LE ZONE D’OMBRA NEL
GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
(Versione provvisoria)*
di
Marilisa D’Amico
(Ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università degli studi di Milano)
1. Considerazioni introduttive: la riforma costituzionale del
2001 fra interpretazione sostanziale e scelte processuali. 2. I vizi delle
leggi:
1.
Considerazioni introduttive: la riforma costituzionale del 2001 fra
interpretazione sostanziale e scelte processuali
Affrontare a tutto campo
una riflessione sugli elementi controversi del giudizio “in via principale”
consente di ragionare a fondo sul ruolo del Giudice costituzionale
nell’inveramento della riforma “federalista”; del resto, a quasi cinque anni
dall’entrata in vigore della riforma costituzionale del Titolo V, è possibile
tracciare alcuni punti fermi della giurisprudenza costituzionale.
C’è un filo rosso che
unisce la giurisprudenza costituzionale sul nuovo Titolo V - la quale ha
interpretato il dettato costituzionale in modo molto diverso, a mio avviso,
rispetto al quadro costituzionale emergente dal solo “testo” della
Costituzione, alla luce anche delle letture date dai primi commentatori - e le
scelte processuali della Corte[1].
In modo più o meno
consapevole, nell’affrontare la sostanza e il processo,
Sulla Carta, il
legislatore costituzionale introduceva, infatti, una vera e propria inversione
di ruoli fra Stato e Regioni in relazione alle competenze legislative, nel
senso che le competenze statali divenivano tassative e numerate, mentre la
legge regionale assurgeva a fonte “a competenza generale”, dal momento che
tutte le materie non espressamente previste nei commi 2 e 3 del nuovo art. 117
Cost. divenivano, ai sensi del comma 4 dell’art. 117 Cost., di “competenza
regionale”.
Parimenti, il controllo
di costituzionalità sulle leggi regionali mutava profondamente, dal momento che
diveniva successivo rispetto all’entrata in vigore della legge, ed identico,
quanto ai termini di impugnazione, a quello spettante alle Regioni nei
confronti delle leggi statali.
Il legislatore
costituzionale intendeva dunque creare una forma di Stato nella quale Stato e
Regioni fossero su un piano di sostanziale parità e nel quale le competenze
legislative fossero ripartite fra di essi secondo uno schema tipico degli Stati
a tradizione federale; il processo costituzionale, di conseguenza, avrebbe
dovuto riflettere questa scelta ordinamentale.
La giurisprudenza
costituzionale, nell’interpretazione della riforma e delle stesse materie[3],
pur non svalutandola completamente, ne ha però eroso, poco a poco, il suo
significato “rivoluzionario”[4].
Così, in particolare,
quella che avrebbe dovuto essere un contenitore aperto, che avrebbe potuto
accrescere a dismisura le materie di competenza della Regioni, in quanto
potenzialmente in grado di accogliere tutte le materie “nuove”, e cioè la
competenza esclusiva regionale ex
art. 117, comma 4, Cost., è stata dalla Corte interpretata in modo molto
riduttivo[5];
ancora più evidente è stato il tentativo ”in
alcuni casi notevolmente creativo, diretto a trovare un fondamento
costituzionale a interventi legislativi statali che, a prima vista, potrebbero
apparire estranei all’elenco “tassativo” delle competenze centrali enunciate
nel secondo e terzo comma dell’art. 117 Cost.”[6].
Infatti,
nell’interpretare il significato complessivo dei rapporti fra Stato e Regioni,
Questo orientamento
giurisprudenziale espansivo della potestà legislativa statale ha trovato
un’ulteriore espressione nella disciplina di quelle materie che, per effetto
della riforma, hanno mutato titolarità tra Stato e Regioni. Pur affermandosi il
principio della “reciproca cedevolezza” - espressiva, come detto, dell’esigenza
di continuità dell'ordinamento giuridico e codificata dalla Legge “
Ma si pensi, ancora, alla
controversa questione sul “condono edilizio” decisa con la sent. n. 196 del
2004, ove l’applicazione del principio di continuità finisce con l’incidere
sugli effetti nel tempo della decisione della Corte (decisione sulla quale v.
anche par. n. 7).
Pertanto, per chi ragiona
nell’ottica di spazi di maggiore competenza delle Regioni, l’analisi
complessiva della giurisprudenza costituzionale dà l’impressione di un
ridimensionamento del significato originario della riforma[12].
Secondo Valerio Onida[13]
“(…) le norme costituzionali sul riparto
di competenze fra centro e periferie sono, si direbbe per loro natura, fra le
più “elastiche”. Le esigenze “di ragione” e di opportunità istituzionale
prevalgono su una lettura letterale o anche solo restrittiva degli elenchi di
materie. Il che comporta che la “rivoluzione” del 2001, con il rovesciamento
dei rapporti fra legislazione statale (ormai circoscritta alle materie
elencate) e legislazione regionale “residuale”, produce effetti meno drastici
di quelli che si sarebbero potuti pensare”.
Al tempo stesso,
l’analisi di questa giurisprudenza ci rende consapevoli che qualsiasi riforma
costituzionale deve fare i conti con il contesto socio-giuridico in cui viene
calata, che è determinante per l’inveramento della riforma stessa e di cui si
dovrebbe tenere conto prima di elaborare i meccanismi tecnici, i quali non
dovrebbero mai essere fatti in modo astratto e a tavolino[14].
Molti commentatori hanno
parlato, e parlano ancora oggi, di una notevole “ambiguità” della riforma costituzionale,
che é la vera causa del ruolo assunto dalla Corte nella sua interpretazione e,
oserei dire, correzione. Vero è che rispetto ad altri modelli federali il
legislatore del 2001 era stato cauto e aveva, ad esempio, assegnato allo Stato
molte materie, in grado effettivamente di incidere sulle materie di competenza
regionale, anche esclusiva. Tuttavia, a mio avviso, l’intento del legislatore
di ribaltare il rapporto fra legge regionale e legge statale era chiarissimo,
come pure era chiara la volontà di operare una parificazione fra gli enti in
ordine al controllo di costituzionalità: l’ambiguità, se mi si passa questa
affermazione, è creata invece dallo Stato, il quale continua ad interpretare il
suo ruolo come se nulla fosse cambiato, e dunque legifera pienamente anche in
materie di competenza regionale; dalle Regioni, le quali appaiono del tutto
inconsapevoli del mutato ruolo sul piano legislativo, e non esercitano affatto,
in molti casi, le competenze nelle materie di loro spettanza; dalla stessa Corte
costituzionale, la quale legge le norme costituzionali alla luce delle leggi
esistenti e non viceversa, erodendo i nuovi spazi assegnati sulla carta alle
Regioni.
Le scelte processuali
della Corte costituzionale confermano pienamente l’atteggiamento tenuto sul
piano sostanziale.
Il filo rosso, dunque,
che unisce la giurisprudenza sostanziale e il processo è quello di una lettura
della riforma alla luce della realtà esistente, riforma incapace, almeno
leggendo le decisioni costituzionali, di operare quella rivoluzione
“copernicana” che il legislatore costituzionale auspicava, forse con una certa
dose di ingenuità, ma che i primi commentatori, fra cui la sottoscritta, forse
ancor più ingenuamente, esaltavano[16].
Un’analisi a tutto campo
delle scelte processuali smentisce le profonde considerazioni di Roberto Bin[17],
il quale riteneva, giustamente, che, sulla carta, l’unica vera novità della
riforma costituzionale fosse il nuovo art. 127 Cost.: la parità processuale
avrebbe trasformato, secondo l’autore, a fondo i rapporti fra lo Stato e le
Regioni, più dell’apparente trasformazione dell’ampiezza delle competenze
legislative sancita dall’art. 117 Cost. Con la propria giurisprudenza, come
vedremo,
Si conferma così quella
inestricabile relazione fra sostanza e processo[18]:
anzi, una particolare dipendenza delle scelte istituzionali della Corte e
l’utilizzazione degli strumenti processuali, come acutamente rileva Giorgio
Berti: “Può essere che, adottata l’idea
guida per la quale le peculiarità del giudizio di costituzionalità reagiscono
sulla disciplina del processo, anche taluni principi generali del diritto
processuale si flettano e subiscano quindi una perdita di tensione. Non si può
tuttavia sbarazzarsi facilmente dell’impressione che il Giudice costituzionale
preferisca riversare nella conduzione del processo il peso della sua posizione
istituzionale, anziché accettare in primo luogo quella comunanza di regole
processuali, nella quale si fa consistere in fin dei conti il compendio di
garanzie che danno ragion d’essere al processo”[19].
2. I vizi
delle leggi:
Nel precedente assetto
costituzionale, come noto, fin dalla sent. n. 30 del 1959,
Questa disparità di
trattamento, criticata da parte della dottrina, veniva giustificata dal Giudice
costituzionale non solo alla luce di argomenti testuali (la diversa
formulazione contenuta nell’art. 127 Cost. relativa all’interesse a ricorrere
di Stato e Regioni: queste ultime legittimate ad impugnare la legge statale che
“invada la propria sfera di competenza”;
il primo, invece, legittimato a ricorrere contro la legge regionale che “ecceda la competenza” della Regione), ma
anche per motivi di ordine sistematico, basati sulla natura “preventiva” del controllo
statale: allo Stato era riconosciuta, come volevano gli stessi Costituenti, una
funzione di tutela generale dell’ordinamento e di garanzia dell’unità e
indivisibilità della Repubblica - la c.d. funzione di “polizia costituzionale”,
secondo l’efficace espressione di Gustavo Zagrebelsky -[21],
che giustificava un suo intervento a difesa di qualunque parametro
costituzionale, tale da impedire l’entrata in vigore di una legge regionale con
esso contrastante.
All’indomani della
riforma costituzionale alcuni autori avevano osservato che la nuova
impostazione dell’art. 127 Cost., in base alla quale Stato e Regioni avrebbero
dovuto essere sottoposti ad un identico controllo successivo, avrebbe dovuto
comportare una equiparazione sul piano processuale, sotto il profilo
dell’interesse a ricorrere e, dunque, dei vizi denunciabili[22];
in tal senso era stato interpretato un obiter
dictum della sentenza n. 282 del 2002[23].
In ogni caso, l’esame dei
lavori preparatori della legge costituzionale n. 3 del 2001, che pure trascura,
anche terminologicamente, il piano dell’interesse a ricorrere[24],
mostra la chiarissima volontà del legislatore di operare, sul piano
processuale, la completa equiparazione del giudizio in via principale fra lo
Stato e le Regioni[25]:
nella relazione di maggioranza gli onorevoli Soda e Cerulli Irelli[26]
esprimono la volontà di realizzare una parità tra Stato e Regioni di fronte
alla Corte, parità che dovrà compiersi “prevedendo
che anche il Governo possa promuovere (in via successiva) dinanzi alla Corte
costituzionale questione di legittimità costituzionale su una legge regionale
soltanto qualora ritenga che essa ecceda la competenza della Regione medesima,
e non anche per qualunque vizio di incostituzionalità”.
Tuttavia il nuovo testo
dell’art. 127 Cost., pur ponendo Stato e Regioni sullo stesso piano in ordine
alle modalità e ai tempi dell’iniziativa, mantiene invariata la precedente
diversità di formulazione riguardo ai parametri rispettivamente deducibili: per
il ricorso governativo si parla di “legge
regionale che ecceda la competenza della Regione”, mentre per il
corrispondente ricorso regionale si fa riferimento ad atto legislativo dello
Stato o di altra Regione che “leda la sua
sfera di competenza”.
In una prima pronuncia,
la sent. n. 94 del 2003,
Tale pronuncia, come è
noto, precede la decisione nella quale
Il permanente
riconoscimento di un ruolo “peculiare” dello Stato risponde all’esigenza di
mantenere una effettiva e completa possibilità di controllo statale sulle leggi
regionali, esigenza tanto più avvertita oggi in conseguenza del superamento
della fondamentale fase di dialogo tra Stato e Regione - efficacemente definita
“contrattazione” - che, vigente il vecchio art. 127 Cost., aveva luogo
preventivamente rispetto al perfezionamento dell’iter legis[32], attraverso, eventualmente, la prassi
dei c.d. rinvii plurimi[33].
L’esistenza di tale sistema di controllo - pure assai farraginoso e,
certamente, poco conforme ad un modello federale dei rapporti tra Stato e
Regioni - permetteva infatti di raggiungere soluzioni negoziali preclusive
rispetto alla fase contenziosa davanti alla Corte, che, anche per questo, aveva
dimensioni ben più contenute di quella attuale[34].
Oggi, al contrario, la ricerca di una definizione politica della controversia
si sposta in un momento successivo, non mancando casi in cui il giudizio si
definisce, appunto, sul piano politico, mediante un intervento legislativo
regionale nel senso “desiderato” dal Governo.
Tralasciando questa
interessante prospettiva d’indagine - che si riconnette, più in generale,
all’esigenza di individuare efficaci strumenti di raccordo compensativi dei
vuoti lasciati dalla riforma del 2001 - per soffermarci ancora un attimo sul
problema dei parametri evocabili dai ricorrenti, ci si può chiedere se il
rigore con cui
Mi chiedo dunque se non
ci sia spazio, di fronte ai numerosi casi concreti nei quali tale lacuna appaia
evidente, di riproporre alla Corte il problema: tollerare che un ordinamento
non ponga rimedio alle incostituzionalità delle leggi, affidandosi alla sola
via incidentale, le cui strettoie potrebbero rendere difficile o ritardare il
sindacato, è contrario senz’altro al principio che impone un controllo di
costituzionalità sulle leggi di Stato e Regioni, al fine di espellere
dall’ordinamento le norme incostituzionali.
Potrebbe poi sussistere
un’esigenza di economicità che verrebbe sacrificata precludendo in termini
assoluti alle Regioni la possibilità di denunciare in via diretta - se non
qualsiasi vizio - la lesione di parametri ulteriori rispetto a quelli
attributivi delle competenze, pur potendolo fare in via incidentale (magari
promuovendo appositamente la questione di costituzionalità).
Si potrebbe pensare,
allora, ad un’apertura condizionata dall’esigenza di non tollerare “zone
franche” dal controllo di costituzionalità, parallelamente a quanto avvenuto
quando
Indubbiamente, l’ampliamento
del parametro evocabile da parte della Regione non credo possa essere spinto
fino ad una totale assimilazione dei due ricorrenti[39].
Pur nell’ambito di un disegno organizzativo ispirato al policentrismo -
principio questo, che, in ogni caso, esclude l’omologazione dei soggetti
territoriali di cui all’art. 114 Cost.-[40],
infatti, Stato e Regioni occupano posizioni ben differenti, essendo queste
ultime entità derivate, espressione di un ordinamento parziale che opera
nell’ambito dell’ordinamento generale dello Stato[41].
Del resto, l’eventuale
adeguamento “verso l’alto” - suscettibile di essere operato con forme e
modalità assai diverse, tenuto anche conto delle imprevedibili ricadute di
ordine processuale - deve confrontarsi con il pericolo della crescita
esponenziale del contenzioso, già sotto gli occhi di tutti[42],
e ciò, di tutta evidenza, potrebbe costituire un ostacolo rilevante alla
percorribilità di questa opzione.
Ritengo, tuttavia,
proprio per le ragioni che precedono, che problemi di funzionalità dello
scrutinio non possano costituire di per se stessi argomenti preclusivi
all’individuazione di soluzioni efficaci per la tutela della Costituzione.
2.1 La controversa
utilizzazione dell’interesse a ricorrere
Una zona d’ombra nel
giudizio sulle leggi in via principale, confermata nettamente dalla
giurisprudenza successiva alla riforma costituzionale, è costituita
dall’utilizzazione da parte della Corte della nozione di “interesse a
ricorrere”[44].
Come è noto, nella maggior
parte delle decisioni, l’applicazione dell’interesse a ricorrere è confusa con
quella dei parametri utilizzabili, rispettivamente, dallo Stato e dalle Regioni
nel sollevare le questioni dinanzi alla Corte[45].
Così, coerentemente con lo squilibrio processuale in ordine ai parametri, che
consente allo Stato di far valere vizi diversi da quelli della lesione di
competenza, che, viceversa, limitano le impugnative regionali nei confronti
delle leggi statali, osserviamo che
In dottrina[46],
seguendo questa impostazione, sono ascritte a sentenze dove difetta l’interesse
a ricorrere decisioni nelle quali
Nella giurisprudenza
della Corte, in ogni caso, l’utilizzazione specifica del termine processuale di
“interesse a ricorrere” si riscontra soprattutto in decisioni nelle quali la
norma viene meno successivamente all’instaurazione del giudizio, oppure vengono
meno o mutano elementi di riferimento che farebbero cadere la stessa questione[47].
Non sempre però
L’analisi di questo tema
rinvia a una problematica molto più ampia che tocca, in generale,
l’utilizzazione nel processo costituzionale di termini e nozioni processuali
“presi a prestito” da altri processi: come abbiamo in altra sede messo in luce,
tale utilizzazione, dovuta senz’altro a ragioni storiche (e cioè al particolare
modo in cui nasce il processo costituzionale), è causa di applicazioni ambigue
e della stessa ambiguità del processo costituzionale[49].
In parole più semplici,
mi sembra che l’interesse a ricorrere nel giudizio in via principale non possa
affatto coincidere, e di fatto non coincide, né con la nozione civilistica, né
con quella amministrativistica; di fatto, nella giurisprudenza costituzionale,
l’utilizzazione di questo istituto, per il modo ambiguo in cui si viene a
concretizzare, non appare d’aiuto nel risolvere specifici problemi: al
contrario, essa è d’impaccio in molti casi, trasformandosi in una valutazione
successiva all’esame del merito della questione da parte della Corte.
L’ambiguità della nozione e la sua conseguente ambigua utilizzazione
sembrerebbe richiamare per analogia l’utilizzazione del termine
“pregiudizialità” nel giudizio in via incidentale, che non è mai stata definitivamente
chiarita ed anzi ha costretto
In ogni caso, la riforma
del 2001 avrebbe dovuto parificare il ricorso all’interesse a ricorrere per lo
Stato e per le Regioni, ma così non è avvenuto: rimane lo squilibrio sui motivi
deducibili; rimane la valutazione a senso unico dell’interesse a ricorrere;
rimangono, inoltre (pur mancando talvolta una giurisprudenza sufficiente per
giungere a considerazioni definitive), alcuni dubbi sull’utilizzo che
Qualche esempio di questa
perdurante ambiguità. Nelle decisioni in cui
Cosa potremmo chiedere al
Giudice costituzionale? Di non far ricorso alla nozione in modo tralatizio; di
chiarire definitivamente il rapporto fra motivi deducibili, interesse e norme
impugnabili e impugnate; in parole più semplici, di superare quella profonda
ambiguità nella considerazione del processo in via principale come processo “di
parti” dal punto di vista soggettivo, ma come processo avente ad oggetto un
interesse pubblico e generale che trascende l’interesse di parte. Entrando nel
merito di questioni poste senza che le Regioni abbiano in concreto subito
alcuna lesione,
Questo risultato,
tuttavia, da un punto di vista teorico, è causa di molte difficoltà esegetiche.
E se si considera che le ambiguità del giudizio in via d’azione esulano dal
solo tema dell’interesse a ricorre per involgere anche altri aspetti
processuali - quali il ricorso alla declaratoria di illegittimità
costituzionale consequenziale (es. sentt. nn. 338 del 2003, 166 e 272 del 2004)[51],
o la titolarità di un potere d’ufficio della Corte rispetto alla sospensione
della legge in pendenza del giudizio[52],
o, come si vedrà tra breve, la strutturazione del contraddittorio - ben si
comprendono le difficoltà dogmatiche connesse all’esatta sussunzione del
giudizio de quo in un modello di Verfassungsgerichtsbarkeit o Staatsgerichtbarkeit[53].
2.2
L’inammissibilità di questioni aventi a parametro gli artt. 76 e 77 Cost. fra
regola ed eccezioni
Fra i vizi denunciati
dalle Regioni che più frequentemente non trovano ingresso nel giudizio in via
principale, almeno stando all’indirizzo consolidato appena esposto, alcuni mi
paiono particolarmente gravi: l’impossibilità di denunciare illegittimità
costituzionali in ordine alla (presunta incostituzionale) utilizzazione da
parte dello Stato di leggi-delega, nonché alla possibilità di sindacare il
rapporto fra decreti legislativi delegati e leggi-delega.[54]
Sono numerosissime
infatti, a partire dall’entrata in vigore della riforma costituzionale, le
pronunce di inammissibilità di questioni sollevate in riferimento agli art. 76
Cost.: nella quasi totalità dei casi
Esaminerei distintamente
le varie ipotesi, dal momento che ognuna di esse presenta profili altamente
problematici (e criticabili).
In un primo gruppo di
casi le Regioni avevano impugnato leggi-delega, contestando che lo Stato
potesse utilizzare tale strumento al fine di determinare i principi
fondamentali nelle materie di competenza legislativa concorrente.
Tuttavia, proprio per la
serietà della censura regionale,
Successivamente, nella
sent. n. 205 del 2005,
Secondo
In un
caso successivo (sent. n. 270 del 2005), però, ritenuto inammissibile in quanto
avente formalmente a parametro l’art. 3 Cost., senza che fosse dimostrata la
lesione della sfera di competenza costituzionale delle Regioni,
Nella sent. n. 383 del
2005, dunque, in applicazione di questo orientamento,
Così, nella sent. n. 384
del 2005,
Il secondo gruppo di
casi, invece, riguarda sempre l’utilizzo da parte delle Regioni del parametro
dell’art. 76 Cost., ma per il profilo del rapporto tra legge di delega e
decreto-delegato. Per queste ipotesi, come si diceva,
Pare significativo
sottolineare che, in due casi (sentt. nn. 303 del 2003 e n. 384 del 2005),
Anche in ordine alla
possibilità per le Regioni di impugnare decreti-legge, per violazione dell’art.
77 Cost.,
Ancor più che per le
censure in ordine all’art. 76 Cost.,
2.3 Ricorso statale e
regime di “autonomia costituzionale” cui fare riferimento
In un gruppo di casi,
aventi ad oggetto norme di Regioni a Statuto speciale, impugnate per violazione
di parametri costituzionali, senza che vi fossero riferimenti specifici agli
statuti speciali,
In una decisione
successiva,
Dinanzi a tanto rigore,
colpisce invece una pronuncia nella quale
3. Il
sindacato costituzionale sugli elementi del ricorso:
Una zona altamente
problematica concerne il modo in cui
Come è noto, in generale,
Nella decisione n. 533
del 2002
Tale impostazione
sembrerebbe ricalcare il rigoroso orientamento che
Un’analisi della
giurisprudenza, però, fa emergere come
In alcuni casi nei quali
La relazione ministeriale
serve alla Corte in numerose recenti occasioni per superare dubbi di
ammissibilità nei confronti di ricorsi proposti contro un’intera legge, e
dunque a rigore inammissibili: così
Come è già stato
acutamente osservato[57],
sembra corretto ritenere inammissibile il ricorso, quando sia impugnata un’intera
legge e nemmeno la relazione del Ministro contenga una specificazione dei
motivi. Tuttavia risulta criticabile che
La giurisprudenza più
recente, però, sembrerebbe seguire questa impostazione: nella sent. n. 95 del
2005,
3.1 Segue:
corrispondenza fra delibera della Giunta e ricorso
Nonostante alcuni dubbi
prospettati in dottrina, il principio della corrispondenza fra la delibera
dell’organo politico competente a deliberare il ricorso e il contenuto del
ricorso stesso[58] è stato
applicato dalla Corte anche con riferimento all’ipotesi speculare, e cioè
quella del ricorso regionale nei confronti di leggi statali.
Non essendo però previsto
all’interno della Regione un meccanismo analogo a quello statale, relativo alla
previa relazione ministeriale, che supporta la delibera consiliare e l’esame
stesso del ricorso da parte della Corte, va notato che il sindacato della Corte
sugli eventuali vizi di genericità del ricorso regionale appare senz’altro più
severo.
Consolidato, infatti, è
l’indirizzo in base al quale
Due casi recenti
confermano il severo atteggiamento del Giudice costituzionale nei confronti dei
ricorsi regionali: nella sent. n. 50 del 2005
3.2 I requisiti
“minimi” del ricorso
In generale,
Nella sentenza n. 213 del
2003,
In passato, però,
Sono numerose, dunque, le
pronunce di inammissibilità per genericità (o insufficienza) del ricorso
(sentt. nn. 73 e 75 del 2004; sentt. nn. 37, 272, 336, 360, 384, 417, 462 del
2005), per mancanza di requisiti minimi (sent. n. 176 del 2004), e, più in
generale, per totale mancanza o insufficienza della motivazione, soprattutto
con riferimento al vulnus
costituzionale nei confronti del parametro sollevato (così, sentt. nn. 242 e
222 del 2003; 198 e 354 del 2004;).
Nella decisione n. 303
del 2003,
Vi sono infatti alcuni
casi nei quali
Così nella sent. n. 533
del 2002,
In altro caso,
Evidente dunque
l’oscillazione nell’esame compiuto dalla Corte: si osservino, ad esempio le
sentt. n. 205 e 335 del 2005: nel primo caso
Più convincente, invece,
la giurisprudenza in cui manchino del tutto gli argomenti minimi, dove
addirittura non si specifica neanche “le parti dell’articolo impugnato che
eccederebbero dalla formulazione di un principio fondamentale (sent. 336 del
2005).
Affermando il principio
in base al quale il thema decidendum
deve essere individuato dal ricorso, potendo solo sul contenuto dello stesso
svolgersi il contraddittorio,
4.
Problematiche attinenti ai poteri della Corte sul thema decidendum: stralcio, riunione dei ricorsi e principio
della corrispondenza fra chiesto e pronunciato
Una delle novità della
giurisprudenza costituzionale successive alla riforma del 2001 è costituita dal
potere che
Si tratta di una vera
novità, perché nella sua giurisprudenza
Come la dottrina più
attenta ha rilevato, in passato
Piuttosto, la dottrina
non aveva mancato di rilevare che, in occasione dell’impugnazione di intere
leggi, e quindi di norme diverse, concernenti profili differenti, le scelte
processuali della Corte, necessariamente discrezionali, anche solo nella
decisione dell’ordine di esame delle questioni, comportavano riflessi sul
merito e sul tipo di risposta del Giudice costituzionale.[64]
In parole più semplici, se anche scegliendo la priorità di alcune questioni
sulle altre, facenti parte dello stesso ricorso, il Giudice costituzionale
utilizza poteri che gli consentono di “governare” il merito della decisione,
decidendo di spezzare la corrispondenza fra il contenuto di un ricorso e
l’oggetto della propria pronuncia, lo stesso giudice diviene sovrano del
proprio giudizio.
Tale giurisprudenza,
naturalmente, si fonda sulla giurisprudenza speculare in ordine alla riunione
dei ricorsi, nella quale pure si è assistito spesso a decisioni discrezionali,
funzionali alla risposta nel merito, come la dottrina ha notato[65].
Tuttavia, la decisione di
spezzare il ricorso in pronunce diverse presenta problemi diversi e ulteriori:
intanto si assiste ad una “violazione” del principio di corrispondenza fra
chiesto e pronunciato[66];
inoltre si incide sulla formazione del contraddittorio, dal momento che in
alcuni casi le questioni separate vengono riunite ad altre sollevate da
soggetti diversi; si indebolisce anche il valore della pubblicità degli atti
introduttivi del processo costituzionale, con un meccanismo nel quale, a fronte
di una sola impugnazione, i soggetti estranei al processo dovranno fare
riferimento a decisioni separate e diverse; infine si consente ad un “giudice”
sia pure sui generis, come
Nella sua giurisprudenza,
I casi più rilevanti,
anche per l’entità dello “spezzettamento” riguardano l’impugnazione delle leggi
finanziarie del 2002, 2003, 2004 e la cd. “legge
Come è noto, la l. n. 448
del 2001 (l. finanziaria del 2002), impugnata sotto moltissimi profili da ben
sei Regioni, è stata esaminata attraverso la separazione delle questioni
contenute nei diversi ricorsi e la riunione delle questioni omogenee: alla
fine, rispetto agli originari 6 ricorsi, che in passato sarebbero semmai stati
uniti e decisi con una sola pronuncia, sia pure attinente ad oggetti diversi,
In dottrina, da un lato
si è, giustamente, duramente criticata la “tecnica” utilizzata dalla Corte,
ritenuta esorbitante dai propri poteri e lesiva dei principi basilari del
processo costituzionale[68];
dall’altro, si è cercato di giustificare
l’utilizzazione di tale tecnica come tentativo “di introdurre un
deterrente contro il proliferare di ricorsi contenenti una molteplicità di
questioni tra loro disomogenee (…) e indirettamente di una sorta di operazione
di drafting anche normativo, nella
misura in cui l’impiego di tale tecnica può indurre il legislatore, statale e
regionale, a ritenere più conveniente l’approvazione di leggi a contenuto
omogeneo (…)”[69].
Se davvero fosse questa
la speranza, anche remota, della Corte, devo confessare che il rimedio mi pare
peggiore del male: rinunciare ai principi del processo costituzionale,
funzionali ad esigenze di chiarezza e di coerenza del giudizio, in nome del
tentativo di costringere il legislatore a razionalizzare i propri
provvedimenti, è davvero un costo troppo alto. Senza contare la (troppo)
scontata obiezione che oppone a tale tentativo un linguaggio e un contenuto
dell’attività legislativa che avrebbero bisogno di ben altro per essere
modificati.
Piuttosto
Un’ ultima osservazione:
se il tempo, come è noto, costituisce un fattore rilevante per valutare
l’adeguatezza e la razionalità della giustizia, non può essere senza
significato la circostanza che, spezzettando i ricorsi,
4.1 La
scomposizione delle questioni:
In contraddizione
con la giurisprudenza che, a fronte di contenuti disomogenei di un ricorso,
ritiene di poter scomporre i diversi oggetti in distinti giudizi, rispondendo
così ad un’unica domanda con decisioni separate, come abbiamo appena visto,
Nella decisione n. 313
del 2004, il Giudice costituzionale, ritenendo inammissibile una questione
sollevata su un testo normativo complesso, senza che fossero dettagliatamente
individuate le prescrizioni “asseritamente contrastanti con i parametri
invocati, implicitamente invitando questa Corte a adoperare questa
individuazione, passando al vaglio l’intero testo normativo per enucleare essa
stessa le previsioni potenzialmente in contrasto con i parametri medesimi, per
poi sottoporle al proprio giudizio”, si impegna in una affermazione in totale
contrasto con la giurisprudenza esaminata nel paragrafo precedente: in questo
caso, si afferma infatti che il ricorrente avrebbe, erroneamente, voluto “coinvolgere
questa Corte in un compito diverso da quello che, unico, le spetta: il compito
di giudicare sulle questioni così come sono sollevate, un compito che non
comprende quello di determinarne
oggetto e limiti”.
In alcuni casi, come è stato
notato[72],
Occorre allora
soffermarsi sui principi che stanno alla base di queste scelte
giurisprudenziali e sui problemi suscitati dalla scarsa coerenza nelle
decisioni processuali della Corte: la scomposizione delle questioni e la
relativa inammissibilità degli aspetti non o scarsamente motivati sono
giustificati dalla necessità di tutelare la posizione del resistente, il suo
diritto di difesa e, dunque, la corretta instaurazione del contraddittorio. Non
vi è chi non veda, però, che la selezione (discrezionale) di questioni
all’interno dello stesso ricorso ingenera confusione maggiore e viola
maggiormente il rispetto del contraddittorio di quanto non si avrebbe se
4.2
Impugnazione di intera legge:
In
generale,
Nella sent. n. 359 del
2003, il Giudice delle leggi supera le censure di inammissibilità per avere il
ricorso ad oggetto l’intera legge, ritenendo che la motivazione in esso
contenuta fosse sufficientemente chiara a spiegare gli specifici motivi,
consentendo di individuare correttamente la questione di costituzionalità
(nello stesso senso, v. la recente sent. n. 22 del 2006).
In ogni caso,
In un caso, però,
4.3 Trasferimento
dell’oggetto della questione
Sulla scia della giurisprudenza
inaugurata con la dec. n. 84 del 1996,
Il caso più noto attiene
al rapporto fra decreto-legge e legge di conversione, dove
Importante è la dec. n.
533 del 2003, nella quale
5. La formale chiusura del contraddittorio agli interventi di soggetti
diversi dalle parti necessarie del giudizio
Un tema non nuovo che,
tuttavia, risulta ancora suscettibile di futuri sviluppi per effetto della
riforma del Titolo V riguarda l’apertura del contraddittorio.
Sul punto, come noto, la
giurisprudenza costituzionale ha finora mantenuto una posizione assai rigida,
escludendo tassativamente qualunque possibilità di partecipazione alla
dialettica processuale di soggetti estranei all’asse Stato - Regione, in forza,
sostanzialmente, della già richiamata qualificazione del giudizio in via
d’azione come giudizio “di parti” - titolari in via esclusiva della
disponibilità del giudizio - e dell’inevitabile assenza di controinteressati[73].
Questa posizione di
chiusura, col tempo, è stata tuttavia oggetto di riserve da parte della
dottrina, in ragione tanto dell’impossibile preclusione per ragioni soltanto
teoriche di ogni revirement, quanto di
contingenti valutazioni di ordine processuale, tenuto altresì conto della
parallela apertura del contraddittorio nel giudizio in via incidentale e, più
di recente, seppure entro limiti stringenti, nei giudizi sui conflitti (sent.
n. 76 del 2001) e, addirittura, nello stesso giudizio di ammissibilità del
referendum abrogativo (sent. n. 31 del 2000)[74].
Pur non essendo in questa
sede possibile ricostruire i molteplici profili problematici può rilevarsi
come, già anteriormente alla riforma del Titolo V, il problema del
contraddittorio coinvolgesse tre distinte categorie di potenziali
intervenienti, ciascuna delle quali caratterizzata da problematiche specifiche.
a)
In primo luogo, le Regioni terze.
Per questa categoria di
intervenienti, prescindendo dal rilievo di ordine dogmatico sopra richiamato,
l’ostacolo principale è stato costantemente individuato nell’esistenza di un
puntuale regime dei termini, suscettibile di essere agevolmente aggirato
consentendo alle Regione terze di intervenire in giudizio decorso il termine
per agire direttamente[75].
In dottrina, del resto, con riferimento all’impugnativa di delibere legislative
regionali, si sottolineava come la circostanza che l’atto impugnato non fosse
ancora entrato in vigore, e fosse, pertanto, sprovvisto di efficacia, rendesse
“problematica la configurabilità di un interesse attuale all’intervento in capo
ad altri soggetti”[76].
A seguito della riforma
del Titolo V, il fondamento di questi rilievi sembra almeno in parte
suscettibile di ripensamento[77],
tenuto conto tanto della radicale trasformazione della legge regionale, quanto,
soprattutto, della evoluzione dello scrutinio da preventivo a successivo, tale
da rendere possibile, almeno nel caso di impugnazione statale, il concorso di
un interesse delle Regioni terze all’esito del giudizio su una legge di
contenuto analogo (se non identico) a quella in corso di approvazione da parte
dell’interveniente. Oggi addirittura più che in passato, infatti, incidendo
l’eventuale declaratoria d’incostituzionalità su un “prodotto” normativo già
perfezionato, gli altri enti derivati potrebbero ritenere opportuno sostenere -
mediante un intervento ad adiuvandum
- una scelta normativa (magari relativa ad una materia ritenuta particolarmente
“pregnante” dal punto di vista territoriale) già sperimentata altrove, ed
oggetto di ricorso governativo, contro il rischio che l’accoglimento della
questione possa costituire un precedente “scomodo”[78].
Problemi in parte diversi
sembra porre l’allargamento del contraddittorio alle Regioni terze nel caso di
impugnazione regionale di una legge statale asseritamente lesiva di competenze
territoriali. A sostegno di un’apertura in questa seconda ipotesi è stato
sostenuto che la difesa delle competenze regionali non costituirebbe un compito
esclusivo di una Regione soltanto, ma un’attribuzione spettante al sistema
regionale nel suo complesso[79].
Se, infatti, in caso di accoglimento della questione, gli effetti si producono
su tutto il territorio nazionale e non soltanto su quello della ricorrente,
allora dovrebbe ammettersi una breccia nelle maglie del giudizio a tutti gli
enti derivati in quanto titolari di un interesse concreto ed attuale rispetto
all’esito dello scrutinio[80].
Rispetto a questa evenienza, tuttavia, mi pare di assai problematica incidenza
il già ricordato regime dei termini che, di fatto, verrebbero agevolmente
aggirati mediante un intervento dopo lo scadere dei termini per il ricorso. A
tale proposito, gli stessi tentativi dottrinali, pure autorevolmente
argomentati, volti ad ovviare a questo ostacolo - mediante il divieto di
avanzare in sede di intervento ulteriori censure e la “cristallizzazione” del thema
decidendum entro i limiti del ricorso
introduttivo - non paiono, alla prova dei fatti, del tutto esenti da critiche[81].
b)
In secondo luogo, gli enti locali.
Ben maggiore rilievo
pratico assume il problema dell’intervento degli enti locali, per i quali
l’omesso riconoscimento di qualsiasi strumento di garanzia è stato giustamente
considerato una incoerenza del sistema ed una grave lacuna, finanche lesiva del
diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.[82]
(e ciò a prescindere dalla residua possibilità per le autonomie territoriali di
adire i giudici e in quelle sedi chiedere di sollevare la questione di
costituzionalità), tenuto altresì conto della logica del “policentrismo
istituzionale” sottesa alla riforma del Titolo V[83].
In quanto titolari di competenze fondate e definite in Costituzione[84],
la legittimazione delle autonomie locali ad un intervento di tipo adesivo
dipendente - come è stato efficacemente sostenuto - “non sembra infrangere il
dogma del giudizio in via d’azione come processo a parti necessarie”[85],
onde non dovrebbero porsi neppure in linea teorica i problemi di ordine
sistematico cui si è fatto cenno con riferimento all’intervento delle Regioni
terze.
La consapevolezza del
problema ora in esame è testimoniata dal tentativo di “dar voce” agli enti
locali mediante un canale di accesso diretto alla Corte oppure con la
previsione di meccanismi tali da assicurarne l’effettivo coinvolgimento in sede
di impugnazione delle leggi - sia statali che regionali - in via d’azione.
In questa opzione
“minimale”, come noto, si inserisce il meccanismo previsto dall’art. 9 della
Legge
La soluzione a mio avviso
preferibile, ed alla quale già in altra sede ho fatto cenno[90],
sarebbe quella di legittimare, attraverso un apposito intervento sulle Norme
Integrative, la partecipazione della Conferenza Stato - Città e autonomie
locali al giudizio in via d’azione[91],
conciliandosi in questo modo l’efficienza dello scrutinio con un contributo
diretto alla dialettica processuale di un soggetto istituzionalmente
rappresentativo delle autonomie.
c)
In terzo luogo, i terzi privati ed i soggetti portatori di
interessi qualificati.
Immediatamente dopo la
riforma del Titolo V in dottrina si è sottolineato come gli effetti delle
decisioni di merito della Corte incidano sull’ordinamento in termini analoghi a
quanto accade nei giudizi promossi in via incidentale[92],
producendo da questa prospettiva gli stessi effetti “concreti”, agendo i
singoli intervenienti, a differenza dello Stato, animati dal timore di ricadute
concrete della norma oggetto all’interno della società[93].
Da questa prospettiva, inoltre, non può essere trascurata la circostanza per
cui l’inversione del criterio di riparto delle competenze è tale da coinvolgere
nei giudizi che contrappongono Stato e Regioni, con maggiore frequenza rispetto
al passato, questioni attinenti alla garanzia dei diritti fondamentali facenti capo
ai cittadini[94], i
quali, sempre più spesso, almeno in linea di principio, potrebbero essere
interessati al deposito dei propri atti di intervento.
Dal mio punto di vista,
peraltro, l’apertura del contraddittorio a soggetti diversi da quelli indicati
nei punti a) e b) si rivelerebbe realmente congrua con riferimento ai soli
portatori di interessi qualificati, soprattutto ove espressivi di interessi
superindividuali. Tale esigenza, del resto, mi sembra inequivocabilmente
trasparire dall’atteggiamento seguito dalla Corte nelle decisioni più recenti.
Già prima ho fatto
riferimento all’oscillante visione del giudizio in via diretta - a volte
considerato astrattamente, altre dando rilevanza agli elementi di concretezza -
che emerge dalla giurisprudenza costituzionale. In sostanza, in tale giudizio
la connotazione contenziosa dal punto di vista soggettivo si intreccia spesso
con il fine della tutela dell’interesse pubblico e generale, che trascende da
quello delle parti.
Proprio il tema del
contraddittorio esemplifica questa tensione, laddove
In occasione della sent.
n. 150 del 2005, ad esempio,
Se questa esigenza pare
evidente - soprattutto nel giudizio in via diretta, ove mancano del tutto
elementi di “concretezza” analoghi a quelli che caratterizzano la questione
sollevata in via incidentale - il dato che mi pare importante sottolineare
riguarda la mancata formalizzazione di questo ruolo dei terzi che, invece,
sarebbe opportuna, mediante la codificazione di precise regole in sede di Norme
Integrative. Se, infatti, l’intervento di questi soggetti - che, per quanto
forse impropriamente, potremmo definire amici
curiae - potrebbe rivelarsi estremamente utile sul piano decisorio, occorre
a mio avviso disciplinarne adeguatamente le modalità. Tale esigenza, del resto,
potrebbe rivelarsi utile anche con riguardo all’eventuale riconoscimento in
capo agli intervenienti della facoltà di richiedere la sospensione della legge
in presenza dei (pur ambigui) presupposti individuati dalla legge “
La recente modifica
operata nel giugno del 2004[97]
sarebbe potuta essere un’occasione utile per intervenire sul punto,
legittimando con un’apposita norma, ad esempio, analogamente a quanto avviene
in altre esperienze straniere, il deposito di memorie illustrative da parte di
soggetti particolarmente qualificati.
Una possibilità residua
per un intervento in chiave conoscitiva - che, peraltro,
Un ripensamento sul tema
del contraddittorio, alla luce della radicale trasformazione del sistema delle
fonti e del giudizio in via diretta di cui si è dato finora conto, potrebbe per
questa via avere oggi un fondamento normativo che, peraltro, non può
prescindere da una chiara presa di posizione della Corte, essendo appunto ferma
la competenza di quest’ultima ad esprimersi in via definitiva
sull’ammissibilità dei terzi.
6. Il (discutibile)
rigore in ordine alla perentorietà dei termini processuali
Monolitica sembrerebbe la
giurisprudenza che sancisce, a pena di inammissibilità, la perentorietà di
tutti i termini processuali[99].
In tal caso
Nella giurisprudenza
della Corte sembra dunque prevalente l’interesse a che, nei rapporti fra Stato
e Regione, vengano sollecitamente rimosse le eventuali situazioni di
illegittimità costituzionale, perseguendosi dunque, in primo luogo, un
interesse di diritto obiettivo (v. sent. n. 15 del 1967).
Così, il Giudice delle
leggi ribadisce l’inammissibilità per tardività del deposito del ricorso, sia
nei confronti dell’impugnativa statale (di recente v. le sentt. nn. 20 e 391
del 2005)[100], che
di quella regionale (v. da ultimo le decc. nn. 344, 393 e 397 del 2005)[101]
e non prende in considerazione la richiesta, in un giudizio, di fare
applicazione della disciplina dell’errore scusabile (richiesta sottolineata anche
dalla proposizione di una questione di legittimità costituzionale sugli artt.
31 e 32 della l. n. 87 del 1953 “nella
parte in cui tali disposizioni precludono l’applicazione di questo istituto”
(v. sent. n. 303 del 2003)[102].
Né, per lo stesso motivo,
Una piccola modifica di
questo rigido orientamento avviene con le decc. nn. 477 del 2002, 28 e 97 del
2004 e, da ultimo, 383 del 2005, nelle quali
Nell’ambito di questa
giurisprudenza di chiusura, occorre da ultimo segnalare come
7. Novità
nello strumentario processuale:
Una novità significativa
della giurisprudenza costituzionale successiva al 2001 è costituita dal
tentativo del Giudice costituzionale di inventare strumenti che gli consentano
di modulare gli effetti delle proprie decisioni, rispettando il principio di
“continuità”[105].
Tale esigenza conduce a
due tipi di decisioni, apparentemente molto diverse fra loro, ma aventi lo
stesso scopo: quello di riconoscere l’illegittimità costituzionale di una
situazione, senza creare però un vuoto normativo, in un contesto in cui, in
assenza di un intervento legislativo da parte dei soggetti competenti, la
soppressione dell’istituto determinerebbe la lesione di diritti fondamentali
dei cittadini.
In alcuni casi,
L’applicazione del principio di continuità e
dell’impossibilità di creare un vuoto nella disciplina comporta anche che la
restaurazione esatta delle competenze possa avvenire gradualmente, e cioè con
tempi diversi da Regione a Regione: ciò risulta chiaramente in una successiva
decisione, avente ad oggetto la normativa decisa con la sent. n. 50, promossa
dalla provincia di Trento, la quale lamentava la lesione delle proprie
competenze per la persistenza nell’ordinamento della disciplina generale,
essendo per la stessa Provincia avvenuto l’adeguamento al dettato
costituzionale.
In altri casi, più
numerosi,
In alcune di esse,
Nella sent. n. 13 del
2004[107],
Questa notazione permette
alla Corte di far sopravvivere una norma che già al momento della sua adozione
era incostituzionale (in quanto intervenuta successivamente alla riforma
costituzionale del Titolo V)[110].
Dunque, l’illegittimità costituzionale è dichiarata, ma i suoi effetti sono
rinviati al momento in cui le Regioni decidano di intervenire, termine, però,
che secondo
Occorre sottolineare
dunque che, come nel caso delle decisioni di rigetto interpretative,
Tale giurisprudenza si
presta alle obiezioni già svolte in occasione delle sentenze “datate” di fine
anni Ottanta[113],
incentrate soprattutto sui (discutibili) poteri per il Giudice costituzionale
di occuparsi anche del “tempo”: con una precisazione, però, e cioè che,
utilizzati nel giudizio in via principale, questi strumenti non si prestano
all’obiezione più seria, quella legata all’incompatibilità fra efficacia futura
della decisione di incostituzionalità e natura incidentale del giudizio; rimane
aperto il problema, sottolineato ampiamente dalla dottrina, e riproposto dalla
giurisprudenza che stiamo esaminando, se
In dottrina si è
enfatizzata, come già si era fatto in occasione delle decisioni di
incostituzionalità “datate” o di quelle “di principio”, l’analogia con gli
strumenti che altri Tribunali costituzionali utilizzano, in particolare quello
tedesco: riservandomi di approfondire tale osservazione, a me pare che questa
analogia non vada valorizzata in modo eccessivo. Si tratta, in effetti, di
strumenti tecnici con i quali i giudici costituzionali incidono sugli effetti
delle proprie pronunce: tuttavia nelle decisioni della Corte che stiamo
commentando l’aspetto più significativo (e più problematico) è proprio la
circostanza che non si cerca un interlocutore unico, il Parlamento nazionale,
che sia in grado di sostituire la disciplina incostituzionale con una
disciplina nuova (e che quindi sia in grado di rispondere entro un termine
certo che lo stesso Tribunale costituzionale, in genere, assegna), ma si salva
la disciplina per evitare pericolosi vuoti normativi, in attesa dell’intervento
di tutte le Regioni. Si tratta, in parole più semplici, come abbiamo rilevato
sopra, di uno strumento tecnico con il quale si vuole garantire il principio di
“continuità”, all’interno di un’interpretazione da parte del Giudice costituzionale
che garantisce le competenze regionali solo se le stesse Regioni le sappiano
adeguatamente esercitare.
Un’ulteriore “tecnica”,
dovuta alla preoccupazione di evitare vuoti di discipline importanti
dell’ordinamento, si verifica in relazione ad una norma “abrogatrice”, la quale
viene dichiarata incostituzionale “nella parte in cui non prevede che
l’abrogazione delle norme ivi indicate decorra dalla data di entrata in vigore
della disciplina” (sent. n. 308 del 2004).
Questi strumenti, uniti
ai principi sviluppati dal Giudice costituzionale in relazione
all’interpretazione delle materie, ci consentono di comprendere fino in fondo
il ruolo centrale svolto dal Giudice delle leggi per realizzare il nuovo
assetto di competenze e il nuovo equilibrio costituzionale fra Stato e Regioni
dopo la riforma “federalista”.
L’impianto costituzionale
riformato esige, secondo
Nella creazione dei nuovi
strumenti processuali di controllo del “tempo” delle decisioni
Va segnalata, sempre in
riferimento alla questione degli effetti nel tempo delle decisioni della Corte
costituzionale, la già ricordata sent. n. 196 del 2004, relativa alla legge
statale sul condono edilizio.
8. Aspetti processuali
del giudizio sugli statuti regionali
Un ultimo profilo che, in
questa sede, potrà solo marginalmente essere affrontato riguarda uno speciale
tipo di giudizio in via principale, ovvero il giudizio di costituzionalità
degli statuti disciplinato dall’art. 123 Cost.
Il (relativamente)
limitato numero di decisioni ed il carattere inedito di questo sindacato - come
tale insuscettibile di ogni raffronto - non rendono possibile scindere la
trattazione degli aspetti processuali da quelli sostanziali relativi all’iter genetico degli statuti ed ai
rispettivi contenuti[119]
e ciò, inevitabilmente, ostacola la selezione dei profili che in questa sede
rilevano. Inoltre, come è stato recentemente evidenziato, la ricerca di un filo
conduttore che leghi tutte le decisioni è resa complessa dal concorso di talune
discordanze ed oscillazioni tali dal far dubitare l’esistenza di un unico,
chiaro e coerente indirizzo giurisprudenziale[120].
Può comunque essere
opportuno sottolineare come il giudizio disciplinato dall’art. 123 Cost.
ricalchi nei tratti essenziali il giudizio in via principale, del quale,
spesso, ripropone le difficoltà interpretative ed applicative (si pensi, ad
esempio, al problema dell’intervento di soggetti terzi, che
Oggetto di approfonditi
e, talvolta, animati dibattiti scientifici, il contributo della giurisprudenza
costituzionale nella esegesi di quei profili rimasti oscuri nella formulazione
del legislatore si è dimostrata determinante[121].
Muovendo, in primo luogo,
dalla dimensione procedimentale (dell’iter
statutario) e da quella processuale costituzionale (che, sul punto, sono
inestricabili) dell’art. 123 Cost., determinanti, per quanto problematici, si
sono rivelati l’accertamento del carattere preventivo del ricorso del Governo
(v. sent. n. 304 del 2002)[122],
l’esclusione di ogni possibilità di impugnazione successiva (dunque ex art. 127 Cost.) delle norme
statutarie (v. sent. n. 469 del 2005)[123]
e, ancora, l’esclusione della possibilità di impugnazione degli statuti da
parte di soggetti diversi dall’Esecutivo[124]
(sent. n. 378 del 2004)[125].
Ciò che, in linea
generale, accomuna tutte queste decisioni si sostanzia nella tendenziale
omogeneità con cui
Questo generalissimo
rilievo - e su ciò mi sento di insistere per non essere fraintesa - non vuole
risolversi in una acritica accettazione della giurisprudenza statutaria, che,
anzi, soprattutto con riguardo al “merito”, presta il fianco a molte riserve,
come, del resto, è emerso dall’intenso dibattito scientifico degli ultimi anni.
Indubbiamente,
Analoghe considerazioni,
peraltro, possono estendersi alla stessa reiterabilità del controllo
recentemente riconosciuta dalla Corte[131]:
se quanto enunciato nella sent. n. 469 del 2005 costituisce infatti uno
sviluppo coerente di quel “diritto vivente” originato dalla più volte citata
sent. n. 304, tale opzione pare suscettibile di riproporre quanto, vigente il
vecchio art. 127 Cost., accadeva alle delibere legislative rinviate dal Governo:
infatti, come efficacemente rilevato, tra i “vecchi” rinvii plurimi ed i
“nuovi” ricorsi plurimi “la differenza attiene al momento ed alle forme del
controllo, non già alla sostanza o agli effetti”[132],
donde il rischio della sospensione sine
die dell’entrata in vigore degli statuti, evenienza difficilmente
conciliabile con lo spirito autonomistico sotteso alle riforme costituzionali
del 1999 e 2001.
Tuttavia,
come in un continuo alternarsi di luci ed ombre, la giurisprudenza
costituzionale - pur senza contraddire le conseguenze “riduttive” che, rispetto
ai profili poc’anzi affrontati, dalla stessa derivano - sembra al tempo stesso
avere riservato ai legislatori statutari alcuni significativi margini di
autonomia.
A
questo proposito, degne di nota mi sembrano alcune decisioni, sia “della prima
ora” che più recenti.
Tra le
prime, può ricordarsi, ancora, la sent. n. 304, con cui
La
stessa sent. n. 469 del 2005, pur suscettibile delle incongruenze sopra
descritte può, da una diversa prospettiva, essere letta in termini non negativi
rispetto all’autonomia regionale, nella parte in cui, ribadito il carattere
preventivo dello scrutinio di costituzionalità, specifica come la reiterabilità
del controllo, pur lecita, non possa sostanziarsi in una duplicazione del
giudizio da effettuare, dapprima preventivamente e poi, in base ad una lettura
strumentale del carattere “legislativo” dello statuto, secondo le modalità
disciplinate dall’art. 127 Cost.
Maggiori
riserve, invece, mi sembra contraddistinguano la giurisprudenza relativa al
“merito” degli statuti, che, per la sua complessità, non mi è possibile,
neanche sommariamente, approfondire in questa sede. Se, tuttavia, con
riferimento al procedimento di formazione traspare una (tendenzialmente)
coerente applicazione del dato costituzionale, l’indeterminatezza delle materie
oggetto del “contenuto” degli statuti si è inevitabilmente riflessa nella
posizione assunta dalla Corte.
Ponendosi
dalla prospettiva della ratio sottesa
alla riforma - ovvero il rafforzamento dell’autonomia territoriale - credo
infatti che dalla giurisprudenza più recente traspaiano alcune zone d’ombra,
soprattutto per ciò che riguarda la forma di governo. Si pensi, ad esempio - e
nonostante la sent. n. 196 del 2003 abbia riconosciuto rientrare nell’ambito
dell’autonomia statutaria la possibilità di disciplinare la prorogatio - alle decisioni che tentano
di dipanare l’inestricabile rapporto tra le fonti nella disciplina della
materia elettorale regionale[135]
(si valuti, innanzi tutto, la sent. n. 2 del 2004)[136],
o si pronunciano sul divieto di terza rielezione del Presidente della Giunta
(v., ancora, la sent. n. 2)[137],
o sull’incompatibilità tra la carica di assessore e quella di consigliere
regionale (v. sentt. nn. 378 e 379 del 2004)[138],
o, ancora, sul divieto di approvazione consiliare di una mozione di sfiducia individuale
diretta al singolo assessore (v. sent. n. 12 del 2006).
Indubbiamente,
maggiori margini di autonomia sembrano emergere con riferimento ad altri
profili, quali, ad esempio, la disciplina delle fonti[139]:
nel caso emblematico della sent. n. 313 del 2003[140],
ad esempio,
La
reale portata di questo inciso, tuttavia, dagli effetti potenzialmente
dirompenti, non mi sembra abbia finora avuto riscontri del tutto coerenti, né
nella giurisprudenza precedente (relativa, cioè al periodo 2001 - 2003) né,
tanto meno, in quella successiva.
9. Gli interrogativi
del “processualista”
Continuità e ambiguità: è
questo il filo rosso che percorre l’analisi del giudizio in via principale e
delle sue applicazioni giurisprudenziali, successivamente alla riforma
costituzionale del Titolo V.
Giudizio nel quale
Come possiamo
interpretare la struttura di un processo definito “processo di parti”, nel
quale non è applicato coerentemente l’interesse a ricorrere, nel quale
Infine, come possiamo
interpretare un giudizio nel quale
In conclusione: se è vero
che il diritto processuale tende comunque a farsi specchio del diritto
sostanziale, le scelte processuali successive alla riforma del Titolo V
confermano pienamente il ruolo assunto dalla Corte nell’interpretazione della
riforma stessa. Ruolo di certo “non richiesto e non voluto”, ma poi assunto
fino in fondo dal Giudice costituzionale, nell’ottica della continuità e della
tradizione del regionalismo italiano e del suo processo.
* La presente
relazione è ampiamente provvisoria e destinata come base per la discussione nella
giornata di studi “Le zone d’ombra della
giustizia costituzionale. I giudizi sulle leggi”: desidero fin d’ora
ringraziare Antonio Ruggeri per l’approfondita lettura della relazione e per i
preziosi consigli che mi hanno permesso di arricchirla, rimanendo, ovviamente,
la sottoscritta totalmente responsabile dell’impostazione, nonché del
contenuto.
[1] In questa relazione ho scelto di concentrami
sui profili problematici del processo costituzionale successivi alla riforma
costituzionale del Titolo V: la profonda modificazione della forma di controllo;
il numero elevatissimo di ricorsi statali e regionali; il ruolo assunto dal
Giudice costituzionale nell’inveramento della riforma mi hanno indotto ad un
“appiattimento” sulla giurisprudenza costituzionale successiva al 2001. Vero è
che molti profili problematici del giudizio in via principale si comprendono
meglio a partire dalle radici del giudizio: ho cercato di dare conto nella
relazione di alcuni di questi profili, ma mi rendo conto che in qualche caso
ciò rimane in ombra: si tratta di profili che conto di approfondire anche alla
luce della discussione che si svilupperà sulla relazione.
Un altro aspetto della relazione che potrebbe
ingenerare perplessità, anche questo dovuto ad una scelta metodologica
preventiva, attiene all’esclusione di un’analisi sui profili sostanziali del
giudizio, pur consapevole della strettissima dipendenza e delle notevoli
ricadute sul processo delle scelte sostanziali del Giudice costituzionale. Vi
sono tuttavia alcuni aspetti che, se fossero trattati, aprirebbero nuove ed
interessanti prospettive (forse meritevoli dello spazio di un’altra
relazione!): ad esempio, si potrebbero meglio analizzare le ricadute in termini
processuali della scelta della Corte di non rimanere fedele alla logica della
separazione delle competenze fra Stato e Regioni. Come accennato nel testo,
tale impostazione, che induce alla ricerca di alcuni strumenti processuali,
potrebbe essere causa di un aumento del contenzioso fra Stato e Regioni,
rendendo incerti i rispettivi confini di intervento; ma si potrebbe, al
contrario, obiettare che un rigido riparto delle competenze – che però
[2] Così, tra gli
autorevoli interventi sul punto, P.
Cavaleri, I limiti generali alla
potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento
internazionale e con l’ordinamento comunitario, in AA. VV., Le modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione. Tra anni dopo, in Foro.
it., V, 2004, 58 ss., P. Caretti,
[3] Rispetto a
questa funzione,
[4] Sottolinea
l’evoluzione verso “un quadro complessivamente assai deludente” U. De Siervo, Il sistema delle fonti: il riparto della potestà normativa tra Stato e
Regioni, in Le Regioni, n. 6 del
2004, 1245 ss.
[5] Cfr. M. D’Amico, Audizione presso
[6] Le parole sono
di V. Onida, Presentazione, in AA. VV., Viva
vox constitutionis (a cura di V.
Onida -B. Randazzo), Milano, 2005, XII.
[7] Sulla decisione
si veda, tra gli altri, A. Concaro,
Rapporti tra Stato, Regioni ed Enti
locali, in AA. VV., Viva vox
constitutionis, cit., 541 ss.
[8] Molto
significative sono, in tal senso, le sentt. nn. 6 del 2004, 242, 285, 383 del
2005.
[9] V. decc. nn.
272 del 2004, 320 e 345 del 2004. Tra i numerosi contributi in tema di materie
trasversali cfr. G. Arconzo, Le materie trasversali nella giurisprudenza
della Corte costituzionale dopo la riforma del Titolo V, in AA. VV., L’Incerto federalismo (a cura di N. Zanon e A. Concaro), Milano, 2005, 181 ss, e G. Scaccia, Le
competenze legislative sussidiarie e trasversali, in Dir. pubbl., n. 2 del 2004, 461 ss.
[10] V. sent. n. 242 del 2005.
[11] Della
questione, in termini critici, si occupa N.
Zanon, L’assetto delle competenze
legislative, in AA. VV., L’incerto
federalismo, cit., 100 - 101.
[12] V. però R. BIN, I criteri di
individuazione delle materie, cit., il
quale sottolinea che l’interpretazione storica delle materie può essere anche
favorevole alle Regioni, come, ad esempio, in materia di ambiente.
[13] V. Onida, Presentazione, cit., XIII.
[14] Osserva R. Bin (I criteri di individuazione delle materie, cit.) che: “Purtroppo le
riforme costituzionali si sono fatte - e si continuano pervicacemente a fare -
senza preoccuparsi di capire prima quali siano i veri problemi di funzionalità
delle istituzioni, e queste ne sono le conseguenze”.
[15] V. R. Bin, I criteri di individuazione delle materie, cit., 1 e 7.
[16] Si veda M. D’Amico, Il regionalismo italiano alla luce della riforma del titolo V della
Costituzione, in AA. VV., L’Europa
tra federalismo e regionalismo (a cura di M.
P. Viviani Schlein, E. Bulzi e L.
Panzeri), Milano, 2003, 169 ss.
[17] R. Bin, Le potestà legislative regionali, dalla Bassanini ad oggi, in Le Regioni, 2001, 627 ss.
[18] M. D’Amico, Giustizia e processo costituzionale, in Jus, I, 1994.
[19] G. Berti, Struttura del processo costituzionale e regime dei termini, in Le Regioni, 1981, 1052.
[20] Come ebbe
chiaramente modo di affermare
[21] G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, cit., 248.
[22] Sul punto, tra
gli altri, A. Saccomanno, Controllo di costituzionalità in via
principale e riforma del Titolo V della Costituzione, in AA. VV., Il ‘nuovo’ ordinamento regionale. Competenze
e diritti (a cura di S. Gambino),
Milano, 2003, 431 ss., 432 - 433. Contra,
ovvero in termini favorevoli ad una posizione di continuità rispetto alla
giurisprudenza anteriore alla riforma del Titolo V, cfr. G. Gemma, Impugnativa di leggi regionali e nuovo art. 127 della Costituzione,
in AA. VV., La riforma del Titolo V della
Costituzione e la giurisprudenza costituzionale (a cura di E. Bettinelli - F. Rigano), Torino
2004, 39.
[23] In particolare,
[24] D. Bessi, L’interesse
a ricorrere nel giudizio in via principale nel titolo V novellato, in Le
Regioni, 2004, 223.
[25] Sul punto,
anche per ulteriori riferimenti bibliografici, R. Romboli, Il sistema
dei controlli sullo statuto e sulle leggi regionali, cit., 257 - 258.
[26] Su questo
argomento interpretativo cfr., tra i primi commentatori, M. Cavino, Eccesso e invasione - lesione di competenza dopo la riforma del Titolo
V della II parte della Costituzione, in Giur.
it., n. 7 del 2002, 1341 ss.
[27] Si vedano, a
commento della decisione, A. Ruggeri, Riforma del Titolo V e vizi delle leggi regionali: verso la conferma
della vecchia giurisprudenza?, in www.forumcostituzionale.it.,
e P. Caretti, Il contenzioso costituzionale. Commento
all’art. 9, AA. VV., Stato, Regioni
ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131 (a cura di G. Falcon), Bologna 2003, 183 ss., 188
- 191.
[28] Da questo punto
di vista, opportunamente, in dottrina si è criticato l’atteggiamento frettoloso
con cui
[29] Su questa
decisione, tra gli altri, cfr. A. Anzon,
I limiti attuali della potestà esclusiva
delle Regioni (e Province) ad autonomia speciale e i vizi denunziabili dallo
Stato ex art. 127 Cost: due
importanti punti fermi nella giurisprudenza della Corte, in Giur. cost., 2003, 2256 ss., G. Gemma, Vizi di leggi regionali ed impugnativa statale:
[30] L’applicazione
di tale approccio sistematico, tuttavia, non viene portata fino in fondo,
considerandosi, in particolare, la complessiva ridefinizione dell’assetto delle
competenze normative e, soprattutto, la sopraggiunta attitudine delle leggi regionali
di incidere su situazioni giuridiche dei privati: questo profilo, infatti, pare
destinato a minare la tesi, ampiamente sostenuta prima della riforma, secondo
la quale la legittimazione statale all’impugnazione delle leggi regionali per
qualunque vizio fosse ragionevole, in quanto “compensativa” delle difficoltà
connesse alla possibilità per la questione di pervenire a scrutinio in via
incidentale. Su questo profilo cfr. A.
Ruggeri, La questione dei vizi
delle leggi regionali e l’oscillante soluzione ad essa data da una sentenza che
dice e… non dice (nota a Corte cost. n. 274 del 2003), in www.forumcostituzionale.it.
[31] T. Groppi, Giustizia costituzionale e stati decentrati:
[32] Su tale modello
G. Falcon, Contestazione e contrattazione di legittimità: aspetti di prassi e
spunti ricostruttivi per l’applicazione dell’art. 127 della Costituzione,
in Giur. cost., 1980, I, 531 ss., V. Onida, Sindacato di legittimità costituzionale e Regioni, in Le Regioni, 1990, 679 ss., 683, e C. Salazar, L’accesso al giudizio in via principale e la «parità delle armi» tra
Stato e Regioni: qualche considerazione sul presente e uno sguardo sul
possibile futuro, in AA. VV., Prospettive
di accesso alla giustizia costituzionale (a cura di A. Anzon, P. Caretti, S. Grassi), Torino, 2000, 227 ss., 233
- 234. Tra i contributi successivi alla riforma, E. Gianfrancesco, Il
controllo sulle leggi regionali nel nuovo art.
[33] Sulla quale,
oggi, cfr. A. Ruggeri, A. Spadaro,
Lineamenti di giustizia costituzionale,
Torino, 2005, 215 - 216. Sull’“elogio funebre del controllo mediante richiesta
di riesame” cfr. altresì E. Gianfrancesco, L’incidenza della riforma del titolo V sul
giudizio costituzionale, in AA.VV., La
riforma del Titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale,
cit., 39 ss., 45.
[34] Sul tema cfr.
diffusamente V. Onida, Sindacato di legittimità costituzionale e
Regioni, in AA. VV., Giustizia e
Regioni, Padova, 1990, 25 ss., S.
Bartole, Considerazioni sulla
funzionalità della Corte costituzionale, e F. Dimora, I problemi
processuali nella giurisprudenza della Corte costituzionale, entrambi in
AA. VV., Regioni e Corte costituzionale
(a cura di S. Bartole, M. Scudiero, A.
Loiodice), Milano, 1988, rispettivamente 13 ss. (spec. 69 ss.) e 83 ss.
[35] Come già
rilevato nell’imminenza della legge cost. n. 3 del 2001, tra gli altri, da A. Celotto, Le funzioni amministrative regionali, in AA. VV.,
[36] Già in passato,
nell’esprimere il mio favore per un’opzione giurisprudenziale volta ad un
maggiore adeguamento “verso l’alto” dei vizi censurabili, avevo cercato di
mettere in luce queste difficoltà: sul punto, ancora, mi sia consentito un
rinvio a M. D’Amico, Il regionalismo italiano, cit., 191. Sul
punto, in termini egualmente problematici, cfr. R. Romboli, Il sistema
dei controlli sullo statuto e sulle leggi regionali, cit., 256 - 257. Sulle
difficoltà connesse alla “giustiziabilità” delle leggi regionali in via
d’eccezione cfr. altresì A. Ruggeri,
Riforma del titolo V ed esperienze di
normazione, attraverso il prisma della giurisprudenza costituzionale: profili
processuali e sostanziali, tra continuo e discontinuo, in federalismi.it, n. 18 del 2005, 4.
[37] V. sent. n. 212
[38] V. sent. n. 736
[39] …opzione che,
tra l’altro, pensata per compensare le eventuali disfunzioni connesse alle
strettoie del giudizio in via incidentale, finirebbe con il sollevare ulteriori
problemi di conformità alla lettera della Costituzione.
[40] Sul punto cfr.
già A. Anzon, Un passo indietro verso il regionalismo
“duale”, in AA. VV., Il nuovo Titolo
V della parte II della Costituzione. Primi problemi della sua attuazione,
Milano, 2002, 230.
[41] Sul punto, tra
gli altri, A. Saccomanno, Controllo di costituzionalità in via
principale e riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 438 - 439.
[42] Sulle cui cause
cfr. S. Bartole, R. Bin, G. Falcon, R.
Tosi, Diritto regionale,
Bologna, 2003, 227 - 230.
[43] Tali profili
verranno più ampiamente trattati nei paragrafi conclusivi di questa relazione.
[44] Sul tema cfr.
S. Bartole, Nuove riflessioni sull’interesse a ricorrere nei giudizi in via
principale sulla legittimità delle leggi, in Giur. cost., 1974, 1664 ss.; A. Mangia, Interesse ad agire e sindacato di ammissibilità nel giudizio in via
principale, in Dir. Regione, n. 6
del 1990, 923; diffusamente il recente lavoro di C. Padula, L’asimmetria
nel giudizio in via principale, Padova, 2005 (in particolare 161 ss.).
[45] Questa
sovrapposizione risulta in maniera implicita nelle decisioni in cui
[46] F. Dal Canto - E.Rossi, Il giudizio di costituzionalità delle leggi
in via principale, in AA. VV., Aggiornamenti
in tema di processo costituzionale
(2002-2004) (a cura di R. Romboli),
Torino, 2005, 159 ss., 214 - 220.
[47] Tra le più
recenti v. sentt. nn. 407, ord. n. 103, 169, 293, 403 e 477 del 2005, 3 e 5 del
2006.
[48] V. sent. n. 203
del 2005.
[49] Cfr. M. D’Amico, Parti e processo nella giustizia costituzionale, Torino, 1991, 11
ss.
[50] Già da tempo,
come noto, la dottrina ha messo in luce come le ipotesi in presenza delle quali
[51] …difficilmente comprensibile nell’ambito di un
giudizio “di parti”: sul tema G.
Brunelli, L’illegittimità
costituzionale consequenziale come deroga al principio del contraddittorio,
in AA. VV., Il contraddittorio nel
giudizio sulle leggi, cit., 368 ss., 372. Sul tema cfr. altresì C. Salazar, L’accesso al giudizio in via principale e la «parità delle armi» tra
Stato e Regioni, cit., 227 ss.
[52] Previsione
questa che, oltre di dubbia compatibilità con il carattere contenzioso del
giudizio in via diretta, è stata criticata da autorevole dottrina, la quale
l’ha definita “una sorta di mostruosità giuridica” (così G. Falcon, Introduzione. Nuove questioni sul percorso istituzionale italiano,
in AA. VV., Stato, Regioni ed enti locali
nella legge 5 giugno 2003, n. 131, cit., 17). Sulle ambiguità connesse a
tale istituto con riferimento alla ricostruzione teorica del giudizio in via
d’azione cfr. altresì E. Gianfrancesco, L’incidenza della riforma del titolo V sul
giudizio costituzionale, in AA. VV., La
riforma del Titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale,
cit., 60, e M. D’Amico, Le modifiche al processo costituzionale
nell’art. 9 della legge 5 giugno 2003, n.
[53] Sullo specifico
profilo cfr. E. Gianfrancesco, L’incidenza della riforma del titolo V sul
giudizio costituzionale, cit., 39 ss., 46 - 47, ed E. D’Orlando, La
funzione arbitrale della Corte costituzionale tra Stato e Regioni: verso una
convergenza tra Verfassungsgerischtsbarkeit e Staatsgerichtsbarckeit?,
in AA.VV., La riforma del Titolo V,
cit., 374 ss.
[54] Con riferimento
alla giurisprudenza più risalente, cfr. F.
Dimora, I problemi processuali
nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit., 96 - 98 e 109- 111.
[55] Sent. n. 431 del 2005.
[56] Su questa
decisione cfr. E. Gianfrancesco, L’incidenza della riforma del titolo V sul
giudizio costituzionale, cit., 48, S.
Illari,
[57] F. Dal Canto - E.Rossi, Il giudizio di costituzionalità delle leggi
in via principale, cit., 210-211.
[58] Sul tema V. Cocozza, I profili processuali, in Le
Regioni, nn. 2 - 3 del 2004, 479 ss., 486 - 487.
[59] Sul contenuto
dell’atto introduttivo, in generale, cfr. E.
Malfatti, S. Panizza, R. Romboli, Giustizia
costituzionale, cit., 175 - 179.
[60] E. Rossi, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via principale, in
AA. VV., Aggiornamenti in tema di
processo costituzionale (1999-2001)
(a cura di R. Romboli), Torino,
2002, 123.
[61] F. Dal Canto - E.Rossi, Il giudizio di costituzionalità delle leggi
in via principale, cit., 190-191.
[62] Si potrebbe obiettare che non è violato il
principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato se
[63] F. Dal Canto - E. Rossi, Il giudizio di costituzionalità delle leggi
in via principale, cit., 206, note nn. 81 e 83.
[64] M. D’Amico, Una novità nei giudizi per conflitto di attribuzione: compare il
controinteressato, in Dir. Regione,
1989, 345 ss.; Id., Diritto processuale costituzionale e giudizio
in via principale, in Giur. Cost.
1999, 2969 e ss.
[65] E. Bindi, La riunione delle cause nel giudizio di legittimità costituzionale, Padova
2003, 5 ss.
[66] In chiave
ricostruttiva delle luci ed ombre del giudizio in via principale, questo
elemento mi pare degno di rilievo nonostante
[67] Tecnica
giustamente ritenuta “neutra” quanto agli effetti derivanti per Stato e
Regioni: sul punto A. Ruggeri, Riforma del titolo V ed esperienze di
normazione, cit., 18.
[68] A. Ruggeri,
[69] Così,
testualmente, F. Dal Canto - E. Rossi,
Il giudizio di costituzionalità delle
leggi in via principale, cit., 207; valuta positivamente questa
giurisprudenza della Corte, ritenendola funzionale alle esigenze di
razionalizzazione del processo, P.
Passaglia, Il funzionamento (e la
funzionalità) del giudizio in via principale dopo la riforma del titolo V:
osservazioni a margine della prima sentenza parziale “con riserva”, in Foro it., 2003, I, 2227.
[70] …sulla cui
modifica, in termini molto approfonditi, cfr. diffusamente gli atti del
Seminario tenutosi a Pisa il 26 ottobre 2001 raccolti nel volume A. Pizzorusso, R. Romboli, Le norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale dopo quasi mezzo secolo di applicazione (a cura
di G. Famiglietti, E. Malfatti, P.P. Sabatelli), Torino, 2002.
[71] Senza voler
forzare questo profilo, vi sarebbe però da domandarsi come possa conciliarsi
tale giurisprudenza con i principi europei in materia di giustizia, contenuti
anche esplicitamente nella Carta dei diritti fondamentali, ma risultato di
applicazioni indiscusse della giurisprudenza delle Corti europee, soprattutto
con riguardo al “tempo” entro il quale rendere le decisioni: v. M. D’Amico, Art.
[72]
F. Dal Canto - E.Rossi, Il giudizio di costituzionalità delle leggi
in via principale, cit., 207.
[73] Questo
orientamento, tra l’altro, è stato ribadito in occasione delle sentt. nn. 378
del 2004 e 469 del 2005 nei giudizi legittimità costituzionale sullo statuto
dell’Umbria.
[74] …nel quale è
stata ammessa la partecipazione di soggetti terzi nella veste di amici curiae.
[75] Sul punto, tra gli altri, cfr. A. Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2001, 322, e A. Cerri,
Corso di giustizia costituzionale,
Milano, 2001, 290 - 291.
[76] Così C. Mezzanotte, Appunti sul contraddittorio nei giudizi dinanzi alla Corte
costituzionale, in Giur. cost.,
1972, 963 ss., 969, nota n. 36.
[77] Con riferimento
alla particolare ipotesi dell’intervento dei Consigli regionali, che in questa
sede non è possibile approfondire, sia consentito un rinvio al mio Consiglio regionale e processo
costituzionale. Problemi e prospettive alla luce della riforma costituzionale
del Titolo V, in AA. VV., Scritti in
memoria di Livio Paladin, I, Napoli, 2004, 697 ss.
[78] Sul valore del
precedente E. Gianfrancesco, L’intervento delle Regioni terze e dei terzi
interessati nel giudizio in via d’azione, in AA. VV., Il contraddittorio nel giudizio sulle leggi (a cura di V.
Angiolini), Torino, 1998, 225 ss.,
[79] Cfr., in tal
senso, A. Ruggeri, A. Spadaro, Lineamenti, cit., ed. 2001, 2001, 322.
[80] Sul punto, tra
gli altri, cfr. E. Gianfrancesco,
L’intervento delle Regioni terze,
cit.,
[81] Sul punto A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale, cit., 291, ed E. Malfatti, S. Panizza, R. Romboli, Giustizia costituzionale, cit., 180.
[82] In questi
termini si esprimono E. Malfatti, S.
Panizza, R. Romboli, Giustizia
costituzionale, Milano, 2003,
[83] Sul punto, per tutti, cfr. G. Rolla, L’autonomia
dei comuni e delle province, in AA.VV.,
[84] In tal senso
cfr., tra gli altri, T. Groppi, Autonomia costituzionale e potestà
regolamentare degli enti locali, Milano, 1994.
[85] Così G. Guzzetta, L’accesso di Province e Comuni, cit., 284.
[86] In senso
contrario alla soluzione legislativa, tra gli altri, S. Mangiameli, La
riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002, 274.
[87] In dottrina
questa scelta è stata valutata quale “palliativo” del ricorso diretto (così S. Bartole, R. Bin, G. Falcon, R. Tosi, Diritto regionale, cit., 2003, 231).
[88] M. D’Amico, Parti del processo a quo
costituite e non costituite, in AA. VV., Il contraddittorio nel giudizio sulle leggi, cit., 27 ss., 49 - 52.
[89] Sul punto, ex plurimis, cfr. decc. nn. 533/2002,
303/2003, 307/2003, 196/2004.
[90] M. D’Amico, Le modifiche al processo costituzionale nell’art. 9 della legge 5
giugno 2003, n. 131, cit., 395.
[91] Sul punto cfr. A. Ruggeri, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua
attuazione, con specifico riguardo alle dinamiche della normazione ed al piano
dei controlli, in AA. VV., Il nuovo
Titolo V della parte II della Costituzione, cit., 11 ss., 83.
[92] Sulla
similarità delle posizioni dei terzi nei giudizi in via diretta ed in via
d’eccezione, tra gli altri, A. Cerri,
Corso di giustizia costituzionale,
Milano, 2001, 297.
[93] A. Saccomanno, Controllo di costituzionalità in via principale e riforma del Titolo V
della Costituzione, cit., 455.
[94] Sul sempre più
frequente coinvolgimento dei diritti fondamentali nella definizione delle
materie di competenza legislativa di Stato e Regione G. Zagrebelsky, Conferenza
stampa del Presidente della Corte (2003), in www.giurcost.org.
[95] Su questa
nozione T. Groppi, I poteri istruttori della Corte
costituzionale nel giudizio sulle leggi, Milano, 1997, 24.
[96] Su questo
profilo A. Ruggeri, Le Costituzioni passano, ma la
giurisprudenza….resta. Editoriale
1/2004, in federalismi.it dell’8
gennaio 2004, 5.
[97] …sulla quale R. Romboli, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, AA.
VV., Aggiornamenti in tema di processo
costituzionale, ed. 2005, cit., 37
ss., 38 - 40.
[98] Su questo
profilo S. Calzolaio,
[99] Sul punto, in
dottrina, cfr. V. Cocozza, I profili processuali, in Le Regioni, nn. 2 - 3 del 2004, 479 ss.,
483 - 484. Tra i contributi anteriori alla riforma del Titolo V, cfr., in
particolare, F. Dimora, I problemi processuali nella giurisprudenza
della Corte costituzionale, cit., 92 - 96.
[100] Cfr., tra le
tante, le decc. nn. 71 del 1986, 139 del 1987 e 126 del 1997
[101] V. inoltre le
sentt. nn. 303 del 2003, n. 99 del 2000, n. 72 del 1981 e n. 191 del 1980;
ordd. nn. 126 del 1997, n. 528 e n. 643 del 1988.
[102] Vi sono poi
numerose pronunce di inammissibilità, perché la costituzione è avvenuta in
termini ma presso l’Avvocatura generale dello Stato, anziché presso il
Consiglio dei Ministri. Cfr., tra le tante, le decc. nn. 344 del 2005, 42 del
2004 e 333 del 2000.
[103] V. in senso
conforme le decc. nn. 127 del 1997, 233 del 1993, 215 del 1986, 239 del 1982,
174 del 1974 e 30 del 1973, e, in dottrina, G.
Coinu, A. Deffenu, Altri aspetti
procedurali, in A. Pizzorusso, R.
Romboli, Le norme integrative,
cit., 223 ss., 244 - 247.
[104] Sul punto v.
diffusamente il par. n. 5.
[105] In argomento, T. Groppi, Giustizia costituzionale e Stati decentrati,
cit., 18-19.
[106] In generale, su
questa tesi, mi sia concesso di rinviare a M.
D’Amico, Giudizio sulle leggi ed
efficacia temporale delle decisioni di incostituzionalità, Milano, 1993, 35
ss.; imposta il lavoro sul ricorso ai principi comuni, più di recente, F. Politi, Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte
costituzionale, Padova, 1997.
[107] Su questa decisione,
tra gli altri, R. Dickmann,
[108] Nella sent. n.
13 del 2004,
[109] Sull’esigenza
di evitare il pericolo della discontinuità derivante da una eventuale pronuncia
di accoglimento puro e semplice A.
Celotto, G. D’Alessandro, Sentenze
additive ad efficacia transitoria e nuove esigenze del giudizio in via
principale, in Giur. cost., 2004,
228 ss., 229.
[110] Sul punto, a
commento di questa sentenza, cfr. P.
Milazzo,
[111] Come
efficacemente affermato,
[112] A. RUGGERI, Riforma del titolo V ed esperienze di normazione, cit., 5.
[113] La prima
pronuncia in cui
[114] Sul problema, mi sia
consentito di rinviare a M. D’Amico, Giudizio sulle leggi, cit.,
25 ss.; sulla tesi che nega la possibilità che
[115] Su questo ruolo
arbitrale assunto dalla Corte, che, tra l’altro, come è stato efficacemente
ricordato, accentua la componente “politica” dell’attività della Corte rispetto
a quella giurisdizionale cfr. A. Ruggeri,
Riforma del titolo V ed esperienze di
normazione, cit., 4.
[116] Su questa
decisione, ancora, N. Zanon, L’assetto delle competenze legislative,
cit., 104 - 105.
[117] P. Passaglia, Il controllo di legittimità costituzionale degli Statuti ordinari,
in AA. VV., Aggiornamenti in tema di
processo costituzionale, ed.
2005, cit., 135 ss.
[118]
Sull’“intrinseca oscurità” del testo del nuovo art. 123 Cost. cfr. G. D’Amico, Il giudizio in via principale: con riferimento all’impugnazione degli
Statuti regionali, in A. Pizzorusso
- R. Romboli, Le norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale dopo quasi mezzo secolo di
applicazione, cit., 39 ss.
[119] Sull’incidenza
degli aspetti processuali quali spunti per la ricostruzione sistematica del
controllo di costituzionalità degli statuti cfr. il recente contributo di A. Cardone, La rilevanza delle questioni processuali nelle sentenze della corte
sugli statuti regionali, in Le
Regioni, n. 4 del 2005, 619 ss.
[120] In tal senso A. Ruggeri, Il cappio alla gola degli statuti regionali
(a margine di Corte cost. n. 12 del 2006 e di altre pronunzia recenti in tema
di autonomia statutaria), in www.forumcostituzionale.it.
[121] Sul tema, da
ultimo, E. D’Orlando, La funzione arbitrale della Corte
costituzionale tra Stato e Regioni, cit., 378.
[122] Sul tema, a
sostegno delle possibili ricostruzioni, cfr. R.
Tosi, I nuovi statuti delle
regioni ordinarie: procedimento e limiti, in Le Regioni 2000, p. 531; U. De
Siervo, I nuovi statuti regionali
nel sistema delle fonti, in Verso una
fase costituente delle Regioni?, Milano, 2001,
[123] …in quanto
l’unico strumento utilizzabile risulta essere quello specificamente indicato
dalla Costituzione per la fonte di vertice dell’ordinamento regionale.
[124] …quali i
consiglieri regionali di minoranza, essendo gli unici soggetti legittimati al
ricorso quelli indicati in Costituzione.
[125] Sulla quale A. Cardone, Brevi considerazioni su alcuni profili processuali della recente
giurisprudenza ‘statutaria’ della Corte costituzionale, in Le istituzioni del federalismo, 2, 2005,
270.
[126] Così A. Ruggeri, Il cappio alla gola degli statuti regionali,
cit..
[127] …opzione che,
per quanto, come detto, sia stata ritenuta da ampia dottrina coerente, risulta
comunque meno “federalista” del modello tracciato dal nuovo art. 127 Cost.
[128] …efficacemente
definito “rompicapo ermeneutico” (così A.
Ruggeri, Gli statuti delle Regioni
di diritto comune e le loro possibili revisioni tra Costituzione vigente e
prospettive di una nuova (o rinnovata) Costituzione, in Riv. dir. cost., 1998, 235 ss.
[129] Per una prima
lettura della disposizione a seguito della riforma A. Spadaro, Il limite
costituzionale dell’“armonia” con
[130] In tal senso M. Olivetti, Requiem per l’autonomia statutaria delle Regioni ordinarie, in www.forumcostituzionale.it.
[131] …ma, sul punto,
v. anche infra.
[132] Così A. Ruggeri, Il cappio alla gola degli statuti regionali,
cit.. Sul medesimo problema cfr. altresì D.
Baldazzi, La seconda impugnazione
dello statuto dell’Emilia Romagna: spunti per una riflessione sul concetto di
“novità normativa”, in www.forumcostituzionale.
[133] Sul tema, A. M. Poggi, L’autonomia statutaria delle Regioni, in AA. VV.,
[134] In termini
critici, in particolare, si è espresso B.
Caravita Di Toritto, L’autonomia
statutaria, in Le Regioni, nn. 2
- 3 del 2004, 309 ss., 311 - 313, secondo il quale “interventi statutari
singolari, sincopati e a singhiozzo politicamente non sarebbero belli da vedere
perché darebbero il senso della pochezza delle istituzioni regionali e della
sconfitta della scommessa federalista (…); d’altra parte, numerosi sarebbero i
rischi di referendum e di impugnativa governativa connessi a una pluralità di
procedimenti”.
[135] Sul tema, B. Caravita Di Toritto, L’autonomia statutaria, cit., 334 - 336,
e A. Morelli, Il problematico“bilanciamento” tra stabilità
di governo e rappresentanza delle minoranze nella legislazione regionale sui
sistemi elettorale, in Le istituzioni
del federalismo, n. 2 del 2005, 201 ss.
[136]Con questa
decisione, come noto,
[137] …con cui
[138]
[139] Cfr. G. Tarli Barbieri, Le fonti del diritto regionale nella giurisprudenza costituzionale
sugli statuti regionali, in Le
Regioni, n. 4 del 2005, 581 ss.
[140] Su questa
decisione, tra gli altri, M. Luciani,
I regolamenti regionali restano (per ora)
ai Consigli, in Giur. cost.,
2003, 2984 ss., e M. Tarli Barbieri,
[141] Sul tema E. Balboni, Il ruolo degli Statuti: «l’autonomia è la regola; i limiti sono
l’eccezione», in www.forumcostituzionale.it
e, ancora, B. Caravita Di Toritto,
L’autonomia statutaria, cit., 325 - 331.