Alfonso Celotto
C’è sempre una prima volta…(
1. Per chi studia da molti anni i
problemi della decretazione d’urgenza comporta una sottile emozione leggere la
sentenza con cui
Sul punto l’evoluzione
della giurisprudenza costituzionale è stata complessa e articolata.
L’indirizzo più risalente
negava la sindacabilità di ogni vizio proprio del decreto-legge a seguito della
legge di conversione, facendo leva sulla configurazione di quest’ultima come
forma di novazione (decc. n. 108 del
1986, n. 243
del 1987, nn.
808, 810,
1033, 1035 e 1060 del 1988, n. 263 del 1994).
Poi, nel pieno degli
abusi da reiterazione, c’è stata la “svolta” della sent. n. 29 del 1995
ove si è ammessa la possibilità di scrutinare il vizio dei presupposti del
decreto-legge, quanto meno nei casi di “evidente mancanza”, anche dopo la
conversione. L’idea portante è stata quella di negare l’efficacia “sanante”
della conversione, sforzandosi invece di ricostruire il difetto della
straordinaria necessità ed urgenza quale vizio formale, attinente al
procedimento di conversione e come tale trasmissibile alla legge parlamentare
(per una ricostruzione di questi orientamenti cfr. Concaro, Il sindacato
di costituzionalità sul decreto-legge, Milano, 2000, 41 ss., 83 ss.; e,
volendo, Celotto, L’«abuso» del decreto-legge, I, Padova,
1997, specie 413 ss.).
Tale impostazione - pur
non avendo mai portato ad annullare un decreto-legge per evidente mancanza dei
presupposti - è stata successivamente ribadita sia rispetto a decreti-legge
ancora in corso di conversione (cfr. sent. n. 161 del
1995 e n. 270
del 1996) sia rispetto a decreti-legge convertiti in legge (cfr. sent. n. 330
del 1996), mentre è stata coerentemente esclusa rispetto a disposizioni
aggiunte in sede di conversione (cfr. sent. n. 391 del
1995) e rispetto a disposizioni di “sanatoria”, che si limitano a far salvi
gli effetti di decreti non convertiti (cfr. sent. n. 84 del 1996).
Nel frattempo la prassi
della reiterazione cresceva in maniera frenetica, con gravissimi problemi di certezza
del diritto.
Sembrava che
Tuttavia, parte della
dottrina - prendendo spunto da alcuni obiter
dicta contenuti in decisioni di poco successive (cfr. ordd. n. 432 del
1996 e n. 90
del 1997 e n.
194 del 1998) - ha cercato di “conciliare” i due indirizzi della
giurisprudenza costituzionale, comparando la natura del vizio da reiterazione
con quello da carenza dei presupposti. Si è osservato come il primo sia meno
“grave” riguardando solo una modalità di esercizio di un potere legittimamente
attivato; il secondo molto di più, attagliandosi ad una vera e propria carenza
di potere, non potendosi neanche attivare il potere di cui all’art. 77 Cost. in
assenza dei presupposti; su tale base: si è concluso come soltanto il vizio da
reiterazione non si trasferisca alla legge di conversione, ma sia punibile
esclusivamente in “flagranza”, cioè prima dell’intervento parlamentare (cfr. Romboli, L’efficacia sanante dei vizi formali del decreto-legge da parte della
legge di conversione : è davvero cancellata la sent. n. 29 del 1995?, in Giur. Cost., 910 ss.; Angiolini,
Anche
In tal modo sembrava
ormai fermamente consolidatasi nella giurisprudenza costituzionale la
possibilità di scrutinare la valutazione governativa dei presupposti
costituzionali di cui all’esordio del 2° comma dell’art. 77 Cost. anche
rispetto a decreti-legge ormai convertiti, in linea con quanto da tempo
auspicato da parte della dottrina (per tutti, Raveraira,
Il problema del sindacato di
costituzionalità sui presupposti della “necessità ed urgenza” dei decreti-legge,
in Giur. Cost., 1982, I, specie 1465
ss.), tanto da far ritenere - a chi scriveva in quei mesi - che “l’inidoneità
della legge di conversione a «sanare» un decreto che sia stato adottato in
totale, palese assenza dei requisiti costituzionali” rappresentasse “un punto
fermo della giurisprudenza costituzionale in tema di decretazione d’urgenza,
cui
Invece, hanno fatto seguito
una serie di pronunce contraddittorie che hanno ora negato ora ammesso la
possibilità di controllo dei presupposti del decreto-legge dopo la conversione
in legge, facendo nuovamente riemergere il classico argomento della efficacia
sanante della conversione (cfr. sent. n. 419 del
2000; n. 376
del 2001; e n
16 e 29 del 2002; al
riguardo cfr. Celotto, La
“storia infinita”: ondivaghi e contraddittori orientamenti sul controllo dei
presupposti del decreto-legge, in Giur. Cost., 2002, 133 ss.). Poi,
questa fase di incertezza è stata nuovamente superata, riaffermandosi la
possibilità del sindacato sui presupposti di necessità e urgenza del
decreto-legge, esercitabile solo nei limiti dell’ “evidente mancanza”, anche
dopo la conversione in legge (cfr. sent. n. 341 del
2003; n. 6,
178, 196, 285 e 299 del 2004; n. 2, 62 e 272 del 2005).
2. Tuttavia, malgrado
Va infatti ricordato che
il giudice costituzionale ha correttamente ricostruito il proprio scrutinio
sull’esigenza di verificare la motivazione che sorregge il decreto mediante il test di una serie di elementi della “non
evidente mancanza” dei presupposti:
a)
il preambolo del decreto-legge;
b)
la relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge di conversione;
c)
il contesto normativo in cui va ad inserirsi.
Tuttavia, malgrado le
incertezze e le oscillazioni,
Al fondo di questa ritrosia, non può
che essere richiamata la tradizionale cautela con cui
Viene quindi da chiedersi
come mai, nel 2007,
E’ interessante ripercorrere
i passaggi della sentenza
n. 171.
Ricorda, quindi, di aver ammesso, dal 1995, che
l’esistenza dei requisiti della straordinarietà del caso di necessità e
d’urgenza può essere oggetto di scrutinio di costituzionalità, ma che tale
controllo “non si sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del Governo
e a quello successivo del Parlamento in sede di conversione – in cui le
valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti – ma deve svolgersi su un
piano diverso, con la funzione di preservare l’assetto delle fonti normative e,
con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è
predisposto”.
Del resto, il sintagma con cui
Su tale base, la verifica della costituzionalità del
decreto in esame diviene agevole.
La questione di legittimità costituzionale, sollevata
dalla Corte di cassazione, riguarda l’art. 7, comma 1, lettera a), del
decreto-legge 29 marzo 2004, n. 80 (Disposizioni urgenti in materia di enti
locali), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2004, n. 140,
articolo che reca modifiche all’art. 58, comma 1, lettera b), del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali). In buona sostanza, si tratta di una “norma
intrusa”, in quanto introduce una nuova disciplina in materia di cause di
incandidabilità e di incompatibilità in un decreto-legge relativo a misure di
finanza locale.
Il decreto si intitola «Disposizioni urgenti in
materia di enti locali» e il preambolo recita: «Ritenuta la straordinaria
necessità ed urgenza di emanare disposizioni in materia di enti locali, al fine
di assicurarne la funzionalità, con particolare riferimento alle procedure di
approvazione dei bilanci di previsione, alle difficoltà finanziarie dei comuni
di ridotta dimensione demografica ed al risanamento di particolari situazioni di
dissesto finanziario». Appare evidente che “La norma censurata si connota,
pertanto, per la sua evidente estraneità rispetto alla materia disciplinata
dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita”, mancando
peraltro ogni motivazione delle ragioni di necessità e di urgenza poste alla
sua base.
3. L’impianto motivazionale è logicamente ineccepibile e
rispecchia l’impostazione classica del dettato costituzionale: il potere normativo
spetta in via generale al Parlamento per cui il decreto-legge rappresenta una
deroga. Ne discende che va valutata con rigore l’applicazione che il Governo fa
di questo suo potere. Non è infatti sufficiente il controllo inevitabilmente
politico operato in sede di conversione dalle Camere, in quanto comunque va
salvaguardata la legittimità della disciplina delle fonti, essendo tesa anche
alla tutela dei valori e dei diritti fondamentali. Rispetto al caso di specie,
trattandosi peraltro di norma intrusa, non sussiste una corretta allegazione
delle ragioni di straordinaria necessità
ed urgenza, per cui non si può non ritenere incostituzionale il provvedimento
governativo.
A far riflettere è che
una motivazione del genere avrebbe potuto sorreggere, senza alcun problema, una
dichiarazione di incostituzionalità di un decreto-legge anche nel 1957 o nel
1977 o nel 1997.
Invece, per
cinquant’anni,
La vera ragione per cui
Sappiamo infatti che fin
dagli anni ’70 il decreto-legge, a fronte di una sempre più grave “crisi della
legge”, ha sempre più sviato la sua funzione da quella costituzionalmente
prevista, divenendo – sono parole del 1975! – un “disegno di legge
governativo rafforzato dalla posizione costituzionale dell’atto che ne
consente l’immediata operatività ... e impone un corso rapido” (Predieri, Il governo colegislatore,
in Cazzola, - Predieri - Priulla,
Il decreto-legge fra Governo e Parlamento, Milano, 1975, XX; corsivo aggiunto).
Questa sua configurazione
abusiva, questo svuotamento dei presupposti costituzionali è negli anni
diventato una costante, utilizzato da governi di ogni composizione e di ogni
colore politico (basta scorrere gli indici annuali della Gazzetta ufficiale per
rilevare agevolmente i dati del fenomeno; Simoncini,
Le funzioni del decreto-legge,
Milano, 2003, 443 ss.).
Si poteva pensare
(temere?) che
Tuttavia la sentenza n. 171
non può che essere salutata con favore, costituendo un brusco segnale per riportare
il decreto-legge al suo alveo naturale, quando ormai l’abuso del presupposto
del decreto-legge sembrava radicato del diritto vivente.
Certo, che per far
recuperare al decreto-legge il proprio ruolo naturale, eccezionale e
derogatorio, non è certo sufficiente una decisione della Corte costituzionale,
ma occorrono riforme costituzionali profonde (in primis, al
bicameralismo perfetto), che incidano sulle cause che hanno portato ad
“approfittare” del decreto-legge.