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Alfonso Celotto
La “seconda rondine”: ormai c’è un giudice per i presupposti del
decreto-legge.
1. La sentenza n. 171 del
2007 della Corte costituzionale era stata salutata con grande favore. Dopo
anni di decisioni ondivaghe e contraddittorie la Consulta aveva infranto
il tabù del controllo sul decreto-legge: per la prima volta, era giunta ad una
valutazione negativa circa la evidente mancanza dei presupposti del decreto,
dichiarando l'illegittimità costituzionale di una disposizione di un decreto,
già convertito, per mancanza dei presupposti.
Tuttavia quella decisione
tanto innovativa non aveva mancato di destare preoccupazioni circa la reale
volontà della Corte di avviare un nuovo orientamento su un profilo così
delicato del circuito Parlamento-Governo, specie ove fosse già intervenuta la
conversione in legge, conversione che - per anni – sappiamo è stata vista quale
forma di novazione, idonea ad assorbire ogni vizio proprio del decreto. In
particolare le preoccupazioni erano relative:
- da un lato, al fatto
che nella sentenza dello scorso anno era stata annullata una “norma intrusa”,
nel caso di specie una disposizione tesa a sistemare un problema di
ineleggibilità del sindaco di Messina in un decreto relativo alla materia della
finanza degli enti locali. Si dubitava quindi del se “sotto le vesti della
mancanza dei presupposti dell’art. 77, la Corte abbia inteso sanzionare una norma che, per
le circostanze in cui interveniva, si prestava a più di un rilievo di carattere
sostanziale, limitandosi a censurare un difetto di tecnica legislativa” (così
Sorrentino, Ancora sui rapporti tra
decreto-legge e legge di conversione: sino a che punto i vizi del primo possono
essere sanati dalla seconda?, in Giur.
Cost., 2007, 1679);
- dall’altro non si
poteva fare a meno di ricordare come, anche dopo la svolta del 1995 circa la
natura non novativa della legge di conversione, la Corte più volte ha oscillato
sul punto, ora negando la possibilità di controllo dei presupposti del
decreto-legge dopo la conversione in legge, facendo nuovamente riemergere il
classico argomento della efficacia sanante della conversione (cfr. sent. n. 419 del
2000; n. 376
del 2001; e n
16 e 29 del 2002; al
riguardo cfr. Celotto, La “storia
infinita”: ondivaghi e contraddittori orientamenti sul controllo dei
presupposti del decreto-legge, in Giur.
Cost., 2002, 133 ss.); ora riaffermando la possibilità del sindacato sui
presupposti di necessità e urgenza del decreto-legge, esercitabile solo nei
limiti dell’ “evidente mancanza”, anche dopo la conversione in legge (cfr. decc. n. 341 del
2003; n. 6,
178, 196, 285 e 299 del 2004; n. 2, 62 e 272 del 2005).
In buona sostanza c’era
da fidarsi della "prima volta"? Era davvero l’inizio di un nuovo
orientamento o un caso destinato a restare isolato, in una giurisprudenza da
sempre ondivaga (sia consentito rinviare a Celotto, C’è sempre una
prima volta, in Giustizia
amministrativa, 2007, 513 ss.)?
Con metafora stagionale,
basta una rondine a fare primavera?
2. Oggi possiamo
rispondere affermativamente, avendo una “seconda rondine” fatto seguito alla
prima.
Nella sent. n. 128 del
2008 la Corte
ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 18, commi 2 e 3, del
decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia
tributaria e finanziaria) e dell’art. 2, commi 105 e 106, dello stesso
decreto-legge n. 262 del 2006, nel testo sostituito, in sede di conversione,
dalla legge 24 novembre 2006, n. 286 (Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in
materia tributaria e finanziaria),
nella parte in cui hanno disposto l’esproprio del teatro Petruzzelli in favore
del Comune di Bari.
A far ritenere che la Corte abbia davvero avviato
un nuovo orientamento è la struttura motivazionale della decisione.
La declaratoria di
incostituzionalità per evidente mancanza dei presupposti non discende dal
sintomo del trattarsi di norma intrusa (come accaduto nel 2007), ma dalla
carenza in sé di necessità e di urgenza della disposizione in questione.
Infatti la Corte sottolinea da un lato
che con l’esproprio del Teatro Petruzzelli “nessun collegamento è ravvisabile”
con il preambolo del decreto, in cui con clausola di stile si motivano la
generale necessità ed urgenza di misure a carattere finanziario, tese al
riequilibrio dei conti pubblici.
Dall’altro, rileva come anche
in sede di conversione non vi sia alcuna specifica giustificazione della
disposizione in questione rispetto alla generale eterogeneità di norme che
concorrono alla manovra di finanza pubblica.
Anzi proprio nei lavori
preparatori della legge di conversione la Corte rinviene l’unico tentativo di
giustificazione della norma sul Petruzzelli: ed è una giustificazione non certo
tesa a dimostrarne la natura fiscale e/o finanziaria, bensì il fatto che essa
sia «stata introdotta
per risolvere una ‘annosa vicenda’ e tutelare l’interesse ad una «migliore fruizione del bene da parte
della collettività», “così ammettendo non solo il difetto di
collegamento con la manovra di bilancio,
ma anche l’assenza di ogni carattere di indispensabilità ed urgenza con
riguardo alla finalità pubblica dichiarata” (par. 8.2, cons. diritto,
corsivo nostro).
In pratica la Corte effettua un vero e
proprio scrutinio sulla sussistenza in sé dei presupposti costituzionali
rispetto alla norma impugnata, utilizzando i classici elementi di verifica (il
preambolo del decreto, la relazione di accompagnamento al ddl di conversione,
il dibattito parlamentare sulla conversione).
In questo possiamo
rinvenire un chiaro segnale dell'orientamento del giudice costituzionale teso a
controllare direttamente i presupposti del decreto-legge, a fronte di una
tradizionale superficialità governativa
in sede di adozione del decreto e di un altrettanto superficiale controllo
parlamentare in sede di conversione.
In fondo la introduzione
di una norma in un decreto-legge – come ricorda la Corte in chiusura – “non può essere sostenuta da apodittica
enunciazione della sussistenza dei richiamati presupposti, né può esaurirsi
nella eventuale constatazione della ragionevolezza della disciplina” (par.
8.2, cons. diritto, corsivo nostro).
Volendo riprendere la
note parole di Predieri, il decreto-legge non è certo un disegno di legge
rinforzato e come tale va (andrebbe) usato con il pieno rispetto dei
presupposti costituzionali.
Forse, dopo 60 anni di
prassi distorta, ci avviamo sulla buona strada, grazie al decisivo sostegno
della Corte costituzionale.