Daniele Chinni

 

La Corte costituzionale scrive un nuovo capitolo del “caso Cossiga” (ma per l’ultimo è necessario attendere ancora)

 

(destinata alla pubblicazione su Giurisprudenza Italiana)

 

 

1. Le esternazioni presidenziali nuovamente al cospetto del Giudice dei conflitti.

Con la sentenza n. 290 del 2007 la Corte Costituzionale si pronuncia nuovamente sul c.d. “caso Cossiga”[1], a tre anni dalla storica[2] sentenza n. 154 del 2004[3]. In tale occasione la Consulta aveva ritenuto il ricorso del senatore Cossiga per conflitto di attribuzione in parte non fondato, sul presupposto che spetta all’autorità giudiziaria, «in prima istanza, decidere circa l’applicabilità in concreto, in rapporto alle circostanze del fatto, della clausola eccezionale di esclusione della responsabilità»[4], e in parte inammissibile, poiché rivolto contro due pronunce della Corte di Cassazione che si limitavano a fissare i principi di diritto cui si sarebbe dovuto attenere il giudice di merito in sede di giudizio di rinvio, senza affermare in concreto, quindi, la responsabilità dell’ex Presidente. Era, dunque, la stessa motivazione della decisione, qualificando come «premature»[5] le censure rivolte dal senatore Cossiga alle sentenze gemelle della Corte di Cassazione, a prevedere l’eventualità di un nuovo conflitto avente ad oggetto, stavolta, la sentenza resa nel giudizio di rinvio[6].

La previsione si è rivelata esatta: con la sentenza in epigrafe, infatti, la Corte Costituzionale si pronuncia su un nuovo ricorso[7] per conflitto di attribuzione presentato dall’ex Capo dello Stato Cossiga contro la sentenza di condanna pronunciata a suo carico, nel giudizio di rinvio, dalla Corte di appello di Roma[8]. La decisione della Corte è, questa volta, una «stringatissima»[9] sentenza di inammissibilità, dal momento che si è ritenuto che ciò che il ricorso «imputa alla decisione della Corte d’appello non è tanto la menomazione della guarentigia presidenziale (che pur sarebbe in astratto configurabile), quanto il mancato rispetto dei principi di diritto stabiliti dalla Corte di cassazione, che avrebbero dovuto orientare la decisione della Corte d’appello in sede di rinvio, con la conseguenza che questa sarebbe incorsa in un errore di giudizio»[10], come tale non sindacabile, per costante giurisprudenza costituzionale[11], in sede di conflitto[12]. La decisione stimola alcune riflessioni.

 

2. Ricorso analogo, destino diverso.

Sembra emergere, innanzitutto, il differente modo con cui la Corte affronta questo secondo ricorso dell’ex Presidente della Repubblica. Nel 2004, infatti, la Consulta ritenne che le doglianze del senatore Cossiga prospettassero «indubbiamente un conflitto “per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”»[13], mentre oggi, come abbiamo già visto, ritiene che il ricorso, analogo al precedente[14], sia, in realtà, un improprio mezzo di censura della sentenza resa nel giudizio di rinvio. Tuttavia, questa affermazione, oltre a sembrare in contraddizione rispetto a quanto affermato tre anni prima, pare inesatta.

È vero, invece, che il senatore Cossiga, nel proprio ricorso, pur lamentando anche una errata applicazione dei principi di diritto stabiliti dalla Corte di Cassazione, si diffonde ampiamente sulla menomazione della guarentigia presidenziale arrecata dalla sentenza della Corte d’appello[15], sostenendo che il giudice di rinvio abbia erroneamente ritenuto prive di qualsivoglia nesso funzionale con la carica di Presidente della Repubblica le esternazioni oggetto del giudizio[16]. Sembra, allora, che il Giudice dei conflitti, soffermandosi esclusivamente sulle doglianze circa l’inesatta applicazione dei principi di diritto, abbia voluto evitare di decidere la questione nel merito.

Così facendo, però, la Corte sembra tenere un atteggiamento diametralmente opposto a quello assunto nella sentenza n. 154 del 2004[17], dal momento che in quell’occasione, anche se in presenza di un ricorso addirittura carente del petitum[18], preferì un «robusto intervento di ortopedia costituzionale»[19] pur di decidere la questione non soltanto con strumenti processuali. Insomma, allora la Corte superò ostacoli di non poco conto[20] per giungere ad una decisione, almeno in parte, di merito, mentre oggi sembra ignorare una cospicua parte del ricorso – certamente più lineare e conseguente del primo – e finanche le stesse conclusioni, allo scopo di adottare una piana decisione processuale d’inammissibilità[21].

 

3. Violazione dei principi di diritto e menomazione delle attribuzioni presidenziali: due facce della stessa medaglia.

A quanto detto sinora potrebbe obiettarsi che la Corte, nonostante le esplicite doglianze del ricorrente circa la menomazione delle attribuzioni presidenziali nel giudizio di rinvio, abbia preferito un’interpretazione del ricorso che andasse oltre il tenore letterale e che, in virtù di ciò, lo abbia ritenuto, in toto, un mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale. Tuttavia, anche a voler dare questa chiave di lettura, sembra che l’affermazione del Giudice dei conflitti non possa ritenersi soddisfacente.

Quando, nella sentenza n. 154 del 2004, la Corte costituzionale ha ritenuto corretti i principi di diritto stabiliti dalla Corte di Cassazione nelle sentenze gemelle del 2000 ha, anche e conseguentemente, tracciato le «coordinate delle guarentigie presidenziali»[22]. Pertanto, quando il senatore Cossiga lamenta una errata applicazione dei principi di diritto, per ciò solo ritiene, anche e necessariamente, che la sentenza resa nel giudizio di rinvio abbia menomato le attribuzioni presidenziali. I due vizi, per il concreto atteggiarsi della vicenda, si sono fusi in uno solo, di modo che lamentare l’uno, significa lamentare anche l’altro. In altri termini, il fatto che l’ex Presidente contesti alla sentenza della Corte d’Appello una errata applicazione dei principi di diritto non ha fatto venir meno il tono costituzionale del conflitto, dal momento che quegli stessi principi, allo stesso tempo, erano stati ritenuti dalla Corte Costituzionale l’unica corretta interpretazione da dare al regime giuridico delle immunità presidenziali[23]. Insomma, in questo caso l’error in iudicando altro non si sarebbe tradotto che in un vizio da menomazione e, dunque, il Giudice dei conflitti, in omaggio alla propria competenza, avrebbe dovuto verificare se il provvedimento giurisdizionale avesse o meno leso le prerogative presidenziali.

Se così è – se, in altre parole, la Corte ha in questo caso rinunciato ad esercitare la propria funzione – è facile prevedere che, qualora il giudice di legittimità ritenga che la sentenza resa nel giudizio di rinvio abbia compiuto una corretta applicazione dei principi di diritto, la vicenda tornerà nuovamente al Palazzo della Consulta[24]: sarà allora inevitabile giungere ad una decisione che definisca il conflitto nel merito.

 

4. La Corte Costituzionale sulle immunità: un terzo modello di giudizio?

La sentenza in commento, infine, non persuade laddove sembra disegnare, per l’immunità presidenziale, un terzo modello di giudizio, ulteriore rispetto a quelli plasmati dalla giurisprudenza costituzionale sui conflitti concernenti l’ambito di applicazione degli artt. 68 e 122 Cost.

È da notare, innanzitutto, che anche su questo punto la Corte sembra prendere le distanze da quanto affermato nel 2004. Allora, infatti, il Giudice dei conflitti, nel riconoscere che spetta al giudice comune, in prima istanza, «decidere circa l’applicabilità in concreto, in rapporto alle circostanze del fatto, della clausola eccezionale di esclusione della responsabilità», riconobbe che «se nel decidere in proposito l’autorità giudiziaria venisse ad apprezzare erroneamente la portata della clausola o a negare ad essa erroneamente applicazione, con conseguente lesione della prerogativa e dunque dell’attribuzione presidenziale, oltre ai normali rimedi apprestati dagli istituti che consentono il controllo sulle decisioni giudiziarie ad opera di altre istanze pure giudiziarie, varrà il rimedio del conflitto di attribuzioni davanti a questa Corte»[25]. Oggi, invece, nonostante il senatore Cossiga lamenti esattamente una errata mancata applicazione dell’art. 90 Cost., il Giudice dei conflitti dichiara inammissibile il ricorso perché tendente a censurare impropriamente un provvedimento giurisdizionale.

Il passaggio ora citato della sentenza n. 154 del 2004 aveva lasciato intravedere la possibilità che la Corte Costituzionale intendesse modificare la propria giurisprudenza sull’art. 68 Cost., creando un unico modello di giudizio per tutti i conflitti che vertono sulle immunità (parlamentari, presidenziali ma anche consiliari): valutazione da parte dell’autorità giudiziaria circa l’applicabilità o meno delle immunità previste in Costituzione e, nell’eventualità che i titolari delle stesse ritengano menomate le proprie prerogative dal provvedimento giurisdizionale, ricorso per conflitto dinanzi la Corte[26]. In effetti, un parallelo tra gli artt. 68, 90 e 122 Cost., pur tenendo presente la diversità delle loro rationes, è giustificato non solo per il tenore letterale ma anche perché «siamo in presenza di immunità aventi eguale natura: funzionale, perché entrambe correlate esclusivamente all’esercizio di una funzione e non al semplice status di parlamentare o di Capo dello Stato; sostanziale, perché entrambe preclusive dell’ascrizione di responsabilità e non meramente inibitorie di una chiamata in giudizio; permanente, perché entrambe valide anche dopo la scadenza della titolarità dell’ufficio; entrambe volte a delimitare l’esercizio della funzione giurisdizionale, evitandone così interferenze nell’esercizio della funzione parlamentare o presidenziale; entrambe eccezionali, proprio perché derogatorie del diritto comune»[27].

Tuttavia, come noto, la Corte ha mantenuto fermo il proprio «patrimonio giurisprudenziale»[28] in materia di insindacabilità parlamentare, dunque confermando alla deliberazione camerale l’effetto inibente l’attività giurisdizionale in senso difforme dal pronunciamento dell’Assemblea e, anzi, sino ad oggi facendo salva la reintroduzione della «pregiudizialità parlamentare» ad opera dell’art. 3 legge n. 140/2003[29]. Non solo, con la sentenza in commento, come già accennato, la Consulta sembra aver creato un terzo modello di giudizio per risolvere gli eventuali conflitti tra Presidente della Repubblica e autorità giudiziaria circa l’ambito di applicabilità dell’art. 90 Cost.

Se, infatti, quando viene in discussione l’applicabilità in concreto dell’art. 68 Cost., la deliberazione camerale è sufficiente per impedire la prosecuzione del giudizio all’autorità giudiziaria ordinaria, la quale potrà soltanto ricorrere al Giudice dei conflitti, e anzi, a seguito della reintroduzione della «pregiudizialità parlamentare», l’eccezione d’insindacabilità proposta dal parlamentare obbliga il giudice a sospendere il processo per rimettere gli atti alla Camera competente, ex art. 3 legge n. 140/2003; se diversamente, quando il giudice comune è chiamato a conoscere di dichiarazioni rese da consiglieri regionali, l’eventuale deliberazione consiliare non impedisce la prosecuzione del processo[30] e, allora, sarà la Regione interessata a dover ricorrere alla Corte contro l’eventuale provvedimento giurisdizionale che abbia negato l’applicazione dell’art. 122 Cost.; quando, invece, si verte in tema di immunità presidenziale, sembrerebbe che il Capo dello Stato non possa ricorrere al Giudice dei conflitti, lamentando una violazione delle proprie prerogative da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria, senza aver prima esperito gli ordinari strumenti di censura dei provvedimenti giurisdizionali. La sentenza n. 290 del 2007, certo, non si esprime in questi termini: la dichiarazione d’inammissibilità trova la sua motivazione nella supposta censura, da parte del ricorrente, di errores in iudicando compiuti dal giudice di rinvio. Tuttavia, se si ricorda quanto affermato in ordine alla sostanziale coincidenza tra violazione dei principi di diritto e menomazione delle attribuzioni presidenziali e a ciò si aggiunge il fatto che le Regioni che ricorrono avverso provvedimenti giurisdizionali, che non hanno applicato l’art. 122 Cost., non si vedono dichiarare inammissibili i propri ricorsi perchè impropri mezzi di censura[31], non si può non supporre che nei riguardi dell’immunità presidenziale la Corte Costituzionale abbia inteso disegnare un terzo modello di giudizio, diverso da quelli concernenti l’applicazione degli artt. 68 e 122 Cost., anch’essi differenti tra loro.

Se è corretto quanto sopra argomentato, deve evidenziarsi un paradosso: e cioè che, in questo modo, il Presidente della Repubblica, «organo super partes, «rappresentante dell’unità nazionale», estraneo a quello che viene definito il “circuito” dell’indirizzo politico-governativo»[32], sarebbe meno tutelato nelle sue prerogative rispetto non soltanto ai parlamentari ma anche ai consiglieri regionali[33], i quali ottengono un giudizio della Corte sull’applicabilità o meno delle clausole di esclusione della responsabilità in tempi decisamente più brevi, gli uni addirittura prima di qualsiasi provvedimento giurisdizionale, qualora il giudice ritenga di ricorrere contro la deliberazione camerale, gli altri all’indomani della sentenza di primo grado, che può essere fatta immediatamente oggetto di ricorso da parte della Regione. Il Capo dello Stato, invece, sempre a voler leggere nel senso sinora seguito la sentenza in commento, avrebbe l’onere di esperire «i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni»[34] prima di potere sollevare conflitto di attribuzione. Ci si rende conto che questa potrebbe sembrare una lettura parziale, specie tenendo presente che mai prima d’ora, per fortuna[35], la Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità presidenziale: eppure, appare l’unica coerente con lo sviluppo della vicenda e con la stessa giurisprudenza costituzionale. E questo suscita una riflessione ulteriore. L’odierna vicenda coinvolge un ex Capo dello Stato. Cosa accadrebbe, viceversa, qualora fatti analoghi vedessero come protagonista, malauguratamente, un Presidente della Repubblica nell’arco del proprio settennato? Non sarebbe opportuno, in tal caso, sciogliere quanto prima il nodo circa la legittimità delle esternazioni, piuttosto che attendere (almeno) tre gradi di giudizio[36]?

 

5. Le difficoltà della Corte tra potere presidenziale di esternazione e diritti della persona offesa.

È probabile, a parere di chi scrive, che la decisione di inammissibilità adottata dalla Corte costituzionale con la sentenza in epigrafe sia nata dalle obiettive difficoltà che si sarebbero dovute superare per giungere ad una decisione di merito.

In effetti, se la Corte avesse deciso di virare decisamente verso una pronunzia di merito, dopo aver riconosciuto, con la sentenza n. 154 del 2004, la «dignità costituzionale»[37] del potere di esternazione del Presidente della Repubblica[38], ora avrebbe dovuto tracciarne concretamente i confini, stabilendo se le dichiarazioni rese dal senatore Cossiga nel 1991 fossero o meno riconducibili all’espletamento della funzione presidenziale. Non si trattava più di riconoscere in via di principio al Capo dello Stato il potere di esternazione – com’era appunto accaduto nel precedente conflitto – ma di agire conseguentemente a quanto allora affermato, calandosi nella vicenda storica e sciogliendo il nodo concernente la funzionalità di dichiarazioni che sono valse all’ex Presidente la condanna al risarcimento del danno. Compito, quest’ultimo, tutt’altro che agevole[39] e, anzi, quali che fossero stati i criteri cui la Corte si sarebbe potuta ispirare per delineare la funzionalità di dette esternazioni[40], sarebbe rimasto indubbio «l’ampio margine di discrezionalità che (avrebbe contrassegnato) operazioni interpretative volte a definire la funzionalità o l’extrafunzionalità delle esternazioni presidenziali»[41].

Non solo. Il Giudice dei conflitti non avrebbe potuto disegnare il potere presidenziale di esternazione se, prima, non avesse accuratamente definito il quadro entro cui si svolgono le stesse funzioni presidenziali, dal momento che queste ultime non possono essere interpretate se non alla luce della posizione costituzionale del Presidente della Repubblica. Le sentenze gemelle della Corte di Cassazione avevano preso, pur cautamente, posizione sul punto, ritenendo di aderire a quella corrente maggioritaria in dottrina secondo la quale la figura presidenziale è «avulsa da qualsiasi coinvolgimento in attività di indirizzo politico-amministrativo», «eminentemente rappresentativa», «custode e garante della costituzione»[42]. La Corte Costituzionale, dal canto suo, in occasione della sentenza n. 154 del 2004 ne aveva fatto a meno, stabilendo soltanto che «quale che sia la definizione più o meno ampia che si accolga delle funzioni del Presidente»[43] l’irresponsabilità ex art. 90 Cost. vale solamente per gli “atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni” .

Oggi, invece, per verificare se le esternazioni dell’allora Presidente Cossiga fossero o meno coperte dall’immunità ex art. 90 Cost., una previa definizione del ruolo presidenziale sarebbe stata necessaria: non si sarebbe trattato (o almeno non soltanto) di individuare le funzioni del Capo dello Stato previste in Costituzione[44] ma, piuttosto, di stabilire le modalità con le quali esse possono (e debbono) essere esercitate. Insomma, solo attraverso la lente della posizione costituzionale del Presidente della Repubblica sarebbe stato possibile verificare la funzionalità delle esternazioni cossighiane.

Se così è, non è da escludere, allora, che la cautela con cui si è mossa in questa occasione la Corte, e che l’ha indotta a propendere per una decisione processuale d’inammissibilità, sia da imputare, almeno in parte, anche alle forti critiche manifestate da larga parte della dottrina nei confronti di una recente sentenza della Consulta che aveva dovuto necessariamente svolgere più di qualche considerazione sul ruolo del Presidente della Repubblica e sulla sua responsabilità[45].

Non di poco conto, dunque, gli irti ostacoli sulla via che portava alla decisione di merito. E, allora, ciò potrebbe spiegare perché la Corte abbia optato per una decisione quale la sentenza in commento. Tuttavia, la pronuncia del Giudice dei conflitti non solo propone gli spunti problematici che si è sinora cercato di affrontare, ma prolunga la mancata, definitiva, soddisfazione dell’attore nel giudizio che ha originato il conflitto[46]. La decisione in epigrafe, infatti, non ha chiuso il c.d. “caso Cossiga”, poiché, come si è detto, molto probabilmente l’ultimo capitolo bisognerà scriverlo all’indomani della pronuncia della Corte di cassazione sulla sentenza resa nel giudizio di rinvio. Nel frattempo, il senatore Onorato non può che prolungare un’attesa che va avanti ormai da più di un quindicennio, essendo andato perso «l’augurio che questa vicenda giudiziaria e costituzionale, iniziata nel lontano 10 marzo 1993, si concluda al più presto dando soddisfazione ai diritti delle persone offese e pacificando “l’anime di color cui vinse l’ira” (Inf. VII, 116)»[47].

 



[1] La vicenda è nota: tra il marzo e l’ottobre 1991 l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, in più occasioni e in sedi diverse, rilasciò giudizi sugli onorevoli Onorato e Flamigni, ritenuti da entrambi gravemente diffamatori nei loro confronti. In ragione di ciò i due parlamentari lo citarono in giudizio chiedendo il risarcimento del danno. Le due cause seguirono un percorso parallelo: il Tribunale civile di Roma, con pronunce del 22 giugno 1993 (in Rass. dir. civ., 1994, 653 e segg., con nota di Chieffi, Esternazioni extrafunzionali e responsabilità del Presidente della Repubblica) e del 14 maggio 1994 (in Dir. informazione e informatica, 1994, 1749 e segg., con nota di Lenoci, Sulla responsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni), decise in senso favorevole agli attori; la Corte d’Appello riformò entrambe le sentenze con le decisioni del 21 aprile 1997 (in Giur. Cost., 1998, 2829 e segg., con nota di Pizzorusso, La discutibile immunità del Presidente linguacciuto) e del 16 marzo 1998 (in Foro It., 1998, I, 2988 e segg.); la Corte di Cassazione con due pronunce del 27 giugno 2000 (sent. n. 8733, in Giur. Cost., 2000, 3407 e segg., con nota di F.S. Marini, Controfirma ministeriale e irresponsabilità del Presidente della Repubblica nell’esercizio del potere di esternazione; sent. n. 8734, in Giur. Cost., 2000, 2948 e segg., con nota di Piazza, Il Presidente della Repubblica è giuridicamente responsabile, in sede civile, per le sue «esternazioni» ingiuriose e/o diffamatorie) annullò, con rinvio, entrambe le pronunce rese in appello; il senatore Cossiga presentò ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti di entrambe le sentenze della Suprema Corte, contestando non soltanto la lesione delle prerogative presidenziali ma, anche, la stessa legittimazione dell’autorità giudiziaria a giudicare circa i limiti di applicabilità dell’immunità prevista dall’art. 90 Cost. Per una attenta analisi delle questioni, di ordine processuale e sostanziale, prospettate dall’insolito conflitto di attribuzione, si veda Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a cura di), Il “caso Cossiga”. Capo dello Stato che esterna o privato cittadino che offende?, Torino, 2003.

[2] In questi termini Cerrina Feroni, Una sentenza “storica”: sulla ammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato promosso da un “ex” Presidente della Repubblica e sulla acquisita dignità costituzionale delle c.d. “esternazioni presidenziali”, in www.giustamm.it

[3] Corte cost., 26 maggio 2004, n. 154, in Giur. Cost., 2004, 1582 e segg., con note di Elia, Il Presidente iracondo e i limiti della sua responsabilità; D’Andrea, L’irresponsabilità del Capo dello Stato non è pari all’insindacabilità dei parlamentari: la Corte «distingue» e rilancia l’interpretazione restrittiva dell’immunità; Malfatti, La «doppia» pronuncia sul «caso Cossiga»: di molte strade percorribili, la Corte non sceglie la più lineare.

[4] Corte cost., 26 maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 5.

[5] Corte cost., 26 maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 7.

[6] Sottolineavano quest’aspetto Cerrina Feroni, Una sentenza, cit., 4; Pugiotto, Ben oltre il “caso Cossiga”: le importanti novità della sentenza n. 154 del 2004, in www.forumcostituzionale.it, 4; Salmoni, L’intervento in giudizio del terzo offeso, la legittimazione attiva dell’ex Presidente della Repubblica ed altre novità nei ricorsi per conflitti fra poteri: la “storia infinita” del c.d. caso Cossiga, in www.federalismi.it, 12.

[7] Gazz. Uff., I Serie speciale, 9 novembre 2005, n. 45, 72 e segg.

[8] App. Roma, 23 settembre 2004, n. 4024.

[9] Così Cerrina Feroni, Inammissibile il ricorso o incoerente la decisione? (ovvero i “giochi di parole” della sentenza 290 del 2007 sul “caso Cossiga”), in www.forumcostituzionale.it, 1.

[10] Considerato in diritto, punto 4.

[11] È la stessa Corte Costituzionale a fare riferimento a proprie precedenti decisioni, richiamando le sentt. n. 27 del 1999 (in Giur. Cost., 1999, 225 e segg.) e nn. 2, 150, 222 e 223 del 2007.

[12] Già in occasione del precedente conflitto era stata avanzata l’ipotesi che il ricorso del senatore Cossiga tendesse, più che a tutelare le prerogative presidenziali, a impugnare impropriamente le sentenze della Corte di Cassazione e che, perciò, fosse da dichiarare inammissibile. In questi termini erano le osservazioni di Salmoni, L’intervento, cit., 9, e quelle, tutte in Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a cura di), Il “caso Cossiga”, cit., di D’Amico, Brevi note sull’(in)ammissibilità del conflitto proposto dall’ex Presidente della Repubblica, 137 e segg.; Pezzini, Ora per quando? Ipotesi d’inammissibilità del ricorso per tardività, 355 e segg.; Pinardi, Lo strano caso del senatore-Presidente (ovvero: dell’impossibile frammentazione diacronica di un potere dello Stato), 396. Di diverso avviso, invece, Benelli, Un invito a pensare in termini di specialità (costituzionale): il ricorso è tempestivo e il suo petitum è sufficiente, ibidem, 64.

[13] Corte cost., 26 maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 3.

[14] I due ricorsi, pur in parte diversi quanto alle motivazioni che li sorreggono - circostanza del resto inevitabile dal momento che il secondo non ha potuto che muoversi sulla scia della sentenza n. 154 del 2004 - mirano entrambi all’annullamento di provvedimenti giurisdizionali che si reputano lesivi delle attribuzioni presidenziali.

[15] Lo ha già notato Cerrina Feroni, Inammissibile, cit., 1.

[16] Cfr., in specie, punto 2.5 del ricorso, nonché le stesse conclusioni, ove si legge: «si chiede che codesta Ecc.ma Corte voglia dichiarare ammissibile il presente ricorso per conflitto tra poteri dello Stato e indi annullare la sentenza della Corte di appello di Roma, sezione II civile, n. 4024 del 23 settembre 2004 che ha illegittimamente menomato posizione e attribuzioni costituzionalmente riconosciute al Presidente della Repubblica» (corsivo nostro).

[17] Si afferma ciò non perché si ignori che nella giurisprudenza costituzionale sono frequenti le contraddizioni o, meglio, gli overruling, ma perché appare singolare che ciò accada nell’ambito di identica vicenda, il cui sviluppo era stato in qualche modo indirizzato dalla pronuncia del Giudice dei conflitti del 2004.

[18] Lo evidenziavano Pace, «Habent sua sidera lites»: la discutibile ammissibilità del ricorso per conflitto tra poteri di un ex Presidente, in Giur. Cost., 2002, 3777; Piazza, I paradossi del conflitto di attribuzione dell’ex-Presidente Cossiga, in Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a cura di), Il “caso Cossiga”, cit., 368 e segg. Contra Benelli, Un invito, cit., 68 e segg. Il precedente ricorso, difatti, si chiudeva con la sola richiesta di dichiarare l’ex Presidente della Repubblica soggetto legittimato a sollevare conflitto di attribuzione.

[19] Pugiotto, Ben oltre, cit., 2.

[20] È solo il caso di ricordare che la Corte, in quell’occasione, dovette prendere posizione circa l’ammissibilità di un conflitto tra poteri proposto da un ex Presidente della Repubblica, propendendo finalmente per la soluzione positiva, tutt’altro che pacifica in dottrina e ora confermata anche dalla sentenza in commento. Sul punto, oltre ai numerosi contributi pubblicati in Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a cura di), Il ”caso Cossiga”, cit., cfr. Pace, «Habent sua sidera lites», cit., 3778 e segg.; Biondi, I due corpi del Presidente della Repubblica, in Giur. Cost., 2002, 3781 e segg.

[21] Sembra, insomma, che ci si trovi dinanzi ad una di quelle occasioni efficacemente descritte da G. Zagrebelsky, Principî e voti. La Corte Costituzionale e la politica, Torino, 2005, 77 e segg.: «una qualche ragione di inammissibilità, è quasi sempre possibile rilevarla. Il processo costituzionale, anche per l’atteggiamento formalistico che qualcuno imputa talora alla Corte e per l’orientamento non sempre fermo nel valutare i problemi di forma (onde c’è quasi sempre un precedente cui ci si può aggrappare), è diventato quasi un percorso a trabocchetti. È facile perciò che, di fronte a difficoltà, la Corte cerchi la via per procedere oltre, senza affrontarle. (…) Spesso, invece di «passare ai voti» sul merito della questione, si sceglie la facile via della pronuncia di inammissibilità, sulla quale spontaneamente si forma la maggioranza più larga: intanto, non pregiudica nulla, rinvia ad altro momento o ad altra sede la soluzione del problema ed evita l’insorgere di contrasti interni ed esterni. Non si possono ignorare i lati positivi di questa tecnica; ma allo stesso tempo non si può chiudere gli occhi sul pericolo ch’essa consista in una via di fuga di fronte a responsabilità costituzionali che sono della Corte, che in essa si traduca una certa tendenza al quieto vivere, al passare inosservati, a non dare fastidio: il che non è propriamente ciò che ci si deve attendere da un giudice della Costituzione».

[22] Cerrina Feroni, Inammissibile, cit., 2.

[23] In senso analogo Cerrina Feroni, Inammissibile, cit., 2.

[24] Cerrina Feroni, Inammissibile, cit., 3, nota anche, però, che ciò è «solo una mera supposizione, che non trova alcun riferimento né diretto, né indiretto, nella decisione di inammissibilità in oggetto».

[25] Corte cost., 26 maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 5 (corsivo nostro).

[26] In questo senso Giupponi, “Uno, nessuno e centomila”. Personaggi e interpreti dell’immunità presidenziale di fronte alla Corte costituzionale, in www.forumcostituzionale.it, 3 e segg., il quale nota anche, condivisibilmente, come non possano essere d’ostacolo per una siffatta evoluzione le «note “storture” processuali connesse alla natura di conflitto Stato-Regioni»; Romboli, Pregiudizialità parlamentare, effetto inibente della delibera delle Camere e una lettura più morbida del «nesso funzionale» da parte della Corte costituzionale, in Giur. Cost., 2004, 1235; Grisolia, Il “caso Cossiga” di nuovo di fronte alla Corte costituzionale, in www.costituzionalismo.it, 2 e segg., la quale sul punto è particolarmente netta laddove afferma che la Corte «se non vorrà irragionevolmente ignorare il proprio precedente, non potrà non prendere in considerazione un eventuale riallineamento dei meccanismi oggi previsti per l’accertamento della responsabilità di chi è posto ai vertici del nostro sistema costituzionale»; in senso dubitativo D’andrea, L’irresponsabilità, cit., 1617 e segg., e Malfatti, La «doppia», cit., 1633 e segg.

[27] Pugiotto, Il «caso Cossiga» e la teoria dei vasi comunicanti, in Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a cura di), Il “caso Cossiga”, cit., 406. L’A. – il quale, scrivendo anteriormente alla sentenza n. 154 del 2004, riteneva che il Presidente della Repubblica, autoqualificando funzionali le proprie dichiarazioni, potesse impedire, sulla falsariga di quel che accade in caso di delibera camerale di insindacabilità, la prosecuzione dell’attività giurisdizionale, fatta ovviamente salva la facoltà per il giudice ordinario di ricorrere per conflitto di attribuzione – compiva queste considerazioni tenendo presente le sole disposizioni costituzionali concernenti l’immunità parlamentare e quella presidenziale. A chi scrive sembra che il ragionamento possa agevolmente essere esteso alle immunità dei consiglieri regionali ex art. 122 Cost., se non altro per il contenuto letteralmente identico di tale disposizione e dell’art. 68 Cost.

[28] Come lo ha definito la stessa Corte Costituzionale nella sentenza 16 aprile 2004, n. 120, Considerato in diritto, punto 5, in Giur. Cost., 2004, 1201 e segg..

[29] Tale articolo parla dell’obbligo incombente sul giudice di rimettere gli atti alla Camera competente quando «non ritiene di accogliere l’eccezione concernente l’applicabilità dell’art. 68, comma 1, Cost., proposta da una delle parti». La Corte, in occasione della sopra citata sentenza n. 120 del 2004, si era trovata ad esaminare una questione di legittimità costituzionale riguardante detto articolo, finendo per non pronunciarsi nel merito ritenendo carente la motivazione del giudice a quo in ordine alla rilevanza.

[30] Circostanza, questa, confermata da ultimo dalla Corte costituzionale nella sentenza 14 giugno 2007, n. 195. In tale occasione la Regione Veneto sosteneva che il meccanismo della pregiudizialità parlamentare prevista dalla legge n. 140/2003 dovesse essere esteso anche all’art. 122 Cost. La Corte, invece, ha affermato che «l’interpretazione di tipo estensivo è preclusa dal tenore letterale dell’intero testo legislativo, che fa esclusivo riferimento all’art. 68 della Costituzione e alla carica di parlamentare. La legge citata, inoltre, ha carattere eccezionale, in quanto limitativa dell’esercizio della funzione giurisdizionale, il che la rende insuscettibile di applicazione analogica».

[31] Nella sopra citata sentenza n. 195 del 2007 la Corte costituzionale ha rigettato una eccezione di inammissibilità del ricorso, presentata dai due soggetti intervenienti e fondata sul presupposto che la Regione si limitava a contestare un mero error in iudicando, ritenendo che il ricorrente, invece, lamentando la violazione dell’art. 122 Cost. intendesse innanzitutto «contestare radicalmente la stessa sussistenza in capo all’autorità giudiziaria del potere di accertare la responsabilità civile derivante dalle dichiarazioni del Presidente e consigliere regionale e, comunque, in via subordinata, censurarne il cattivo uso».

[32] Così la Corte costituzionale nella discussa sentenza 18 maggio 2006, n. 200, sul potere di grazia, in Giur. Cost., 2006, 1988 e segg.

[33] A poco varrebbe opporre che tale eventuale disparità di trattamento è giustificata dal fatto che gli artt. 68 e 122 Cost. sono posti a tutela non dei singoli parlamentari o consiglieri regionali ma, piuttosto, delle Assemblee di cui questi fanno parte, mentre l’art. 90 Cost., essendo il Capo dello Stato organo monocratico, finisce per tutelare soprattutto la persona fisica titolare dell’ufficio. In primo luogo, perché sembra potersi dire che la facilità con cui le Camere (e i Consigli regionali) dichiarano l’insindacabilità dei propri membri, nonché la sempre maggior concretezza del giudizio della Corte al momento di risolvere i conflitti tra Camere e autorità giudiziaria, hanno de facto trasformato le disposizioni costituzionali di cui si discute in norme a tutela dei singoli eletti; in secondo luogo, perché il fatto che il Presidente della Repubblica non sia responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, ma lo è invece pienamente in caso di reato comune («per affermare il contrario» scriveva Carlassare, Art. 90, in Comm. Cost. a cura di Branca, Bologna-Roma, 1983, 163 - tra l’altro proprio facendo il caso che il Capo dello Stato renda dichiarazioni diffamatorie - «sarebbe necessario sostenere che la sua irresponsabilità, come quella del Re, è stabilita ratione personae, non ratione materiae»), fa si che l’art. 90 Cost. sia posto a tutela dell’Istituzione (e non della persona) Presidente della Repubblica, né più né meno di quanto fanno gli artt. 68 e 122 Cost. per Parlamento e Consigli regionali.

[34] Considerato in diritto, punto 4.

[35] Al riguardo devono condividersi le parole di Grisolia, Il “caso Cossiga”, cit., 6: «non vi è dubbio (…) che sia contrario alla “morale costituzionale”, prima ancora che a qualsivoglia norma giuridica, che la massima carica dello Stato usi il proprio potere di esternazione per gettar discredito su singole persone».

[36] Oltre agli ovvi motivi di opportunità, a sconsigliare un giudizio della Corte sulle esternazioni presidenziali posticipato alla fine dei tre gradi di giudizio sono il principio di economicità degli atti processuali nonché quello della ragionevole durata del processo: che senso avrebbe, infatti, dar luogo a (almeno) due giudizi di merito e uno di legittimità se, comunque, l’ultima parola circa la funzionalità delle esternazioni presidenziali non può che spettare, e su ciò non può ragionevolmente nutrirsi alcun dubbio, alla Corte Costituzionale in sede di conflitto tra poteri dello Stato?

[37] Cerrina Feroni., Una sentenza, cit.

[38] Sul quale, oltre agli scritti citati alle note 1 e 3, cfr., tra gli altri, Martines, Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica, in Silvestri (a cura di), La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano, Milano, 1984, 233 e segg.; Motzo, Il potere presidenziale di esternazione e di messaggio (Appunti), in Arch. Giur., 1957, 19 e segg.; Pace, Esternazioni presidenziali e forma di governo. Considerazioni critiche, in Quaderni costituzionali, 1992, 191 e segg.; G. Zagrebelsky, Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica, in Corriere Giur., 1991, 709 e segg.

[39] La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 154 del 2004, al punto 6 del Considerato in diritto, aveva affermato che «si può riconoscere che operare la distinzione, nell’ambito delle “esternazioni”, fra quelle riconducibili all’esercizio delle funzioni presidenziali e quelle ad esse estranee può risultare, in fatto, più difficile di quanto non sia distinguere nel campo dei comportamenti o degli atti materiali, o anche di quanto non sia distinguere fra opinioni “funzionali” ed “extrafunzionali” espresse dai membri di un’assemblea rappresentativa, che si differenzia dagli individui che ne fanno parte, laddove nel caso del Presidente l’organo è impersonato dallo stesso individuo: ma l’eventuale maggiore difficoltà della distinzione non toglie che essa sia necessaria».

[40] F.S. Marini, Controfirma ministeriale, cit., 3442, notava come la complessità di una tale indagine si deve al fatto che «il Capo dello Stato è un organo monocratico, svolge di frequente le sue funzioni al di fuori della sua sede istituzionale, e alcune sue attribuzioni – come la «rappresentanza dell’unità nazionale» - non si concretano in atti formali, tipizzati dalla Costituzione o da fonti secondarie». L’A., poi, proponeva un elenco di elementi sintomatici che soccorrano l’interprete nell’individuazione delle esternazioni funzionalmente orientate del Capo dello Stato. Uno sforzo simile compie anche Ruggeri, L’ex Presidente della Repubblica come «potere dello Stato» e le sue (pseudo)esternazioni davanti alla Corte, in Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a cura di), Il “caso Cossiga”, cit., 10 e segg. (specialmente 22 e segg.).

[41] Grisolia, Il “caso Cossiga”, cit., 5.

[42] Cass., 27 giugno 2000, n. 8733, cit., Motivi, punto 3.1.

[43] Corte cost., 26 maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 6.

[44] Cass., 27 giugno 2000, n. 8733, cit, si era pronunciata anche su questo punto, stabilendo che tra le funzioni presidenziali rientrano non solo quelle previste dall’art. 89 Cost., ma anche quelle di cui all’art. 87 Cost., compresa la stessa rappresentanza dell’unità nazionale, e che il potere di esternazione non è una funzione ulteriore ma «solo un mezzo, cioè uno dei possibili strumenti con cui il Presidente provvede all’esercizio di alcune funzioni presidenziali» (Motivi, punto 7.1).

[45] Ci si riferisce a Corte cost. 18 maggio 2006, n. 200, cit., in tema di potere di grazia. Tra i tanti commenti in senso critico a tale pronuncia, si vedano G.U. Rescigno, La Corte sul potere di grazia, ovvero come giuridificare rapporti politici e distruggere una componente essenziale del costituzionalismo nella forma di governo parlamentare, in Giur. Cost., 2006, 2005 e segg.; Salerno, Brevi riflessioni su alcuni aspetti problematici della sentenza della Corte costituzionale in tema di concessione della grazia, ibidem, 2017 e segg.; Luciani, Sulla titolarità del potere di grazia del Presidente della Repubblica, in Corriere Giur., 2007, 190 e segg.; Elia, La sentenza sul potere di grazia; dal contesto al testo, in www.associazionedeicostituzionalisti.it nonché il recente Dibattito sulla controfirma ministeriale comparso in Giur. Cost., 2007, 455 e segg.

[46] Per quanto si debba rilevare che il senatore Onorato, intervenuto nel giudizio dinanzi la Corte, aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso sostenendo che questo denunciasse meri errores in iudicando.

[47] Elia, Il Presidente iracondo, cit., 1613.