Le zone
dÂ’ombra della giustizia costituzionale. I giudizi sulle
leggi.
Genova, 10 marzo
2006
Oggetto e
parametro
Francesca
Biondi
(versione
provvisoria)
Sommario: 1. UnÂ’ipotesi: molte delle zone
dÂ’ombra del giudizio di legittimitĂ incidentale possono trovare soluzione in
altre sedi - 2. Le zone dÂ’ombra del giudizio in via incidentale risolte
attraverso una diversa nozione dei presupposti per lÂ’instaurazione del giudizio
o della determinazione dell’oggetto o del parametro - 3. Una “falsa” zona
dÂ’ombra? Il giudizio di costituzionalitĂ dei regolamenti tra Corte
costituzionale e giudici comuni - 4. Zone dÂ’ombra o conflitto fra poteri? 4.1.
LÂ’autonomia della politica: i regolamenti parlamentari come oggetto e come
parametro 4.2. Le leggi di organizzazione - 5. Zone dÂ’ombra o autoesclusione
della Corte costituzionale in relazione al controllo dei rapporti tra
ordinamenti? 5.1. Ordinamento interno e ordinamento comunitario 5.2. Ordinamento
interno e ordinamento internazionale - 6. Il referendum abrogativo: un problema
risolto solo teoricamente - 7. Una zona franca: le leggi elettorali di Camera e
Senato.
1. UnÂ’ipotesi: molte delle zone
dÂ’ombra del giudizio di legittimitĂ incidentale possono trovare soluzione in
altre sedi.
Diversi sono i punti di vista dai
quali si può muovere per studiare i profili attinenti all’oggetto e al parametro
nel giudizio di legittimitĂ costituzionale.
Anzitutto, si può verificare “come”
essi devono essere individuati dal giudice a quo ex art. 23, comma
Un altro tema di ricerca – che
riguarda il giudizio sulle leggi in generale, non solo quello in via incidentale
- può consistere nel capire come i “tempi” del processo costituzionale possono
incidere su un efficace controllo di costituzionalitĂ , sia con riferimento
allÂ’oggetto, sia con riferimento al parametro. Su questo punto,
Allo scopo di riflettere sulle “zone
d’ombra” della giustizia costituzionale appare, invece, utile muovere da una
analisi distinta delle problematiche attinenti allÂ’oggetto, inteso come atto
normativo[4],
e di quelle attinenti al parametro e chiedersi, da una parte, quali atti
normativi sfuggano al giudizio di costituzionalitĂ promosso in via incidentale,
o per natura stessa dellÂ’atto normativo o per le strettoie del giudizio
incidentale, e, dallÂ’altra, quali parametri non siano efficacemente
giustiziabili in questo giudizio.
A questo scopo, è necessario
distinguere lÂ’ipotesi in cui lÂ’atto incostituzionale non trova efficace sanzione
nel giudizio di costituzionalitĂ dallÂ’ipotesi in cui non trova sanzione nel
giudizio in via incidentale. L’ipotesi che si intende verificare è che molte
(non certo tutte) le tradizionali zone dÂ’ombra del giudizio di legittimitĂ in
via incidentale sono una conseguenza necessaria del modo di instaurazione di
questo giudizio, ma possono trovare tutela in altre sedi. Le zone dÂ’ombra del
giudizio in via incidentale sono solo quelle in cui un atto normativo, di rango
primario, che pregiudica una situazione giuridica di soggetti che non hanno
altro accesso alla giustizia costituzionale, difficilmente (e in alcuni casi
mai) può essere sottoposto da un giudice alla Corte.
Questa semplice constatazione muove
dalla lettura delle ricerche in tema di giustizia costituzionale degli anni
passati dove si presupponeva che il sistema incidentale fosse il “sistema-base
atto a coprire tutte le possibili ipotesi di incostituzionalità delle leggi”[5]
e, pertanto, che tutte le leggi, in quanto potenzialmente incostituzionali,
avrebbero dovuto poter essere sottoposte alla Corte da parte di un giudice[6],
e tutti i parametri avrebbero dovuto essere “giustiziabili” nel giudizio in via
incidentale[7].
Anche
La giurisprudenza costituzionale piĂą
recente ha invece dimostrato come, mentre il giudizio di legittimitĂ
costituzionale in via incidentale costituisce la sede piĂą idonea a garantire
quelle norme della Costituzione che toccano le situazioni soggettive – e,
dunque, solo in questi casi è opportuno anche “forzare” certi presupposti
processuali per consentire che la questione di costituzionalitĂ giunga alla
Corte (cfr. § 2) -, spetta invece agli altri giudizi garantire il rispetto delle
norme che riguardano i rapporti tra i pubblici poteri[9],
anche quando in discussione è una legge[10].
Vi è una distinzione abbastanza netta
tra i diversi giudizi costituzionali e le situazioni giuridiche pregiudicate da
cui essi hanno origine. Solo in casi particolari, può esservi una
sovrapposizione di interessi. E sono quei casi in cui o
Proprio alla luce di questa
distinzione e dellÂ’ampio sviluppo che hanno avuto i giudizi diversi da quello
sulle leggi promosso in via incidentale può allora essere utile ripercorre le
tradizionali ricostruzioni in tema di oggetto e parametro, per verificare se
certe carenze di giustiziabilitĂ in via incidentale siano in realtĂ compensate
da altri rimedi.
Vi è, infine, un secondo ordine di
considerazioni che spinge a tentare questa diversa ricostruzione della
problematica delle zone dÂ’ombra del giudizio di costituzionalitĂ in via
indentale, ossia il fatto che spesso vi è coincidenza tra le problematiche
attinenti allÂ’oggetto e quelle attinenti al parametro: allÂ’impossibilitĂ di
controllare il contenuto un atto normativo corrisponde spesso anche la
difficoltà di utilizzare quelle fonti come parametro. Ciò forse significa che vi
sono “interi settori” la cui tutela costituzionale deve essere cercata in
giudizi diversi da quello in via incidentale.
2. Le zone dÂ’ombra del giudizio in
via incidentale risolte attraverso una diversa nozione dei presupposti per
lÂ’instaurazione del giudizio o del parametro
Il sistema incidentale di
instaurazione del giudizio sulle leggi presenta lÂ’indubbio pregio di poter
valutare la disposizione nella sua applicazione concreta.
Anche alla luce di quanto si dirĂ di
seguito, si può sin d’ora osservare che
Quanto allÂ’oggetto, infatti,
Quanto al parametro, l’unico “strumento
processuale” che ha consentito di estendere il controllo sul rispetto del
disposto costituzionale è il ricorso allo schema della norma interposta (e
ciò a prescindere dal dibattito in merito alla necessità , o meno, di estenderne
lÂ’utilizzo[11]).
LÂ’analisi della giurisprudenza
costituzionale dimostra, invece, come
3. Una falsa zona dÂ’ombra? Il
giudizio di costituzionalitĂ dei regolamenti tra Corte costituzionale e giudici
comuni.
Una sintetica disamina delle zone
d’ombra del giudizio di costituzionalità non può prescindere da alcune brevi
osservazioni relative al problema della sindacabilitĂ dei regolamenti,
considerata una delle tradizionali zone dÂ’ombra della giustizia
costituzionale.
Per la quantitĂ e lÂ’importanza di
tali atti, la dottrina si è sempre interrogata in merito alla necessità di
estendere il controllo della Corte costituzionale anche ad essi, nonostante la
loro natura di fonte secondaria li escluda dallÂ’elenco di cui allÂ’art. 134
cost.
Ritenendo insufficiente il controllo
esercitato dai giudici ordinari e amministrativi, sia per la natura non
costituzionale dei giudici e del giudizio, sia per gli effetti inter partes delle decisioni del giudice
ordinario, giĂ in passato autorevole dottrina, muovendo da una concezione
“sostanziale” della primarietà , aveva proposto di prendere in considerazione
lÂ’effettivo rapporto diretto che si crea tra lÂ’atto normativo e
EÂ’ noto, tuttavia, come
Di conseguenza, o il regolamento è
conforme alla legge sulla quale si fonda, e allora sarĂ questÂ’ultima a porsi in
contrasto con
Spesso purtroppo questo schema non è
stato sufficiente a fornire tutela nei confronti del
regolamento.
E questa considerazione vale sia per
il caso in cui il regolamento risulti incostituzionale poiché viola un diritto,
sia perchè altera il sistema delle fonti.
Nella prima ipotesi, se si esclude la
possibilitĂ di impugnare il regolamento di fronte alla Corte, lÂ’unico strumento
di tutela resta il controllo operato direttamente dal giudice ordinario o
amministrativo. La dottrina, ma anche
Deve essere tuttavia segnalato come
Talvolta
Si tratta tuttavia di aperture al
sindacato sui regolamenti che hanno trovato scarso seguito: si ricordi la
recente decisione in tema di esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche
(ordinanza n. 389 del 2004).
Quanto sin qui detto con riferimento
ai regolamenti governativi vale, ovviamente, anche per i regolamenti regionali e
per gli statuti e i regolamenti degli enti locali.
Nella diversa ipotesi in cui il
regolamento non appaia conforme al sistema delle fonti, le soluzioni sono
diverse.
Anzitutto, si è ritenuto che, in
generale, quando la legge non abbia in alcun modo delimitato il potere del
governo, il giudice possa impugnare direttamente la legge per violazione del
principio di legalitĂ [22].
Il problema del rispetto del sistema
delle fonti diventa ancora piĂą evidente nel caso dei regolamenti indipendenti e
dei regolamenti di delegificazione[23].
Di fronte ad un regolamento cd.
indipendente, la dottrina maggioritaria ha ritenuto che si tratti di un
regolamento di per sé inammissibile[24]
e, quindi, sempre da annullare o disapplicare. Il problema teorico è stato poi
ridimensionato dallo scarso numero di questa tipologia di regolamenti.
Il problema del rispetto, da parte
del regolamento, del sistema costituzionale delle fonti si pone invece, sempre
più frequentemente, per i regolamenti di delegificazione, nei casi, cioè, in cui
la legge di delegificazione si limita ad autorizzare il regolamento, senza
delimitare il potere regolamentare, oppure quando le disposizioni regolamentari,
e non la legge di autorizzazione, dispongono lÂ’abrogazione di fonti di rango
ordinario precedenti, oppure, ancora, quando il regolamento eccede rispetto al
compito attribuito dalla legge di autorizzazione: in tutti i casi, cioè, in cui
si “aggira” il modello delineato dall’art. 17, comma 2, della l. n. 400 del
1988.
Premesso che, anche in questo caso,
spetterebbe ai giudici amministrativi e ordinari operare un controllo sulla
conformitĂ del regolamento alle disposizioni costituzionali che regolano il
sistema delle fonti, la scarsa sensibilitĂ dimostrata dai giudici comuni ha
indotto al dottrina ad individuare soluzioni diverse[25].
Per quanto concerne la giurisprudenza
costituzionale, nonostante alcune aperture talvolta tratte dalla dottrina nelle
parole della Corte[26],
non si segnalano decisioni volte ad estendere il sindacato di costituzionalitĂ
ai regolamenti. Al contrario,
Nel quadro così sinteticamente
ricordato, merita tuttavia di essere ricordata la “collaborazione” tra giudici e
Corte in relazione alle modifiche apportate al codice della strada[28].
I giudici a quibus avevano impostato
la questione in modo alquanto innovativo, sostenendo che, se la disposizione
regolamentare eccede la delega ricevuta dalla legge delegificante, non produce
lÂ’effetto abrogativo nei confronti della disposizione legislativa precedente, e,
pertanto, è quest’ultima che deve essere ancora applicata.
Nella stessa direzione si è poi
recentemente mossa
In questo modo
I piĂą recenti orientamenti
giurisprudenziali sembrano dunque fugare, almeno in parte, le preoccupazioni
relative al controllo sul contenuto delle fonti secondarie, soprattutto per
quanto concerne il controllo sul rispetto del sistema delle fonti: lÂ’unico
sindacato resta quello dei giudici, ma lÂ’avallo della Corte contribuisce
certamente a diffondere una certa sensibilitĂ costituzionale su questi profili.
Discorso parzialmente diverso deve
infine essere condotto nel caso in cui si ritenga che il regolamento contrasti
con lÂ’art. 117 cost., ossia non rispetti la distinzione delle competenze statali
e regionali da parte delle fonti regolamentari. Nel giudizio in via incidentale,
il controllo è – ancora una volta – esclusivamente nelle mani dei giudici. La
questione potrebbe tuttavia giungere anche alla Corte attraverso il conflitto di
attribuzione fra Stato e Regioni[31].
4. Zone dÂ’ombra o conflitto fra
poteri?
4.1. LÂ’autonomia della politica: i
regolamenti parlamentari come oggetto e come parametro
La legge non è la sola fonte
“primaria”. Pertanto, a meno di ritenere che la “primarietà ” caratterizzi solo
la legge e gli atti fungibili rispetto ad essa (decreti-legge e decreti
legislativi), è opportuno verificare se esistono altri atti cui
Tra gli atti “primari”, in quanto
atti fondati direttamente sulla Costituzione rientrano i regolamenti degli
organi costituzionali e, in particolare, i regolamenti parlamentari,
espressamente previsti dallÂ’art. 64 cost., e a cui lÂ’art. 72 cost. demanda
lÂ’integrazione dei principi sul procedimento legislativo. Tali atti si
distinguono dalle altre fonti per la diversa materia trattata[32].
Nessuno dubita della “primarietà ” dei
regolamenti parlamentari, tuttavia la loro sottoponibilitĂ al giudizio della
Corte ha sempre incontrato forti ostacoli.
Due, dunque, gli argomenti per
escludere la sindacabilitĂ delle disposizioni regolamentari: lÂ’uno, formale,
basato sulla considerazione che il regolamento non rientra nellÂ’elenco di cui
allÂ’art. 134 cost., lÂ’altro, sostanziale e certamente piĂą decisivo, consistente
nel fatto che tale atto è espressione dell’autonomia
parlamentare.
La posizione assunta dalla Corte è
solo parzialmente condivisibile.
Come sottolineato dalla dottrina, i
regolamenti parlamentari hanno come oggetto i rapporti tra le forze politiche
parlamentari, mentre non dovrebbero mai disciplinare situazioni che coinvolgano
soggetti non politici[34]
(la distinzione non si fonda dunque sullÂ’efficacia esterna o interna del
regolamento, ma sugli oggetti disciplinati). In relazione a questi casi, quando
il regolamento pretende di incidere su posizioni giuridiche di terzi[35],
è dunque necessario individuare una sede per verificare la correttezza delle
disposizioni regolamentari e, se del caso, annullarle.
EÂ’ stato proposto che, in queste
ipotesi, il giudice sollevi un conflitto di attribuzione lamentando la lesione
della propria sfera di competenza prodotta dalle devoluzione ad organi interni
delle Camere del sindacato di atti che coinvolgono soggetti terzi[36].
Secondo altra dottrina dovrebbe
spettare alla giurisdizione comune tutelare la posizione giuridica dei terzi e
risolvere la controversia applicando la legge e non il regolamento[37].
Si tratta di una soluzione ampiamente auspicabile, che, tuttavia, i giudici,
sino ad oggi, non hanno “osato” seguire[38].
Sarebbe pertanto opportuno che
A questo proposito, si noti che il
tema dellÂ’insindacabilitĂ dei regolamenti solo in parte si intreccia con quello
dellÂ’insindacabilitĂ degli interna
corporis acta, cioè dei fatti che si verificano all’interno delle Camere, e
che, in relazione a questo profilo,
La tensione tra autonomia, da una
parte, e legalitĂ -giurisdizione, dallÂ’altra, potrebbe allora indurre a ripensare
la soluzione adottata dalla Corte con la decisione del 1985 (resa proprio in
tema di autodichia) e ad ammettere il sindacato su quelle disposizioni
regolamentari che illegittimamente pregiudicano la posizione di soggetti terzi,
estranei cioè alle Camere. A questa conclusione induce del resto la
constatazione che i soggetti lesi da disposizioni regolamentari (per es., i
dipendenti delle camere) non hanno la possibilitĂ di adire
Tra le due soluzioni proposte,
giudizio in via incidentale o conflitto, la prima appare preferibile, poiché
consentirebbe alla parte privata lesa di partecipare al giudizio di fronte alla
Corte, mentre, nel caso del conflitto, sono ancora incerti i criteri di
ammissibilitĂ dellÂ’intervento delle parti private.
Le ragioni che – secondo
EÂ’ noto, invece, come
La posizione assunta dalla Corte
merita alcune osservazioni.
Anzitutto, il criterio distintivo
utilizzato dalla Corte si può prestare ad alcune incertezze. Come sottolineato
in alcuni recenti contributi[42],
talvolta non è chiaro se la violazione della disposizione regolamentare comporti
anche una lesione dellÂ’art. 72 cost. Si pensi al disposto costituzionale secondo
cui il progetto di legge, prima di giungere in assemblea, deve essere esaminato
da una commissione: se questo esame non viene concluso, se il tempo lasciato
alle commissioni risulta irrisorio alla luce di quanto prescritto nei
regolamenti, vi è, o meno, una violazione della Costituzione? In questi casi,
lÂ’accertamento della violazione della disposizione costituzionale difficilmente
potrà prescindere da una analisi di ciò che il regolamento
prescrive.
PiĂą in generale, poi, il criterio
utilizzato dalla Corte appare limitativo.
Da una parte, come si deduce anche da
quanto giĂ detto, sembra corretto che
Dall’altra parte, il principio così
enunciato non sembra discendere tanto dalla distinzione tra violazione della
Costituzione e violazione del regolamento. Potrebbero verificarsi casi in cui un
interesse sostanziale sia leso da una disposizione regolamentare[44].
Pertanto, se la posizione della Corte
appare condivisibile con riferimento proprio al giudizio in via incidentale,
dove può apparire eccessivo che un soggetto estraneo alle Camere denunci il
mancato rispetto di una disposizione regolamentare senza che ciò abbia
direttamente inciso su un suo interesse sostanziale, questa chiusura appare
insoddisfacente se riferita a tutti gli altri tipi di giudizio e, in
particolare, al conflitto fra poteri.
Una versione “attuale” del principio
di autonomia dovrebbe infatti indurre a riflettere sullÂ’opportunità – giĂ
avanzata in dottrina[45]
- di ammettere il ricorso al conflitto di attribuzioni fra poteri quando la
violazione di una disposizione regolamentare lede la posizione costituzionale di
un soggetto interno alle Camere.
Non tutte le disposizioni
regolamentari assurgerebbero a “parametro interposto” del conflitto, ma solo
quelle che, in attuazione della Costituzione, definiscono i rapporti tra organi
titolari di una attribuzione costituzionale. Tuttavia, anche con tale
precisazione, non mancano gli ostacoli.
EÂ’ opportuno ricordare che potrebbe
non essere facile dimostrare che un organo interno alle Camere è potere dello
Stato.
Se questo orientamento fosse
confermato, per esempio, i parlamentari che rappresentano un quinto dei
componenti della Camera dovrebbero poter promuovere un conflitto, qualora sia
respinta la loro richiesta di rimettere la discussione e la votazione di un
disegno di legge all’Assemblea, perché questa attribuzione gli è demandata
direttamente dallÂ’art. 72 cost. PiĂą problematico sarebbe, invece, dimostrare
lÂ’ammissibilitĂ di un conflitto proposto dallÂ’opposizione o da una minoranza,
poiché non vi sono – nella Costituzione vigente – disposizioni che attribuiscono
espressamente a tali soggetti funzioni determinate. In altri termini, proprio in
una delle ipotesi in cui è maggiormente sentita la necessità di un controllo
imparziale sullÂ’applicazione del regolamento, quello della tutela delle
prerogative delle minoranze o dellÂ’opposizione, sarebbe difficile argomentare la
legittimazione al conflitto. E ciò nonostante il fatto che l’art. 64 cost.
richieda una maggioranza qualificata per lÂ’adozione del regolamento dimostri che
la tutela delle minoranze costituisce un interesse per lÂ’ordinamento[46].
Pur ritenendo opportuno che, in
relazione a determinate situazioni,
A diverse conclusioni si potrebbe
forse giungere qualora fosse approvata la proposta di modifica della seconda
parte della Costituzione, che espressamente demanda la regolazione dei rapporti
tra maggioranza e opposizione ai regolamenti[47].
In conclusione, sia con riferimento
alla sindacabilitĂ delle disposizioni regolamentari, sia in merito alla
possibilitĂ di invocare il rispetto di esse, resta lÂ’impressione che davvero
residui siano gli spazi per un intervento della Corte costituzionale, anche in
giudizi diversi da quello in via incidentale, restando ancora prevalente il
principio dellÂ’autonomia dellÂ’organo politico.
4.2. Le leggi di organizzazione
Le leggi “di azione”, a differenza di
quelle di relazione, non regolano i rapporti tra amministrazione e cittadino o
fra cittadini, ma sono norme strumentali volte a definire lÂ’organizzazione e il
funzionamento dei pubblici poteri[48].
Non è frequente che le leggi di
organizzazione possano essere impugnate nel giudizio in via incidentale[49].
Ciò può accadere solo nel caso in cui
tale legge violi una competenza costituzionalmente stabilita. In questa ipotesi,
se nel giudizio a quo viene impugnato
un provvedimento lesivo di una posizione giuridica soggettiva, adottato sulla
base della disposizione legislativa incostituzionale, il giudice può sollevare
la questione di legittimitĂ costituzionale della norma attributiva della
competenza, denunciandone la lesione con principi costituzionali di
organizzazione.
Se invece la lesione delle
disposizioni costituzionali di organizzazione non hanno immediati riflessi
pregiudizievoli su posizioni soggettive, le sede idonea a far valere il rispetto
della Costituzione è il conflitto di attribuzione fra poteri.
Sono dunque due le condizioni perché
un conflitto di tal genere sia ammissibile: in primo luogo, dallÂ’atto di rango
legislativo devono derivare lesioni dirette all'ordine costituzionale delle
competenze; in secondo luogo, non deve esistere un giudizio nel quale tale atto
deve trovare applicazione (ordinanza n. 343 del 2003).
Con ciò
Il discorso sin qui condotto vale
anche per le leggi costituzionali e di revisione costituzionale che possono
essere oggetto di impugnazione di fronte alla Corte costituzionale qualora
ledano un principio supremo (sent. n. 1146 del 1988). Si è argomentata la
possibilitĂ di individuare anche dei principi supremi di organizzazione[53].
EÂ’ tuttavia difficile che una legge di revisione costituzionale che incide sulla
seconda parte della Costituzione sia rilevante in un giudizio comune. EÂ’
accaduto che
Infine, alle medesime conclusioni si
giunge anche con riferimento alle norme di organizzazione contenute negli
Statuti regionali. Anche qui è opportuno distinguere l’ipotesi in cui lo Statuto
venga in rilievo come oggetto o come parametro.
EÂ’ difficile immaginare che la
questione di costituzionalitĂ abbia ad oggetto una disposizione statutaria,
eppure si tratta di una ipotesi da non escludere, anche dopo che la riforma
costituzionale del
Pertanto, mentre
Rari sono anche i casi in cui la
disposizione statutaria può assurgere al rango di parametro interposto del
giudizio di costituzionalitĂ in via incidentale[55].
Oltre a quanto già osservato sulle norme di organizzazione, si ricordi che –
secondo
5. Zone dÂ’ombra o autoesclusione
della Corte costituzionale in relazione al controllo dei rapporti tra
ordinamenti?
5.1. Ordinamento interno e
ordinamento comunitario
Uno dei temi piĂą studiati dalla
dottrina costituzionalistica è quello dei rapporti tra ordinamento interno e
ordinamento comunitario, con particolare attenzione al ruolo della Corte
costituzionale nel controllare il rispetto delle reciproche
interferenze.
Molti hanno ritenuto che spetti
allÂ’organo di giustizia costituzionale garantire, da una parte, lÂ’osservanza
della Costituzione da parte del diritto comunitario, che diventerebbe oggetto
del controllo di costituzionalitĂ , dallÂ’altra, il rispetto da parte del diritto
interno dei vincoli comunitari, che assumerebbero la posizione di parametro.
E’ noto – e qui non è il caso di
ripercorrere l’intenso dibattito dottrinale – che
Per quanto concerne la possibilitĂ di
esercitare un sindacato sul contenuto del diritto comunitario,
Non vi sono state decisioni in cui
PiĂą complessa, o quantomeno piĂą
travagliata, è stata la definizione della posizione della Corte in ordine al
controllo di conformitĂ delle leggi interne al diritto comunitario. La decisione
che ancora oggi ne costituisce il caposaldo è la n. 170 del
Sono due le eccezioni a questo
schema. Anzitutto, vi è la possibilità , alquanto problematica[57]
e discutibile[58],
di impugnare nel giudizio in via principale leggi contrastanti con il diritto
comunitario, in quanto non esiste un giudice in grado di operare il controllo
(sentenze nn. 384 del 1994 e 94 del 1995). In secondo luogo, si può – anche se
si tratta di ipotesi residuali[59]
- sollecitare il sindacato di costituzionalitĂ quando la norma interna contrasta
con il diritto comunitario non direttamente applicabile, ossia direttive non self-executing, indipendentemente dal
fatto che esse siano, o meno, giĂ scadute[60],
o principi comunitari[61]
(cfr. sentenza n. 286 del 1986[62]).
Per quali ragioni
Il primo motivo consiste nel fatto
che essa, non volendo essere obbligata a rinviare le questioni pregiudiziali
alla Corte di Giustizia[63],
ha preferito evitare interferenze con lÂ’organo comunitario, inevitabili nel
momento in cui si fosse occupata in qualche modo del contenuto del singoli atti
comunitari.
In secondo luogo, non ha voluto
impedire lÂ’immediata applicabilitĂ delle norme
comunitarie.
La conseguenza di questa impostazione
è che
Un elemento che avrebbe le
potenzialità di scardinare l’impianto così faticosamente costruito è la
formulazione introdotta, dalla l. cost. n. 3 del 2001, allÂ’art. 117, comma
primo, Cost., dove si stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dallÂ’ordinamento
comunitario (a meno di ritenere, ovviamente, che lÂ’art. 117, comma 1, cost. non
abbia la capacitĂ di incidere sul tema in oggetto in quanto norma relativa ai
rapporti tra gli ordinamenti, e non tra le fonti[66]).
Il quesito potrebbe essere così
sintetizzato: lÂ’art. 11 cost. ammette che lÂ’adesione allÂ’Unione europea comporti
delle limitazioni di sovranitĂ e, pertanto, tale disposizione costituzionale
consente esclusivamente di sollecitare il controllo della Corte costituzionale
in ordine alle conseguenze di tali limitazioni sulle garanzie costituzionali;
lÂ’art. 117, comma 1, cost. introduce, invece, un nuovo parametro idoneo ad
estendere il sindacato della Corte costituzionale a tutte le norme interne
contrastanti con lÂ’ordinamento comunitario?
Già da come è stato posto
l’interrogativo, si deduce che alle due disposizioni non è attribuito identico
significato, poiché, mentre l’art. 11 cost. autorizza le limitazioni di
sovranitĂ , lÂ’art. 117 cost. riconosce le conseguenze che derivano da tali
limitazioni[67].
Anche ammettendo una portata
innovativa allÂ’art. 117, comma 1, cost. sul sistema delle fonti, non sembra,
tuttavia, che esso sia in grado di mettere in discussione lÂ’impianto sino ad
oggi seguito, e ciò soprattutto perchè non sono venute meno le ragioni che lo
hanno determinato.
In altri termini, pur avendo un
significato diverso da quello dellÂ’art. 11 cost., lÂ’art. 117, comma 1, cost. per
certi versi “fotografa” l’esistente, ossia la prevalenza delle norme comunitarie
su quelle interne, quale conseguenza delle limitazioni di sovranitĂ autorizzate
dallÂ’art. 11 cost. GiĂ in passato tale prevalenza avrebbe potuto essere
garantita dalla Corte costituzionale, ma essa, per i motivi che sono stati
sinteticamente individuati, ha consapevolmente demandato il compito ai giudici.
Questa scelta non deve essere necessariamente essere messa in discussione oggi.
Al limite, ci si può chiedere se mutano i termini e la sostanza della “non
applicazione”[68].
Oltretutto, dato il numero degli atti
comunitari, la scelta di trasformare tutti i problemi di compatibilitĂ con il
diritto comunitario in questioni di legittimitĂ costituzionale[69]
avrebbe presumibilmente effetti devastanti sul carico di lavoro dellÂ’organo di
giustizia costituzionale.
Resta ovviamente alla Corte il
compito di verificare la compatibilitĂ delle disposizioni interne con il diritto
comunitario non direttamente applicabile e, in particolare, con i principi
comunitari.
Può essere interessante ricordare che
questa interpretazione dellÂ’art. 117, comma 1, cost. sembra prevalere anche in
giurisprudenza.
Ciò è dimostrato dal fatto che
davvero rari sono i casi di contrasto tra diritto interno e diritto comunitario
che i giudici trasformano in questioni di legittimitĂ costituzionale, invocando
lÂ’art. 117, comma 1, cost. come parametro[70]:
il che dimostra come essi continuino a risolvere autonomamente tali conflitti.
Anche
Per quanto concerne la giurisprudenza
costituzionale, si attende ancora un intervento chiarificatore sul punto. Merita
tuttavia di essere segnalata lÂ’ordinanza n. 434 del 2005. Il parametro invocato
dal giudice rimettente era lÂ’art. 117, comma 1, cost. (insieme allÂ’art. 11
cost.), poiché le norme oggetto erano ritenute in contrasto con un articolo
della Carta sociale europea (giĂ ratificata e resa esecutiva con legge).
Si può dunque concludere nel senso
che, pur non mutando radicalmente i criteri per la risoluzione dei contrasti tra
ordinamento interno e ordinamento comunitario,
5.2. Ordinamento interno e
ordinamento internazionale
Analogamente a quanto osservato nel
paragrafo precedente, anche il tema dei rapporti tra ordinamento interno e
ordinamento internazionale potrebbe subire delle conseguenze grazie alla
modifica introdotta allÂ’art. 117, comma 1, cost.
Prima di essa, la giurisprudenza
costituzionale era consolidata nel distinguere nettamente lo status delle norme di diritto
internazionale generalmente riconosciute dalle norme di diritto internazionale
pattizio.
Quanto alle prime,
Quanto alla consuetudine
internazionale come oggetto, è ovviamente impossibile che possa essere sollevata
una questione di costituzionalitĂ su un fatto, tuttavia
Per quanto concerne il diritto
internazionale convenzionale, nessun problema sorge nel porre le norme di
diritto internazionale pattizio ad oggetto della questione di costituzionalitĂ ,
dal momento che esse sono recepite con legge ordinaria (sentenza n. 73 del
2001).
Più complesso e dibattuto è il
problema relativo alla possibilitĂ di utilizzare il diritto internazionale
pattizio come parametro. Pur avendo
Nonostante la chiusura della Corte,
le disposizioni di diritto internazionale pattizio vengono ancora invocate dai
giudici o come parametro interposto ex art. 10 o 11 cost.[73];
o direttamente come parametro, da sole o insieme ad altri principi
costituzionali[74];
o per interpretare disposti costituzionali[75].
Per parte sua,
Nonostante lÂ’apprezzabile tentativo
della Corte di inserire le norme internazionali di protezione dei diritti umani
nelle proprie argomentazioni, la chiusura in merito alla valutazione della
compatibilità tra norma interna e norma convenzionale è spesso considerata
insoddisfacente, al punto che si registrano casi di diretta applicazione, da
parte dei giudici, di disposizioni della CEDU con conseguente non applicazione
delle norme interne[76].
Pertanto, la domanda in merito agli
eventuali effetti innovatori dellÂ’art. 117, comma 1, cost. diventa oltremodo
interessante. In particolare, si tratta di verificare se la modifica
costituzionale incida non tanto sulle modalitĂ di recezione degli atti
internazionali[77],
quanto sul modo di risolvere lÂ’eventuale contrasto tra norma interna e norma di
diritto internazionale pattizio, conclusa secondo il procedimento di cui
allÂ’art. 80 cost.[78].
Non è facile prevedere quali
conseguenze trarrĂ
Certamente qui non sussistono le
ragioni che, presumibilmente, indurranno
Con riferimento al diritto
comunitario
Se questa è la soluzione adottata per
il diritto comunitario, a maggior ragione appare opportuno che
6. Il referendum abrogativo: un
problema risolto solo teoricamente
Il tema della “giustizibilità ” nel
giudizio in via incidentale del referendum abrogativo concerne in primo luogo la
possibilitĂ di sottoporre al controllo della Corte costituzionale lÂ’atto di
abrogazione adottato per referendum, attraverso lÂ’impugnazione del decreto del
Presidente della Repubblica che, a norma dellÂ’art.
Il referendum è atto di rango
“primario”. I problemi in merito all’ammissibilità di un tale giudizio
riguardano lÂ’imputabilitĂ dellÂ’atto al corpo elettorale, e non allo Stato,
secondo quanto previsto dallÂ’art. 134 cost.[80],
e, soprattutto, i vizi suscettibili di essere presi in considerazione. Con
riferimento a questi ultimi, lÂ’impugnazione del decreto non potrebbe essere
volta a contestare o rivedere i vizi di ammissibilitĂ giĂ valutati dalla Corte,
poiché ciò contrasterebbe con il divieto di impugnazione delle decisioni della
Corte ex art. 137, comma 3, cost., né a proporre in via preventiva e astratta
eventuali questioni di costituzionalitĂ relative a vizi sostanziali nella
normativa di risulta.
LÂ’unico vizio contestabile potrebbe
essere di tipo procedurale, in relazione alla fase svoltasi successivamente al
giudizio di ammissibilitĂ . Ma, anche in questo caso, dovrebbe trattarsi di un
vizio “costituzionale”, poiché altre irregolarità procedurali trovano tutela di
fronte alla giustizia comune.
Più studiato è il profilo attinente
alla “giustiziabilità ” del risultato referendario rispetto a leggi successive
che pretendessero di superarlo.
Il problema consiste nellÂ’individuare
gli strumenti idonei a sanzionare la violazione di questo
divieto.
Proprio in questa occasione essa ha
però suggerito la via del giudizio di legittimità in via incidentale. In tal
modo il referendum - che, anche secondo
Parte della dottrina ha criticato
tale soluzione poiché il vizio, consistente nella lesione del diritto politico
di tutti i cittadini che hanno votato per lÂ’abrogazione[85],
potrebbe essere rilevato solo da colui che è parte in un processo in cui deve
essere applicata la nuova disposizione. Sarebbe uno di quei casi di
dissociazione (qui, magari, anche solo di non coincidenza) tra titolaritĂ del
potere di accesso e titolaritĂ della posizione soggettiva tutelata dalla
disposizione costituzionale. Si può tuttavia obiettare che, portando questa
osservazione a estreme conseguenze, si dovrebbe giungere a negare che il singolo
possa contestare la violazione di disposizioni che regolano, per es., il
rapporto tra le fonti, solo perché questo non provoca una immediata lesione di
una sua posizione soggettiva. In realtà , il rispetto della Costituzione è
comunque interesse dellÂ’ordinamento, come dimostra chiaramente il fatto che il
giudizio può essere instaurato d’ufficio e prosegue anche senza la costituzione
delle parti. La tipologia dei vizi solo in seconda battuta determina la scelta
del giudizio di fronte alla Corte: se, infatti, la disposizione legislativa è in
qualche modo impugnabile nel giudizio in via incidentale, questa resta in linea
di principio la sede piĂą idonea, in caso contrario, si potrĂ verificare se la
natura del vizio consenta lÂ’impugnazione di quella disposizione con altro tipo
di ricorso.
Teoricamente non vi sono dunque
ostacoli allÂ’utilizzo dellÂ’esito referendario come parametro interposto. SarĂ
interessante vederne qualche applicazione concreta.
7. Una zona franca: le leggi
elettorali di Camera e Senato
La difficoltĂ , o, meglio
l’“impossibilità ”, di sottoporre al controllo di costituzionalità le leggi in
materia elettorale relative alle elezioni di Camera e Senato deriva dal fatto
che, nel nostro ordinamento[86],
la verifica dei poteri è affidata dalla Costituzione alle Camere. Secondo l’art.
66 cost., “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti
e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità ”.
La scelta fatta dai Costituenti pone
due problemi distinti, tra loro parzialmente collegati.
Anzitutto, essa merita delle
considerazioni di ordine generale. Ci si può chiedere cioè se sia ancora
opportuno mantenere questo tipo di giudizio esclusivamente in capo alle Camere,
oppure se, come spesso proposto[87],
sia giunto il momento di procedere ad una riforma costituzionale[88],
in modo da coinvolgere
In questo quadro piĂą generale, si
inserisce poi il tema, piĂą specifico e oggetto del presente intervento, della
sindacabilitĂ da parte della Corte costituzionale delle leggi in materia
elettorale (ossia quelle che stabiliscono le cause di ineleggibilitĂ e
incompatibilitĂ e disciplinano il procedimento e il sistema elettorale). Si
tratta di un profilo distinto, ma strettamente connesso a scelte di ordine piĂą
generale, poiché le vie di accesso alla Corte dipendono dall’affermazione della
natura giurisdizionale o politica del giudizio elettorale: in altre parole, se
si demandasse il contenzioso elettorale ai giudici comuni, non vi sarebbero
difficoltĂ a sollevare questioni di legittimitĂ costituzionale in via
incidentale aventi come oggetto leggi in materia elettorale (come, del resto,
avviene – sia pure con soluzioni che possono risultare incongrue[93]
- per le leggi elettorali di comuni, province, regioni e parlamento europeo), ma
anche qualora si decidesse di introdurre un sistema “misto”, suddiviso cioè tra
Camere e Corte, si potrebbe ipotizzare che lÂ’organo di giustizia costituzionale
sollevi di fronte a se stesso una questione di legittimitĂ costituzionale.
Gli ostacoli piĂą grossi nel portare
di fronte alla Corte costituzionale una questione avente ad oggetto una
disposizione che disciplina la materia elettorale si hanno invece proprio quando
– come nel sistema attuale - il giudizio è esclusivamente riservato all’organo
politico, poiché, nel corso dell’intero procedimento, non vi è “giudice” a cui
ricorrere.
LÂ’art. 87, comma 1, del D.P.R. 30
marzo 1957, n. 361 stabilisce che “Alla Camera dei deputati è riservata la
convalida della elezione dei propri componenti. Essa pronuncia giudizio
definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami
presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all'Ufficio centrale
durante la loro attività o posteriormente.”
Questa
disposizione è sempre stata interpretata nel senso che spetta alle Camere la
decisione in ordine a tutti i reclami presentati a partire dalla pubblicazione
del decreto di convocazione dei comizi elettorali emanato dal Presidente della
Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Si
potrebbe, infatti, ipotizzare unÂ’impugnazione del decreto che dĂ inizio al
procedimento elettorale, ma è difficile dimostrare l’interesse a ricorrere, che
sorge solo con riferimento a
specifici provvedimenti adottati dagli uffici elettorali fino alla proclamazione
ad opera dellÂ’autoritĂ elettorale competente, e dalle giunte in seguito.
Deve
essere tuttavia segnalata una decisione della Corte costituzionale, che dimostra
la possibilitĂ di adottare una soluzione diversa, che, almeno in parte, potrebbe
far recuperare uno spazio di intervento alla giurisdizione comune. Con
lÂ’ordinanza n. 512 del 2000, è stata decisa una questione di costituzionalitĂ
avente ad oggetto proprio lÂ’art. 87 cit., insieme allÂ’art. 16 del medesimo
decreto, per violazione degli artt. 24 e 113 cost., nella parte in cui non
consentono di agire in giudizio nei confronti della decisione emessa
dallÂ’ufficio centrale nazionale sullÂ’opposizione proposta contro il
provvedimento del Ministero dellÂ’interno di ricusazione di un contrassegno
elettorale presentato per le elezioni politiche. Il Tar Lazio, giudice
rimettente, era stato adito per lÂ’annullamento del provvedimento ministeriale,
nonostante fosse in assoluto carente di giurisdizione.
La
previsione legislativa attualmente vigente, secondo cui tutte le controversie
che sorgono durante il procedimento elettorale devono necessariamente essere
devolute, in ultima istanza, alle Camere e mai ad un giudice, impedisce che
disposizioni contenute nelle leggi elettorali di Camera e Senato possano mai
essere sottoposte al controllo di costituzionalitĂ (lÂ’unico caso che si ricorda
è appunto quello, appena ricordato, proposto da un giudice e relativo proprio
alla sua giurisdizione).
Inoltri,
si noti bene, né gli uffici elettorali[96],
né le giunte[97],
si sono mai auto-qualificati giudici, nonostante, almeno con riferimento agli
organi parlamentari, autorevole dottrina abbia spesso sostenuto la natura
giurisdizionale della procedura seguita e, di conseguenza, la possibilitĂ che le
giunte potessero essere qualificate come giudici a quo[98] (cfr. relazione di A. Oddi).
Oltre al tema delle leggi in materia
elettorale come oggetto, è interessante verificare quali sono i parametri che in
giudizi di questo tipo vengono in rilievo. A tal fine, ci aiuta lÂ’analisi della
giurisprudenza costituzionale avente ad oggetto le disposizioni che regolano le
elezioni degli organi rappresentativi di regioni ed enti locali.
Il maggior numero di questioni di
costituzionalitĂ hanno ad oggetto le disposizioni che stabiliscono le cause di
incompatibilitĂ (cfr., tra le ultime, decisioni nn. 383 del 2002, 398 del 2002,
404 del 2002, 220 del 2003, 223 del 2003) e di ineleggibilitĂ (decisioni nn. 131
del 2001, 306 del 2003 e 84 del 2006).
PiĂą rare, ma non certo di minore
interesse, sono le questioni relative al sistema elettorale e, in particolare,
alla formula con cui i seggi vengono ripartiti. Si ricordi che
EÂ’ interessante ricordare come
Ci si può chiedere come si
comporterebbe
Alla luce delle difficoltĂ segnalate
affinché una questione di costituzionalità avente ad oggetto la legge elettorale
di Camera e Senato giunga allÂ’attenzione delle Corte, resta infine da chiedersi
– seguendo il metodo sin qui elaborato – se esistono altri giudizi che possano
compensare questa zona dÂ’ombra.
Anzitutto, deve essere citata una
recentissima decisione della Corte, lÂ’ordinanza n. 79 del 2006, che, oltre a
meritare una riflessione approfondita sulle affermazioni in merito al ruolo
costituzionale dei partiti politici e alla definizione di potere dello Stato (su
cui retro § 4.1), deve essere
ricordata poiché ha escluso che partiti o formazioni politiche possano
impugnare, nel conflitto fra poteri, disposizioni contenute nella legge
elettorale (nella fattispecie, quelle che dettano i requisiti per la
presentazione delle liste). Nel ricorso si faceva espresso riferimento alla
residualitĂ del conflitto, eppure
UnÂ’altra soluzione, recentemente
prospettata con riferimento ad un vizio di incostituzionalitĂ contenuto nella
legge elettorale del Senato come modificata dalla l. n. 270 del 2005, consiste
nellÂ’impugnazione della legge nel giudizio in via principale. In particolare, si
ipotizza che
Concludendo su questo punto, è
innegabile che una zona franca qui vi sia davvero, ma non tanto a causa delle
strettoie del giudizio incidentale, o per orientamenti restrittivi della Corte
costituzionale, bensì per preciso disposto costituzionale e, soprattutto, per
espressa scelta legislativa.
LÂ’art. 66 cost. consentirebbe di
devolvere almeno parte del contenzioso al giurisdizione comune. Spetta al
legislatore compiere tale scelta, consentendo così anche l’intervento della
Corte costituzionale.
[1] EÂ’ interessante notare come il maggior numero delle decisioni della Corte costituzionale rese nel giudizio in via incidentale si risolvano in ordinanze di inammissibilitĂ per difetti attinenti al requisito della non manifesta infondatezza e, soprattutto, della rilevanza.
[2] A partire dalla sentenza n. 84 del 1996, muovendo dalla
distinzione tra giudizio sulla disposizione e giudizio sulla norma,
Il
trasferimento della questione è ammesso anche in caso di successione di leggi
nel tempo. Talvolta, ciò avviene quando la norma impugnata viene abrogata e
riprodotta in un testo unico (cfr., recentemente, ordinanze nn. 299 del 2003 e
149 del 2004), oppure trasfusa in un atto normativo successivo (cfr. sentenze
nn. 135 del 2003 e 345 del 2005). In un caso la norma era stata riprodotta in
una legge successiva giĂ al momento del promuovimento della questione, ma
[3]
Il problema concerne la possibilitĂ di assumere
come parametro solo
Se
il vizio fatto valere riguarda la procedura di formazione dell’atto, è corretto
che
Diverso impatto ha una modifica della Costituzione che
incide sul contenuto sostanziale. In questi casi,
Diversamente, è da segnalare che, con riferimento ad una
questione avente come parametro lÂ’art. 51 cost. nella precedente formulazione,
[4] Appare opportuno precisare che in questa sede non si
intende ripercorrere il tema dellÂ’individuazione dellÂ’oggetto del giudizio di
costituzionale nella disposizione o
nella norma (o situazione normativa,
secondo la definizione preferita da A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale,
Torino 2001, 130-132). LÂ’incidentalitĂ del giudizio e lÂ’ineliminabilitĂ del
momento interpretativo nellÂ’individuazione della disposizione applicabile al
caso concreto da parte del giudice fanno ormai per propendere decisamente per
questa seconda soluzione. Non solo. EÂ’ la stessa Corte costituzionale ad imporre
al giudice a quo di individuare la
norma, e non semplicemente la disposizione, quando solleva la questione di
legittimitĂ costituzionale. Uno studio di questo tipo si rivela particolarmente
interessante, soprattutto per la stretta implicazione con la dottrina del
diritto vivente. Tuttavia, dal momento che il tema del seminario riguarda le
“zone d’ombra” del giudizio di costituzionalità , al fine di individuare,
appunto, quali atti normativi, e perché, sfuggono al controllo di
costituzionalitĂ , sembra piĂą utile prescindere da questa distinzione e prendere
in considerazione lÂ’atto oggetto del
giudizio di costituzionalità . E ciò in quanto, se un atto “sfugge”, e
sistematicamente, al controllo di costituzionalitĂ , non dipende certo dal fatto
che esso non sia stato bene interpretato bensì dalla sua natura giuridica o da
altri elementi che di tenterĂ di mettere in luce.
[5]
Cfr. G. Zagrebelsky, Corte costituzionale
e magistratura: a proposito di una discussione sulla “rilevanza” delle questioni
incidentali di costituzionalitĂ sulle leggi, in Giur. cost. 1973,
1190.
[6] Proprio per sopperire alle naturali strettoie del giudizio di costituzionalità , si tentò, ad esempio, di costruire una nozione più ampia di rilevanza. Cfr. il dibattito innescato dalla nota di G. Zagrebelsky in Giur. Cost. 1968.
[7]
Emblematico il tentativo di estendere lo schema della norma interposta, su cui cfr., nel
testo, § 2.
[8]
In questo senso cfr. anche
R. Bin, LÂ’ultima fortezza, Milano
1996, 152.
[9] Lo spunto si trova giĂ in L. Elia, Manifesta irrilevanza della quaestio o carenza di legittimazione del giudice a quo?, in Giur. cost. 1968, 2357.
[10] Sul legame tra “zone franche di incostituzionalità ” e conflitto di attribuzioni, cfr. G. Brunelli, Una riforma non necessaria: l’accesso diretto delle minoranze parlamentari al giudizio sulle leggi, in Prospettive di accesso alla giustizia costituzionale, a cura di A. Anzon, P. Caretti, S. Grassi, Torino 2000, 194.
[11]
Tra i critici ad un uso eccessivo al ricorso alla norma interposta si ricordino
G. Zagrebelsky, La giustizia, cit.,
Â…; P. Giocoli Nacci, Norme interposte e
giudizio di costituzionalitĂ , in Scritti su la giustizia costituzionale in
onore di Vezio Crisafulli, I, Padova 1985, 359. Il dibattito è ampiamente
ripercorso in M. Siclari, Le “norme
interposte” nel giudizio di costituzionalità , Padova 1992, 95
ss.
[12] Il caso più emblematico è quello delle norme penali di
favore, poiché l’irrilevanza deriva necessariamente dal principio di non
retroattivitĂ delle norme penali di sfavore. Il rischio era quello di sottrarre
al giudizio della Corte di una intera categoria di leggi. Com’è noto, la
creazione di una vera e propria zona franca dal giudizio di costituzionalitĂ ,
adombrata in una serie di risalenti decisioni, è stata successivamente
scongiurata dalla sentenza n. 148 del 1983, dove, precisando la nozione di
rilevanza, si è affermato che questa non dipende dagli effetti materiali della
decisione, bensì dagli effetti giuridici (in questo caso sulla ratio decidendi della pronuncia).
Sulle norme penali di favore, cfr. recentemente gli
interventi al Seminario di Ferrara del 6 maggio
[13]
Cfr. C. Mortati, Atti con forza di legge
e sindacato di costituzionalitĂ , Milano 1964, spec. 93
ss.
[14] E ciò soprattutto poiché i regolamenti, anche se non fondati su una fonte di rango ordinario, possono pur sempre essere superati da una fonte primaria: cfr. A. Ruggeri – A. Spadaro, op. cit., 122.124.
In generale, contrari ad una estensione generalizzata del sindacato della Corte sui regolamenti si dimostrano: M. Cartabia, Il sindacato della Corte costituzionale sulle norme regolamentari Â…aventi (orami) forza di legge, in Giur. cost. 1994, 469.
[15]
Si noti come la riforma costituzionale approvata dalle Camere non modifica
questo profilo.
[16]
Cfr. G. Zagrebelsky, La giustizia
costituzionale, Bologna 1988, 102 ss.
[17] Cfr., tra le tante, sent. n. 7 del 1966, ord. n. 484 del 1993.
[18]
Cfr., sul punto, G. Di Cosimo, Delegificazione e tutela
giurisdizionale, in Quad. cost.
2002, 243 ss.
[19]
C. Esposito, Diritto vivente, legge e
regolamento di esecuzione, in Giur.
cost. 1962, 605 ss., e, successivamente, L. Carlassare, voce Regolamento (dir. cost.), in Enc. dir. XXXIX, Milano 1988, 636-
[20]
Cfr. le osservazioni di A. Concaro, Brevi
riflessioni in merito al sindacato “indiretto” della Corte costituzionale sui
regolamenti governativi, in Giur.
cost. 1995, 466.
[21] La dottrina ha spesso sottolineato lÂ’improprietĂ
dell’uso, in questa sede, delle nozioni di rinvio “materiale” e “formale”: cfr.
A. Ruggeri – A. Spadaro, op. cit., …;
L. Carlassare,
[22]
Cfr. L. Carlassare, voce Regolamento
(dir. cost.), cit.,
636-637.
[23] Su cui cfr. M. Cuniberti, La delegificazione, in I rapporti tra
parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto, a cura di V. Cocozza e
S. Staiano, Torino 2001
[24] Cfr. G. Zagrebelsky, op. cit.,
103.
[25] Ad es, i giudici sono stati invitati ad impugnare la
legge di delegazione per violazione dellÂ’art. 76 cost., avendo il legislatore
concesso “une delega ‘mascherata’ da delegificazione e priva dei suoi requisiti
essenziali”: fr. P. Bianchi - E. Malfatti, L’accesso in via incidentale, in Prospettive di accesso alla giustizia
costituzionale, a cura di A. Anzon, P. Caretti, S. Grassi, Torino 2000, 39;
E. Malfatti, Rapporti tra deleghe
legislative e delegificazioni, Torino 1999, 286. A tale soluzione osta però la
giurisprudenza costituzionale, secondo cui gli artt. 76 e 77 cost. possono
essere invocati solamente in relazione ai rapporti tra legge delega e decreti
legislativi delegati (sentenza n. 218 del 1987, ordinanza n. 159 del 2004;
ordinanza n. 268 del 2005).
Ritiene che
[26]
Cfr. G. Tarli Barbieri, Regolamenti di
delegificazione e giudizio di legittimitĂ costituzionale: verso nuovi
orizzonti?, in Giur. cost. 1998,
[27]
Cfr. ord. n. 230 del 1999.
[28]
Cfr., nellÂ’ordine, ord. n. 230 del 1999, sent. n. 354 del 1998, sent. n. 427 del
2000, sent. n. 251 del 2001, sent. n. 239 del 2003.
[29]
Cfr. sent. n. 251 del 2001, ord. n. 440 del 2001, sent. n. 587 del
2000.
[30]
Cfr. la ricostruzione di G.U. Rescigno, I
regolamenti illegittimi (alcuni o tutti) sono nulli?, in Giur. cost. 2001, 2156
ss.
[31] Il regolamento può essere oggetto di questo giudizio solo nel caso in cui invada la competenza di attribuzione regionale o statale, non per altri vizi: cfr. in particolare sent. n. 482 del 1995. Il principio è tuttavia ribadito senza eccezioni.
[32]
I ragionamenti di seguito espressi valgono anche per i regolamenti delle
assemblee regionali: v. sent. n. 288 del 1987.
[33] Come sottolineato dalla dottrina, del resto, ammettere la natura normativa dei regolamenti, non implica necessariamente ammettere anche la loro sindacabilitĂ : cfr. M. Manetti, La legittimazione del diritto parlamentare, Milano 1990, 155-156.
[34]
Cfr. M. Manetti, op. cit., 138
ss.
[35] Cfr., ad es., lÂ’art. 12 del Regolamento della Camera.
[36] Cfr. L. Cassetti, I regolamenti parlamentari nei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, in Le Camere nei conflitti, a cura di G. Azzariti, Torino, Â…, 196.
[37]
Cfr. M. Manetti, op. cit.,
160.
[38]
Cfr. G.A. Ferro, LÂ’autodichia delle
Camere e di principi costituzionali e sovranazionali in tema di tutela
giurisdizionale, in Scritti dei
dottorandi in onore di Alessandro Pizzorusso, Torino 2005,
229.
[39]
V. Crisafulli, Lezioni, cit.,
361.
[40]
Cfr. lÂ’analisi giurisprudenziale di F. Dal Canto, La piĂą recente giurisprudenza costituzionale
in tema di regolamenti parlamentari, in AA.VV., Il contributo della giurisprudenza
costituzionale alla determinazione della forma di governo, Torino 1997, 375
ss., e di A. Sciortino, Il parametro del
sindacato di legittimitĂ costituzionale delle leggi, inIl parametro nel giudizio di
costituzionalitĂ , Torino 2000, 569 ss.
[41] Cfr. M. Manetti, op. cit., 123.
[42]
Cfr. gli studi di M. Magrini, La
programmazione dei lavori dÂ’Assemblea: una lettura critica, in Quad. cost. 2005, 780 e C. Bergonzini,
I lavori in commissione referente tra
regolamenti e prassi parlamentari, in Quad. cost. 2005,
799.
[43] A. Manzella, Il Parlamento, Bologna 2003, 50.
[44] Su questo punto, cfr. G. Zagrebelsky, La giustizia, cit., 134-135.
[45]
Cfr. G. Brunelli, op. cit., 193; L.
Cassetti, I regolamenti parlamentari nei
conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, in Le Camere nei conflitti, a cura di G.
Azzariti, Torino, Â…, 186
ss.
[46]
Cfr. G. Zagrebelsky, La giustizia,
cit. 134.
[47] A parte alcune limitate previsioni contenute nella Costituzione (come la presidenza delle commissioni di controllo e di inchiesta e l’innalzamento di alcuni quorum per le prime votazioni) la garanzie dei diritti delle opposizioni alla Camera e delle minoranze al Senato è, infatti, lasciato ai regolamenti.
[48]
La definizione è data da G. Zagrebelsky, Il sistema delle fonti del diritto,
Torino 1988, 9.
[49]
Sul tema, cfr. E. Catalani, Norme di
organizzazione ed accesso alla Corte costituzionale, in Prospettive di accesso alla Corte
costituzionale, a cura di A. Anzon, P. Certti, S. Grassi, Torino 2000, 506
ss.
[50]
Così E. Malfatti, Il conflitto di
attribuzioni tra poteri dello Stato, in Aggiornamenti in tema di processo
costituzionale (2002-2004), a cura di R. Romboli, Torino 2005, cap. VI §
3.2.
[51] Emblematica la giurisprudenza con cui sono stati ammessi i conflitti promossi dalla Corte dei conti nei aventi ad oggetto un atto normativo di rango primario: cfr. sentenze nn. 457 del 1999, 139 del 2001, 221 del 2002.
[52]
Critica la decisione A. Celotto, Una
inammissibilitĂ che non persuade, in ww.giustamm.it
[53]
Sui principi supremi di organizzazione, cfr. N. Zanon, Premesse ad uno studio sui “principi
supremi” d’organizzazione come limiti alla revisione costituzionale, in Il parametro nel giudizio di
costituzionalitĂ , a cura di G. Pitruzzella, F. Teresi, G. Verde, Torino,
2000, 106 ss.
[54]
Cfr. sentenza n. 469 del 2005, dove, per altro,
[55] Cfr., prima della riforma costituzionale del 2001, le decisioni nn. 10 del 1980, 48 del 1983 e 290 del 1984 e, successivamente, con riguardo al potere regolamentare, le sentenze nn. 3131 e 324 del 2003.
[56] Cfr. sentenze nn. 372, 378 e 379 del 2004.
[57]
Come potrebbe in questi casi
[58]
Si chiede Ruggeri “come possa la medesima
situazione giuridica e di fatto (il conflitto tra norme di questo e
quellÂ’ordinamento) esser qualificata in termini concettuali (ora di irrilevanza,
ora d’invalidità delle norme interne) così radicalmente diversi da dimostrarsi
reciprocamente incompatibili”. Così A. Ruggeri, Fonti, norme, criteri ordinatori.
Lezioni, Torino 2005, 223.
[59]
Anzitutto, in caso di dubbio sulla diretta applicabilitĂ del diritto comunitario
il giudice deve previamente sollecitare lÂ’intervento della Corte di Giustizia,
la cui decisione spesso giĂ risolve la questione, senza intervento della Corte
costituzionale (se
In secondo luogo, tale è il diffuso sentire dei giudici comuni - alimentato appunto dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria - in merito al compito ad essi devoluto nell’applicazione del diritto comunitario, che sempre più spesso decidono di non applicare la normativa interna, non perché contrastante con un atto comunitario dotato di effetto diretto, ma perché contrastante con un principio comunitario (sancito ora nel trattato ora in una decisione della Commissione o della Corte di Giustizia), senza neppure interrogarsi se un “principio” possa, per definizione, dirsi “preciso” e quindi dotato di effetti diretti.
[60] Con la sentenza 22 novembre 2005, causa C-144/04,
[61]
Sul punto, cfr. I. Massa Pinto,
[62]
Nella fattispecie la questione aveva ad oggetto la compatibilitĂ della
legislazione interna con il principio fondamentale ricavabile dal Trattato
secondo cui compito principale della Comunità è quello di promuovere, mediante
l'instaurazione di un Mercato Comune ed il graduale avvicinamento delle
politiche degli Stati aderenti, lo sviluppo armonioso dell'attivitĂ economica
nell'ambito coperto dal Trattato.
[63]
Dopo avere negato, con lÂ’ordinanza
n. 206 del 1976, la possibilitĂ di sollevare questione di pregiudiziale alla
Corte di Giustizia, nella sentenza n. 168 del 1991
[64]
Cfr. V. Onida, “Armonia tra diversi” e
problemi aperti. La giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra ordinamento
interno e ordinamento comunitario, in Quad. cost. 2002, 550-551, il quale
ribadisce che “questa soluzione, oltre a risultare convergente di fatto con
quella seguita dalla Corte di Giustizia, ha il pregio di ricondurre lÂ’opera del
giudice costituzionale sul suo terreno proprio, che è quello di garante delle
norme della Costituzione, e non di garante interno delle norme comunitarie. A
ognuno il suo mestiere!”.
[65]
Così ancora V. Onida, op. cit.,
552.
[66]
Cfr. C. Pinelli, I limiti generali alla
potestĂ legislativa statale e regionale e i rapporti con lÂ’ordinamento
internazionale e con lÂ’ordinamento comunitario, in Foro it. 2001, V, 194 ss., per il quale
la nuova disposizione costituzionale riguarderebbe i rapporti tra ordinamento
interno e ordinamento internazionale; e E. Cannizzaro, La riforma “federalista” della Costituzione
e gli obblighi internazionali, in Riv. dir. intern. 2001, 931, il quale,
muovendo dal presupposto che, in seguito alla modifica costituzionale, potrebbe
non esservi coincidenza tra competenze interne ed esterne, ritiene che lÂ’art.
117, comma 1, cost. avrebbe la funzione di “stabilire che l’assunzione degli
obblighi internazionali ad opera di ciascuno degli enti titolari di tale potere
costituisca un limite di legittimitĂ per lÂ’esercizio delle competenze normative
dell’altro”.
[67]
In questo senso F. Sorrentino, Nuovi
profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale
e comunitario, relazione al Convegno Regioni, diritto internazionale e diritto
comunitario, Genova 23 marzo 2002, §
[68] Sul punto, cfr. F. Paterniti, La riforma dellÂ’art. 117, comma 1, cost. e le nuove prospettive nei rapporti tra ordinamento giuridico nazionale e unione europea, in Giur. cost. 2004, 2116.
[69]
In questo senso, cfr., invece, S. Catalano, Riflessioni su alcuni profili relativi
all’art. 117, comma 1, Costituzione, in Ai confini del “favor rei”. Il falso in
bilancio davanti alle Corti costituzionale e di giustizia, a cura di R. Bin
– G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, Torino 2005, 146
ss.
[70] Il primo caso risulta essere quello avente ad oggetto le norme sul falso in bilancio, deciso nel senso dellÂ’inammissibilitĂ (cfr. retro, ordinanze citate alla nt. 58).
[71] Cfr. Corte di Cassazione, sez. tributaria, sentenza 10
dicembre 2002, n.
[72] Sul punto, cfr. G. Sorrenti, La conformità dell’ordinamento italiano alle “norme di diritto internazionale generalmente riconosciute” e il giudizio di costituzionalità delle leggi, in Il parametro nel giudizio di costituzionalità , a cura di G. Pitruzzella, F. Teresi, G. Verde, Torino, 2000, 605; L. Cappuccio, Le consuetudini internazionali tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia, in Quad. cost. 2004, 11-12.
[73] Cfr., tra le piĂą recenti, le decisioni nn. 20, 195, 350, 441 e 449 del 2002; n. 260 del 2005.
[74] Cfr., tra le piĂą recenti, 78, 135, 191, 335, 444 del 2002, nn. 139 e 250 del 2005
[75] Cfr., ad es., la decisione n. 464 del 2005.
[76]
Cfr. i casi citati da B. Randazzo Giudici
comuni e Corte europea dei diritti, relazione al Convegno
[77]
La dottrina pressoché maggioritaria ha dato una risposta negativa, osservando,
giustamente, come lÂ’art. 117, comma 1, cost. debba comunque essere letto insieme
agli artt. 10 e 11 cost.
[78] Ai sensi dellÂ’art. 1 della legge n. 131 del 2003,
“Costituiscono vincoli alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, ai
sensi dellÂ’articolo 117, primo comma, della Costituzione, quelli derivanti dalle
norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, di cui allÂ’articolo
10 della Costituzione, da accordi di reciproca limitazione della sovranitĂ , di
cui allÂ’articolo 11 della Costituzione, dallÂ’ordinamento comunitario e dai
trattati internazionali”. Sono stati eslcusi gli accordi in forma
semplificata.
[79] Secondo la corte ciò dipende dal fatto che si tratta di norme derivanti da fonte riconducibile ad una competenza atipica.
[80]
LÂ’argomento, avanzato da V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale,
Padova 1984, 334, è tuttavia facilmente superato già dallo stesso
Autore.
[81]
In senso opposto si erano invece espressi Pace - Roversi Monaco – Scoca, in Giur. cost. 1987, I,
3091.
[82]
In tal modo
Si ricordi che la dottrina ha sostenuto che il legislatore non solo non potrebbe reintrodurre una disciplina abrogata con referendum ma, a certe condizioni, non potrebbe neppure abrogare una disciplina uscita indenne dalla consultazione: cfr. P. Carnevale – A. Celotto, Nuovi problemi sull’integrazione legislativa del parametro di costituzionalità , in Il parametro nel giudizio di costituzionalità , a cura di G. Pitruzzella, F. Teresi, G. Verde, Torino, 2000, 177 ss.
[83]
L’espressione è di S.P. Panunzio, Chi è
il “custode” del risultato abrogativo del referendum?, in Giur. cost. 1997,
1993.
[84]
Cfr. anzitutto Modugno, LÂ’invaliditĂ
della legge, II, Milano 1970, 120.
[85]
Cfr. S.P. Panunzio, op. cit.,
2001.
[86]
Come è noto, la scelta per la competenza parlamentare costituisce una tappa
dellÂ’affermazione dellÂ’indipendenza del Parlamento rispetto al potere sovrano e,
sebbene resista in diversi ordinamenti, ve ne sono altri, di lunga e consolidata
tradizione parlamentare, quali lÂ’Inghilterra e
[87] Tra le tante, si ricordi la proposta della “Commissione bicamerale per le riforme istituzionali” secondo cui l’interessato poteva ricorrere alla Corte costituzionale contro le delibere dell’assemblea entro quindici giorni.
[88] Si ricordi che quella recentemente approvata non incide sul punto.
[89] Se vi fosse la volontĂ di mettere mano alla materia, le soluzioni prospettabili sarebbero diverse, e dipenderebbero principalmente dal grado di legittimazione del Parlamento e dei giudici e dalla qualificazione del diritto allÂ’elettorato passivo come diritto fondamentale: su questi profili cfr. M. Manetti, op. ult. cit., in part. 12 ss.
[90] Infine, è stato approvato il d.l. 26 aprile 2005, n. 64, conv, in l. 25 giugno 2005, n. 110.
[91]
Si fa riferimento al mancato annullamento dellÂ’elezione del deputato Sardelli,
esponente della Casa delle LibertĂ , a danno di Faggiano, esponente dellÂ’Ulivo,
nonostante fosse stato accertato – in sede penale - che il Presidente di Sezione
aveva erroneamente trascritto nei verbali i risultati dellÂ’uno allÂ’altro, e
viceversa: la vicenda è ripercorsa dettagliatamente da F. Friolo, Il caso “Sardelli-Faggiano” tra autodichia
parlamentare e necessitĂ di revisione (15 febbraio 2005), in
forumcostituzionale.it. Ma non è certo l’unico caso: nella XII legislatura erano
stati due candidati del centro-sinistra a vedere ingiustamente convalidate le
loro elezioni: cfr. G. Lasorella, la
verifica dei poteri alla prova del nuovo sistema elettorale: nuove vicende e
antiche perplessitĂ , in Quad. cost.
1996, 281.
[92] Cfr. L. Elia, op. cit., 750-751.
[93]
Il riferimento è a quanto osservato dalla stessa Corte costituzionale nella
sentenza n. 84 del 2006. Il giudice, adito da un soggetto che intendeva ottenere
il riconoscimento a candidarsi legittimamente alle prossime elezioni, aveva
sollevato una questione di legittimitĂ costituzionale sulla legge regionale che
stabilisce le cause di ineleggibilitĂ . La questione viene dichiarata
inammissibile, in quanto lÂ’oggetto del giudizio principale coincideva
sostanzialmente con quello del
giudizio costituzionale e non sussisteva dunque il carattere di incidentalitĂ
della questione. EÂ’ interessante tuttavia notare che
[94] Su cui cfr. C. Chiola, Sindacato sulla legittimitĂ del contrassegno dei partiti. Una nuova political question?, in Giur. cost. 2000, 4038.
[95]
Cfr. R. Balduzzi – M. Cosulich, In
margine alla nuova legge elettorale politica, in www.associazionedeicostituzionalisti.it
(2/3/2006), i quali propongono di distinguere come procedimento a sé stante
quello elettorale, che si concluderebbe con la proclamazione degli eletti da
parte dellÂ’ufficio centrale circoscrizionale, per poi riservare alle Camere solo
la successiva verifica
dei titoli di ammissione dei componenti. In tal modo, nel procedimento
elettorale si potrebbe ammettere il ricorso al giudice amministrativo.
[96]
Si veda la decisione adottata dallÂ’Ufficio centrale nazionale presso
[97]
Cfr. i dati riportati da V. Lippolis, Art.
[98]
In questo senso, espressamente, L. Elia, op. cit., 784-79. Sostiene la natura
giurisdizionale del procedimento seguito dalle giunte per le elezioni A.
Manzella, op. cit., 232. Sulla natura
politica del giudizio, cfr. M. Cerase, Sviluppi e contrasti in materia di verifica
dei poteri, in Diritto pubblico
2004, 647, spec. 666.
[99] L’art. 92, comma 2, cost., come modificato dall’art. 30 del ddl. costituzionale così recita: “La candidatura alla carica di Primo ministro avviene mediante collegamento con i candidati ovvero con una o più liste di candidati all’elezione della Camera dei deputati, secondo modalità stabilite dalla legge. La legge disciplina l’elezione dei deputati in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro”.
[100]
Cfr. A. Pertici - A. Rossi, La
possibilitĂ di impugnare la nuova legge elettorale alla Corte costituzionale e
gli effetti della sua eventuale sospensione (23 gennaio 2006), in www.forumcostituzionale.it.
[101]
Cfr. C. Fusaro, La questione dei voti
della Valle dÂ’Aosta nella legge proporzionale con premio in attesa di
promulgazione (19 dicembre 2005), in www.forumcostituzionale.it.