni unite) e l’appesantimento della procedura, del numero dei funzionari di cancelleria e simili”(Giovanni Persico, La Corte costituzionale. Relazione e discorsi, Roma, tip.del Senato, 1949, pag. 17).

[26]) Giovanni Persico, op.cit., pag.101 ss.

[27]) Già nella Commissione Affari costituzionali si afferma che “l’ufficio di giudice della Corte è così elevato, che deve essere considerato assolutamente incompatibile con l’esercizio di qualsiasi altra funzione” (Persico, op.cit., pag.18/19).

[28]) “L’autorità giurisdizionale emette ordinanza con la quale , ove non ritenga la questione manifestamente infondata, o non pertinente alla causa”.

[29]) Giovanni Persico, op.cit., pag. 24, 222.

[30]) Giovanni Persico, op.cit., pag. 166 ss.

[31]) Cfr. Costantino Mortati, op.cit., pag. 69; Michele Petrucci, La Corte costituzionale, in Commentario sistematico alla Costituzione, a cura di Piero Calamandrei e Alessandro Levi, Barbera ed., Firenze 1950, II, pag. 431 ss.; Carlo Lavagna, op. cit., pag. 430 ss.; Piero Calamandrei, L’ostruzionismo cit., pag. 278, pag. 434.

[32]) Si seguiva allora il principio della consecutività nella procedura parlamentare di revisione costituzionale, con quindi una duplice approvazione da parte della Camera nella quale era iniziato il procedimento.

[33]) Come, invece sostenne successivamente il relatore al Senato (Giovanni Persico, op.cit., II, pag. 174).

[34]) Si ricordino non solo i dibattiti continui sul punto in sede parlamentare e dottrinale, ma anche i rilievi del Presidente della Repubblica su alcune disposizioni del disegno di legge governativo proprio perché avrebbero preteso di disciplinare oggetti riconducibili ad una materia costituzionale (cfr. retro nota 23).

[35]) Vedi retro n. 19. Si tenga presente che Lavagna (op. cit., pag. 432) aveva anche ipotizzato la necessità che una legge costituzionale successiva convalidasse la legge costituzionale del febbraio 1948.

[36]) Atti parlamentari. Camera dei deputati. Prima legislatura. pag. 27191. Si tratterebbe quindi di una disposizione che non garantisce a questa legge una speciale collocazione nel sistema gerarchico delle fonti (come pure da alcuni si è sostenuto), ma che esclude la configurabilità di vizi di costituzionalità per motivi di riparto della materia fra le disposizioni costituzionali e questa legge ordinaria.

[37]) Cfr. Alfonso Tesauro, Camera dei deputati, Documenti – disegni di legge e relazioni, n.469-A, Relazione della Commissione speciale nominata dal Presidente, pag.20 e segg. Sul tema, per tutti Carlo Lavagna, op. cit., pag. 434 ss.; Ernesto Brunori, La Corte costituzionale, Firenze, Cya 1952, pag. 5 ss. (ivi anche bibl.); Antonino Pensovecchio Li Bassi, Le nuove leggi sulla Corte costituzionale, Foro padano, IV, col. 4 ss.

[38]) Rispetto ad una precedente proposta di ammettere al voto anche magistrati di grado inferiore ma assimilati per funzione.

[39]) Alfonso Tesauro, op.cit., pag. 24/5. Da notare che le considerazioni riportate vengono espresse a titolo personale da Tesauro, che peraltro, in quanto relatore della Commissione, ripropone il testo che era stato adottato dal Senato.

[40]) Degli stessi primi cinque giudici nominati dal Parlamento, due sono deceduti prima del termine del mandato.

[41]) Alfonso Tesauro, op.cit., pag. 26.

[42]) Alfonso Tesauro, op.cit., pag. 34.

[43]) Cfr. Alfonso Tesauro, op.cit., pag.. 37 ss. Peraltro, a riprova della perdurante diffusione di letture dell’art. 136 Cost. in senso opposto, cfr. Carlo Lavagna, op.cit., pag. 443/444 e Antonino Pensovecchio Li Bassi, op.cit., col. 15 ss.

[44]) Cfr. Alfonso Tesauro, op.cit., pag. 38 ss. Anche a proposito di questa scelta infine operato appare significativo che a livello dottrinale (cfr. Carlo Lavagna, op.cit., pag. 446/7) si chieda di trasferire la disposizione nella legge costituzionale.

[45])  Giovanni Persico, op.cit., II, pag. 118 ss. Egli si riferisce anche ad un’opinione in tal senso espressa da De Gasperi.

[46]) Si veda la vivace ricostruzione della vicenda in Piero Calamandrei, L’ostruzionismo cit., pag. 443 ss.

[47]) Si veda l’appunto, datato 18 febbraio 1953, Sulla nomina dei giudici della Corte costituzionale (manoscritto), in Segretariato della Presidenza della Repubblica. Servizio archivio storico, documentazione e biblioteca, Discorsi e messaggi del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, Roma 2005, pag. 398. In questo documento, relativo ad un incontro con il Guardasigilli Zoli, si dà atto che De Gasperi e Zoli “sono d’accordo nel ritenere opportuno conservare la formula Senato”, malgrado l’esistenza di alcune pressioni contrarie all’interno dei gruppi parlamentari.

[48]) Per i giuristi può essere indice significativo anche il fatto che i lunghi lavori parlamentari e la stessa loro fine non furono accompagnati che da pochi commenti analitici.

[49])Antonino Pensovecchio Li Bassi, op.cit., col. 2.

[50]) Paolo Barile, La Corte costituzionale organo sovrano: implicazioni pratiche, Giur. cost. 1957, pag. 907 ss. (ivi bibl. sugli altri autori che iniziano a ricostruire in termini adeguati il nuovo organo).

[51]) Per tutti, cfr. Elezioni e nomine dei giudici costituzionali, Giur. cost. 1956, pag. 154 segg.; Giuseppe Ferrari, La difficile nascita della Corte costituzionale, Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1988, ora in 1956-2006. Cinquant’anni di Corte costituzionale, Corte costituzionale, Roma 2006, II, pag. 1274 ss.; Francesco Bonini, op. cit., pag. 91 ss.

[52]) Francesco Bonini, op. cit, pag. 104 ss..; Giuseppe Ferrari, op.cit., pag. 1281/2.

La stampa accennò perfino all’intenzione del nuovo Presidente della Repubblica di rivolgere un apposito messaggio alle Camere. D’altra parte, è ben noto che già in precedenza Gronchi, come uomo politico e Presidente della Camera, si era più volte impegnato per la rapida realizzazione della Corte costituzionale, anche in esplicita polemica con alcuni dei suoi colleghi di partito (si veda, ad es., Giovanni Gronchi, Una politica nuova, Roma 1955, pag. 14/5). Gronchi inoltre, subito dopo la sua elezione a Presidente della Repubblica, nel “messaggio al Parlamento italiano” si era espressamente riferito alla doverosa entrata in funzione della Corte costituzionale (lo si veda in Discorsi d’America, Garzanti, Milano 1956, pag. 103).

[53]) Ciò rileva ormai perfino in termini numerici, poiché fra i 93 giudici costituzionali complessivamente nominati in cinquanta anni, 31 risultano nominati dalle supreme magistrature, 29 dal Parlamento, 33 dal Presidente della Repubblica (è ovvio che su questi numeri pesa anche il ricambio anticipato di vari giudici, che peraltro riguarda tutte le categorie). Da un mio tentativo di calcolo dei periodi nei quali la Corte ha dovuto operare senza il plenum a causa di ritardi delle nomine parlamentari, sembra che complessivamente si sia superata la soglia dei dodici anni di assenza di un giudice di designazione parlamentare.

[54]) Andrea Simoncini , op.cit., pag. 3072 ss.

[55]) Ibidem.

[56]) Enrico Tullio Liebman, Le “Norme integrative” per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, Monitore dei tribunali 1956, pag. 33.

[57]) L’articolo in parola è anch’esso il frutto del lavoro della Commissione speciale della Camere (cfr. Alfonso Tesauro, op.cit., pag. 34) che sostituisce il precedente rinvio (risalente al d.d.l. governativo) alle disposizioni del Codice di procedura civile “relative al ricorso per cassazione”, con la sommaria motivazione che è più opportuno riferirsi “alle norme che regolano la procedura di una giurisdizione in cui oggetto del giudizio sono atti pubblici”.

[58]) Per tutti si rinvia a Damiano Nocilla, Aspetti del problema relativo ai rapporti fra le fonti che disciplinano la Corte costituzionale, Giur. cost., 1966, pag. 1980 ss. ; Sergio Panunzio, I regolamenti della Corte costituzionale, Cedam, Padova 1970; Paolo Carnevale, “Ecce iudex in ca(u)sa propria”: ovvero della Corte-legislatore dinanzi alla Corte giudice (prime riflessioni sulla posizione della giurisprudenza della Corte costituzionale intorno al problema della natura delle norme di autoregolamentazione dei propri giudizi nel quadro del dibattito dottrinario), in L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, a cura di Pasquale Costanzo, Giappichelli, Torino 1996, pag. 35 ss.; Antonio Ruggeri, Antonino Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino 1998, pag. 50 ss. ; Elena Malfatti, Saulle Panizza, Roberto Romboli, op.cit., pag. 48 ss.

[59]) Vezio Crisafulli, La funzione della Corte costituzionale nella dinamica del sistema: esperienze e prospettive, in La giustizia costituzionale, a cura di Giuseppe Maranini, Vallecchi, Firenze 1966, pag. 87.

[60]) Si ringrazia pertanto vivamente il prof. Rodolfo Bracci, nonché il prof. Giovanni Grottanelli De’ Santi per la loro cortese disponibilità.

Questi materiali, che comprendono -oltre a quanto detto nel testo- anche le proposte di altri giudici e vari appunti, potrebbero essere utilmente pubblicati, unitamente ai verbali della Corte, per rendere nota una non secondaria vicenda normativa della Corte costituzionale e del nostro complessivo ordinamento.

[61]) Corte costituzionale. Ufficio studi e regolamenti, Norme processuali per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (secondo coordinamento), 5 marzo 1956. Si tratta di un testo dattiloscritto di 23 cartelle in cui si dà atto dei lavori svolti dalla Corte e dallo stesso Bracci (il 25 febbraio aveva già diffuso un testo coordinato per chiedere opinioni e proposte agli altri giudici), si illustrano i “criteri giuridici formali” seguiti, si riporta il testo coordinato con anche le osservazioni “di natura sostanziale” di alcuni altri giudici alle disposizioni proposte.

[62]) E’ significativo della circolazione di queste considerazioni il fatto che siano riportate quasi alla lettera nel commento di Liebman (op. cit., pag. 34), che peraltro aggiunge la valutazione che la maggior parte delle disposizioni del Regolamento del Consiglio di Stato “risulta inapplicabile ai giudizi davanti alla Corte, e la disciplina di questi rimarrebbe d’altro lato pericolosamente incompleta”.

[63]) Enrico De Nicola, La Corte inizia la sua attività, ora in 1956-2006 cit. , I pag. 13, e Il primo incontro con la stampa, ivi, pag.75.

[64]) Gaetano Azzariti, Dopo un anno di attività, ora in 1956-2006 cit., I pag. 18.

[65]) Paolo Barile, op. cit., pag. 922. Può essere interessante notare che una disposizione legislativa da lui indicata come necessariamente da mutare, in quanto contraddittoriamente prescrivente per il personale della Corte lo status professionale dei dipendenti della Corte di cassazione (secondo comma dell’art. 14 della legge n. 87 del 1953), verrà ben presto abrogata ad opera dell’art. 4 della legge 18 marzo 1958.

[66]) In occasione del giuramento dei giudici della Corte costituzionale, in Segretariato della Presidenza della Repubblica. Servizio archivio storico, documentazione e biblioteca, Discorsi e messaggi del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, Roma 2005, pag. 135 (lo si veda pure in Mario Battaglini, Mattia Mininni, Codice della Corte costituzionale, III ed., Cedam, Padova 1964. pag. 4).

[67]) Gaetano Azzariti, Dopo un anno cit. pag. 18; La posizione della Corte costituzionale nell’ordinamento dello Stato italiano, in Studi sulla Costituzione, Giuffrè, Milano 1958, III, pag. 447; Commemorazione di EnricoDe Nicola, in Mario Battaglini, Mattia Mininni, op.cit., pag..982.

[68]) Giuseppe Guarino, Dieci anni di vita costituzionale: bilancio e previsioni, in Amministrazione civile 1958, ora in Giuseppe Guarino, Dalla Costituzione all’Unione europea (del fare diritto per cinquant’anni), Jovene 1994, II, pag. 319 ss.