DOMENICO CHIRICO
“TECNICA” E “POLITICA” NELLE
DINAMICHE INTER-ORDINAMENTALI
Sommario:
1. Premessa. – 2. Rassegna dei problemi che giustificano il tentativo di un
chiarimento concettuale. – 3.
Metodo. – 4. Tecnica e politica,
mezzi e fini. – 5. Politica,
tecnica, interessi. – 6. Quadro
costituzionale e dinamiche istituzionali. – 7. La dinamica istituzionale degli interessi in un sistema ad alto
grado di complessità. – 8. Politica
e tecnica tra interessi ed economia. – 9.
La prospettiva comunitaria dell’ordinamento interno. – 10. Conclusioni.
1. Premessa
La
lettura delle vicende che si snodano lungo le coordinate rappresentate dal
processo di unificazione europea e dai tentativi di “aggiornamento” del quadro
istituzionale e costituzionale in particolare, rappresenta un terreno molto
fertile per ogni analisi dell’ordinamento giuridico nella fase attuale.
La
realtà giuridica[1]
che si osserva potrebbe rappresentarsi come il tentativo di adeguare
l’ordinamento interno alle trasformazioni dell’ordinamento comunitario, se si
assume che il principio del movimento si avvii da questo livello, con ciò
implicitamente collocando sullo sfondo la matrice statuale degli assetti
istituzionali e dei meccanismi decisionali di livello comunitario[2].
Ciò
dovrebbe evidenziare una sorta di “circolarità” nell’innesco dei meccanismi di
trasformazione, leggendo per intero i quali, una analisi rigorosa condurrebbe a
più di un dubbio destinato ad investire quanto prefigurato da tutte le teorie
sulla fine dello stato (e del diritto) nazionale[3],
per “svelare”, all’opposto, una sorta di crescita ipertrofica dei poteri di
natura statuale, ma di scala regional-comunitaria[4].
La
stessa realtà giuridica può anche essere reciprocamente letta come il tentativo
di modernizzare un assetto istituzionale[5]
ritenuto (a torto o a ragione) non più idoneo a regolare il complessivo ordine
sociale ed economico, poiché connotato da caratteri strutturali e funzionali
(suppostamente) non più rispondenti alle esigenze di una “democrazia di
mercato”, come quella che prefigurano convergentemente il diritto comunitario e
una stratificazione normativa nazionale preordinata allo smantellamento di ogni
potere pubblico di indirizzo in ambito economico e monetario, nel più ampio
quadro del contenimento/riduzione dell’area pubblica[6]:
da intendersi, quest’ultima, sia come dismissione dei profili proprietari
(privatizzazioni)[7];
sia come eliminazione dei processi decisionali soggettivamente pubblicistici,
in funzione di indirizzo[8];
sia, ancora, come ridefinizione della estensione del principio di legalità a
vantaggio del ruolo cardine del diritto soggettivo (naturale)[9].
Ciò
che sembra manifestarsi con le modalità accennate, può essere rappresentata, in
sostanza, come una forma specifica della più generale antitesi tra
democratizzazione e modernizzazione[10],
segnando una inversione logico-analitica tra termini concettuali che, almeno
sino alla metà degli anni novanta, apparivano composti in una diade consonante.
Democrazia
e modernità filtrano e si scompongono nel rapporto tra norma e tecnica, tra
regola e regolato, tra diritto ed economia[11].
Se
si conviene di non restringere l’arco analitico alle dinamiche contingenti,
schiacciate tra il rallentare del processo costituente europeo e il sostanziale
fallimento di ogni ipotesi di riforma organica della vigente costituzione
repubblicana[12]
e troppo segnate da strumentali apparati argomentativi per poter consentire una
analisi metodologicamente coerente, allora appare possibile concentrare
l’attenzione – con la cautela del caso – su una ipotesi di lavoro di cui si
intende anticipare alcune possibili linee e che potrebbe essere sintetizzata
nella forma correntemente assunta del rapporto tra “politica” e “tecnica”.
La
natura trasversale di questa tematizzazione offre la possibilità di riflettere,
da una angolatura che appare non consueta, sulle tendenze in atto nella
trasformazione della organizzazione del potere, del diritto e dello stato, alla
luce della vigente costituzione.
2. Rassegna dei problemi che
giustificano il tentativo di un chiarimento concettuale
In
questa prospettiva, per convalidare con dati storico-analitici tale asse
tematico, è possibile muovere dalla osservazione della natura ideologica[13],
di portata antidemocratica, di quelle argomentazioni che utilizzano il criterio
dell’efficienza decisionale (rapidità di reazione ad una azione) e, in
parallelo, mostrano i supposti limiti degli assetti istituzionali di matrice
rappresentativa, per sostenere soluzioni di tipo gerarchico e riduzionista[14].
Le
riflessioni in tema di enti paralleli (come affermazione dell’autonomia del
“tecnico”)[15]
e sulla discrezionalità amministrativa[16];
la conseguente constatazione dell’incremento della operatività delle regole
tecniche, che segnerebbe la fine della discrezionalità[17];
l’applicazione del principio di proporzionalità (che è principio tecnico) al rapporto
tra mezzi e fini, come versione ristretta della teoria del bilanciamento dei
valori[18];
la qualificazione del potere regolamentare come espressione tecnica nella
attuazione della legge; il mutato contenuto della legge medesima, come forma
della decisione generale e astratta, più frequentemente definito da
provvedimenti materialmente circoscritti, in connessione con il relativo
mutamento di ruolo assegnato al parlamento, rispetto al centro propulsore della
funzione di indirizzo, sempre più identificato nel governo; per altro verso, la
riduzione dell’ambito di operatività della legge, per effetto di strategie di
delegificazione, che trasferiscono al potere regolamentare e alla sua fonte
principale (l’esecutivo) la regolamentazione di ambiti crescenti di situazioni
e rapporti giuridici; l’indebolimento che ne deriva del generale principio di
certezza del diritto e del principio di legalità che lo fonda: tutto ciò
impone, da un lato, la necessità stessa di riflettere sui caratteri specifici
di regole giuridiche e regole tecniche[19];
dall’altro - ed è ciò che qui si intende affrontare -, suggerisce di rileggere
questi temi alla luce delle modalità secondo cui il rapporto tra politica e
tecnica è ricostruibile all’interno del quadro costituzionale vigente[20].
Dello
stesso segno sono da ritenersi quelle analisi ancorate alla presunta neutralità
delle decisioni tecniche, in particolare quando si sostenga (apoditticamente)
la natura tecnica di decisioni direttamente o indirettamente a contenuto
economico.
Una
rapida (e, certamente, incompleta) rassegna delle questioni connotate dai
caratteri sopra accennati può aiutare a focalizzare meglio l’ambito della
tematizzazione proposta, anche su questo versante.
Tutta
la materia degli enti pubblici economici, incentrata, tra l’altro, sul tipo di
autonomia dell’ente (e delle società operative) in relazione al rapporto col
potere di indirizzo, e che la letteratura giuridica ha analizzato lungo il
crinale della qualificazione del potere di direttiva, arricchita
sistematicamente con i contributi della “Commissione Chiarelli” e con il
Rapporto “De Michelis”; la distinzione tra titolarità e gestione nel modello
concessorio; il ruolo oggi assegnato alle autorità amministrative indipendenti,
con le incertezze relative alla loro qualificazione giuridica[21];
la distinzione tra indirizzo e gestione come declinazione a livello
amministrativo del rapporto tra potere tecnico e potere politico[22];
le regole del commercio internazionale (OMC); tutta la vicenda della riforma
dell’ordinamento bancario dei primi anni novanta[23],
che può essere letta in connessione al nuovo ruolo assegnato alle Banche
centrali nazionali nel sistema di banche centrali, nella prospettiva della
moneta unica, in forza del quale si registrerebbe la “dismissione” (formale e
sostanziale) del potere monetario nazionale, affidato ad un organo tecnico
comunitario indipendente[24].
La
sommaria rassegna dei problemi sopra richiamati sembra, così, giustificare e
richiedere il tentativo di un chiarimento concettuale, se si ritiene non pacificamente
accettabile l’argomentazione della fungibilità delle tecniche (ossia dei mezzi)
in relazione ai fini (politica), in presenza di una costituzione programmatica
come quella vigente.
Invero,
siffatta argomentazione assegnerebbe alla tecnica una primazia in funzione
della quale amplissimi settori dell’ordinamento risulterebbero materialmente
sottratti al controllo delle istituzioni rappresentative democratiche.
La
proiezione estrema di questo processo prospetterebbe un ruolo oggettivamente
eversivo della democrazia, almeno nella misura in cui rappresenta il fallimento
(o la delegittimazione) della politica o della capacità della politica di
vincolare e indirizzare l’azione tecnica: poiché a ogni prevalere della
tecnica, aree crescenti di decisioni collettive sarebbero sottratte ad organi
democratici e si ridurrebbe conseguentemente il grado di democrazia
dell’ordinamento – misurabile con il criterio della riferibilità delle
decisioni ad organi assembleari rappresentativi.
L’idea
che sorregge questa ipotesi tematica muove esplicitamente dalla considerazione
che tutta l’organizzazione istituzionale del potere (sociale) debba essere
informata ai valori e ai criteri organizzativi fissati nella costituzione
repubblicana, a tutti i livelli in cui alla collettività sono riconducibili gli
effetti delle decisioni dei poteri pubblici e privati, (anche nell’ottica del multilevel costituzionalism)[25],
se si concorda che, anche per queste ragioni, non sia ammissibile paragonare il
ruolo del parlamento a quello di una mera assemblea degli azionisti; o se non
si ritenga accettabile che il presidente del consiglio sia l’amministratore
delegato di un consiglio di amministrazione di una società commerciale, per la
quale la collettività sia semplicemente un mercato potenziale di
consumatori-clienti.
3. Metodo
In
presenza dei dati della realtà giuridica sopra richiamati come elementi di un
possibile asse analitico, la ricostruzione del rapporto tra tecnica e politica,
nel quadro delle complessive dinamiche istituzionali, impone, in termini
generali sul piano metodologico, una qualificazione dei contenuti e dell'uso di
concetti storicamente determinati - sebbene utilizzabili come sinteticamente
operanti in ogni ordinamento, e perciò “universali” con una operazione di
“astrazione” decontestualizzante - come “tecnica” e “politica”, la cui matrice
culturale e scientifica, come è noto, sfugge ad un tentativo di
sistematizzazione, che utilizzi una chiave di accesso ed un approccio
unilateralmente giuridico-dogmatico.
Il
contributo scientifico che discipline di matrice sociologica[26],
economicistica e politologica possono, infatti, offrire con le recenti indagini
in tema di organizzazione dei sistemi, procedure di decisione pubblica e
collettiva e analisi del rapporto tra decisione, razionalità, consenso[27]
e compatibilità (finanziaria) delle decisioni collettive (pubbliche e private)[28],
consente una dilatazione qualitativa dell'analisi anche in campo giuridico, ove
non si accolga pregiudizialmente la definizione del contenuto scientifico di un
campo di indagine in funzione della sua separazione da campi materialmente
contigui di ricerca.
Diversamente,
infatti, si può assumere la specificità degli strumenti giuridici di indagine più
pienamente operante col contributo di campi del sapere autonomi, distinti, ma
non separabili sotto la spinta del timore di inquinamenti di natura
politologica o sociologica o economicistica: tenendo sempre in chiara
considerazione come l’esito possibile di un tale approccio metodologico sia
quello di una ricostruzione che, nel tentativo di sviluppare le potenzialità di
un taglio interdisciplinare, per così dire “prismatico”, degradi verso uno
sterile descrittivismo, che nulla aggiunge qualitativamente ad una lettura
realistica - nel senso romaniano del termine[29]
- dei processi socio-istituzionali in atto.
Una
tale linea metodologica, ponendosi in alternativa agli specialismi e alle
settorializzazioni indotte dalla divisione del lavoro scientifico non accompagnato
da una riflessione unitaria, consente di assumere punti - in astratto,
radicalmente simmetrici, ma “oggettualmente” - unificanti di lettura delle
reali dinamiche istituzionali e consente di potenziare, indipendentemente dal
profilo “normativo” del “dover essere” - nel senso delle indicazioni operative
di soluzioni ai problemi aperti - la capacità di penetrazione conoscitiva dei
profili dinamici del diritto, permettendo di identificare soggetti, poteri e
interessi in un rapporto dinamico, di cui diviene possibile studiare i
meccanismi di azione-interazione-reazione non meccanicisticamente prevedibili[30],
se non al prezzo di semplificazioni condizionali e perciò stesso fuorvianti.
Sulla
scia di queste rapide notazioni di tipo metodologico, è ora possibile
inquadrare, in prima approssimazione, il contenuto concettuale dei termini
“tecnica” e “politica”, allo scopo di analizzarne l'operatività entro il quadro
delle dinamiche istituzionali, a partire dal modo in cui essi sono presenti e
collocati nel disegno costituzionale repubblicano, quale fonte del vigente
ordinamento positivo, in relazione alla determinazione del contenuto degli
“interessi” ed alle molteplici “forme” che questi possono assumere ed hanno
assunto nell'ordinamento vigente[31].
4.Tecnica, politica, mezzi,
fini
In
questa prospettiva, e nei limiti in cui è possibile in questa sede, si farà
rinvio a riferimenti volta a volta relativi a settori normativi, di cui si avrà
cura di enucleare il profilo strutturale/funzionale, più utile alla ricostruzione
di un unitario - se possibile - quadro analitico, a partire dalla ricognizione
di una stratificazione normativa non priva di contraddizioni sostanziali, ma
leggibile ove si adotti una chiave di analisi capace di tener conto della
realità storico-temporale in cui ciascuno “strato” deve essere collocato.
Sul
punto, peraltro, risulta decisivo l’atteggiamento che si decide di assumere in
relazione al generale e non agevole tema del rapporto tra fonti giuridiche
nella tensione tra criterio cronologico, criterio gerarchico e contenuto delle
norme, la cui ricomposizione unitaria ha indotto a dare soluzioni opposte al
problema della “primazia” - un esempio per tutti - da attribuire al codice
civile del 1942 rispetto alla Costituzione, o viceversa, a seconda che: si
adotti il criterio cronologico come criterio di ordine angolare nella lettura
della sequenza di norme, si che il contenuto innovativo dell'impianto
costituzionale ne risulti sostanzialmente (e formalmente) condizionato, nella
espressa convinzione che la costituzione interiorizzi surrettiziamente
l'esperienza giuridica coagulata intorno alla elaborazione del codice; oppure,
che si dia risalto al nuovo “modello” di società e, comunque, di trasformazione
sociale di cui la costituzione repubblicana è espressione, tale da innovare
(anche radicalmente) le preesistenti strutture ordinamentali, funzionalmente
destinate ad essere riqualificate alla luce del nuovo quadro assiologico e
istituzionale[32].
Con
la cautela connessa alla opzione che si ritiene di privilegiare tra le due
sinteticamente descritte e passando direttamente ad affrontare la questione del
tentativo di una qualificazione concettuale storicizzata, è ineludibile un
passaggio analitico che faccia riferimento - come si è accennato - alla matrice
culturale di ciò che è “tecnico” diversa da quella strettamente enucleabile con
strumenti giuridici.
E'
importante osservare, infatti, che, come concetto di sintesi - in correlazione
e contrapposizione al “politico” - ciò che è “tecnico” attiene prevalentemente
al “mezzo”, rispetto al “politico”, che, in quanto elaborazione valoriale degli
scopi da assegnare ad un sistema, induce alla determinazione di finalità[33].
Così
posti, sia la determinazione del contenuto, sia il tipo di relazione tra
politica e tecnica rappresentano una specificazione del rapporto tra fini e
mezzi di un sistema sociale, in cui alla decisione politica segue (o meno) la
attuazione tecnica[34]
della medesima, mentre dal punto di vista di una valutazione del meccanismo
stesso della “decisione” non è indifferente quale tecnica decisionale sia
(assiologicamente) prescelta.
Contestualmente,
nella misura in cui bisogni socialmente rilevanti (per l'ordinamento) fondano
la definizione di finalità da assegnare al sistema, è necessario determinare
per esso funzioni differenziate, la cui attivazione richiede l'adozione di
modelli organizzativi diversi (o varianti di un modello base)[35].
Come
si intuisce, i livelli possibili di sviluppo analitico sono molteplici,
all'interno di un sistema istituzionale funzionante per azioni e controazioni,
ad esito predeterminato solo ove si assumano schemi condizionali
semplificabili, ma in realtà non predeterminabile - al limite, solo
qualitativamente identificabile - se si procede ad arricchire il paradigma
analitico con alcune altre rapide osservazioni.
5. Politica, tecnica,
interessi
Intanto,
è il caso di sottolineare che, in quanto riferito ai “mezzi”, ciò che è tecnico
si articola in maniera diversificata in più direzioni: rileva il momento
organizzativo, ossia il profilo dei rapporti tra soggetti cui è assegnato il
compito di orientare la propria attività verso il conseguimento di alcune
finalità (ad esempio, una pubblica amministrazione); rileva, in connessione, il
criterio dell'efficienza nell'utilizzo dei mezzi, per cui, poste determinate
finalità, alcuni di essi e non altri hanno carattere satisfattivo; rileva,
inoltre, la qualificazione del contenuto del criterio efficientista in
relazione al quadro valoriale di cui le “finalità” sono materiale
specificazione.
In
sintesi, il momento tecnico potrebbe essere qualificato come criterio
organizzativo efficiente[36],
sotto il profilo della “gestione” dei mezzi in relazione ai fini dati.
Posto
in questa prospettiva, non è difficile non attribuire alla “tecnica” la medesima
matrice razional-individualistica, che fonda il “moderno” assetto dei sistemi
sociali nel mondo occidentale[37]:
potendosi sottolineare come, da un punto di vista metodologico, proprio
quest'ultima rappresenti la apertura più significativa alla complessificazione
dei profili organizzatori, per effetto della progressiva adozione di modelli di
natura privatistica, si che la frontiera astrattamente individuabile per la
determinazione della dicotomia pubblico/privato si arricchisce di elementi non
neutrali di qualificazione storicamente determinati[38].
Parallelamente,
si è già accennato, “politico” è il momento della determinazione assiologica
dei fini, ciò involgendo direttamente il sistema di decisioni individuali e
collettive possibili in un sistema (sociale) complesso (nonché la tecnica della
decisione medesima), in cui, astrattamente, sia le decisioni individuali, sia
quelle collettive - tecnicamente equiparabili secondo il paradigma della
neutralità dei meccanismi scelti - hanno pari valenza funzionale.
Questo
quadro generale può specificarsi ulteriormente col riferimento al concetto di
“interesse”, assunto come centro di imputazione di ruoli giuridicamente
rilevanti in relazione al momento necessario di selezione di finalità, mezzi, e
rapporto tra fini e mezzi[39].
D'altra
parte, la stessa definizione dell'ambito concettuale dell'interesse riferisce
ad un duplice ordine di fattori: per un verso, è riconducibile alla
qualificazione di un sistema di finalità (individuali) strettamente connesse
alla razionalità economica di matrice utilitaristica; e, per altro verso, ad un
sistema di valori non direttamente economicamente qualificabili, capaci di
definire un paradigma di socialità, utilizzabile indirettamente ed in via
sintetica (attraverso una astratta decisione collettiva) per definire una
razionalità economica diversa da quella individuocentrica e parametrata,
invece, su finalità sociali[40].
In
termini generali, dunque, interessi individuali/singolari e interessi
superindividuali (sociali/collettivi) - capaci di esaurire dicotomicamente
l'insieme categoriale degli interessi possibili in un sistema sociale complesso
- rileverebbero allo stesso modo in relazione alla selezione di finalità e alla
assunzione di decisioni, sia in virtù della diretta riferibilità a soggetti
individuati (singoli o collettivi) degli interessi medesimi; sia, per altro
verso, per effetto del meccanismo (individualistico o sociale) della loro
formazione e selezione.
La
sequenza analitica, che, in una visione di insieme, potrebbe delinearsi, parte
dalla qualificazione degli interessi rilevanti per l'ordinamento (che fa
proprie determinate finalità) in connessione alla qualità dei soggetti che ne
sono portatori, e giunge alla identificazione di strumenti necessariamente correlati al conseguimento di finalità date,
secondo un generale principio di adozione di modelli di azione
organizzativamente differenziati.
Una
tale sequenza analitica ha il vantaggio di enucleare le variabili decisive per
l'assetto dinamico di un determinato sistema (sociale), e, metodologicamente,
consente di essere svolta nelle diverse direzioni possibili, a seconda del
punto di partenza prescelto: avvertendosi come, nel caso di una lettura
effettuata a partire dalla analisi della varietà dei modelli organizzativi
utilizzabili nel campo dell'azione pubblica, la adozione di "modelli"
privatistici ha storicamente prodotto l'inserzione di settori di interessi
"privati" (ossia "autoreferenti") nella finalizzazione di
strumenti destinati, invece, a soddisfare le varie "forme" degli
interessi sociali.
6. Quadro costituzionale e
dinamiche istituzionali
Un
tale ordine di riflessioni ed il coessenziale riferimento tematico al profilo
della disciplina delle dinamiche istituzionali, inducono ad una rapida
ricognizione del tipo di assetto che il rapporto tra fini e mezzi assume nel
quadro costituzionale, rispetto al quale detto rapporto si articola su distinti
versanti strumentali e perciò “tecnici”, dal punto di vista dell'unitarietà del
sistema ordinamentale.
Nel
quadro di una lettura della costituzione repubblicana, di cui la dottrina più
autorevole ha da tempo evidenziato la necessaria unità interpretativa oltre che
assiologica[41],
la articolazione stessa del testo, strutturato a partire dai principi
fondamentali aventi carattere ordinante e conseguentemente, in una “prima
parte” esplicitante la qualità dei rapporti sociali e in una “seconda parte”
relativa al profilo organizzativo del (nuovo) potere pubblico, suggerisce una
sostanziale e formale sovraordinazione del “politico” al “tecnico”.
Ciò,
proprio in quanto nei principi fondamentali e nella prima parte del testo sono
indicati insieme il quadro assiologico di portata normativa[42]
ed i soggetti sociali cui è assegnata la attivazione di un complesso articolato
di strumenti (poteri) per l'avvio e la realizzazione di un progetto di
trasformazione dei rapporti sociali complessivi.
In
questa prospettiva, ne deriva che, da un lato, il momento tecnico è conseguente
a quello politico; e dall'altro, entro una visione unitaria del patto fondante
il nuovo potere sociale organizzato, che non è indifferente la qualità dei
mezzi utilizzati per operare materialmente detta trasformazione. In sostanza,
la “tecnica” non è neutrale. (come non è neutrale la scelta tra le
soluzioni tecniche possibili)
In
altri termini, è ipotizzabile e sostenibile che il modello disegnato in
costituzione, sinteticamente espresso nei termini di “Ordinamento della
Repubblica”, sia univocamente connesso alla prima parte, secondo un
principio di bilanciamento asimmetrico dei valori e dei ruoli (poteri)
assegnati agli attori socio-istituzionali[43]
portatori dei valori medesimi.
Parallelamente,
i principi di democratica partecipazione alle decisioni sono suscettibili di
investire l'assetto organizzativo delle istituzioni e dei pubblici poteri a
tutti i livelli possibili in cui si articola il pluralismo sociale, politico ed
istituzionale[44]
ed è conseguentemente possibile ipotizzare una interpretazione del modello
costituzionale in forza della quale ogni modificazione (formale o sostanziale)
prodotta nella seconda parte si rifletta sulla potenziale attuabilità delle
finalità fissate nella prima, insieme al modificarsi della qualità della
partecipazione stessa di determinati soggetti sociali.
Da
questo punto di vista, la tematizzazione della disciplina degli interessi
prospetta uno sdoppiamento analitico che, nei limiti di questo lavoro
introduttivo, è appena possibile accennare. Occorre, cioè, osservare come, da
un lato, la diade diritto soggettivo/interesse legittimo sia insufficiente ad
esaurire la veste formale che la molteplicità possibile degli interessi può
assumere (in una società complessa), poiché la costituzione introduce i diritti
sociali (qualificabili in relazione ai fini sociali che le nuove forze sociali
assegnano allo stato democratico), non dogmaticamente definibili per riduzione
rispetto ai diritti soggettivi o interessi legittimi per il solo fatto di non
essere giudizialmente azionabili[45].
Infatti,
la riferibilità delle finalità sociali generali - nella rete dei diritti
sociali - ai soggetti sociali agenti della trasformazione supera le strettoie
di una cultura giuridica alla ricerca di nuovi paradigmi metodologici, come
tutto il dibattito culturale dell'immediato dopoguerra può ampiamente documentare.
Dall'altro,
ad una lettura neutrale del contrasto di interessi, individualisticamente
definiti come pretesa verso un soggetto equiordinato (diritto soggettivo) [46],
o come interesse legittimo verso
Il
riferimento costituzionale al principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, c 2
Cost.), da alcuni identificato come “token” intangibile del patto costituente[48],
e la costituzionalizzazione (la prima nel mondo occidentale) del diritto di
sciopero, come strumento “legittimo” di lotta per la trasformazione dei
rapporti sociali a partire dai rapporti di produzione, sostanziano una tale
linea interpretativa, in grado di evidenziare, per altro verso, la attualità
del modello costituzionale vigente in connessione con la società pluralistica[49]
a crescente grado di complessità sistemica[50].
L'assetto
pluralistico del quadro istituzionale così disegnato, trova, rispetto al
profilo della decisione e quindi del “politico”, lo strumento del partito
politico (art. 49 Cost.), come soggetto capace di coagulare e preselezionare
finalità e interessi sociali, attraverso un modello istituzionale di
partecipazione organizzata alle decisioni.
Tale
modello pluralistico converge nella individuazione del parlamento (e delle
assemblee elettive di vario livello) come luogo di mediazione e sintesi tra
interessi in conflitto e, al contempo, sostanzia un concetto di sovranità
definito dalla qualità stessa della partecipazione popolare alla determinazione
della politica nazionale: ciò che consente di comprendere, per inciso, come sia
avvenuta la modificazione qualitativa della funzione della legge, che,
disancorata dalla sua dimensione “normativa” - già inadeguata a regolare un
conflitto sempre rinnovantesi - assume quella di bilanciare volta a volta gli
interessi in gioco, all'interno della esplicitazione delle finalità (anche
nuove) assegnate allo stato pluriclasse[51].
E'
chiaro che il modello, così definito, di assetto istituzionale richiederebbe di
essere letto dinamicamente nella dialettica tra attuazione e inattuazione
costituzionale, i cui elementi di novità rispetto al previgente ordinamento a
base statutaria risalterebbero con maggiore evidenza di quanto non emerga
semplicemente sottolineando il carattere prima censitario e autoritario dello
stato liberale e poi totalitario dello stato fascista; potendosi solo
evidenziare, in quest'ultimo caso, come la gerarchizzazione del potere
“pubblico” - concentrato nelle mani di un esecutivo “forte” - avvenga
all'insegna di una ipotesi di organizzazione sociale come quella corporativa,
che per definizione mira a superare il conflitto di classe entro una visione
“collaborazionista”[52]
tra ceti produttivi, il cui reciproco ruolo sociale risulta cristallizzato
dall’operare della compressione delle libertà “liberali”, come prezzo dovuto ad
una concentrazione economico-finanziaria, in grave crisi di sovrapproduzione[53].
7. La dinamica istituzionale
degli interessi in un sistema ad alto grado di complessità
Se
quello accennato appare un plausibile quadro generale del rapporto tra tecnica
e politica espresso dalla costituzione repubblicana, è ora possibile
evidenziare rapidamente alcune dinamiche istituzionali che la cultura più
avvertita ha individuato nell’intreccio tra il ciclo di sviluppo di un tipico
assetto democratico-occidentale e la dialettica tra attuazione e inattuazione
costituzionale.
Ciò
appare utile, come si cercherà di mostrare, anche alla comprensione del tipo di
lettura aggiornata della costituzione stessa e del tipo di soluzioni adottate
per la “gestione” delle grandi questioni istituzionali, all'ordine del giorno
almeno a partire dagli anni ottanta, in un tornante nel quale si osserva il
passaggio dalla strategia della riforma dello stato al pragmatismo (avaloriale)
delle riforme istituzionali.
La
matrice culturale di una analisi che, a partire dagli anni settanta, si occupa
delle dinamiche dei sistemi sociali è riconducibile essenzialmente alla cultura
sociologica[54]
per un verso, e a quella economicistica [55]
per altro. Entrambi i filoni di ricerca concentrano la loro riflessione sui
sistemi di scelta collettiva in una società strutturata a base democratica, ed
evidenziano convergentemente un punto critico di forte tensione tra sistema
delle aspettative proprie di soggetti sociali eterogenei, meccanismo di
selezione delle finalità collettive ancorate ad un criterio di compatibilità
finanziaria delle medesime e consenso politico espresso dal rapporto tra
sistema elettorale e forma di governo di un dato assetto istituzionale.
Non
è qui possibile analiticamente ricostruire lo schema argomentativo utilizzato,
ma è importante evidenziarne le conclusioni di sintesi (di carattere normativo),
secondo le quali, nella misura in cui un assetto è democratico - esprimentesi
attraverso un sistema di rappresentanza che dà la massima visibilità a tutti i
soggetti organizzati, e nel quadro di un sistema decisionale che premia il
luogo dell'assemblea rapprentativa rispetto all'esecutivo - si innescherebbe un
circolo vizioso per effetto del quale gruppi minoritari nel sistema si
scambierebbero consenso (voti favorevoli) sulle reciproche
pretese/aspettative/vantaggi, scaricandone i costi (sociali e finanziari) sui
gruppi non partecipanti (perché esclusi, indifferenti o minoritari rispetto)
allo scambio[56],
benché partecipanti alle decisioni.
L'efficienza
diretta di questo meccanismo, combinato con la pretesa di partecipazione di un
numero crescente di interessi singolarmente minoritari, avrebbe poi determinato la “crisi fiscale” dello stato, incapace
di arginare e soddisfare richieste crescenti di gruppi specifici, minoritari
nel sistema.
Sarebbe
questo lo schema funzionale per il quale la democrazia “progressiva” si avvita
su se stessa e genera le condizioni per una sua insostenibilità “finanziaria”.
A
questa diagnosi, si fa poi seguire un insieme di indicazioni normative,
relative a possibili riassetti istituzionali del sistema, tali da tamponare la
“deriva” dei sistemi democratici e ricondurli all'alveo di un funzionamento
fisiologico in grado di bilanciare i diversi interessi, equiparati tutti sotto
il vincolo della compatibilità finanziaria.
E'
questa l'origine di un generale progetto di “modernizzazione”, che investe il
mondo occidentale nella fase più acuta di “crisi delle democrazie”, orientato a
ridisegnare nuovi equilibri istituzionali, in cui il conflitto tra interessi è
ridotto ad un minimo attraverso forme di preselezione della domanda sociale, da
identificare con un criterio aggregante attraverso riforme di tipo
maggioritario delle leggi elettorali, ed alle quali sia connesso un
rafforzamento degli esecutivi, collocati in modo tale esprimere esclusiva
soggettività nell'indirizzo politico (economico)[57].
In
sostanza, a ciò che appare rappresentato come un evidente limite “tecnico”
della democrazia, la risposta elaborata nell'ambito delle richiamate analisi
consisterebbe nel “ridurre” l'area del conflitto democraticamente
(auto)gestito, riconducendone la dimensione e la qualità alle esigenze
“tecniche” di compatibilità (economico-finanziario)del sistema, in particolare
spostando le decisioni economiche – in quanto tecniche – fuori dalle sedi
politiche in quanto rappresentative.
Una
tale chiave di lettura, ancorché non esaustiva, risulta tuttavia molto utile -
nella indicata prospettiva tematica - a comprendere il tipo di disciplina, che
interessi qualificati e astratti ricevono in distinti settori dell'ordinamento,
dovendosi tuttavia distinguere almeno due possibili livelli di analisi,
relativo, il primo, ai profili generali della organizzazione amministrativa, ed
il secondo volta a volta definibile materialmente in relazione al settore che
le norme intervengono a ri-disciplinare (delegificazione, deregolamentazione,
deregolazione, liberalizzazione, privatizzazione).
Secondo
questa generale distinzione, e come una autorevole dottrina non ha mancato di
evidenziare, al primo livello si colloca il passaggio da una amministrazione
“per atti” ad una amministrazione “per procedimenti”[58],
consustanziale alla trasformazione dello stato monoclasse in stato
“pluriclasse”: essa rappresenta la risposta di sistema per una nuova tecnica di
ricomposizione (per gradi istruttori) degli interessi in gioco[59].
Da
questo angolo visuale, anche in settori dell'ordinamento apparentemente
lontani, ha operato sostanzialmente la medesima logica riduzionistica cui si è
accennato, che, prospettando la “decisione” come meramente “tecnica”, la
assegna ad un soggetto - l'esecutivo, che è anche vertice della
amministrazione, ma non per questo è “impolitico” - con ciò sottraendo
all'assemblea parlamentare una ampia sfera decisionale e creando
strutturalmente le condizioni per una “gestione” tecnica di settori
dell'ordinamento, perciò “separata” e sottratta, tendenzialmente, al controllo
parlamentare.
Ciò
che, in sostanza, si intende sottolineare è come, attraverso il preteso
contenuto “tecnico” di determinate classi di decisioni in determinati settori
materiali (economia e finanza), si creino ambiti separati di decisioni
politiche, riservati a centri istituzionali di potere (l'esecutivo, la banca
centrale), sottratti potenzialmente al controllo democratico dell'assemblea.
8. Politica e tecnica tra
interessi ed economia
Questa
schematizzazione, certamente non esaustiva e suscettibile di molteplici
sviluppi analitici, è tuttavia utile a cogliere come in diversi e distanti
punti dell'ordinamento sia operante una tendenza costante del segno
identificato di tipo “riduzionistico” della complessità di sistema (sol che si
pensi, non di meno, alle più recenti riforme del c.d. “pubblico impiego” e del
SSN, entrambe di impronta “privatistico/manageriale”[60]),
che emerge, tuttavia, con maggior chiarezza sul terreno del governo
dell'economia, utilizzabile tematicamente come luogo elettivo per la lettura
delle tensioni tra tecnica e politica.
Sul
punto, appare utile richiamare come il disegno costituzionale prospetti un
assetto di governo dei processi economici informati alla programmazione democratica
delle decisioni a contenuto economico, in grado di coinvolgere dialetticamente
eterogenei soggetti sociali intorno alla elaborazione ed identificazione di
priorità e obiettivi (sociali), verso i quali orientare l'intero sistema
produttivo[61].
Contestualmente,
già in piena fase costituente, si compie il recupero dell'esperienza di
“governo tecnico” (e perciò separato) del settore del credito (attraverso il
CICR), che ha funzionato da paradigma funzional-organizzativo per la gestione
di interi settori dell'Amministrazione dell'economia, cui i poteri di controllo
del parlamento sono giunti parzialmente a incidere durante la vigenza dei
regolamenti parlamentari elaborati nel 1971 e con la emanazione delle leggi per
la ristrutturazione industriale e la amministrazione controllata delle grandi
imprese in crisi, alla fine degli anni '70.
Questo
modello di gestione per comitati interministeriali[62]
ed enti pubblici economici di settore - in connessione al quale si è sviluppata
la figura dello “stato finanziatore”[63]
- ha storicamente espresso la forma prevalente di governo dell'economia, sino
al “collasso” dell'intero sistema amministrativo, nel momento in cui non è più
stato in grado di mediare - attraverso le strutture del “potere per enti” - col
consenso organizzato le contraddizioni nascenti sia dagli squilibri strutturali
dell'assetto produttivo del paese, sia dalla poderosa spinta modernizzatrice,
che ha operato attraverso la lenta marcia di avvicinamento alla Unione Europea,
maturata all'insegna del principio del “mercato”, utilizzato come pietra
angolare del riassetto dei singoli sistemi economici nazionali, sia,
istituzionalmente, come misuratore degli interessi e dei diritti “liberamente”
espressi nella forma astratta di domanda e offerta di merci e servizi.
9. La
prospettiva comunitaria dell’ordinamento interno
L'incidenza
progressiva del “diritto comunitario”, prodotto da organi “tecnocratici” sulla
falsariga del Trattato di Roma - che già formalizza l'assunzione del mercato
come regola generale di funzionamento degli istituti economici e politici -
svolge, con intensità crescente a partire dagli anni ottanta, un ruolo
essenziale nella progettazione ed attuazione di un nuovo sistema istituzionale
di “gestione” degli interessi (organizzati) tra tecnica e politica, tanto al
livello degli stati membri quanto delle istituzioni comunitarie.
E'
possibile, in questa sede, solo individuare a grandi linee le coordinate di
sviluppo e attuazione di questa versione della modernità, aggiornata alle più
intense dinamiche dei processi economici e finanziari.
Il
quadro emergente può così essere schematizzato: nel presupposto generale della
crisi fiscale dello stato di cui si è detto, lo stato, nel tentativo di
risanare i propri conti nella prospettiva della competizione intrasistemica
globale, deve liberarsi delle proprie attività produttive (di beni e servizi) e
“restituirle” al settore privato, anche allo scopo di consentire un recupero
produttivistico di tipo efficientista, nel presupposto indimostrato che il
privato sarebbe più efficiente.
Contestualmente,
in una economia come quella italiana, fortemente connotata dalla presenza
pubblica - tanto da consentire di proporre la categoria concettuale di
“economia mista”[64]
- la spinta alla “privatizzazione” del settore pubblico favorirebbe la
creazione di condizioni di mercato, ossia di concorrenza, in luogo di un
sistema organizzato per oligopoli (pubblici/privati)[65].
Alla
progressiva costruzione di una economia europea e nazionale di mercato, la
scienza economica ortodossa ritiene di poter dimostrare essere associato un
beneficio per il “consumatore”, derivante dal minor prezzo rispetto all'ipotesi
di assetto di tipo oligopolistico.
Tuttavia,
si è determinata l'esigenza di coprire un vuoto normativo, non essendoci
nell'ordinamento vigente norme specifiche per la disciplina della concorrenza
diverse da quelle codicistiche, ritenute insufficienti perché storicamente
datate intorno al modello classico di impresa individuale[66].
Infine,
non essendo utilizzabili gli strumenti amministrativi tradizionalmente noti
nell'ambito dei controlli - perché burocratici -, si è avviata la realizzazione
di un sistema di autorità amministrative indipendenti, destinate a
“controllare” (in senso atecnico) - sulla falsariga della Consob, ma con poteri
e contorni normativi in via di definizione - la “regolarità” del funzionamento
dei mercati di beni e servizi.*(regolazione del mercato)
10.
Conclusioni
Alla
luce degli assetti normativi che così si vengono delineando, è allora
possibile, conclusivamente, riassumere il quadro istituzionale prospetticamente
operante nel medio periodo, solo potendo accennare, in questa sede, alla ricca
problematicità che nel campo giuspubblicistico produce la acquisizione di
concetti tipicamente privatistici (quali “mercato”, “concorrenza”, “impresa”),
sui quali, tuttavia, gravano incertezze normative relative al profilo
qualitativo e quantitativo degli attori in gioco, nonché all'ambito “spaziale”
della loro efficacia.
In
sostanza, il vigente modello costituzionale articola e prospetta il superamento
della separazione tra democrazia economica, politica e sociale (strutturalmente
propria dell'ordinamento statutario di tipo liberale-autoritario, e poi
fascista), attraverso la predisposizione di strumenti di azione politica e sociale
attivabili da qualificati soggetti sociali interessati alla trasformazione
sociale. Il principio democratico è interpretato nella sua forza diffusiva
verso gli strumenti tecnico-giuridici e organizzativi, e la soggettività degli
interessi è qualificata unitariamente intorno al principio personalista e al
principio lavorista, in modo tale da superare la previgente scissione tra
suddito, lavoratore subordinato e cittadino.
Non
di meno, il principio democratico investe - in quanto “politico” - la
strutturazione della “tecnica” sotto il profilo decisionale, e prospetta una
programmazione dell'economia co-decisa a tutti i livelli, senza luoghi
sottratti al “controllo” democratico delle decisioni assunte.
Il
modello in fieri, invece - archiviata
definitivamente ogni ipotesi di programmazione che non sia di tipo meramente
finanziario/monetario, orientata, ove possibile, a preservare la “stabilità”
considerata come un valore la cui salvaguardia è affidata ad un ente “tecnico”
indipendente, ossia alla banca centrale europea - assume il mercato come misura
dei diritti e degli interessi, esprimentesi dentro una scissione riproposta tra
consumatore, lavoratore e cittadino, atta a depotenziare la pervasività del
principio democratico nella sua conquista, forse, più avanzata dell'unitarietà
personalistica del cittadino-partecipe, e, per questa via - ma non solo -
perpetuante la separazione tra democrazia politica, democrazia economica e
democrazia sociale.
In
questo modo, si afferma surrettiziamente quel primato della “tecnica” che,
intervenendo a ristrutturare tutti i settori dell'ordinamento, informandolo ai
criteri di efficienza, economicità ed efficacia (elevati, per l'occasione, al
rango di princìpi), di fatto rende impermeabili alla partecipazione interi
settori di decisioni coinvolgenti interessi eterogenei, così destinati a
“subire” scelte altrui nella propria sfera operativa, senza potervi concorrere.
Si
delinea, allora, come in tempi non sospetti una acuta dottrina ha anticipato[67],
una democrazia dei produttori scissa da una democrazia dei consumatori, non
comunicanti tra loro - mentre progredisce la concentrazione del potere
economico-finanziario - se non nei rispettivi luoghi astratti rappresentati dai
singoli mercati, sulla fluidità dei quali vigilano tecnocratiche “authorities”,
irresponsabili politicamente, se non - al limite - verso l'organo che le
insedia (attraverso il sistema delle nomine).
Nella
dialettica tra tecnica e politica sul terreno degli interessi, o viceversa
nella dinamica conflittuale/corporativa degli interessi tra tecnica e politica,
ciò che attualmente si registra è il prevalere della “tecnica”, attraverso cui
tendono ad assumere valenza assiologica i criteri organizzativi dell'impresa
(“regno della tecnica”), assumibili essi stessi (economicità, profitto,
gerarchia) a paradigma di modernizzazione sociale. in contrasto col progetto di
trasformazione sociale in senso democratico, disegnato nella costituzione
vigente.
[1] S. Romano,
Voce Realtà Giuridica, in Frammenti di un dizionario giuridico, Cappelli,
1947
[2] E’ possibile sottolineare
come le analisi elaborate dalla dottrina miranti a delineare processi
decisionali e, ancor prima, modelli istituzionali per l’integrazione europea,
non diano il dovuto rilievo all’origine statuale che rappresenta la fonte
formale e sostanziale del potere decisionale medesimo, in particolare quando
pone modelli istituzionali. Questo approccio metodologico non consentirebbe di
impostare correttamente le indagini recentemente apparse in tema di sovranità,
statualità e sopranazionalità, su cui cfr. G. Guarino, Pubblico e privato nell'economia. La sovranità tra
costituzione e istituzioni comunitarie, in Q.C.,
n. 1, 1992
G. Guarino, Riflessioni sui regimi democratici, in Q.C.,
[3] Cfr. J. Caillosse,
[4] Osservazioni critiche in S.
d’Albergo, Dalla democrazia sociale alla
democrazia costituzionale, in www.costituzionalismo.it,
2006.
[5] Di
particolare interesse per l’impianto metodologico che suggeriscono: S.
Peltzman, La teoria economica della
regolamentazione dopo un decennio di deregolamentazione, in Problemi di
Amministrazione pubblica, n° 2, 1990, p. 297 e succ.; H.A. Simon, Organizzazione e mercati, in Problemi
di Amministrazione pubblica, n° 1, 1993, p. 3; OCSE, Per servire meglio l’economia, in in Problemi di Amministrazione
pubblica, n° 1, 1993, p. 73 e segg.. Benché non recentissimi, i richiamati
contributi forniscono il quadro delle dinamiche strutturali dei processi di
modernizzazione imposte agli assetti istituzionali. V. anche M. Mazzamuto, La riduzione della sfera pubblica,
Giappichelli, 2000.
[6] M. Mazzamuto, La riduzione della sfera pubblica,
Giappichelli, 2000.
[7] Per la comprensione dalla
matrice teorica dei processi di privatizzazione, v. J. Brennan e J.M. Buchanan,
La ragione delle regole, F. Angeli,
1991; J.M. Buchanan, Stato, Mercato e
Libertà, Bologna, Mulino, 1989.
[8] Guarino,
cit.
[9] Più
esplicitamente, questa dinamica potrebbe essere rappresentata come dimensione
del rapporto tra legge e mercato, osservandone l’andamento e le modificazioni
per effetto dei processi di delegificazione, de-regolazione e ri-regolazione, e
in connessione con i processi di privatizzazione e liberalizzazione, in atto
dal oltre un ventennio.
[10] A.
Baldassarre, Globalizzazione contro
Democrazia, Laterza, 2002; F. Merusi, Diritto
contro economia, Mulino, 2005; F. Galgano,
L’economia nello specchio del diritto, Mulino, 2004.
[11] N. Irti e
E. Severino, Dialogo su diritto e tecnica,
Laterza, 2001, delineano con chiarezza i nodi teorici del complesso atteggiarsi
dei rapporti tra grandezze concettuali non reciprocamente riducibili, nel
contesto del rapporto tra democrazia ed economia di mercato. Ineludibile, sul punto, appare il rinvio al
“classico” E. Forsthoff, Stato di diritto in trasformazione, Giuffré
1973.
[12] Terreno sul
quale la sociologia politica, per un verso, avrebbe modo di riflettere per
evidenziare l’inadeguatezza di una classe dirigente complessivamente intesa; e,
per altro verso, l’ingegneria istituzionale, nell’assumere il subalterno ruolo
di un moderno “consigliere del principe” in assenza di un principe all’altezza,
potrebbe fornire la misura del distacco tra modelli di ordine istituzionale e
dinamiche socio-economiche reali.
[13]
Riflessioni in tema di supposta neutralità delle soluzioni liberali in A.
Verza, La neutralità impossibile,
Giuffrè, 2000.
[14] Il rinvio alle analisi di Dahrendorf,
R., Classi e conflitto di classe nella
società industriale, Laterza, 1971, J. O'Connor, La crisi
fiscale dello stato, Torino, 1977 e di C. Offe, Lo stato nel capitalismo maturo, Milano, 1977 appare ancora di viva
attualità, specie se letto in connessione con le ricostruzioni di tipo
“sistemico”, per le quali sia consentito il rinvio a N. Luhmann, La differenziazione del diritto, Mulino,
1990. Non è possibile, in questa sede, ripercorrere il lungo dibattito
culturale e politico-istituzionale che accompagna i tentativi di riforma
organica dell’assetto costituzionale vigente. Tuttavia, è possibile far
riferimento al più recente documento che nel corso della XIII legislatura configura
un mix di Federalismo-Presidenzialismo, con un certo sacrificio della funzione
democratizzante della rappresentanza a favore del rafforzamento del ruolo e dei
poteri dell’esecutivo e, all’interno di quest’ultimo, del presidente del
consiglio dei ministri. cfr. la nota di Russo sulla proposta di riforma
costituzionale. Per questi profili, cfr.il Volume tematico “Tecnocrazia e democrazia” della rivista Democrazia e Diritto,
novembre, 1993. Per una sintesi delle linee di riforma al centro del dibattito
politico istituzionale da almeno un trentennio, v. A. Cantaro e F. Petrangeli, Guida alla Costituzione e alla sua riforma,
Editori Riuniti, 1997. Sulla specificità del “caso italiano”, ancora attuale
Crozier, Huntington, Watanuchi, La crisi
della democrazia, Fondazione Agnelli, 1975.
[15] D. Serrani, Il potere per enti, F. Angeli, 1975.
[16] Che, in
quanto attiene alla scelta del “mezzo” è “tecnica” rispetto alla decisione
politica-amministrativa. Sulla distinzione tra discrezionalità amministrativa e
discrezionalità tecnica, v. D. Sorace, Il
diritto delle amministrazioni pubbliche, Mulino, 2000, pp. 254 e segg.
[17] Di particolare interesse, sul punto, le analisi di J. A. Gazell e D. L.
Pugh, La teoria amministrativa e le
grandi organizzazioni del futuro: qual è il destino della burocrazia?, in
Problemi di Amministrazione pubblica, a. XVI, n. 4, 1991, i quali, riflettendo
sulle difficoltà di adattamento ambientale dei prevalenti modelli
amministrativi, prefigurano l’irruzione di formule organizzatorie e modelli
normativi connotati contestualmente da specializzazione e flessibilità.
[18] R. Bin, Diritti
e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza
costituzionale, Giuffrè, 1992.
[19] F. Bilancia, La crisi dell’ordinamento giuridico dello stato rappresentativo,
Cedam, 2000.
[20] Ancora di interessante
attualità sul piano metodologico i contributi raccolti in AA.VV. Democrazia e amministrazione. In ricordo di
Vittorio Bachelet, Giuffré, 1992. D’altra parte, una tale tematizzazione
troverebbe agevoli sviluppi analitici sul versante della qualificazione
giuridica dei c.d. “governi tecnici” o della presenza dei c.d. “tecnici”
(esperti) nelle compagini di governo, con la possibilità di riflettere, in
chiave diacronica, sulle forme assunte dal suddetto rapporto negli assetti
ordinamentali a base statutaria, in parallelo ai quali interessanti
osservazioni potrebbero trarsi dall’esperienza storica del regime fascista,
specie se letto in connessione con l’esperienza di Waimar.
[21] A. Barbera C. Fusaro, Corso di
diritto pubblico, Mulino, 2001, p.
[22] G. Gardini, L’imparzialità
amministrativa tra indirizzo e gestione, Giuffré, 2003.
[23] Per una visione sistematica dei processi di privatizzazione delle banche
pubbliche, cfr. AA.VV, T.U delle leggi in
materia Bancaria e creditizia, Commento al d.lgs. 1 settembre 1993, n° 385,
Zanichelli,
[24] G. Bucci, Implicazioni dei
rapporti tra ordinamento giuridico italiano ed ordinamento comunitario sul
ruolo della Banca d'Italia, in Riv. Ital. Dir. Pub. Com., a.VIII, fasc. 1,
1998
[25] AA.VV, Dallo Stato monoclasse, cit.
[26] Tra queste,
si segnala per la precocità delle questioni sollevate J. Meynaud, Tecnocrazia e politica, Cappelli, 1960,
che evidenzia le chiavi dell’ideologia tecnocratica, sottolineando le tappe
dello spossessamento di sfere decisionali ai danni dell’ambito politico.
[27] Cfr. J.M
Buchanan e G. Tullok, Il calcolo del
consenso. Fondamenti logici della democrazia costituzionale, Mulino, 1998. Per la distinzione metodologica tra “Public
Choice” e “Law and Economics”, cfr. le annotazioni di F. Cocozza, Diritto Pubblico applicato all’economia, cit.,
in part. pp. 15 e segg.. Sul tema del rapporto tra impianto costituzionale di
tipo democratico e scelte economiche razionali, v. C. B. Blankart, Where are we in the economic theory of
constitution, in Economia delle scelte pubbliche, n° 3, 1985, p.
[28] Concettualmente rilevante per il consenso suscitato sul piano delle
analisi in tema, in particolare, di servizi pubblici, è l’idea che la fruizione
dei diritti sia condizionata dai concreti vincoli (finanziari) di erogabilità.
Per questo approccio v. F. Merusi, I
servizi pubblici instabili, Mulino, 1990.
[29] S. Romano,
Voce Realtà Giuridica, in Frammenti di un dizionario giuridico,
cit..
[30] Ad esempio, si pensi all’utilità analitica e
normativa derivante da ciò che la teoria economica definisce come paradigma
della “teoria dei giochi”.
[31] Da altro punto di vista, il
problema può essere affrontato dal punto di vista dell’analisi del rapporto tra
fonti, cioè tra poteri che le pongono, in funzione della qualità degli
interessi cui si riferiscono. Una non convenzionale ricognizione degli
interessi operanti in una società complessa si trova in M. S. Giannini, Il pubblico potere, Mulino, 1988. Per
una recente riflessione in tema, cfr. M. Cammelli, Politica e apparati nella mediazione degli interessi: il ruolo della
amministrazione, relazione al “S. Martino, Torino, aprile 2005, dattiloscritto.
Dello stesso A., un quadro più articolato in
[32] Poiché la
gerarchia delle fonti è gerarchia tra poteri che le pongono, ordinate
sistematicamente secondo i rapporti tra le forme che detti poteri assumono
(attività o, più tradizionalmente, atti), in cui è espresso il rango del potere
organizzato, è possibile evidenziare come alla pluralità delle fonti sia
retrostante la pluralità dei poteri e degli interessi organizzati, cui
ineriscono. L’attuale riflessione costituzionalistica intorno al processo di
integrazione europea è sintomatica del tentativo di ordinare in nuove gerarchie
formali lo strutturarsi di nuovi poteri sovrastatali, mediante l’impiego delle
categorie analitiche esistenti, che forniscono esiti non sempre univoci e
condivisi, con ciò mostrando l’improcrastinabilità di una ricerca sulla
frontiera degli strumenti analitici impiegati. Sul punto, che meriterebbe una
più accurata riflessione, è possibile, in questa sede, appena segnalare come
[33] V. G. Guarino, cit.. In questo senso, la proposta
evidenzia come sia possibile riconfigurare il tradizionale tema del rapporto
tra forme di stato, che è anche scelta di valori, e forme di governo, in quanto
organizzazione del potere.
[34] O, meglio,
di una tra le possibili soluzioni tecniche, come ambito di operatività di tipo
discrezionale, nel quadro della dialettica attuazione/inattuazione.
[35] La chiave argomentativa richiamata
in campo dal nesso tra complessità sociale e proposte riduzionistiche di tipo
tecnico è ancorata all’idea che la democrazia sia economicamente inefficiente a
meno che non se ne riduca la complessità, selezionando interessi con un qualche
criterio
[36] I questa
sede, si utilizza una definizione corrente di efficienza generalmente
condivisa, da intendersi come rapporto tra risultati e risorse. Se si accedesse
ad un approccio critico delle dinamiche organizzative, l’efficienza potrebbe
essere rappresentata come grado di “espropriazione” del valore aggiunto
socialmente prodotto.
[37] Cfr. R. C.
Van Caneghem, Introduzione storica al
diritto privato, Mulino, 1992. V. N. Luhman,
[38] S. Cassese, Il sistema
amministrativo, Milano, 1989
[39] Per una
classificazione degli interessi sul piano dell’azione amministrativa, cfr. M.S.
Giannini, Diritto Amministrativo,
Giuffrè, 1970. Dello stesso A., una rassegna più aggiornata dell’articolazione
degli interessi, individuati in funzione delle modalità di riferibilità ad un
interesse pubblico qualificato, v. Il
pubblico potere, Mulino, 1989. Sia consentito soltanto evidenziare come
appaia fondata l’utilità metodologica di qualificare gli interessi anche in
funzione del tipo di organizzazione e delle modalità del rapporto con un
pubblico potere.
[40] P.
Barcellona, L’individualismo proprietario,
Boringhieri, 1989.
[41] Pur in
presenza della necessità di aggiornare l’interpretazione, alla luce del diritto
comunitario.
[42] Per tutti,
cfr. V. Crisafulli, Lezioni di diritto
costituzionale, Cedam, 1970.
[43] Bin, cit.
[44] U.
Allegretti, Il pensiero
amministrativistico di Giorgio Berti: l’amministrazione capovolta,
relazione al club dei giuristi e Centro Bachelet – Giornata in Onore di Giorgio
Berti, Roma, 11 novembre, 2002.
[45] Bucci,
ult. op. cit.
[46] P.
Rescigno, Manuale del diritto privato
italiano, Giuffré, 1985.
[47] Per questa
rappresentazione delle dinamiche sociali e istituzionali, cfr. A.O. Hirschmann,
I conflitti come pilastri della società
democratica a economia di mercato, in Stato e mercato, n° 41, 1994, p. 133
e segg..
[48] M. Luciani
La produzione economica privata nel
sistema costituzionale, Cedam, 1983.
[49] M. S.
Giannini, Il pubblico potere, cit.
[50] N. Luhman,
op. cit
[51] E’ appena
il caso di evidenziare come la matrice teorica di una visione pluralistica
risulti derivabile anche dalle teorizzazioni che negli anni trenta hanno
inquadrato nel concetto di “costituzione materiale” il concreto atteggiarsi del
potere organizzato, incarnandosi nella “funzione di indirizzo”, retta dal
partito unico, a sua volta guidato dal leader. D’altra parte, nel porsi in una
tale prospettiva, occorre necessariamente storicizzare le categorie analitiche
utilizzate, per sottrarsi al rischio rappresentato dall’utilizzare una concettuologia
pretensivamente universale e perciò sempre valida, per legittimare
surrettiziamente una dinamica istituzionale non coerente con il nuovo ordine
repubblicano. In tal senso, illuminante appare ancora oggi la lettura del testo
fondamentale in cui la teorizzazione richiamata è stata articolata (C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, 1975, ma v.
[52] Risalente
alla “Carta del Lavoro” del 1927.
[53] P.
Grifone, Il Capitale finanziario,
Einaudi, 1971.
[54] Luhman, op. cit.
[55] J.M.
Buchanan e Tullock, op. cit.
[56] J.
O’Connor, cit. e C. Offe, cit.
[57] Crozier,
Huntington, Watanuchi, La crisi della democrazia,
cit..
[58] M. S.
Giannini, Diritto Amministrativo,
cit.; v. anche G. Guarino, Quale
amministrazione Giuffrè, 1985
[59] Sul punto si può appena
ricordare che una disciplina unitaria del profilo formale del procedimento (in
quanto decisione procedimentalizzata per l'acquisizione degli interessi
rilevanti) è stata a suo tempo introdotta con
[60] Sul punto, sia consentito il rinvio a J. Burnham, La rivoluzione manageriale, Bollati Boringhieri, 1992.
[61] Cfr. S. d’Albergo, ult.
op cit.
[62] Per tutti,
si veda G. Quadri, I comitati di ministri,
Giuffré, 1997.
[63] D. Serrani, Lo stato
finanziatore, Ciriec, F. Angeli, 1971.
[64] V. Spagnuolo Vigorita L'iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Jovene,
1959.
[65] Sotto il profilo normativo,
alla “legge Amato” per la privatizzazione del settore del credito è logicamente
e sistematicamente leggibile, ad esempio, in connessione con
[66] La L. 10.02.91 n. 126
recante “Norme per l'informazione del consumatore”, interviene a colmare questa
lacuna e rappresenta la matrice dell’attualmente vigente Decreto Legislativo 6
settembre 2005, n. 206, "Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della
legge 29 luglio 2003, n. 229".
[67] Si veda F. Fenghi, Programmazione economica e modo di produzione capitalistico, in