Paola Balbo
L’effetto sospensivo dell’allontanamento in caso di
ricorso avverso il rigetto della
richiesta di asilo [1]
L’ordinanza n. 372 del 24 ottobre 2007 con la quale
L’inammissibilità
viene dichiarata sulla base del difetto di rilevanza della questione. Il
Giudice di pace aveva, preliminarmente al sollevamento della questione di
legittimità costituzionale, disposto la sospensione del decreto di espulsione
ed anche dell’ordine di allontanamento dal territorio nazionale superando con
tale scelta, secondo
Fino a
qui il contenuto dell’ordinanza della Corte costituzionale.
Cosa
stride in tutta la quaestio? Per mettere in evidenza le contraddizioni
occorre tracciare una breve sintesi delle disposizioni sulle quali si basa il
dispositivo impugnato per arrivare a ipotizzare quale sia la confusione di
ruoli nell’iter procedimentale e quale sarebbe ad oggi il passaggio importante
cui si vorrebbe suggerire al giudice di giungere, ovvero una pregiudiziale alla
Corte di giustizia europea ed un contemporaneo ricorso alla Corte europea dei
diritti umani. Cerchiamo di capire perché?
L’effetto
sospensivo viene prospettato in senso negativo nel Regolamento (CE) n. 343/2003
(noto come Dublino II) del Consiglio,
del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione
dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in
uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo, al cui articolo 20,
lett. e) si legge: “lo Stato membro richiedente notifica al
richiedente asilo la decisione relativa alla richiesta allo Stato membro
competente di riprenderlo in carico. Detta decisione è motivata. Essa è
corredata dei termini relativi all'esecuzione del trasferimento e contiene, se
necessario, le informazioni relative al luogo e alla data in cui il richiedente
deve presentarsi, nel caso si rechi nello Stato membro competente con i propri
mezzi. La decisione può formare oggetto di ricorso o revisione. Il ricorso o la
revisione della decisione non ha effetto sospensivo ai fini dell'esecuzione del
trasferimento eccetto quando il giudice o l'organo giurisdizionale competente
decida in tal senso caso per caso se la legislazione nazionale lo consente” [2].
Si
tratta di una restrizione che non trova l’eguale nella versione originale della
‘Convenzione sulla determinazione dello stato competente per l'esame di una
domanda di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunità Europee’
(Convenzione di Dublino I) firmata 15 giugno 1990 al cui articolo 11 l’effetto
sospensivo non era escluso. Vi si legge infatti: “Il trasferimento del
richiedente l'asilo dallo Stato membro ove è stata presentata la domanda di
asilo allo Stato membro competente deve avvenire al massimo un mese dopo
l'accettazione della richiesta o un mese dopo la conclusione della procedura
contenziosa eventualmente avviata dallo straniero contro la decisione di
trasferimento qualora la procedura ha effetto sospensivo” [3].
In ogni caso si tratta di una clausola restrittiva riferita ad una ipotesi
specifica, per altro oggetto da tempo di ampie critiche da parte di autorità
giudiziarie nazionali e associazioni.
Se
andiamo a verificare le direttive in materia di asilo scopriamo qualcosa di
più. La direttiva 2005/85/EC del 1° dicembre 2005 contiene l’articolo 7 la cui
rubrica così recita: “Diritto di restare nello Stato membro durante l’esame
dell’istanza’ e che si compone di due commi nel primo dei quali viene detto che
i richiedenti asilo saranno autorizzati a rimanere nello Stato membro ai soli
fini della procedura fino al momento in cui l’autorità incaricata di valutare
abbia deciso nel rispetto delle procedure previste dal capitolo III della
stessa direttiva. Al secondo comma si pone una clausola limitativa consentendo
agli Stati membri una eccezione al disposto del primo comma nei casi, ma
solamente in quelli, disciplinati dagli articoli 32 e
a)
una
decisione presa circa la domanda di asilo, che comprende una decisione:
(i) a
valutare una richiesta inammissibile in conformità all’art. 25 comma 2,
(ii)
presa alla frontiera o nelle zone di transito di uno Stato membro, come
descritto dall’art. 35 comma 1,
(iii)
di non eseguire un esame in conformità all’art. 36;
b)
un
rifiuto di riaprire l’esame di una richiesta dopo la cessazione in applicazione
degli articoli 19 e 20;
c)
una
decisione per non esaminare oltre una successiva domanda ai sensi degli
articoli 32 e 34;
d)
una
decisione che rifiuti l’ingresso entro i limiti della decisione quadro delle
procedure previste al comma 2 dell’art. 35;
e)
una
decisione di interruzione dello status di rifugiati ai sensi dell’art. 38.
Si aggiunge,
sotto il profilo strettamente normativo anche l’art. 21 della direttiva
2003/9/EC del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative
all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. In detto articolo,
rubricato ‘Mezzi di ricorso’, si stabilisce che “1. Gli Stati membri
garantiscono che le decisioni negative relative alla concessione di benefici ai
sensi della presente direttiva o le decisioni adottate a norma dell'articolo 7
che riguardano individualmente i richiedenti asilo possano essere impugnate
secondo le modalità stabilite dal diritto nazionale. Almeno in ultimo grado è
garantita la possibilità di ricorso o revisione dinanzi a un organo
giudiziario.
2. Le
modalità di accesso all'assistenza legale in siffatti casi sono stabilite dal
diritto nazionale”.
Appare
evidente da quanto richiamato che la direttiva 2005/85/EC sugli standards
minimi sulle procedure negli Stati membri per il riconoscimento e la cessazione
dello status di rifugiato include un diritto esplicito ad un rimedio effettivo
davanti ad un tribunale. Secondo il predetto articolo 39, il richiedente asilo
può esercitare tale diritto non solo contro le decisioni riguardanti la sua
richiesta o contro i dinieghi di riaprire l’esame delle istanze, ma anche
contro il diniego di ingresso alle frontiere o nelle zone di transito e contro
le decisioni di interruzione dello status di rifugiato. Il punto che qui
interessa è rappresentato tuttavia dal diritto di rimanere sul territorio in
attesa dell’esito dell’appello, punto sul quale la direttiva lascia un margine
di discrezionalità ai singoli Stati e al tempo stesso appare più restrittivo di
quanto non fosse stato alla vigilia della approvazione della direttiva. Il
Comitato del Parlamento europeo LIBE (Committee
on Civil Liberties, Justice and Home Affairs) aveva proposto di assicurare
che i rimedi legali contro il rifiuto di un asilo dovessero sempre avere come
effetto di permettere al richiedente di rimanere nello Stato membro fino alla
decisione della causa. L’effetto sospensivo dell’appello, dunque, costituirebbe
una salvaguardia critica dal momento che molti rifugiati sono riconosciuti solo
nel corso del processo di appello e una erronea determinazione in prima istanza
avrebbe serie conseguenze. L’unico strumento che nella formulazione definitiva
è rimasta deriva proprio dal secondo comma dell’art. 39, ovvero che le regole
proprie dello Stato membro dovrebbero essere in accordo con gli obblighi
internazionali assunti dagli stessi Stati membri. Contemporaneamente l’effetto
sospensivo, negato sulla base della considerazione che la decisione negativa di
prima istanza comporta come conseguenza il potere delle autorità di espellere
lo straniero [4],
tuttavia non ne determina la tassatività dal momento che se una data per l’espulsione
non è stata stabilita (ovvero non sia stato emesso un decreto di espulsione),
questa non appare essere imminente. È altresì vero che si tratta di una
questione rispetto alla quale lo stesso Alto Commissariato per i Rifugiati
delle Nazioni Unite in un parere del giugno 2003 sull’Aliens Act 2000
olandese ha concluso nel senso di affermare la difficoltà di concedere
l’effetto sospensivo in caso di ricorso, ma è pur vero che tale
riflessione viene strettamente correlata ad una procedura specifica, quella
accelerata. In ogni caso la difficoltà non deve leggersi come impossibilità
formale e in tal senso la tesi dell’UNHCR è la seguente:
“Given the potential serious consequences of
an erroneous first instance decision (….) withholding expulsion until at least
one proper review of the decision has been taken is a fundamental protection
guarantee. Suspensive effect should therefore in principle be granted in asylum
cases. Exceptionally, in cases that can be considered manifestly unfounded or
clearly abusive as outlined above, automatic suspensive effect could be lifted.
However, in such cases, there should be an effective means to request
suspensive effect, based on a review of the facts of the asylum case. Further,
material support should not be terminated until the deadline for requesting
review of the case has passed, or until a decision on suspensive effect has
been taken. Where it is granted, material assistance should continue to be
provided until a final decision has been taken”.
La
questione appare dunque decisa se si guarda al Regolamento Dublino II che
esclude la possibilità dell’effetto sospensivo. Non appare risolta nelle altre
ipotesi. Se parte delle legislazioni europee lo escludono [5],
non è tuttavia fissata la tassativa applicazione dell’effetto non sospensivo.
Dunque la ricostruzione giuridica internazionale comunitaria capace di
giustificare da un lato una pregiudiziale alla Corte di giustizia europea sulla
contraddizione rispetto alle disposizioni comunitarie e dall’altro alla Corte
europea dei diritti umani costituisce il nucleo della riflessione. Per farlo
occorre agganciare le disposizioni fin qui richiamate alle giurisprudenze delle
corti europee. La direttiva sulle procedure, 2005/85/EC, apre con tutta
evidenza ad una impostazione restrittiva nella fase di appello consentendo
l’allontanamento (deportation) dal momento che stabilisce non tanto un
diritto di appello in quanto tale, quanto piuttosto un ‘diritto ad un rimedio
effettivo davanti ad una corte o un tribunale’. Ciò comporta che gli Stati
membri debbano adottare, per quanto appropriate, regole in accordo con i loro
obblighi internazionali, come per altro ribadito più volte fin qui,
specificando se il rimedio ha effetto sospensivo. A tal riguardo la
giurisprudenza della CEDU ha avuto modo di rilevare come in materia di rimedi
effettivi l’appello debba comportare un effetto sospensivo [6],
nel senso che costituisce un dovere da parte dello Stato fissare la necessità
di una tale tutela. Se a ciò si aggiunge la decisione della Corte
europea di giustizia del 1986 [7]
nella quale si ricorda come, fra i principi generali della Comunità europea, il
diritto alla protezione giudiziaria effettiva sia ben definita e come la legge
comunitaria richieda un esame giudiziale effettivo delle decisioni delle
autorità nazionali prese in applicazione di disposizioni di legge europea. Al
contempo va previsto un accrescimento del diritto all’effetto sospensivo in
fase di appello e la stessa Corte europea dei diritti umani appare sembra
inglobare il principio del pieno effetto sospensivo in quello della totale
salvaguardia basata sui potenziali effetti di un errato allontanamento ai sensi
dell’art. 3 della Convenzione europea per i diritti umani [8].
[1] Nota a Corte cost., ordinanza 24 ottobre 2007, n. 372.
[2] Regolamento (CE) n. 343/2003 del 18 febbraio 2003,
Articolo 20
“1. La ripresa in carico di un
richiedente asilo in conformità dell'articolo 4, paragrafo 5, e dell'articolo
16, paragrafo 1, lettere c), d) ed e), è effettuata con le seguenti modalità:
a) la richiesta in tal senso deve
contenere indicazioni che permettano allo Stato membro richiesto di verificare
se è competente;
b) lo Stato membro richiesto è tenuto a
procedere alle verifiche necessarie e rispondere a tale richiesta quanto prima
e senza comunque superare il termine di un mese dalla data in cui è investito
della questione. Quando la richiesta è basata su dati ottenuti dal sistema
Eurodac, tale termine è ridotto a due settimane;
c) se lo Stato membro richiesto non
comunica la propria decisione entro il termine di un mese o di due settimane di
cui alla lettera b), si ritiene che abbia accettato di riprendere in carico il
richiedente asilo;
d) lo Stato membro che accetta di
riprendere in carico il richiedente asilo è tenuto a riammetterlo nel suo
territorio. Il trasferimento avviene conformemente al diritto nazionale dello
Stato membro richiedente, previa concertazione tra gli Stati membri
interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e, al più tardi, entro
sei mesi dall'accettazione della richiesta di presa in carico da parte di un
altro Stato membro o della decisione su un ricorso o una revisione in caso di
effetto sospensivo;
e) lo Stato membro richiedente notifica
al richiedente asilo la decisione relativa alla richiesta allo Stato membro
competente di riprenderlo in carico. Detta decisione è motivata. Essa è
corredata dei termini relativi all'esecuzione del trasferimento e contiene, se
necessario, le informazioni relative al luogo e alla data in cui il richiedente
deve presentarsi, nel caso si rechi nello Stato membro competente con i propri
mezzi. La decisione può formare oggetto di ricorso o revisione. Il ricorso o la
revisione della decisione non ha effetto sospensivo ai fini dell'esecuzione del
trasferimento eccetto quando il giudice o l'organo giurisdizionale competente
decida in tal senso caso per caso se la legislazione nazionale lo consente.
Se necessario, lo Stato membro
richiedente rilascia al richiedente asilo un lasciapassare conforme al modello
adottato con la procedura di cui all'articolo 27, paragrafo 2.
Lo Stato membro competente informa lo
Stato membro richiedente dell'arrivo a destinazione del richiedente asilo o,
eventualmente, del fatto che il medesimo non si è presentato nei termini
prescritti.
2. Se il trasferimento non avviene entro
sei mesi, la competenza ricade sullo Stato membro nel quale è stata presentata
la domanda d'asilo. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un
anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento o l'esame della
domanda a causa della detenzione del richiedente asilo, o fino a un massimo di
diciotto mesi qualora il richiedente asilo si sia reso irreperibile.
3. Le norme relative alle prove e agli
indizi, alla loro interpretazione, nonché all'emissione ed alle modalità di
trasmissione delle richieste sono adottate secondo la procedura di cui
all'articolo 27, paragrafo 2.
4. Norme complementari concernenti
l'esecuzione dei trasferimenti possono essere adottate in conformità della
procedura di cui all'articolo 27, paragrafo
[3] Convenzione di Dublino, 15 giugno 1990, Art.
11:
“Se lo Stato membro al quale una domanda
di asilo è stata presentata ritiene che la competenza per l'esame di detta
domanda incomba ad un altro Stato membro, esso può richiedere a quest'ultimo di
accettare l'interessato quanto più rapidamente possibile e comunque entro sei
mesi dalla presentazione della domanda di asilo.
Se la richiesta non è formulata entro
sei mesi, l'esame della domanda di asilo è di competenza dello Stato al quale
la domanda di asilo è stata presentata.
La richiesta deve essere corredata dei
dati occorrenti alle autorità dello Stato cui è stata sottoposta la richiesta
per poter riconoscere la competenza di questo Stato in base ai criteri definiti
dalla presente convenzione.
La determinazione dello Stato competente
in applicazione di tali criteri è effettuata sulla base della situazione
esistente al momento in cui il richiedente l'asilo ha presentato per la prima
volta la sua domanda ad uno Stato membro.
Lo Stato membro ha l'obbligo di
pronunciarsi in merito alla richiesta entro tre mesi dalla data di
presentazione della stessa. La mancata risposta alla scadenza di tale termine
equivale all'accettazione della richiesta.
Il trasferimento del richiedente l'asilo
dallo Stato membro ove è stata presentata la domanda di asilo allo Stato membro
competente deve avvenire al massimo un mese dopo l'accettazione della richiesta
o un mese dopo la conclusione della procedura contenziosa eventualmente avviata
dallo straniero contro la decisione di trasferimento qualora la procedura ha
effetto sospensivo.
Le modalità specifiche per
l'accettazione dell'interessato potranno essere ulteriormente precisate da
disposizioni adottate in applicazione dell'articolo
[4] In tal senso, ad esempio, Council
of State decision n. 200101994/1 of 29 May 2001, JV 2001/166 (
[5] P. BALBO, Rifugiati
e asilo. Il diritto reale soffocato: excursus tra direttive europee e leggi
nazionali (Halley ed., 2007).
[6] CEDU, Jabari
v Turkey, Application n. 40035/98, 7 March 2000.
Anche Conka
v Belgium, Application n. 51564/99, 9 February
2001.
[8] R. BYRNE, Remedies of Limited
Effect (2005), in European Journal of Migration and Law 71, 80.