Daniele Chinni
La Corte costituzionale
scrive un nuovo capitolo del “caso Cossiga” (ma per l’ultimo è necessario
attendere ancora)
(destinata alla pubblicazione su Giurisprudenza Italiana)
1. Le
esternazioni presidenziali nuovamente al cospetto del Giudice dei conflitti.
Con la sentenza n. 290 del
2007 la Corte Costituzionale si pronuncia nuovamente sul c.d. “caso
Cossiga”[1],
a tre anni dalla storica[2]
sentenza n. 154
del 2004[3].
In tale occasione la Consulta aveva ritenuto il ricorso del senatore Cossiga
per conflitto di attribuzione in parte non fondato, sul presupposto che spetta
all’autorità giudiziaria, «in prima istanza, decidere circa l’applicabilità in
concreto, in rapporto alle circostanze del fatto, della clausola eccezionale di
esclusione della responsabilità»[4],
e in parte inammissibile, poiché rivolto contro due pronunce della Corte di
Cassazione che si limitavano a fissare i principi di diritto cui si sarebbe
dovuto attenere il giudice di merito in sede di giudizio di rinvio, senza
affermare in concreto, quindi, la responsabilità dell’ex Presidente. Era, dunque, la stessa motivazione della decisione,
qualificando come «premature»[5]
le censure rivolte dal senatore Cossiga alle sentenze gemelle della Corte di
Cassazione, a prevedere l’eventualità di un nuovo conflitto avente ad oggetto,
stavolta, la sentenza resa nel giudizio di rinvio[6].
La previsione si è rivelata esatta: con la sentenza in
epigrafe, infatti, la Corte Costituzionale si pronuncia su un nuovo ricorso[7]
per conflitto di attribuzione presentato dall’ex Capo dello Stato Cossiga contro la sentenza di condanna
pronunciata a suo carico, nel giudizio di rinvio, dalla Corte di appello di
Roma[8].
La decisione della Corte è, questa volta, una «stringatissima»[9]
sentenza di inammissibilità, dal momento che si è ritenuto che ciò che il
ricorso «imputa alla decisione della Corte d’appello non è tanto la menomazione
della guarentigia presidenziale (che pur sarebbe in astratto configurabile),
quanto il mancato rispetto dei principi di diritto stabiliti dalla Corte di
cassazione, che avrebbero dovuto orientare la decisione della Corte d’appello
in sede di rinvio, con la conseguenza che questa sarebbe incorsa in un errore
di giudizio»[10],
come tale non sindacabile, per costante giurisprudenza costituzionale[11],
in sede di conflitto[12].
La decisione stimola alcune riflessioni.
2.
Ricorso analogo, destino diverso.
Sembra emergere, innanzitutto, il differente modo con cui
la Corte affronta questo secondo ricorso dell’ex Presidente della Repubblica. Nel 2004, infatti,
la Consulta ritenne che le doglianze del senatore Cossiga prospettassero
«indubbiamente un conflitto “per la delimitazione della sfera di attribuzioni
determinata per i vari poteri da norme costituzionali”»[13],
mentre oggi, come abbiamo già visto, ritiene che il ricorso, analogo al
precedente[14],
sia, in realtà, un improprio mezzo di censura della sentenza resa nel giudizio
di rinvio. Tuttavia, questa affermazione, oltre a sembrare in contraddizione
rispetto a quanto affermato tre anni prima, pare inesatta.
È vero, invece, che il senatore Cossiga, nel proprio
ricorso, pur lamentando anche una
errata applicazione dei principi di diritto stabiliti dalla Corte di
Cassazione, si diffonde ampiamente sulla menomazione della guarentigia
presidenziale arrecata dalla sentenza della Corte d’appello[15],
sostenendo che il giudice di rinvio abbia erroneamente ritenuto prive di
qualsivoglia nesso funzionale con la carica di Presidente della Repubblica le
esternazioni oggetto del giudizio[16].
Sembra, allora, che il Giudice dei conflitti, soffermandosi esclusivamente
sulle doglianze circa l’inesatta applicazione dei principi di diritto, abbia
voluto evitare di decidere la questione nel merito.
Così facendo, però, la Corte sembra tenere un atteggiamento
diametralmente opposto a quello assunto nella sentenza n. 154 del
2004[17],
dal momento che in quell’occasione, anche se in presenza di un ricorso
addirittura carente del petitum[18],
preferì un «robusto intervento di ortopedia costituzionale»[19]
pur di decidere la questione non soltanto con strumenti processuali. Insomma,
allora la Corte superò ostacoli di non poco conto[20]
per giungere ad una decisione, almeno in parte, di merito, mentre oggi sembra
ignorare una cospicua parte del ricorso – certamente più lineare e conseguente
del primo – e finanche le stesse conclusioni, allo scopo di adottare una piana
decisione processuale d’inammissibilità[21].
3.
Violazione dei principi di diritto e menomazione delle attribuzioni
presidenziali: due facce della stessa medaglia.
A quanto detto sinora potrebbe obiettarsi che la Corte,
nonostante le esplicite doglianze del ricorrente circa la menomazione delle
attribuzioni presidenziali nel giudizio di rinvio, abbia preferito
un’interpretazione del ricorso che andasse oltre il tenore letterale e che, in
virtù di ciò, lo abbia ritenuto, in toto,
un mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione
giurisdizionale. Tuttavia, anche a voler dare questa chiave di lettura, sembra
che l’affermazione del Giudice dei conflitti non possa ritenersi soddisfacente.
Quando, nella sentenza n. 154 del
2004, la Corte costituzionale ha ritenuto corretti i principi di diritto
stabiliti dalla Corte di Cassazione nelle sentenze gemelle del
Se così è – se, in altre parole, la Corte ha in questo caso
rinunciato ad esercitare la propria funzione – è facile prevedere che, qualora
il giudice di legittimità ritenga che la sentenza resa nel giudizio di rinvio
abbia compiuto una corretta applicazione dei principi di diritto, la vicenda
tornerà nuovamente al Palazzo della Consulta[24]:
sarà allora inevitabile giungere ad una decisione che definisca il conflitto
nel merito.
4. La
Corte Costituzionale sulle immunità: un terzo modello di giudizio?
La sentenza in commento, infine, non persuade laddove
sembra disegnare, per l’immunità presidenziale, un terzo modello di giudizio,
ulteriore rispetto a quelli plasmati dalla giurisprudenza costituzionale sui conflitti
concernenti l’ambito di applicazione degli artt. 68 e 122 Cost.
È da notare, innanzitutto, che anche su questo punto la
Corte sembra prendere le distanze da quanto affermato nel 2004. Allora,
infatti, il Giudice dei conflitti, nel riconoscere che spetta al giudice
comune, in prima istanza, «decidere circa l’applicabilità in concreto, in
rapporto alle circostanze del fatto, della clausola eccezionale di esclusione
della responsabilità», riconobbe che «se nel decidere in proposito l’autorità
giudiziaria venisse ad apprezzare erroneamente la portata della clausola o a
negare ad essa erroneamente applicazione, con conseguente lesione della
prerogativa e dunque dell’attribuzione presidenziale, oltre ai normali rimedi apprestati dagli istituti che consentono il
controllo sulle decisioni giudiziarie ad opera di altre istanze pure
giudiziarie, varrà il rimedio del conflitto di attribuzioni davanti a questa
Corte»[25].
Oggi, invece, nonostante il senatore Cossiga lamenti esattamente una errata
mancata applicazione dell’art. 90 Cost., il Giudice dei conflitti dichiara
inammissibile il ricorso perché tendente a censurare impropriamente un
provvedimento giurisdizionale.
Il passaggio ora citato della sentenza n. 154 del
2004 aveva lasciato intravedere la possibilità che la Corte Costituzionale
intendesse modificare la propria giurisprudenza sull’art. 68 Cost., creando un
unico modello di giudizio per tutti i conflitti che vertono sulle immunità
(parlamentari, presidenziali ma anche consiliari): valutazione da parte dell’autorità
giudiziaria circa l’applicabilità o meno delle immunità previste in
Costituzione e, nell’eventualità che i titolari delle stesse ritengano menomate
le proprie prerogative dal provvedimento giurisdizionale, ricorso per conflitto
dinanzi la Corte[26].
In effetti, un parallelo tra gli artt. 68, 90 e 122 Cost., pur tenendo presente
la diversità delle loro rationes, è
giustificato non solo per il tenore letterale ma anche perché «siamo in
presenza di immunità aventi eguale natura: funzionale,
perché entrambe correlate esclusivamente all’esercizio di una funzione e non al
semplice status di parlamentare o di
Capo dello Stato; sostanziale, perché
entrambe preclusive dell’ascrizione di responsabilità e non meramente
inibitorie di una chiamata in giudizio; permanente,
perché entrambe valide anche dopo la scadenza della titolarità dell’ufficio;
entrambe volte a delimitare l’esercizio
della funzione giurisdizionale, evitandone così interferenze nell’esercizio
della funzione parlamentare o presidenziale; entrambe eccezionali, proprio perché derogatorie del diritto comune»[27].
Tuttavia, come noto, la Corte ha mantenuto fermo il proprio
«patrimonio giurisprudenziale»[28]
in materia di insindacabilità parlamentare, dunque confermando alla
deliberazione camerale l’effetto inibente l’attività giurisdizionale in senso
difforme dal pronunciamento dell’Assemblea e, anzi, sino ad oggi facendo salva
la reintroduzione della «pregiudizialità parlamentare» ad opera dell’art. 3
legge n. 140/2003[29].
Non solo, con la sentenza in commento, come già accennato, la Consulta sembra
aver creato un terzo modello di giudizio per risolvere gli eventuali conflitti
tra Presidente della Repubblica e autorità giudiziaria circa l’ambito di
applicabilità dell’art. 90 Cost.
Se, infatti, quando viene in discussione l’applicabilità in
concreto dell’art. 68 Cost., la deliberazione camerale è sufficiente per
impedire la prosecuzione del giudizio all’autorità giudiziaria ordinaria, la
quale potrà soltanto ricorrere al Giudice dei conflitti, e anzi, a seguito
della reintroduzione della «pregiudizialità parlamentare», l’eccezione
d’insindacabilità proposta dal parlamentare obbliga il giudice a sospendere il
processo per rimettere gli atti alla Camera competente, ex art. 3 legge n. 140/2003; se diversamente, quando il giudice
comune è chiamato a conoscere di dichiarazioni rese da consiglieri regionali,
l’eventuale deliberazione consiliare non impedisce la prosecuzione del processo[30]
e, allora, sarà la Regione interessata a dover ricorrere alla Corte contro
l’eventuale provvedimento giurisdizionale che abbia negato l’applicazione
dell’art. 122 Cost.; quando, invece, si verte in tema di immunità
presidenziale, sembrerebbe che il Capo dello Stato non possa ricorrere al
Giudice dei conflitti, lamentando una violazione delle proprie prerogative da
parte dell’autorità giudiziaria ordinaria, senza aver prima esperito gli
ordinari strumenti di censura dei provvedimenti giurisdizionali. La sentenza n. 290 del
2007, certo, non si esprime in questi termini: la dichiarazione d’inammissibilità
trova la sua motivazione nella supposta censura, da parte del ricorrente, di errores in iudicando compiuti dal
giudice di rinvio. Tuttavia, se si ricorda quanto affermato in ordine alla
sostanziale coincidenza tra violazione dei principi di diritto e menomazione
delle attribuzioni presidenziali e a ciò si aggiunge il fatto che le Regioni
che ricorrono avverso provvedimenti giurisdizionali, che non hanno applicato
l’art. 122 Cost., non si vedono dichiarare inammissibili i propri ricorsi perchè
impropri mezzi di censura[31],
non si può non supporre che nei riguardi dell’immunità presidenziale la Corte
Costituzionale abbia inteso disegnare un terzo modello di giudizio, diverso da
quelli concernenti l’applicazione degli artt. 68 e 122 Cost., anch’essi
differenti tra loro.
Se è corretto quanto sopra argomentato, deve evidenziarsi
un paradosso: e cioè che, in questo modo, il Presidente della Repubblica,
«organo super partes, «rappresentante
dell’unità nazionale», estraneo a quello che viene definito il “circuito”
dell’indirizzo politico-governativo»[32],
sarebbe meno tutelato nelle sue prerogative rispetto non soltanto ai
parlamentari ma anche ai consiglieri regionali[33],
i quali ottengono un giudizio della Corte sull’applicabilità o meno delle
clausole di esclusione della responsabilità in tempi decisamente più brevi, gli
uni addirittura prima di qualsiasi provvedimento giurisdizionale, qualora il
giudice ritenga di ricorrere contro la deliberazione camerale, gli altri
all’indomani della sentenza di primo grado, che può essere fatta immediatamente
oggetto di ricorso da parte della Regione. Il Capo dello Stato, invece, sempre
a voler leggere nel senso sinora seguito la sentenza in commento, avrebbe
l’onere di esperire «i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti
processuali delle diverse giurisdizioni»[34]
prima di potere sollevare conflitto di attribuzione. Ci si rende conto che
questa potrebbe sembrare una lettura parziale, specie tenendo presente che mai
prima d’ora, per fortuna[35],
la Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità presidenziale:
eppure, appare l’unica coerente con lo sviluppo della vicenda e con la stessa
giurisprudenza costituzionale. E questo suscita una riflessione ulteriore.
L’odierna vicenda coinvolge un ex Capo
dello Stato. Cosa accadrebbe, viceversa, qualora fatti analoghi vedessero come
protagonista, malauguratamente, un Presidente della Repubblica nell’arco del
proprio settennato? Non sarebbe opportuno, in tal caso, sciogliere quanto prima
il nodo circa la legittimità delle esternazioni, piuttosto che attendere
(almeno) tre gradi di giudizio[36]?
5. Le
difficoltà della Corte tra potere presidenziale di esternazione e diritti della
persona offesa.
È probabile, a parere di chi scrive, che la decisione di
inammissibilità adottata dalla Corte costituzionale con la sentenza in epigrafe
sia nata dalle obiettive difficoltà che si sarebbero dovute superare per
giungere ad una decisione di merito.
In effetti, se la Corte avesse deciso di virare decisamente
verso una pronunzia di merito, dopo aver riconosciuto, con la sentenza n. 154 del
2004, la «dignità costituzionale»[37]
del potere di esternazione del Presidente della Repubblica[38],
ora avrebbe dovuto tracciarne concretamente i confini, stabilendo se le
dichiarazioni rese dal senatore Cossiga nel 1991 fossero o meno riconducibili
all’espletamento della funzione presidenziale. Non si trattava più di
riconoscere in via di principio al Capo dello Stato il potere di esternazione –
com’era appunto accaduto nel precedente conflitto – ma di agire
conseguentemente a quanto allora affermato, calandosi nella vicenda storica e
sciogliendo il nodo concernente la funzionalità di dichiarazioni che sono valse
all’ex Presidente la condanna al
risarcimento del danno. Compito, quest’ultimo, tutt’altro che agevole[39]
e, anzi, quali che fossero stati i criteri cui la Corte si sarebbe potuta
ispirare per delineare la funzionalità di dette esternazioni[40],
sarebbe rimasto indubbio «l’ampio margine di discrezionalità che (avrebbe
contrassegnato) operazioni interpretative volte a definire la funzionalità o
l’extrafunzionalità delle esternazioni presidenziali»[41].
Non solo. Il Giudice dei conflitti non avrebbe potuto
disegnare il potere presidenziale di esternazione se, prima, non avesse
accuratamente definito il quadro entro cui si svolgono le stesse funzioni
presidenziali, dal momento che queste ultime non possono essere interpretate se
non alla luce della posizione costituzionale del Presidente della Repubblica.
Le sentenze gemelle della Corte di Cassazione avevano preso, pur cautamente,
posizione sul punto, ritenendo di aderire a quella corrente maggioritaria in
dottrina secondo la quale la figura presidenziale è «avulsa da qualsiasi
coinvolgimento in attività di indirizzo politico-amministrativo»,
«eminentemente rappresentativa», «custode e garante della costituzione»[42].
La Corte Costituzionale, dal canto suo, in occasione della sentenza n. 154 del
2004 ne aveva fatto a meno, stabilendo soltanto che «quale che sia la
definizione più o meno ampia che si accolga delle funzioni del Presidente»[43]
l’irresponsabilità ex art. 90 Cost.
vale solamente per gli “atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni” .
Oggi, invece, per verificare se le esternazioni dell’allora
Presidente Cossiga fossero o meno coperte dall’immunità ex art. 90 Cost., una previa definizione del ruolo presidenziale
sarebbe stata necessaria: non si sarebbe trattato (o almeno non soltanto) di
individuare le funzioni del Capo dello Stato previste in Costituzione[44]
ma, piuttosto, di stabilire le modalità con le quali esse possono (e debbono)
essere esercitate. Insomma, solo attraverso la lente della posizione
costituzionale del Presidente della Repubblica sarebbe stato possibile
verificare la funzionalità delle esternazioni cossighiane.
Se così è, non è da escludere, allora, che la cautela con
cui si è mossa in questa occasione la Corte, e che l’ha indotta a propendere
per una decisione processuale d’inammissibilità, sia da imputare, almeno in
parte, anche alle forti critiche manifestate da larga parte della dottrina nei
confronti di una recente sentenza della Consulta che aveva dovuto
necessariamente svolgere più di qualche considerazione sul ruolo del Presidente
della Repubblica e sulla sua responsabilità[45].
Non di poco conto, dunque, gli irti ostacoli sulla via che
portava alla decisione di merito. E, allora, ciò potrebbe spiegare perché la
Corte abbia optato per una decisione quale la sentenza in commento. Tuttavia,
la pronuncia del Giudice dei conflitti non solo propone gli spunti problematici
che si è sinora cercato di affrontare, ma prolunga la mancata, definitiva,
soddisfazione dell’attore nel giudizio che ha originato il conflitto[46].
La decisione in epigrafe, infatti, non ha chiuso il c.d. “caso Cossiga”,
poiché, come si è detto, molto probabilmente l’ultimo capitolo bisognerà
scriverlo all’indomani della pronuncia della Corte di cassazione sulla sentenza
resa nel giudizio di rinvio. Nel frattempo, il senatore Onorato non può che
prolungare un’attesa che va avanti ormai da più di un quindicennio, essendo andato
perso «l’augurio che questa vicenda giudiziaria e costituzionale, iniziata nel
lontano 10 marzo 1993, si concluda al più presto dando soddisfazione ai diritti
delle persone offese e pacificando “l’anime
di color cui vinse l’ira” (Inf. VII, 116)»[47].
[1] La vicenda è
nota: tra il marzo e l’ottobre 1991 l’allora Presidente della Repubblica
Francesco Cossiga, in più occasioni e in sedi diverse, rilasciò giudizi sugli
onorevoli Onorato e Flamigni, ritenuti da entrambi gravemente diffamatori nei
loro confronti. In ragione di ciò i due parlamentari lo citarono in giudizio
chiedendo il risarcimento del danno. Le due cause seguirono un percorso
parallelo: il Tribunale civile di Roma, con pronunce del 22 giugno 1993 (in Rass. dir. civ., 1994, 653 e segg., con nota di Chieffi,
Esternazioni extrafunzionali e
responsabilità del Presidente della Repubblica) e del 14 maggio 1994 (in Dir. informazione e informatica, 1994,
1749 e segg., con nota di Lenoci,
Sulla responsabilità del Presidente della
Repubblica per gli atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle proprie
funzioni), decise in senso favorevole agli attori; la Corte d’Appello
riformò entrambe le sentenze con le decisioni del 21 aprile 1997 (in Giur. Cost., 1998, 2829 e segg., con
nota di Pizzorusso, La discutibile immunità del Presidente
linguacciuto) e del 16 marzo 1998 (in Foro
It., 1998, I, 2988 e segg.); la Corte di Cassazione con due pronunce del 27
giugno 2000 (sent. n.
[2] In questi termini
Cerrina Feroni, Una sentenza
“storica”: sulla ammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzioni tra
poteri dello Stato promosso da un “ex” Presidente della Repubblica e sulla
acquisita dignità costituzionale delle c.d. “esternazioni presidenziali”, in www.giustamm.it
[3] Corte cost., 26
maggio 2004, n. 154, in Giur. Cost., 2004, 1582 e segg., con note di Elia,
Il Presidente iracondo e i limiti della
sua responsabilità; D’Andrea,
L’irresponsabilità del Capo dello Stato
non è pari all’insindacabilità dei parlamentari: la Corte «distingue» e
rilancia l’interpretazione restrittiva dell’immunità; Malfatti, La «doppia» pronuncia sul «caso Cossiga»: di molte strade percorribili,
la Corte non sceglie la più lineare.
[4] Corte cost., 26
maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 5.
[5] Corte cost., 26
maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 7.
[6] Sottolineavano
quest’aspetto Cerrina Feroni, Una sentenza, cit., 4; Pugiotto, Ben oltre il “caso Cossiga”:
le importanti novità della sentenza n. 154 del
2004, in www.forumcostituzionale.it,
4; Salmoni, L’intervento in
giudizio del terzo offeso, la legittimazione attiva dell’ex Presidente della
Repubblica ed altre novità nei ricorsi per conflitti fra poteri: la “storia
infinita” del c.d. caso Cossiga, in www.federalismi.it, 12.
[7] Gazz. Uff., I Serie speciale, 9 novembre
2005, n. 45, 72 e segg.
[8] App. Roma, 23
settembre 2004, n. 4024.
[9] Così Cerrina Feroni, Inammissibile il ricorso o incoerente la decisione? (ovvero i “giochi
di parole” della sentenza 290 del 2007 sul “caso Cossiga”), in www.forumcostituzionale.it,
1.
[10] Considerato in
diritto, punto 4.
[11] È la stessa Corte
Costituzionale a fare riferimento a proprie precedenti decisioni, richiamando
le sentt. n. 27
del 1999 (in Giur. Cost., 1999,
225 e segg.) e nn.
2, 150, 222 e 223 del 2007.
[12] Già in occasione
del precedente conflitto era stata avanzata l’ipotesi che il ricorso del
senatore Cossiga tendesse, più che a tutelare le prerogative presidenziali, a
impugnare impropriamente le sentenze della Corte di Cassazione e che, perciò,
fosse da dichiarare inammissibile. In questi termini erano le osservazioni di Salmoni, L’intervento, cit., 9, e quelle, tutte in Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a cura di), Il “caso Cossiga”, cit., di D’Amico,
Brevi note sull’(in)ammissibilità del
conflitto proposto dall’ex Presidente
della Repubblica, 137 e segg.; Pezzini,
Ora per quando? Ipotesi d’inammissibilità
del ricorso per tardività, 355 e segg.; Pinardi,
Lo strano caso del senatore-Presidente
(ovvero: dell’impossibile frammentazione diacronica di un potere dello Stato),
396. Di diverso avviso, invece, Benelli,
Un invito a pensare in termini di
specialità (costituzionale): il ricorso è tempestivo e il suo petitum è sufficiente, ibidem, 64.
[13] Corte cost., 26
maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 3.
[14] I due ricorsi,
pur in parte diversi quanto alle motivazioni che li sorreggono - circostanza
del resto inevitabile dal momento che il secondo non ha potuto che muoversi
sulla scia della sentenza
n. 154 del 2004 - mirano entrambi all’annullamento di provvedimenti
giurisdizionali che si reputano lesivi delle attribuzioni presidenziali.
[15] Lo ha già notato Cerrina Feroni, Inammissibile, cit., 1.
[16] Cfr., in specie,
punto 2.5 del ricorso, nonché le stesse conclusioni, ove si legge: «si chiede
che codesta Ecc.ma Corte voglia dichiarare ammissibile il presente ricorso per
conflitto tra poteri dello Stato e indi annullare la sentenza della Corte di
appello di Roma, sezione II civile, n. 4024 del 23 settembre 2004 che ha illegittimamente menomato posizione e
attribuzioni costituzionalmente riconosciute al Presidente della Repubblica»
(corsivo nostro).
[17] Si afferma ciò
non perché si ignori che nella giurisprudenza costituzionale sono frequenti le
contraddizioni o, meglio, gli overruling,
ma perché appare singolare che ciò accada nell’ambito di identica vicenda, il
cui sviluppo era stato in qualche modo indirizzato dalla pronuncia del Giudice
dei conflitti del 2004.
[18] Lo evidenziavano Pace, «Habent sua sidera lites»: la discutibile ammissibilità del ricorso per
conflitto tra poteri di un ex Presidente, in Giur. Cost., 2002, 3777; Piazza,
I paradossi del conflitto di attribuzione
dell’ex-Presidente Cossiga, in Bin,
Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a cura di), Il “caso Cossiga”, cit., 368 e segg. Contra Benelli, Un invito,
cit., 68 e segg. Il precedente ricorso, difatti, si chiudeva con la sola
richiesta di dichiarare l’ex Presidente della Repubblica soggetto legittimato a
sollevare conflitto di attribuzione.
[19] Pugiotto, Ben oltre, cit., 2.
[20] È solo il caso di
ricordare che la Corte, in quell’occasione, dovette prendere posizione circa
l’ammissibilità di un conflitto tra poteri proposto da un ex Presidente della Repubblica, propendendo finalmente per la
soluzione positiva, tutt’altro che pacifica in dottrina e ora confermata anche
dalla sentenza in commento. Sul punto, oltre ai numerosi contributi pubblicati
in Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a
cura di), Il ”caso Cossiga”, cit., cfr. Pace,
«Habent sua sidera lites», cit., 3778 e segg.; Biondi, I due corpi del
Presidente della Repubblica, in Giur.
Cost., 2002, 3781 e segg.
[21] Sembra, insomma,
che ci si trovi dinanzi ad una di quelle occasioni efficacemente descritte da G.
Zagrebelsky, Principî e voti. La Corte Costituzionale e la politica, Torino,
2005, 77 e segg.: «una qualche ragione di inammissibilità, è quasi sempre
possibile rilevarla. Il processo costituzionale, anche per l’atteggiamento
formalistico che qualcuno imputa talora alla Corte e per l’orientamento non
sempre fermo nel valutare i problemi di forma (onde c’è quasi sempre un
precedente cui ci si può aggrappare), è diventato quasi un percorso a
trabocchetti. È facile perciò che, di fronte a difficoltà, la Corte cerchi la
via per procedere oltre, senza affrontarle. (…) Spesso, invece di «passare ai
voti» sul merito della questione, si sceglie la facile via della pronuncia di
inammissibilità, sulla quale spontaneamente si forma la maggioranza più larga:
intanto, non pregiudica nulla, rinvia ad altro momento o ad altra sede la
soluzione del problema ed evita l’insorgere di contrasti interni ed esterni.
Non si possono ignorare i lati positivi di questa tecnica; ma allo stesso tempo
non si può chiudere gli occhi sul pericolo ch’essa consista in una via di fuga
di fronte a responsabilità costituzionali che sono della Corte, che in essa si
traduca una certa tendenza al quieto vivere, al passare inosservati, a non dare
fastidio: il che non è propriamente ciò che ci si deve attendere da un giudice
della Costituzione».
[22] Cerrina Feroni, Inammissibile, cit., 2.
[23] In senso analogo Cerrina Feroni, Inammissibile, cit., 2.
[24] Cerrina Feroni, Inammissibile, cit., 3, nota anche, però, che ciò è «solo una mera
supposizione, che non trova alcun riferimento né diretto, né indiretto, nella
decisione di inammissibilità in oggetto».
[25] Corte cost., 26
maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 5 (corsivo
nostro).
[26] In questo senso Giupponi, “Uno, nessuno e centomila”. Personaggi e interpreti dell’immunità presidenziale
di fronte alla Corte costituzionale, in www.forumcostituzionale.it, 3
e segg., il quale nota anche, condivisibilmente, come non possano essere
d’ostacolo per una siffatta evoluzione le «note “storture” processuali connesse
alla natura di conflitto Stato-Regioni»; Romboli,
Pregiudizialità parlamentare, effetto
inibente della delibera delle Camere e una lettura più morbida del «nesso
funzionale» da parte della Corte costituzionale, in Giur. Cost., 2004, 1235; Grisolia,
Il “caso Cossiga” di nuovo di fronte alla
Corte costituzionale, in www.costituzionalismo.it, 2 e
segg., la quale sul punto è particolarmente netta laddove afferma che la Corte
«se non vorrà irragionevolmente ignorare il proprio precedente, non potrà non
prendere in considerazione un eventuale riallineamento dei meccanismi oggi
previsti per l’accertamento della responsabilità di chi è posto ai vertici del
nostro sistema costituzionale»; in senso dubitativo D’andrea, L’irresponsabilità,
cit., 1617 e segg., e Malfatti, La «doppia», cit., 1633 e segg.
[27] Pugiotto, Il «caso Cossiga» e la teoria dei vasi comunicanti, in Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi (a
cura di), Il “caso Cossiga”, cit.,
406. L’A. – il quale, scrivendo anteriormente alla sentenza n. 154 del
2004, riteneva che il Presidente della Repubblica, autoqualificando
funzionali le proprie dichiarazioni, potesse impedire, sulla falsariga di quel
che accade in caso di delibera camerale di insindacabilità, la prosecuzione
dell’attività giurisdizionale, fatta ovviamente salva la facoltà per il giudice
ordinario di ricorrere per conflitto di attribuzione – compiva queste
considerazioni tenendo presente le sole disposizioni costituzionali concernenti
l’immunità parlamentare e quella presidenziale. A chi scrive sembra che il
ragionamento possa agevolmente essere esteso alle immunità dei consiglieri
regionali ex art. 122 Cost., se non
altro per il contenuto letteralmente identico di tale disposizione e dell’art.
68 Cost.
[28] Come lo ha
definito la stessa Corte Costituzionale nella sentenza 16 aprile
2004, n. 120, Considerato in diritto, punto
[29] Tale articolo
parla dell’obbligo incombente sul giudice di rimettere gli atti alla Camera
competente quando «non ritiene di accogliere l’eccezione concernente l’applicabilità
dell’art. 68, comma 1, Cost., proposta da una delle parti». La Corte, in
occasione della sopra citata sentenza n. 120 del
2004, si era trovata ad esaminare una questione di legittimità
costituzionale riguardante detto articolo, finendo per non pronunciarsi nel
merito ritenendo carente la motivazione del giudice a quo in ordine alla rilevanza.
[30] Circostanza,
questa, confermata da ultimo dalla Corte costituzionale nella sentenza 14 giugno
2007, n. 195. In tale occasione la Regione Veneto sosteneva che il
meccanismo della pregiudizialità parlamentare prevista dalla legge n. 140/2003
dovesse essere esteso anche all’art. 122 Cost. La Corte, invece, ha affermato
che «l’interpretazione di tipo estensivo è preclusa dal tenore letterale dell’intero
testo legislativo, che fa esclusivo riferimento all’art. 68 della Costituzione
e alla carica di parlamentare. La legge citata, inoltre, ha carattere
eccezionale, in quanto limitativa dell’esercizio della funzione
giurisdizionale, il che la rende insuscettibile di
applicazione analogica».
[31] Nella sopra citata
sentenza n. 195
del 2007 la Corte costituzionale ha rigettato una eccezione di
inammissibilità del ricorso, presentata dai due soggetti intervenienti e
fondata sul presupposto che la Regione si limitava a contestare un mero error in iudicando, ritenendo che il
ricorrente, invece, lamentando la violazione dell’art. 122 Cost. intendesse innanzitutto «contestare radicalmente la
stessa sussistenza in capo all’autorità giudiziaria del potere di accertare la
responsabilità civile derivante dalle dichiarazioni del Presidente e
consigliere regionale e, comunque, in via subordinata, censurarne il cattivo
uso».
[32] Così la Corte
costituzionale nella discussa sentenza 18 maggio
2006, n. 200, sul potere di grazia, in Giur.
Cost., 2006, 1988 e segg.
[33] A poco varrebbe
opporre che tale eventuale disparità di trattamento è giustificata dal fatto
che gli artt. 68 e 122 Cost. sono posti a tutela non dei singoli parlamentari o
consiglieri regionali ma, piuttosto, delle Assemblee di cui questi fanno parte,
mentre l’art. 90 Cost., essendo il Capo dello Stato organo monocratico, finisce
per tutelare soprattutto la persona fisica titolare dell’ufficio. In primo
luogo, perché sembra potersi dire che la facilità con cui le Camere (e i
Consigli regionali) dichiarano l’insindacabilità dei propri membri, nonché la
sempre maggior concretezza del giudizio della Corte al momento di risolvere i
conflitti tra Camere e autorità giudiziaria, hanno de facto trasformato le disposizioni costituzionali di cui si
discute in norme a tutela dei singoli eletti; in secondo luogo, perché il fatto
che il Presidente della Repubblica non sia responsabile degli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni, ma lo è invece pienamente in caso di reato
comune («per affermare il contrario» scriveva Carlassare,
Art.
[34] Considerato in
diritto, punto 4.
[35] Al riguardo
devono condividersi le parole di Grisolia,
Il “caso Cossiga”, cit., 6: «non vi è
dubbio (…) che sia contrario alla “morale costituzionale”, prima ancora che a
qualsivoglia norma giuridica, che la massima carica dello Stato usi il proprio
potere di esternazione per gettar discredito su singole persone».
[36] Oltre agli ovvi
motivi di opportunità, a sconsigliare un giudizio della Corte sulle
esternazioni presidenziali posticipato alla fine dei tre gradi di giudizio sono
il principio di economicità degli atti processuali nonché quello della
ragionevole durata del processo: che senso avrebbe, infatti, dar luogo a
(almeno) due giudizi di merito e uno di legittimità se, comunque, l’ultima
parola circa la funzionalità delle esternazioni presidenziali non può che
spettare, e su ciò non può ragionevolmente nutrirsi alcun dubbio, alla Corte
Costituzionale in sede di conflitto tra poteri dello Stato?
[37] Cerrina Feroni., Una sentenza, cit.
[38] Sul quale, oltre
agli scritti citati alle note 1 e 3, cfr., tra gli altri, Martines, Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica, in Silvestri (a cura di), La figura e il ruolo del Presidente della
Repubblica nel sistema costituzionale italiano, Milano, 1984, 233 e segg.; Motzo, Il potere presidenziale di esternazione e di messaggio (Appunti),
in Arch. Giur., 1957, 19 e segg.; Pace, Esternazioni presidenziali e forma di governo. Considerazioni critiche,
in Quaderni costituzionali, 1992, 191
e segg.; G. Zagrebelsky, Il potere di esternazione del Presidente
della Repubblica, in Corriere Giur.,
1991, 709 e segg.
[39] La stessa Corte
Costituzionale, nella sentenza n. 154 del
2004, al punto 6 del Considerato in diritto, aveva affermato che «si può
riconoscere che operare la distinzione, nell’ambito delle “esternazioni”, fra
quelle riconducibili all’esercizio delle funzioni presidenziali e quelle ad
esse estranee può risultare, in fatto, più difficile di quanto non sia
distinguere nel campo dei comportamenti o degli atti materiali, o anche di
quanto non sia distinguere fra opinioni “funzionali” ed “extrafunzionali”
espresse dai membri di un’assemblea rappresentativa, che si differenzia dagli
individui che ne fanno parte, laddove nel caso del Presidente l’organo è
impersonato dallo stesso individuo: ma l’eventuale maggiore difficoltà della
distinzione non toglie che essa sia necessaria».
[40] F.S. Marini, Controfirma ministeriale, cit., 3442, notava come la complessità di
una tale indagine si deve al fatto che «il Capo dello Stato è un organo
monocratico, svolge di frequente le sue funzioni al di fuori della sua sede
istituzionale, e alcune sue attribuzioni – come la «rappresentanza dell’unità
nazionale» - non si concretano in atti formali, tipizzati dalla Costituzione o
da fonti secondarie». L’A., poi, proponeva un elenco di elementi sintomatici
che soccorrano l’interprete nell’individuazione delle esternazioni
funzionalmente orientate del Capo dello Stato. Uno sforzo simile compie anche Ruggeri, L’ex Presidente della
Repubblica come «potere dello Stato» e le sue (pseudo)esternazioni davanti alla
Corte, in Bin, Brunelli, Pugiotto,
Veronesi (a cura di), Il “caso
Cossiga”, cit., 10 e segg. (specialmente 22 e segg.).
[41] Grisolia, Il “caso Cossiga”, cit., 5.
[42] Cass., 27 giugno
2000, n. 8733, cit., Motivi, punto 3.1.
[43] Corte cost., 26
maggio 2004, n. 154, cit., Considerato in diritto, punto 6.
[44] Cass., 27 giugno
2000, n. 8733, cit, si era pronunciata anche su questo punto, stabilendo che
tra le funzioni presidenziali rientrano non solo quelle previste dall’art. 89
Cost., ma anche quelle di cui all’art. 87 Cost., compresa la stessa
rappresentanza dell’unità nazionale, e che il potere di esternazione non è una
funzione ulteriore ma «solo un mezzo, cioè uno dei possibili strumenti con cui
il Presidente provvede all’esercizio di alcune funzioni presidenziali» (Motivi,
punto 7.1).
[45] Ci si riferisce a
Corte cost. 18
maggio 2006, n. 200, cit., in tema di potere di grazia. Tra i tanti
commenti in senso critico a tale pronuncia, si vedano G.U. Rescigno, La Corte
sul potere di grazia, ovvero come giuridificare rapporti politici e distruggere
una componente essenziale del costituzionalismo nella forma di governo
parlamentare, in Giur. Cost.,
2006, 2005 e segg.; Salerno, Brevi riflessioni su alcuni aspetti
problematici della sentenza della Corte costituzionale in tema di concessione
della grazia, ibidem, 2017 e
segg.; Luciani, Sulla titolarità del potere di grazia del
Presidente della Repubblica, in Corriere
Giur., 2007, 190 e segg.; Elia,
La sentenza sul potere di grazia; dal
contesto al testo, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
nonché il recente Dibattito sulla
controfirma ministeriale comparso in Giur.
Cost., 2007, 455 e segg.
[46] Per quanto si
debba rilevare che il senatore Onorato, intervenuto nel giudizio dinanzi la
Corte, aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso sostenendo che questo
denunciasse meri errores in iudicando.
[47] Elia, Il Presidente iracondo, cit., 1613.