Alfonso Celotto
Una inammissibilità che non persuade
(per gentile concessione della Rivista telematica www.giustamm.it)
1. Tradizionalmente
Questo
orientamento è stato superato a partire dalla sent.
n. 161 del 1995, in cui si è ammesso il conflitto
avente ad oggetto un decreto-legge, rilevando come - nei casi in cui il
giudizio in via incidentale si riveli insufficiente - il conflitto possa essere
“la forma necessaria per apprestare una difesa in grado di unire
all’immediatezza l’efficacia”; di lì a poco, l’applicabilità di questo
strumento è stata estesa (in via teorica) anche alla legge (ord.
n. 480 del 1995) e al decreto legislativo (sent. n. 457 del 1999).
Non
sembrava certo una limitazione – ma sono una
chiarimento teso ad evitare duplicazioni - la precisazione contenuta nella sent.
n. 221 del 2002, secondo cui la configurabilità del conflitto costituzionale di
attribuzioni in relazione ad atti di valore legislativo va ammessa “tutte le
volte in cui da essi possano derivare lesioni dirette dell’ordine
costituzionale delle competenze e non esista un giudizio nel quale tale norma
debba trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione
incidentale sulla legge”.
2. Lo
spinoso caso del conflitto fra C.S.M. e Parlamento rispetto alla legge sulla
riammissione in servizio del magistrato prosciolto in sede penale, con
attribuzione della funzione di livello immediatamente superiore, viene invece
ora dichiarato inammissibile, dopo che la ord.
n. 116 del 2005 lo aveva dichiarato ammissibile,
sia pure con la riserva di fare “salva e impregiudicata
la facoltà delle parti di proporre, nell’ulteriore corso del giudizio, istanze
ed eccezioni su tutti i punti esaminati in questa sede di valutazione
preliminare”.
La
attuale
inammissibilità verte sulla considerazione che “il conflitto avverso atto
legislativo è sollevabile, di norma, da un potere dello Stato solo a condizione
che non sussista la possibilità, almeno in astratto, di attivare il rimedio
della proposizione della questione di legittimità costituzionale nell’ambito di
un giudizio comune”.
Tale limite viene applicato nel caso di specie, osservando che “è
determinante la circostanza che il CSM, nel corso di uno dei giudizi comuni che
possono essere attivati dagli interessati a seguito dell’adozione, da
parte dello stesso CSM, dei provvedimenti regolati dalle norme de quibus, o comunque a seguito dell’inerzia
serbata su istanze tendenti alla emanazione di tali provvedimenti, dispone della possibilità di eccepire, in
via incidentale, l’illegittimità costituzionale delle norme legislative presentate
in questa sede come asseritamente lesive delle
proprie attribuzioni. La possibilità che le disposizioni contestate siano scrutinate in via incidentale nel corso di simili
giudizi, nei quali il Consiglio superiore può far valere le proprie ragioni,
comporta, pertanto, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per
conflitto di attribuzione”.
Come spesso accade, la Corte si richiama alla propria precedente giurisprudenza per far sembrare una ulteriore specificazione dei precedenti indirizzi quello che invece è un revirement.
Ciò che mi lascia perplesso non è tanto il fatto che la Corte stringa le maglie dell’accesso al giudizio su leggi nel conflitto fra poteri.
Forse è vero che se
Tuttavia, forse, in un sistema di giustizia costituzionale “maturo” è ben plausibile che il conflitto assuma la veste dello strumento di soluzione delle controversie istituzionali, come accaduto in Italia a partire dal caso Mancuso (sent. n. 7 del 1996). E si può anche arrivare a condividere l’ipotesi che alcuni soggetti istituzionali (i legittimati al conflitto ex art. 37 l. n. 87 del 1953, in specie) godano di strumenti di ricorso privilegiati rispetto ai (comuni) cittadini.
3. Ciò che non mi appare immediatamente comprensibile è, invece, quale sia il criterio che la Corte ha adottato per differenziare i conflitti su atti legislativi ammissibili da quelli non ammissibili.
Non riesco, cioè, a capire quando si possa verificare la “condizione che non sussista la possibilità, almeno in astratto, di attivare il rimedio della proposizione della questione di legittimità costituzionale nell’ambito di un giudizio comune”.
Su tutti gli atti legislativi si può, almeno in astratto, proporre questione di legittimità costituzionale.
Certo, la dottrina ha ben evidenziato le strettoie dell’incidentalità, per fare riferimento a tutte quelle ipotesi di leggi in cui la applicazione giudiziaria è difficoltosa e, quindi, non è agevole proporre una questione di costituzionalità. Gustavo Zagrebelsky ricorda tutta una serie di leggi (norme di azione, leggi si spesa, norme temporanee) che “mal si prestano ad una applicazione di fronte ad un giudice”; ma tuttavia specifica che “il controllo, se pur astrattamente ipotizzabile, è tuttavia difficile o tardivo” (La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 226).
Ecco il punto.
Non esistono atti legislativi in astratto sottratti al controllo di costituzionalità attivato in via incidentale: la attivazione del meccanismo incidentale, cioè, può diventare difficoltoso o tardivo in concreto e non certo in astratto!
Aver condizionato la proponibilità del conflitto alla condizione che non sussista almeno in astratto la possibilità di attivare il controllo incidentale mi fa venire in mente - metaforicamente - di paragonare questa condizione alla classica condizione impossibile (si coelum digito tetigeris).
Che si tratti, al fondo, di una ferma chiusura al conflitto su atti legislativi?
Sono certo che una lettura più meditata di questa decisione (più meditata di quanto consenta un commento a prima lettura) possa aiutare a comprendere quale sia il meccanismo a cui la Corte abbia voluto far riferimento per non far diventare il conflitto una nuova modalità generale per impugnare le leggi, lasciando tuttavia aperta la possibilità che questo “rimedio” sia realmente operativo.
4. Altro punto su cui riflettere discende dalla considerazione che nel
giudizio incidentale l’organo titolare di competenze costituzionali (in questo
caso il CSM) ha sì la “possibilità di
eccepire, in via incidentale, l’illegittimità costituzionale delle norme
legislative presentate in questa sede come asseritamente
lesive delle proprie attribuzioni”, ma che tuttavia questa possibilità resta comunque condizionata anche alla valutazione del giudice a
quo.
Non capisco perché si ritiene
che il sindacato in via incidentale possa garantire le competenze del C.S.M., in quanto il C.S.M., come qualsiasi altra parte, “nel corso di un
giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale” può solo “sollevare questione
di legittimità costituzionale mediante apposita istanza” (art. 23 l. n. 87 del 1953).
Voglio, cioè, dire che riservare al giudizio incidentale la salvaguardia delle competenze costituzionali di un organo legittimato al conflitto significa condizionare questa tutela anche alla possibilità di trovare in concreto un giudice che se la senta di ritenere la questione non solo rilevante, ma anche non manifestamente infondata.
Ma è conforme con il sistema delle garanzie costituzionali l’idea di condizionare la tutela di competenze di tono costituzionale alla valutazione di un giudice a quo?
L’impianto costituzionale impone di mantenere al conflitto le vesti di una extrema ratio, ma non bisogna incorrere nel rischio opposto di rendere la tutela connessa a tale strumento una mera chimera!