Roberto
Zaccaria - Enrico Albanesi*
La delega legislativa tra teoria e prassi
Sommario: 1.
L’esplosione della delegazione legislativa all’avvio della XVI legislatura. –
2. La «grande espansione» della
delegazione legislativa e l'elusione del modello costituzionale. - 2.1. La
delega legislativa come strumento di attuazione del programma di Governo nel
sistema maggioritario ed il paradosso dell'attuazione «per antifrasi» della
delega in caso di turn over della
maggioranza. - 2.2. I principali «varchi» a disposizione del Governo: a) la genericità dei principi e criteri
direttivi e dell'oggetto, specie ove determinati per rinvio alle direttive
comunitarie; - 2.3. (Segue): b) i decreti legislativi «correttivi»; -
2.4. (Segue): c) la proroga del termine di delega con legge di conversione di un
decreto – legge. - 3. I decreti legislativi «correttivi» in
materia di immigrazione nella XVI legislatura. - 3.1. I decreti legislativi
«correttivi» in materia ambientale nella XV legislatura (cenni). - 3.2. I tre
decreti legislativi «correttivi» in materia di immigrazione nella XVI
legislatura: a) la vicenda procedurale; - 3.3. (Segue): b) la richiesta
di parere al Comitato per la legislazione. L'attivazione di uno strumento
proprio dello Statuto dell'Opposizione e la novella come tecnica normativa
propria dei decreti «correttivi»; - 3.4. (Segue):
c) il mancato rispetto dei principi e
criteri direttivi e dell'oggetto delle deleghe (rectius: delle direttive comunitarie); - 3.5. (Segue): d) il mancato rispetto dell'indirizzo
politico contenuto nei decreti legislativi «principali». Quale rilievo
giuridico? - 4. Altri casi di elusione
del modello costituzionale della delega nella XVI legislatura. - 4.1. Il
collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2009 (A.C. 1441): a) disposizioni di delega contenute in
un disegno di legge dal contenuto eterogeneo da approvare a data certa; - 4.2.
(Segue): b) il parere del Comitato per la legislazione su alcune
disposizioni di delega con principi e criteri direttivi ed oggetto indefiniti.
- 4.3. La proroga del termine di una delega con legge di conversione di un
decreto – legge e l’introduzione di una delega attraverso la novella di
una legge di conversione di un decreto – legge.
1. L’esplosione della delegazione legislativa all’avvio
della XVI legislatura
L’avvio della XVI legislatura si sta caratterizzando per una
vera e propria esplosione del fenomeno della delegazione legislativa,
un’esplosione non solo quantitativa ma anche qualitativa e quindi ancora più
pericolosa perchè caratterizzata da una sorta di clandestinità del fenomeno.
L’incremento del ricorso allo strumento della delega
legislativa costituisce uno dei tanti «aspetti problematici» nell’evoluzione
del sistema delle fonti che, certamente non tra i primi, abbiamo già segnalato
con preoccupazione e che assume oggi un rilievo peculiare
data l’ormai affermata tendenza all’utilizzo della delegazione legislativa come
strumento privilegiato per l’attuazione del programma di Governo.
Prendendo in considerazione questo inizio di legislatura e
sulla base di un attendibile controllo dei provvedimenti in corso alla data del
21 ottobre 2008, si rileva che sono ben 30 le disposizioni di delega
«principale» attualmente all’esame delle Camere contenute nei disegni di legge
di origine governativa, tenendo anche conto delle deleghe
contenute nei disegni di legge di cui ancora non sono disponibili i testi.
Tanto per fare un raffronto con il 2007 si deve notare che in tutto l’anno
passato le deleghe «principali», al netto delle deleghe contenute nella legge
comunitaria, sono state soltanto 22. Questo significa che siamo di fronte ad
un’espansione clamorosa del fenomeno.
Non si tratta, tuttavia, solo di un problema quantitativo.
Ancora più preoccupante è il modo in cui si sta configurando questo fenomeno.
Dall’analisi dei casi concreti emerge non solo la conferma
di alcune costanti già messe in luce dalla dottrina (la determinazione generica
dei principi e criteri direttivi e dell’oggetto delle deleghe, il ricorso a
leggi di conversione dei decreti legge per la proroga dei termini di delega,
l’utilizzo distorto dell’istituto dei decreti legislativi «correttivi») che
configurano una chiara elusione del modello contenuto nell’articolo 76 della
Costituzione.
Quello che più preoccupa nell’esperienza più recente è la
tecnica sotterranea, clandestina di produzione delle deleghe. Delle oltre
trenta deleghe che abbiamo contato in questo primo periodo, ben 20 sono
contenute in disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica per il
2009. Come è noto questi disegni di legge, in virtù del peculiare regime
procedurale che li caratterizza, godono di una sorta di corsia
preferenziale (art. 123-bis del
Regolamento Camera) per cui, nella pratica, il Governo ne può chiedere
l’approvazione a data certa.
Il problema risulta aggravato nel caso in cui si ammetta,
con una dubbia interpretazione parlamentare, la possibilità di
«collegati» omnibus al di fuori della
sessione di bilancio. L’eterogeneità del contenuto di questi provvedimenti è
tale che risulta impossibile, nei termini ristretti previsti dal Regolamento,
un esame appropriato dei singoli contenuti.
Questo è quello che è avvenuto alla Camera durante l’esame
dell’A.C. 1441-bis (cfr. amplius, paragrafo 4.1) ove si è
raggiunto il paradosso di far esaminare una significativa riforma del processo
civile, anziché dalla Commissione Giustizia, dalla Commissione Bilancio e da
quella Affari costituzionali, e dove il tempo complessivo dedicato all’esame
del provvedimento, tra Commissione ed Aula, non ha superato i quindici giorni.
E’ in questo contesto che vengono inserite nei provvedimenti
legislativi, spesso in forma di emendamenti presentati in Commissione o
addirittura nel corso della stessa seduta in Aula, disposizioni di delega che
«passano» quasi all’insaputa dell’Aula. Sebbene spesso tali emendamenti
contengano deleghe prive di ogni principio e criterio direttivo, il Comitato
per la legislazione è impossibilitato ad esprimere rilievi in merito dato che
l’attuale prassi non consente al Comitato di esprimere alcun parere quando il
disegno di legge è già in Aula.
Questo modo di procedere determina l’impossibilità per il
Parlamento e per i parlamentari di approvare in modo consapevole il contenuto
delle disposizioni di delega (ovvero quei vincoli che, nell’ottica del modello ex art. 76 Cost., dovrebbero costituire
limiti all’esercizio della funzione legislativa da parte del Governo). Questo
significa con ogni evidenza che oltre all’art. 76 della Costituzione risulta
vulnerato lo stesso art. 72 sul procedimento legislativo ed in particolare la
riserva di assemblea che caratterizza le leggi di delega. A meno di non voler
dare un’interpretazione meramente formale di quella riserva, si deve rilevare
che un esame delle deleghe con le caratteristiche appena descritte si configura
come una palese elusione di quel principio.
Credo pertanto che il giudice delle leggi, oltre ad un
controllo sostanziale del rispetto dell’art. 76, debba essere sensibile anche
al rispetto delle procedure di cui all’art. 72, soprattutto quando
l’approvazione di una delega arrivi senza un’adeguata riflessione in Commissione
e addirittura nella Commissione competente per materia.
Ci paiono tutt’altro che marginali i problemi
riguardanti le deleghe che emergono in questo inizio della XVI
legislatura. Deleghe «sotterranee» o «clandestine», deleghe prive di adeguati
criteri o principi direttivi, deleghe contenute in leggi di conversione dei
decreti, uso distorto dei decreti legislativi correttivi, in particolare nella
vicenda dei decreti disciplinanti lo status dei rifugiati ed il regime dei
ricongiungimenti familiari.
Questi ed altri casi offerti dalla concreta prassi
parlamentare non sempre risultano evidenti all’esame della dottrina e quindi ci
pare nostro compito segnalarli in maniera adeguata anche nei loro profili
problematici.
2. La «grande espansione» della delegazione legislativa e
l'elusione del modello costituzionale
2.1. La delega
legislativa come strumento di attuazione del programma di Governo nel sistema
maggioritario ed il paradosso dell'attuazione «per antifrasi» della delega in
caso di turn over della maggioranza
La «grande espansione» che ha caratterizzato la delegazione
legislativa a partire dalla XI legislatura ha condotto ad una profonda
trasformazione dell’istituto (specialmente a partire dal 1996 con il
consolidamento dell’assetto maggioritario del sistema politico), tale da farne
lo «strumento privilegiato» per l’attuazione del programma di Governo.
I fattori che hanno condotto la legislazione delegata ad
assumere un simile ruolo nel sistema delle fonti sono l’opportunità a
disposizione del Governo, da un lato, di «incassare il dividendo»
politico derivante dall’approvazione parlamentare della legge di delega e,
dall'altro, di riservare ad una fase governativa successiva l’adozione della
relativa disciplina di dettaglio. A ciò si aggiunga l'opportunità a
disposizione del Governo, grazie alla ormai costante possibilità di ricorrere a
decreti integrativi e correttivi, di tornare ad incidere sulla disciplina
adottata, re melius perpensa.
Come messo efficacemente in rilievo dai recenti studi
sull’argomento, una simile trasformazione della delega
ha condotto l'istituto a rilevanti torsioni del modello di cui all’articolo 76
della Costituzione date l’ampiezza dell’oggetto, la genericità dei principi e
dei criteri direttivi e la «flessibilizzazione» del termine che
hanno caratterizzato le leggi di delega approvate negli ultimi anni.
E' tuttavia proprio nel momento in cui la delegazione
legislativa si fa tendenzialmente strumento privilegiato dell'attuazione
dell'indirizzo governativo che i limiti di cui all'articolo 76 Cost. dovrebbero
ricevere un'attuazione più stringente, data la loro natura, come colse
efficacemente Paladin, ad un tempo di «limiti al legislatore delegante» e di
«garanzie dal rischio di una abdicazione del legislativo a favore
dell'esecutivo». Proprio nel momento in cui il ricorso
alla delegazione legislativa diventa strumento politicamente «normale» per l'attuazione del programma di governo,
dovrebbe farsi cioè più pressante l'esigenza di non disconoscere la natura giuridicamente «eccezionale» della
legislazione delegata.
Tornano di estrema attualità le parole con cui la Corte
costituzionale, nel lontano 1957, riconobbe la propria competenza a sindacare
il rispetto dell'articolo 76 Cost.: per evitare la «usurpazione del potere
legislativo da parte del Governo» e la violazione del principio per cui
«soltanto il Parlamento può fare le leggi», scrisse la Corte, la funzione
legislativa deve essere esercitata dal Governo solo attraverso «modalità
legislativamente stabilite». La Corte, si badi bene, non intese
l'eccezionalità della legislazione delegata né in termini quantitativi né in
termini qualitativi ma, in un'accezione strettamente giuridico –
costituzionale, ne sottolineò il necessario esercizio attraverso modalità legislativamente stabilite.
La giurisprudenza costituzionale sul rispetto dell'articolo
76 Cost. si è sviluppata però in senso restrittivo solo a partire dal 1999,
peraltro con esclusivo riguardo al versante del decreto legislativo delegato.
L'atteggiamento della Corte continua infatti a caratterizzarsi per un'estrema
cautela per quanto riguarda il sindacato sulle violazioni dell'art. 76 Cost. da
parte delle leggi di delega.
A ciò si aggiunga la non decisiva, se pur importante, presa
di posizione della Corte sul fenomeno dei decreti legislativi integrativi e
correttivi.
Il risultato è la presenza di alcuni «varchi» nel sistema
delle fonti che consentono al Governo di eludere agevolmente i limiti di cui
all'art. 76 Cost., con grave pregiudizio agli equilibri della forma di governo
consacrati nella Carta costituzionale.
L'ampiezza di simili «varchi» è tale che negli ultimi anni
si è potuto addirittura sviluppare il fenomeno, recentemente evidenziato dalla
dottrina, di decreti legislativi nominalmente
attuativi di una delega «principale», per mezzo dei quali si dà in realtà vita,
in seguito al turn – over della
maggioranza, ad un significato
normativo espressione di un indirizzo politico opposto a quello della legge delega. Oppure di decreti legislativi nominalmente attuativi di una delega
«correttiva», per mezzo dei quali si dà in realtà vita, in seguito al turn – over della maggioranza, ad
un significato normativo espressione di un indirizzo politico opposto a quello sotteso ai «decreti principali».
Si è quindi giunti all'esito (paradossale, se si pensa che
la delegazione legislativa è ormai lo «strumento privilegiato» di attuazione
del programma di Governo) di una attuazione «per antifrasi» della delega
legislativa in occasione del turn –
over della maggioranza.
Se però al Governo è consentito di esercitare la facoltà
legislativa attuando addirittura un indirizzo politico opposto a quello
contenuto nella legge di delega o nel decreto legislativo «principale», ciò
significa che la prassi è andata ben oltre quel grado di «elasticità»
di quel modello ex art. 76 Cost.
secondo il quale la natura della delegazione legislativa è e resta
giuridicamente «eccezionale».
2.2. I
principali «varchi» a disposizione del Governo: a) la genericità dei principi e criteri
direttivi e dell'oggetto, specie ove determinati per rinvio alle direttive
comunitarie;
Il principale «varco» a disposizione del Governo è
costituito dalla genericità con la quale nelle leggi di delega vengono
determinati i principi e i criteri direttivi e viene definito l'oggetto.
Il primo fattore di genericità è costituito dalla mancata
diversificazione nelle leggi di delega dei principi dai criteri direttivi: la
prassi, avvalorata come è noto dalla dottrina, tende ormai a
riconoscere natura di endiadi all'espressione «principi e criteri direttivi».
Tuttavia, nell'ottica di una valorizzazione del carattere
giuridicamente eccezionale della delegazione legislativa e della conseguente
interpretazione restrittiva delle «modalità legislativamente stabilite»
di esercizio della funzione legislativa da parte del Governo, tornano
oggi di attualità alcune tesi dottrinali risalenti. Le tesi, cioè, di quanti
proposero di attribuire un distinto significato alle espressioni «principi» e
«criteri direttivi» (attribuendo al primo natura di «formulazioni [generali] di
norme» ed ai secondi natura di «finalità») o, comunque,
pur riconoscendo «significato identico» alle due parole, ne valorizzarono la
dimensione teleologica (intendendo l'espressione come riferita ad una «norma
– tipo nella quale sia incorporato il fine»).
Il secondo fattore di genericità deriva dalla sovente
determinazione dei principi e criteri direttivi e della definizione
dell'oggetto per relationem,
ovvero per rinvio ad altri atti normativi: caso tipico è il rinvio compiuto
dalle disposizioni di delega agli stessi atti comunitari che il Governo è poi
delegato ad attuare.
La dottrina ha evidenziato i rischi sottesi a tale prassi
(ed al relativo avallo offerto dalla Corte costituzionale), specie con
riferimento al caso del rinvio alla normativa comunitaria. A fronte,
infatti, di un sistema di produzione normativa, quale quello comunitario,
prevalentemente dominato dal ruolo degli Esecutivi, appare indispensabile che
il Parlamento italiano «elabori effettivamente
i principi sostanziali della delega di attuazione del diritto comunitario».
Non solo: la tecnica del rinvio condurrebbe inevitabilmente la Corte a fondare
il proprio eventuale sindacato sul decreto legislativo su un parametro
«doppiamente» interposto (costituito dalla sequenza «art. 76 Cost. - legge di
delega – norme comunitarie») che finirebbe però in tal modo per
tramutarsi in un sindacato sulla compatibilità della normativa interna
con la normativa comunitaria, «perde[ndo] completamente lo scopo di
difendere le prerogative del Parlamento nella funzione legislativa delegata».
Una parziale risposta nella direzione di arginare simili
«varchi» è giunta dalla giurisprudenza costituzionale, intervenuta tuttavia non
sul versante del sindacato sulle leggi di delega ma sul versante dei decreti legislativi
delegati.
La Corte costituzionale, pur avendo in linea teorica
affermato sin dalla sentenza n. 3 del
1957 la propria competenza a sindacare «la legge delegante [se questa] non
contiene, anche in parte», i requisiti di cui all'articolo 76 Cost., ha infatti
sempre inteso, di fatto, l'osservanza di questi ultimi da parte della legge di
delega come «political question,
affidata alla libera valutazione delle Camere».
E' invece sul versante dei decreti legislativi delegati che
la Corte ha adottato, specie a partire dal 1999, un indirizzo maggiormente
restrittivo nel sindacato sul rispetto dell'articolo 76 Cost. (si è parlato in
proposito di «asimmetria» della giurisprudenza costituzionale in
materia). Piuttosto che sindacare le leggi di delega per carenza dei requisiti
di cui all'articolo 76 Cost., la scelta della Corte è stata in definitiva
quella di «procede[re] essa stessa alla determinazione dei principi e criteri
direttivi rimasti inespressi», attraverso una «duplice operazione
ermeneutica» consistente nella individuazione
dell'oggetto e dei principi e criteri direttivi della legge di delega, da un
lato, e nell'interpretazione del decreto legislativo delegato alla luce della
legge delega così «colmata» per sindacare l'eventuale contrasto del primo con
l'articolo 76 Cost., dall’altro.
Merita di essere segnalato come, in tale duplice processo
ermeneutico, uno dei principali criteri cui la Corte ricorre al fine di
determinare i principi e criteri direttivi e l'oggetto della delega, e,
conseguentemente, sindacare l'eventuale eccesso di delega da parte del decreto
legislativo, sia il criterio «ratione
delegationis». Le «ragioni e le finalità che hanno
ispirato il legislatore delegante» hanno dunque assunto nella
giurisprudenza costituzionale un rilievo centrale al fine del sindacato sul
rispetto da parte del legislatore delegato dei limiti di cui all'art. 76 Cost.
Come auspicato oltre trent'anni fa da Cervati, nella
valutazione della rispondenza delle disposizioni delegate ai requisiti
dell'articolo 76 Cost., «il criterio finalistico assume una rilevanza
fondamentale in sede di interpretazione della legge di delega»
.
2.3. (Segue): b)
i decreti legislativi «correttivi»;
Il secondo «varco» a disposizione del Governo è rappresentato
dalla possibilità, ormai pressoché costantemente prevista dalle disposizioni di
delega, di adottare decreti integrativi e correttivi del decreto legislativo
«principale».
Il modello della delega «correttiva» costituisce un’efficace
risposta a quelle esigenze di «sperimentazione» normativa che possono condurre
il legislatore ad intervenire nuovamente sulla materia appena disciplinata alla
luce delle difficoltà palesate dalle prime applicazioni della norma.
Tuttavia, oltre ai rilevanti pregiudizi che possono
conseguire in termini di certezza del diritto, il modello dei
decreti «correttivi» presenta l’inconveniente di condurre ad una
«marginalizzazione» delle Camere, data la possibilità per il Governo di
modificare «sottovoce» la disciplina legislativa appena varata, «senza
ripassare nelle aule parlamentari e senza incorrere in defatiganti lungaggini
procedurali».
La dottrina ha affrontato ampiamente il tema dei limiti
all’adozione da parte del Governo dei decreti legislativi «correttivi».
Risolto ormai negativamente il problema dell’esistenza di un
principio costituzionale che imponga il requisito dell’istantaneità per
l’esercizio della delega legislativa ed affermatasi la tesi della natura
dell’istantaneità come «requisito normale»
della delega, è infatti sulla possibilità di
riconoscere limiti più stringenti per i decreti legislativi «correttivi» che si
è incentrato il dibattito in dottrina.
Quanti sostengono che il Governo in sede di adozione dei
decreti legislativi «correttivi» possa esclusivamente «legifer[are] in risposta alle esigenze emerse dalla
sperimentazione», individuano il fondamento di tali
limiti nella autonomia della delega «principale» rispetto alla «correttiva»:
sarebbe cioè «dal concetto di
integrazione e correzione», da intendersi come criterio direttivo
della delega «correttiva», che discenderebbero le più stringenti limitazioni in
capo ai decreti «correttivi». .
Non sembra essere questa la prospettiva della Corte
costituzionale la quale, tuttavia, in una recente
sentenza ha definito i limiti che comunque incontrano i decreti «correttivi».
Nella sentenza
n. 206 del 2001, la Corte, pur respingendo l’ipotesi per
cui «siffatta potestà delegata possa essere esercitata solo per “fatti
sopravvenuti”», ha infatti chiarito che «ciò che conta» è che tramite essa si
intervenga «non già in funzione di un esercizio tardivo, per la prima volta,
della delega “principale”» e che «si rispettino pienamente i medesimi principi
e criteri direttivi già imposti per l’esercizio della medesima delega
"principale"».
Meritevole di menzione è inoltre il parere dell'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato 6 giugno 2007, n. 1750 per il quale «deve
ritenersi non solo possibile, ma doveroso, un intervento [del Governo per mezzo
di un decreto «correttivo»] volto a garantire la qualità formale, e in
particolare l'eliminazione di illegittimità costituzionali o comunitarie nonché
di errori tecnici, illogicità, contraddizioni».
Nonostante i limiti introdotti dalla Corte nella sentenza n. 206 del
2001, sembrano tuttavia esserci ancora ampi margini perché lo strumento dei
decreti «correttivi» possa svolgersi in violazione del modello costituzionale
della delega legislativa. Il grado di elusione del modello costituzionale da
parte della prassi appare anzi aumentare in modo esponenziale se ci si sofferma
a riflettere sul fatto che lo strumento del decreto «correttivo» (le cui
potenzialità procedurali a disposizione del Governo appaiono impareggiabili) si
colloca in un contesto in cui, lo si è visto, i principi e i criteri direttivi
e l’oggetto della delega legislativa hanno natura generica ed in cui la
frequenza del turn – over della
maggioranza è ormai costante. Ragion per cui il pieno rispetto da parte della
delega «correttiva» dei «medesimi principi e criteri direttivi già imposti per
l’esercizio della medesima delega "principale"» (come richiesto dalla
Corte nella sentenza
n. 206 del 2001) non appare di agevole conseguimento.
Una simile combinazione di fattori rende i decreti
legislativi «correttivi» lo strumento ideale per lo sviluppo di quel fenomeno
di attuazione «per antifrasi» delle deleghe legislative in occasione del turn – over della maggioranza e
dal quale sembra conseguire uno dei maggiori pregiudizi per l'effettività del
modello ex art. 76 Cost. Nel caso dei
decreti «correttivi», l'opportunità a disposizione del Governo sarà quella di
introdurre una disciplina contenente un indirizzo politico opposto non solo a
quello di cui è espressione la legge delega ma anche a quello di cui è
espressione il decreto «principale» adottato da un precedente Governo.
2.4. (Segue): c) la proroga del termine di delega con legge di conversione di un decreto
– legge;
Il terzo «varco» a disposizione del Governo è costituito
dalla frequente proroga del termine di delega (fenomeno di per sé ascrivibile
alla più o meno fisiologica «flessibilizzazione» del requisito
del termine di cui all'articolo 76 Cost.) ad opera di disposizioni contenute in
leggi di conversione di un decreto – legge.
Il problema della proroga di una delega ad opera di
disposizioni contenute in una legge di conversione di un decreto - legge si
colloca nell'ambito della più complessa questione circa la possibilità di
conferire, con legge di conversione, una delega al Governo.
La questione è stata differentemente risolta dalla dottrina
a seconda che si riconosca alla legge di conversione natura di «ordinaria
manifestazione della funzione legislativa» (dunque, in quanto tale, idonea a
contenere deleghe al Governo) o di atto-fonte «dal contenuto fortemente
limitato» in virtù della connessione con il decreto – legge
(insuscettibile, dunque, di contenere deleghe). Espressione
del primo orientamento sono la giurisprudenza della Corte costituzionale
e la prassi del Senato; espressione del secondo il rinvio presidenziale del 29
marzo 2002 e, anche grazie all'influsso del Comitato per la
legislazione, la prassi della Camera dei deputati.
La questione della possibilità che una legge di conversione
contenga una delega legislativa è tuttavia questione che esula da tale sede. Ci
si limita qui a ricordare come durante la XV legislatura, nel corso dell'iter di approvazione di un disegno di
legge di conversione contenente (tra l'altro) deleghe al Governo, la Camera ha
approvato un ordine del giorno con il quale il Governo si è impegnato a
presentare un apposito disegno di delega «tale da consentire il non esercizio
delle deleghe» previste nel disegno di legge di conversione.
In merito alla questione della proroga del termine, ci si
limita invece a constatare come l’inserimento della proroga del termine di
delega all'interno di un disegno di legge «motorizzato» quale è il
disegno di legge di conversione, non fa che attribuire sostanzialmente alla
disponibilità del Governo la gestione di una delle modalità di esercizio della
delegazione delegata.
Modalità che invece, secondo il disegno dei Costituenti,
dovrebbero essere «legislativamente stabilite».
3. I decreti legislativi «correttivi» in materia di
immigrazione nella XVI legislatura
3.1. I decreti
legislativi «correttivi» in materia ambientale nella XV legislatura (cenni)
Come preannunciato, sono alcuni casi concreti
nell'esperienza della XVI legislatura che si vogliono portare all'attenzione
del dibattito dottrinale: il caso dei decreti «correttivi» in materia di
immigrazione ed altri casi di elusione del modello costituzionale della delega.
Prima di ricostruire la vicenda dei tre decreti in materia
di immigrazione merita tuttavia un cenno il precedente dei decreti «correttivi»
in materia ambientale adottati nel corso della XV legislatura.
La delega in materia ambientale era stata conferita
attraverso il primo comma dell'articolo 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308
ed esercitata dal Governo Berlusconi III con l'adozione del d. lgs. 3 aprile
2006, n. 152 (c.d. Codice Ambiente).
In virtù della delega ad adottare disposizioni integrative e
correttive entro due anni dall’entrata in vigore dei decreti legislativi
«principali» (delega contenuta nel sesto comma dell'articolo 1 della suddetta
legge), è stato il Governo Prodi II, in seguito al turn – over della maggioranza, ad adottare due decreti
«correttivi», il d. lgs. 9 novembre 2006, n. 284 ed il d. lgs.
16 gennaio 2008, n. 4.
Al di là delle complesse questioni procedurali che hanno
caratterizzato la vicenda, ciò che rileva in questa sede è il
fatto che nel corso dell'esame parlamentare di quest'ultimo schema di decreto
legislativo presso la Camera dei deputati, il Comitato per la legislazione ha
indicato alla Commissione di merito di «valutare se [...] l'esercizio della
potestà legislativa delegata di tipo “correttivo e integrativo” esercitata dal
Governo con l'adozione di tale schema, risulti coerente con i parametri
indicati dalle supreme magistrature come richiamati in premessa», ovvero con
gli orientamenti sopra ricordati contenuti nella sentenza della Corte
costituzionale n. 206 del 2001 e nel parere dell'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato del 6 giugno 2007.
La Commissione di merito non ha tenuto conto delle
indicazioni del Comitato ma sulla coerenza del d. lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 a
tali parametri la dottrina non ha mancato di esprimere dubbi.
3.2. I tre
decreti legislativi «correttivi» in materia di immigrazione nella XVI legislatura:
a) la vicenda
procedurale;
Occorre ora ricostruire in modo dettagliato il caso dei tre
schemi di decreti legislativi «correttivi» in materia di immigrazione adottati
dal Governo Berlusconi IV all’avvio della XVI legislatura.
La vicenda del primo schema di decreto (di seguito: «decreto
ricongiungimento») trae origine dall’adozione da parte del Consiglio
dell’Unione Europea della direttiva 2003/86/CE del 22 settembre 2003, relativa
al diritto al ricongiungimento familiare dei cittadini di Paesi terzi che
risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.
La delega per l’attuazione della direttiva in esame è
contenuta nel primo comma dell’articolo 1 della legge 18 aprile 2005, n. 62
(legge comunitaria 2004). La disposizione stabiliva per
l’adozione del decreto delegato il termine di diciotto mesi dalla data in
vigore di quest’ultima, termine successivamente prorogato fino al 31 gennaio
2007 ad opera del secondo comma dell’articolo 10 della legge 6 febbraio 2007,
n. 13 (legge comunitaria 2006). L’attuazione della delega (e, quindi,
della direttiva) è stata poi compiuta dal Governo Prodi II con il d. lgs.
«principale» 8 gennaio 2007, n. 5.
Nel quinto comma dell’articolo 1 della legge comunitaria
2004 era inoltre contenuta una disposizione di delega al Governo per
l’emanazione di disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo
«principale». Il termine per l’esercizio della delega «correttiva» era
stabilito in diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto
legislativo «principale», termine a sua volta prorogato di ulteriori tre mesi
ad opera, in seguito al turn – over
della maggioranza, del terzo comma dell’articolo 1 della legge 6 agosto
2008, n. 133, legge di conversione del decreto – legge 25 giugno 2008, n.
112.
E’ in attuazione di quest’ultima delega che il Governo
Berlusconi IV ha adottato un primo schema di decreto legislativo «correttivo»
nel Consiglio dei ministri del 21 maggio 2008, sul quale hanno espresso il
proprio parere le Commissioni competenti di Camera e Senato.
Il Consiglio dei ministri del 1° agosto 2008 ha poi
stabilito di inviare in via informale alla Commissione Europea lo schema del
decreto legislativo, con una procedura definita «un po’ anomala» dallo stesso
Ministro dell’Interno Maroni. Pur non essendo stato pubblicizzato, il
testo dello schema di decreto legislativo è stato inviato alla Commissione
Europea in una versione contenente modifiche rispetto a quella sottoposta
all'esame delle Camere.
Una volta «superat[a] positivamente la verifica di
compatibilità con l’ordinamento comunitario», come si legge nel comunicato
stampa del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2008, è stato
approvato lo schema definitivo di decreto legislativo. Il decreto legislativo,
emanato dal Presidente della Repubblica il 3 ottobre 2008, è stato pubblicato
in Gazzetta Ufficiale il 21 ottobre 2008.
La vicenda del secondo schema di decreto (di seguito:
«decreto rifugiati») prende avvio dall'adozione di una direttiva del
Consiglio dell’Unione Europea, la 2005/85/CE del 1° dicembre 2005, recante
norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
La delega per l’attuazione della direttiva era contenuta nel
primo comma dell’articolo 1 della legge 6 febbraio 2007, n. 12 (legge
comunitaria 2006), il quale delegava il Governo ad adottare il decreto
legislativo entro il termine di dodici mesi dalla data in vigore di
quest’ultima. Anche in questo caso, l’attuazione della direttiva è stata
compiuta dal Governo Prodi II con il d. lgs. 28 gennaio 2008, n. 25.
La stessa legge comunitaria 2006, al comma 5 dell’articolo
1, prevedeva la possibilità per il Governo di emanare decreti correttivi ed
integrativi del primo, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del
decreto legislativo «principale».
Anche in questo caso, è stato adottato un primo schema di
decreto legislativo nel Consiglio dei ministri del Governo Berlusconi IV del 21
maggio 2008, poi sottoposto al parere delle Commissioni competenti di Camera e
Senato. Il Consiglio dei ministri del 1° agosto 2008 ha stabilito di inviare lo
schema in via informale alla Commissione Europea, in una versione modificata
rispetto a quella sottoposta all'esame delle Camere.
«Superat[a] positivamente la verifica di compatibilità con
l’ordinamento comunitario», il Consiglio dei ministri del 23
settembre 2008 ha proceduto all’adozione dello schema definitivo, recante
sostanziali innovazioni rispetto all’originario. Il decreto legislativo,
emanato dal Presidente della Repubblica il 3 ottobre, è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il 21 ottobre 2008.
Leggermente più complessa è infine la vicenda del terzo
schema di decreto legislativo (di seguito: «decreto comunitari»).
Anche in questo caso vi è a monte una direttiva, questa
volta del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, la 2004/38/CE
del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione Europea e dei
loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli
Stati membri.
Come accaduto per il «decreto ricongiungimento», la delega
«principale» era contenuta nel primo comma dell’articolo 1 della legge 18
aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), il quale stabiliva per l’adozione
del decreto legislativo un termine di diciotto mesi, prorogato al 31 gennaio
2007 ad opera del secondo comma dell’articolo 10 della legge 6 febbraio 2007,
n. 13 (legge comunitaria 2006). Il quinto comma dell’articolo 5 della legge
comunitaria conteneva inoltre una delega al Governo per emanare disposizioni
integrative e correttive nel termine di diciotto mesi dall’entrata in vigore
del decreto legislativo «principale».
Il Governo Prodi II ha quindi proceduto all’attuazione della
delega «principale» con l’adozione del d. lgs. 6 febbraio 2007, n. 30
e, un anno dopo, della delega «correttiva» con l’adozione del d. lgs. 28
febbraio 2008, n. 32.
Il terzo comma dell’articolo 1 della legge 6 agosto 2008, n.
133 (legge di conversione del decreto – legge 25 giugno 2008, n. 112), in
seguito al turn – over della
maggioranza, ha tuttavia prorogato di tre mesi il termine per l’esercizio della
delega «correttiva» previsto dalla legge comunitaria 2004, consentendo al
Governo Berlusconi IV di adottare un primo schema di ulteriore decreto
legislativo «correttivo» nel Consiglio dei ministri del 21 maggio 2008, schema
sottoposto al parere delle competenti Commissioni di Camera e Senato.
Lo schema è stato anch’esso inviato in via informale alla
Commissione Europea su decisione del Consiglio dei ministri del 1° agosto 2008.
Tuttavia, come si legge nell’Audizione del Ministro dell’Interno Maroni al
Comitato Schengen del 15 ottobre 2008, «essendosi detta contraria» la
Commissione Europea al provvedimento, «per ora la presentazione della misura è
stata accantonata».
3.3. (Segue): b) la richiesta di parere al Comitato per la legislazione. L'attivazione
di uno strumento proprio dello Statuto dell'Opposizione e la novella come
tecnica normativa propria dei decreti «correttivi»;
Nel corso dell’esame parlamentare dei tre schemi di decreto
legislativo alla Camera dei deputati, è stato richiesto il parere del Comitato
per la legislazione.
Si tratta di un passaggio procedurale di notevole rilievo
istituzionale che merita di essere segnalato per almeno tre ragioni.
Innanzitutto, va detto che la richiesta di parere del
Comitato sugli schemi degli atti del Governo ex art. 96-ter, terzo
comma, del Regolamento della Camera dei deputati si configura come uno
strumento proprio dello Statuto dell’Opposizione (potendo la richiesta essere
avanzata da un quinto dei componenti della Commissione alla quale tali schemi
sono assegnati per il parere) che si colloca nell’ambito di una procedura
attraverso la quale il Parlamento esercita una funzione di controllo nei
confronti del Governo.
Se si riflette dunque sul ruolo dell'istituto, la richiesta
di parere da parte del Comitato nel caso dei tre schemi di decreto legislativo
in materia di immigrazione diventa un'importante chiave di lettura delle
dinamiche di azione dell'Opposizione nel sistema parlamentare: nella prassi
degli ultimi dieci anni, infatti, la richiesta di parere del Comitato sugli
schemi di decreto legislativo è stata davvero esigua (si segnalano
in proposito tre soli casi nel decennio 1998 - 2008) mentre nei
primi mesi di avvio della XVI legislatura le richieste di parere sono state ben
quattro. Sembra dunque delinearsi una maggiore consapevolezza da
parte dell’Opposizione delle potenzialità di un simile strumento.
In secondo luogo, il fatto che la richiesta di parere del
Comitato per la legislazione da parte dell’Opposizione abbia avuto ad oggetto
in tre casi schemi di decreti «correttivi» (come già d’altronde avvenne nella
scorsa legislatura con riguardo allo schema di decreto legislativo «correttivo»
in materia ambientale) non fa che confermare quanto
forte sia la connessione tra il ricorso alla delegazione legislativa come
strumento privilegiato di attuazione del programma di Governo e l'abuso che
della decretazione legislativa delegata «correttiva» vien fatto dal Governo in
caso di turn – over della
maggioranza parlamentare.
In terzo luogo, merita di essere segnalato come, nel caso
del «decreto ricongiungimento», il Comitato per la legislazione abbia
concentrato i propri rilievi sul mancato ricorso da parte del decreto
«correttivo» alla tecnica della novella al decreto «principale».
Lo schema del «decreto ricongiungimento» apporta infatti
modifiche dirette al testo del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (il Testo Unico
dell’immigrazione) e non a quello del d. lgs. «principale» 8 gennaio 2007, n.
5, come invece risulta dal titolo dello schema («schema di decreto legislativo
concernente modifiche e integrazioni al decreto legislativo 8 gennaio 2007, n.
5»). A tal proposito, il parere del Comitato reca una specifica condizione alla
Commissione di merito: valutare l’opportunità che il testo del decreto «correttivo»
si riferisca testualmente al d. lgs. n. 5 del 2007 «al fine di far emergere
(come infatti avviene nel titolo) la natura correttiva ed integrativa
dell’intervento di modifica del […] testo unico in materia di immigrazione,
come appunto novellato dal citato decreto n. 5».
Non è stato chiarito dalla giurisprudenza costituzionale se
i decreti «correttivi» debbano operare attraverso la tecnica della novella al
decreto «principale»: si tratta dunque di un requisito
di tecnica normativa la cui assenza potrebbe però configurarsi come una sorta
di «indizio» della natura non correttiva ma innovativa di simili decreti.
3.4. (Segue): c) il mancato rispetto dei principi e criteri direttivi e dell'oggetto
delle deleghe (rectius: delle
direttive comunitarie);
Non resta dunque che esaminare il contenuto degli schemi dei
tre decreti legislativi «correttivi» in materia di immigrazione e compiere un
raffronto con le rispettive disposizioni di delega per valutare se, come
richiesto dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
206 del 2001, nel caso concreto i decreti «correttivi» «rispettino
pienamente i medesimi principi e criteri direttivi già imposti per l’esercizio
della medesima delega "principale"».
Il raffronto non è agevole per le ragioni su cui ci si è
ampiamente soffermati. In tutti e tre i casi, infatti, le disposizioni di
delega sono contenute in leggi comunitarie che si limitano a rinviare alle
rispettive direttive da attuare, con la seguente formula: «in aggiunta a quelli
contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all’articolo
1 sono informati ai seguenti principi e criteri direttivi generali».
La generalità di questi ultimi è tale da non essere di alcun
ausilio al fine che qui interessa ed il raffronto deve dunque compiersi tra gli
schemi dei decreti «correttivi» ed i principi contenuti nelle direttive
comunitarie. Come evidenziato dalla dottrina, un simile
raffronto si sostanzia in un controllo di conformità della disciplina interna
con quella comunitaria più che in un vero e proprio sindacato sull’eccesso di
delega ma è questo l'esito a cui conduce inevitabilmente il meccanismo della
determinazione dei principi e dei criteri direttivi per relationem alle direttive comunitarie.
Questi, nel dettaglio, i contenuti dei singoli schemi di
decreto ed i profili di dubbia compatibilità con i principi e con gli oggetti
delle direttive comunitarie.
Il «decreto ricongiungimento» introduce una disciplina più
restrittiva circa i requisiti in base ai quali i cittadini di Paesi terzi
possono chiedere il ricongiungimento familiare. Due disposizioni appaiono in
contrasto con i principi della direttiva 2003/86/CE.
Si tratta innanzitutto della disposizione che prevede la
possibilità del ricongiungimento solo per il coniuge «non legalmente
separato e di età non inferiore ai diciotto anni» (art. 1, primo comma, lettera
a, n. 1 dello schema), dato che la
direttiva prevede che «gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno
[del] coniuge» tout court (articolo
4, primo comma, della direttiva).
Appare inoltre in contrasto con la direttiva la disposizione
che prevede l’effettuazione dell’esame del DNA ai fini della prova del
rapporto di filiazione (articolo 1, primo comma, lettera a, n. 2 dello schema). La direttiva prevede sì la possibilità che
gli Stati membri conducano «altre indagini» (dunque, anche l'esame del DNA) per
ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari ma configura tale
passaggio come sussidiario all’espletamento di un «colloquio», non previsto
nello schema di decreto legislativo (articolo 5, secondo comma, della
direttiva).
Il «decreto rifugiati» introduce una disciplina più
stringente in materia di riconoscimento dello status di rifugiato. Qui
sorge un problema di estraneità del decreto all'oggetto della direttiva 2005/85/CE.
La disposizione contenuta nello schema di decreto
legislativo che prevede la possibilità che il prefetto competente «stabilisca
un luogo di residenza o un’area geografica ove i richiedenti asilo possano
circolare», così come quella che prevede il trattenimento in un centro di
identificazione e di espulsione (anziché in un centro di accoglienza
richiedenti asilo) del richiedente asilo destinatario di un provvedimento di
espulsione, appaiono infatti estranee all'oggetto «norme minime per le procedure
applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello
status di rifugiato». Le due disposizioni sembrano piuttosto doversi ricondurre
alla disciplina della libertà di circolazione dei richiedenti asilo, la quale
costituisce tuttavia oggetto di una distinta direttiva, la 2003/9/CE del
Consiglio dell’Unione Europea del 27 gennaio 2003, recante norme minime
relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, per la cui
attuazione il Governo è stato delegato con legge 31 ottobre 2003, n. 306 (legge
comunitaria 2003), attuata poi con l’adozione del d. lgs.
30 maggio 2005, n. 140.
Venendo infine al «decreto comunitari» (il quale introduce
una disciplina più restrittiva delle condizioni in base alle quali è consentita
la libera circolazione dei cittadini comunitari nel territorio italiano), sono
due le disposizioni in contrasto con i principi della direttiva 2004/38/CE.
Si tratta, innanzitutto, della disposizione che introduce
l’allontanamento del cittadino comunitario in caso di mancata iscrizione
anagrafica, attribuendo a tale inadempimento amministrativo valenza di «motivo
imperativo di pubblica sicurezza» idoneo appunto a giustificare un
provvedimento di allontanamento (articolo 1, comma 1, lettera g dello schema). La direttiva chiarisce
tuttavia come «l’inadempimento dell’obbligo di iscrizione [anagrafica] rende
l’interessato passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie». La
sanzione (di fatto) dell’allontanamento non risponde al principio di
proporzionalità.
In secondo luogo, appare in contrasto con i principi della
direttiva la previsione secondo la quale il provvedimento di allontanamento del
cittadino comunitario sottoposto a sospensione in caso di ricorso vada comunque
eseguito se decorre il termine di sessanta giorni senza la decisione del
giudice (articolo 1, comma primo, lettera m
dello schema): la direttiva, invece, prevede che nel caso in cui
l’impugnazione del provvedimento di allontanamento sia accompagnata da una
richiesta di sospensione «l’effettivo allontanamento dal territorio non può
avere luogo fintantoché non è stata adottata una decisione sull’ordinanza
provvisoria» (articolo 31, primo comma, della direttiva).
3.5. (Segue):
d) il mancato rispetto dell'indirizzo politico contenuto nei decreti
legislativi «principali». Quale rilievo giuridico?
Questi, dunque, i profili di contrasto degli schemi di
decreto legislativo con i principi delle direttive e quindi con le leggi di
delega.
Tuttavia, attraverso il raffronto tra le disposizioni degli
schemi dei decreti «correttivi» con i principi delle deleghe (rectius: della direttive) non si riesce
a cogliere pienamente quello che costituisce il maggiore vulnus al modello costituzionale della delega derivante dai tre
schemi di decreti legislativi e che rappresenta un paradigma degli abusi che
possono derivare dalla prassi della decretazione delegata «correttiva»: il
fatto, cioè, che con l'adozione dei tre schemi di decreti legislativi in materia
di immigrazione il Governo abbia introdotto una disciplina normativa
espressione di un indirizzo politico opposto a quello contenuto nei decreti
legislativi «principali».
Il «decreto ricongiungimento» introduce una disciplina
restrittiva alla possibilità per i cittadini dei Paesi terzi di chiedere il
ricongiungimento familiare (oltre che del coniuge) dei figli maggiorenni e
degli ascendenti a carico (articolo 1, primo comma, lettera a) n. 1 dello schema). Un'opzione di per
sé possibile alla luce della direttiva 2003/86/CE (dove all'articolo 4, secondo
comma, si legge che «gli Stati membri possono
[...] autorizzare l'ingresso e il soggiorno» dei figli maggiorenni e degli
ascendenti a carico) ma che va in direzione opposta alla disciplina estensiva
contenuta nel decreto legislativo «principale».
Analogo discorso vale per le disposizioni del «decreto
rifugiati» che eliminano l'effetto sospensivo del ricorso avverso la decisione
di rigetto della domanda di asilo, introducono l'obbligo per il richiedente
asilo di lasciare il territorio nazionale a seguito di tale decisione (e non
più alla scadenza del termine dell'impugnazione) ed attribuiscono al prefetto
(e non più al tribunale) il potere di autorizzare l'eventuale permanenza nel territorio
nazionale per gravi motivi fino alla decisione del ricorso (art. 1, primo
comma, lettere g, h, i
dello schema). Ai sensi della direttiva 2005/85/CE spetta comunque agli
Stati membri «determinare se il rimedio [dell'impugnazione della decisione di
rigetto della domanda] produce l'effetto di consentire ai richiedenti di
rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito» (art. 39,
terzo comma, della direttiva). Ciò non toglie che le disposizioni del
decreto «correttivo» si pongono in direzione opposta a quanto contenuto nella
disciplina del decreto «principale», il quale prevede appunto che dalla
presentazione del ricorso discenda la sospensione dell'efficacia del
provvedimento impugnato.
Per quanto riguarda infine il «decreto comunitari», il
palese contrasto delle sue disposizioni con i principi e con lo «spirito»
della direttiva 2004/38/CE è idoneo ad assorbire ogni ulteriore questione
di compatibilità dell'indirizzo politico sotteso al primo con l'indirizzo
politico di cui era espressione il decreto legislativo «principale».
La giurisprudenza costituzionale ha lasciato tuttavia
impregiudicato il problema della rilevanza giuridica dell'eventuale contrasto
da parte del decreto «correttivo» con l'indirizzo politico di fondo sotteso al
decreto «principale». Come è stato messo in rilievo dalla dottrina, la sentenza n. 206 del
2001 non ha infatti chiarito se sia necessario «il rispetto, da parte dei
decreti legislativi correttivi, della impostazione di fondo propria della
disciplina collocata nel decreto legislativo “principale”». Anche chi ha
ritenuto di poter desumere dalla suddetta sentenza la conclusione per cui «nel
momento in cui esercita il potere correttivo o integrativo il Governo è
vincolato nella sua discrezionalità anche dalle scelte [già] effettuate in sede
di emanazione della delega principale», riconosce che manca un'affermazione
esplicita in tal senso della Corte.
A prescindere dunque dall'esito della vicenda dei tre schemi
di decreti «correttivi» (con le rilevanti modifiche al «decreto rifugiati»
e l’accantonamento del «decreto comunitari») il problema giuridico resta
aperto.
4. Altri casi di elusione del modello costituzionale della
delega nella XVI legislatura
4.1. Il
collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2009 (A.C. 1441): a) disposizioni di delega contenute in un
disegno di legge dal contenuto eterogeneo da approvare a data certa;
Un secondo caso pratico che si intende portare
all'attenzione del dibattito dottrinale è costituito dalla vicenda delle
disposizioni di delega contenute nel disegno di legge collegato alla legge
finanziaria per il 2009, recante disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria (A.C. 1441).
Ai fini che qui interessano, la vicenda rileva per due
profili: da un lato, per la presenza di una pluralità di disposizioni di delega
in un disegno di legge dal contenuto eterogeneo che il Parlamento, in virtù del
peculiare regime procedurale proprio dei provvedimenti collegati, è chiamato ad
approvare a data certa (con l'effetto pratico di trasformare l'approvazione di
principi e criteri direttivi con cui limitare l'esercizio della funzione
legislativa da parte del Governo in una mera «ratifica» di un disegno di legge
di iniziativa governativa); dall'altro, per la presenza di alcune disposizioni
di delega dei cui principi e criteri e del cui oggetto il Comitato per la
legislazione ha sottolineato la genericità.
La disciplina dei provvedimenti collegati alla manovra di
finanza pubblica è contenuta nell'articolo 123-bis del regolamento della Camera.
L'articolo 123-bis, terzo
comma, r.C. prevede che il Governo possa «chiedere che la Camera deliberi sul
progetto di legge [collegato alla manovra di finanza pubblica] entro un
determinato termine». Il secondo comma dello stesso articolo dispone che il
Presidente della Camera, prima dell'assegnazione del disegno di legge, «accerta
che esso non rechi disposizioni estranee al suo oggetto, così come definito
dalla legislazione vigente in materia di bilancio e contabilità dello Stato,
nonché dalla risoluzione» che approva il DPEF e, sentito il parere della
Commissione bilancio, «comunica all'Assemblea lo stralcio delle disposizioni
estranee».
Tra le disposizioni della legislazione vigente in materia di
bilancio e contabilità di Stato risulta chiaramente, al quarto comma
dell'articolo 3 della legge 5 agosto 1978, n. 468, come i disegni collegati
alla manovra finanziaria debbano recare «disposizioni omogenee per materia».
Una disposizione che se pur dovrebbe costituire un parametro del controllo
compiuto dal Presidente della Camera, è stata in questi anni poco valorizzata.
Il caso dell'A.C. 1441 lo conferma. Il Presidente della
Camera, sentita la Commissione Bilancio il 9 luglio 2008, non ha infatti
proceduto allo stralcio di alcuna disposizione, nonostante la forte
eterogeneità del provvedimento, assegnandolo per l'esame alle
Commissioni I Affari costituzionali e V Bilancio congiunte, le quali hanno
iniziato l'esame il 30 luglio.
Allo stralcio del provvedimento si è comunque proceduto il 5
agosto ma per motivazioni ben diverse dall'esigenza di rispettare il requisito
dell'omogeneità.
Il motivo (che comunque costituisce un forte «indizio» della
disomogeneità del contenuto del disegno di legge) è stato la esplicita
richiesta da parte dei Presidenti della X Commissione Attività produttive e XI
Lavoro, in virtù della riconducibilità di numerose disposizioni del disegno di
legge alla competenza delle suddette Commissioni. Analoga richiesta è stata
avanzata dai deputati di Opposizione della II Commissione Giustizia dato che
all'interno dell'A.C. 1441 erano contenute rilevanti disposizioni di riforma
del codice di procedura civile ma l'Ufficio di presidenza della Commissione non
ha ritenuto di richiedere lo stralcio.
Dallo stralcio condotto il 5 agosto 2008 hanno avuto dunque
origine tre disegni di legge: l'A.C. 1441-bis,
avente il medesimo titolo del provvedimento originario, esaminato dalla I e V
Commissione a partire dal 10 settembre ed approvato dall'Assemblea della Camera
il 2 ottobre; l'A.C. 1441 – ter, recante
disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché
in materia di energia, esaminato a partire dal 16 settembre dalla X
Commissione; l'A.C. 1441-quater,
recante delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione
di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e
di controversie di lavoro, all'esame della XI Commissione a partire dal 17
settembre.
Per i profili attinenti la delega legislativa, va
sottolineato, come si è accennato, il fatto che la Camera sia stata chiamata ad
esaminare un disegno di legge dal contenuto fortemente eterogeneo contenente
undici disposizioni di delega «principale» (a loro volta riconducibili ad
ambiti i più disparati) da approvare a data certa. In tal modo
quello che dovrebbe configurarsi come un esame meditato e approfondito in
merito ai principi e criteri direttivi attraverso i quali vincolare l'esercizio
della funzione legislativa del Governo, si trasforma in una mera «ratifica» di
un disegno di legge governativo ad opera del Parlamento, per effetto
dell'eterogeneità del contenuto delle deleghe e del complessivo disegno di
legge, nonché per effetto della presenza di un termine incombente entro il
quale il collegato deve essere approvato.
Come già evidenziato nell'affrontare la questione della
proroga del termine contenuta in una legge di conversione, la quantità e
l'eterogeneità delle disposizioni di delega contenute in un disegno di legge
analogamente «motorizzato» quale è il disegno di legge collegato alla manovra
di finanza pubblica, conducono sostanzialmente alla gestione governativa la
determinazione dei principi e dei criteri direttivi, ovvero una delle modalità
di esercizio della delegazione delegata che invece, secondo il disegno dei
Costituenti, dovrebbero essere «legislativamente stabilite».
In seguito allo stralcio del 5 agosto le deleghe di cui agli
articoli 14, 21, 30, 46 e 49 sono confluite nell'A.C. 1441-bis, le deleghe di cui agli articoli 7, 15 e 70 nell'A.C. 1441-ter mentre quelle di cui agli articoli
23 e 24 nell'A.C. 1441-quater.
Lo stralcio compiuto su richiesta dei Presidenti della X e
della XI Commissione ha sicuramente attenuato ma non eliminato il problema: a
seguito dell’approvazione degli emendamenti, sono state infatti aggiunte altre
due disposizioni di delega «principali» nell’A.C. 1441-bis mentre una è stata soppressa, cinque all’A.C. 1441-ter, tre all’A.C. 1441-quater. Delle oltre 30 disposizioni di
delega attualmente all’esame delle Camere, ben 20 sono contenute nei tre
disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica per il 2009.
4.2. (Segue): b) il parere del Comitato per la legislazione su alcune disposizioni di
delega con principi e criteri direttivi ed oggetto indefiniti.
L’A.C. 1441-quater presenta
inoltre profili di interesse dato che, nel parere reso alla Commissione di
merito, il Comitato per la legislazione non ha mancato di segnalare la presenza
di alcune disposizioni di delega con principi e criteri direttivi ed oggetto
indefiniti.
Nel parere del 2 ottobre 2008, il Comitato ha posto come
condizione alla Commissione di merito di «esplicitare i principi e criteri
direttivi» e di «definire con maggior precisione l'oggetto» della delega
contenuta nell'articolo 23, comma 1-bis
per la revisione della disciplina in tema di lavori usuranti, «atteso che le categorie
di lavoratori usuranti destinatari delle misure e le caratteristiche
dell'attività svolta sono individuati con dizioni generiche».
Ha inoltre evidenziato tra le osservazioni, con riferimento
ad una (ulteriore) delega introdotta dall'articolo 39-quinquies, come dovrebbe valutarsi l'opportunità di «integrare i
principi e criteri direttivi della delega, atteso che essi, nell'attuale
formulazione, recano esclusivamente indicazioni sulle modalità di riordino dei
testi e sulle finalità di riordino e di semplificazione degli istituti e delle
procedure oggetto della delega medesima».
4.3. La proroga del termine di una delega con legge di
conversione di un decreto – legge e l’introduzione di una delega
attraverso la novella di una legge di conversione di un decreto – legge.
Meritano infine di essere segnalati due casi concreti
relativi al problematico rapporto tra disposizioni di delega e decretazione
d’urgenza.
Il primo caso, già parzialmente menzionato nel paragrafo
3.2, riguarda il disegno di legge di conversione del decreto – legge 25
giugno 2008, n. 112 (A.C. 1386-B) nel quale è stato introdotto un emendamento
attraverso cui si prorogava il termine previsto per l’esercizio della delega
«correttiva» contenuta nel quinto comma dell’articolo 1 della legge comunitaria
2004: si tratta del caso della delega per l’emanazione di disposizioni
integrative e correttive del «decreto ricongiungimento» e del «decreto
comunitari».
La soppressione della proroga del termine è stata oggetto di
una condizione nel parere reso dal Comitato per la legislazione sull’A.C.
1386-B, cui la Commissione di merito non ha però dato seguito. Il
Governo, nel corso dell’esame dell’A.C. 1386-B, si è inoltre impegnato,
accogliendo come raccomandazione un ordine del giorno, a tenere conto pro futuro dei parametri in materia di
decretazione d’urgenza di cui all’articolo 15 della legge n. 400 del 1988,
senza tuttavia che ciò sortisse alcun effetto nel caso concreto.
Il secondo caso riguarda invece l’A.C. 1441-ter. Nel parere reso alla Commissione di
merito il 15 ottobre 2008 il Comitato per la legislazione non ha mancato di
segnalare i propri rilievi riguardo alla tecnica usata nell’articolo 3-bis per introdurre una delega
legislativa in materia di configurazione giuridica delle reti di impresa:
l’articolo 3-bis, infatti, interviene
attraverso la tecnica della novella dell’articolo 6-bis del decreto – legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, suscitando in
tal modo «perplessità» in relazione al rispetto formale dell’articolo 15, comma
2, lettera a) della legge n. 400 del
1988.
Per concludere, va ribadito che l’obiettivo di questa
indagine era portare alla luce del dibattito dottrinale quanto avviene nella
prassi parlamentare, con la comparsa di deleghe «sotterranee» o «clandestine»,
prive di adeguati criteri o principi direttivi, contenute in leggi di
conversione dei decreti-legge oppure eluse attraverso l’uso distorto dei
decreti legislativi correttivi.
Una prassi che sembra avere completamente obliato le parole
della Corte costituzionale nella sentenza n. 3 del 1957, con le quali vale la
pena di chiudere questo scritto: per evitare la «usurpazione del potere
legislativo da parte del Governo» e la violazione del principio per cui
«soltanto il Parlamento può fare le leggi», la funzione legislativa deve essere
esercitata dal Governo solo attraverso «modalità legislativamente stabilite».
* I paragrafi 1 e 4 sono stati redatti
da Roberto Zaccaria; i paragrafi 2 e 3 da Enrico Albanesi. Il presente
contributo è stato presentato al Seminario La
delega legislativa tenutosi il 24 ottobre 2008 presso la Corte
costituzionale ed è destinato alla pubblicazione nei relativi atti.
Come recita il
titolo di un recente volume che raccoglie gli atti dei seminari promossi nella
XV legislatura dal Comitato per la legislazione nel corso del turno di
Presidenza dell’on. Zaccaria e da alcune Università italiane. Cfr. R. ZACCARIA,
Aspetti problematici nella evoluzione
delle fonti normative. Atti dei seminari promossi dal Comitato per legislazione
e dalle Università di Firenze, Genova, Perugia e LUISS di Roma, Roma,
Camera dei deputati, 2008, 367 p.
Si tratta di
disposizioni di delega contenute nei seguenti disegni di legge: A.C. 1441-bis, A.C. 1441-ter, A.C. 1441-quater (i
tre collegati alla manovra di finanza pubblica per il 2009, all’esame della
Camera dei deputati) e A.S. 847, Delega al Governo finalizzata
all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, A.S. 905, Delega al
Governo per l’istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria,
ed A.S. 1080, Delega al Governo per il riordino, l’attuazione e l’adeguamento
alla vigente normativa comunitaria, delle disposizioni in tema di precursori di
droghe (all’esame del Senato). Il dato non tiene conto delle disposizioni di
delega contenute nell’A.S. 1078, il disegno di legge comunitaria 2008.
Si tratta del
disegno di legge A.C. 1741, Delega al Governo per il riordino della
legislazione in materia di gestione delle crisi aziendali, presentato alla
Camera, e del disegno di legge A.S. 1117, Delega al Governo in materia di
federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione,
presentati al Senato.
L’espressione è
utilizzata da Tarli Barbieri in un ampio studio sull’evoluzione della
delegazione legislativa a partire dal biennio 1992 – 1993 fino al 2002.
Cfr. G. TARLI BARBIERI, La grande
espansione della delegazione legislativa nel più recente periodo, in P. CARETTI
- RUGGERI (a cura di), Le deleghe
legislative: riflessioni sulla recente esperienza normativa e
giurisprudenziale: atti del convegno, Pisa, 11 giugno 2002, Milano, 2003,
p. 47 – 148. Sugli sviluppi nella prassi con specifico riferimento alla
XIV legislatura, si veda inoltre P. CARETTI - TARLI BARBIERI, L’evoluzione della delega legislativa nella
XIV legislatura: considerazioni di sintesi sui rapporti di ricerca nell’ambito
del seminario 2004, in ASSOCIAZIONE PER GLI STUDI E LE RICERCHE
PARLAMENTARI, Quaderno, 2004, Torino,
p. 147 – 167.
Così M. CARTABIA,
I decreti legislativi integrativi e
correttivi: virtù di Governo e vizi di costituzionalità?, in V. COCOZZA
– S. STAIANO (a cura di), I
rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La
prospettiva della giurisprudenza costituzionale, Torino, 2001, p. 70.
Così P. MILAZZO, Uno sguardo sulle prassi e le tendenze della
delega legislativa nel decennio 1996-2007, in P. CARETTI (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2006: le fonti
statali: lo sviluppo di un decennio, Torino, 2007, p. 86.
Si veda in
particolare lo studio di G. TARLI BARBIERI, La
grande espansione, cit., p. 65 – 78 e p. 110-120.
Così N. LUPO, La formazione parlamentare delle leggi di
delega, in U. DE SIERVO (a cura di), Osservatorio
sulle fonti 2001, Torino, 2002, p. 24.
Cfr. Corte cost., 26
gennaio 1957, n. 3, in Giur. cost., 1957,
p. 11 ss.
La dottrina ha
parlato di criterio «ancora un po' incerto» con riferimento alle elaborazioni
della Corte in merito ai limiti dei decreti legislativi correttivi. Cfr. N.
LUPO, Un criterio (ancora un po' incerto)
per distinguere tra decreti legislativi correttivi «veri» e «falsi», in Giur. Cost., 2001, p. 2661-2671.
Cfr. P. MILAZZO,
Uno sguardo sulle prassi, cit., p. 92
– 97, e ID., Turn – over
della maggioranza parlamentare e processi di delega in alcune recenti
esperienze, in Osservatoriosullefonti.it, n.
2, 2008.
Secondo
l’espressione di Staiano. Cfr. S. STAIANO, Decisione
politica ed elasticità del modello della delega legislativa, Napoli, 1990,
248 p.
Così A. A.
CERVATI, La delega legislativa,
Milano, 1972, p. 129 ss. Analogamente, cfr. L. CARLASSARE, Sulla natura giuridica dei testi unici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1961, p. 74 e A. CERRI, Delega legislativa, in Enc. dir., 1993, p. 7 ss.
Così G. D.
FERRI, Sulla delegazione legislativa, in
Studi di diritto costituzionale in
memoria di L. Rossi, Milano, 1952, p. 174-175.
Su cui cfr. G.
D'ELIA, Osservazioni in tema di
determinazione per relationem dei
principi e criteri direttivi, in Giur.
cost., p. 2717 – 2725.
Corsivo
dell’Autore. Cfr. M. CARTABIA, Principi
della delega determinati con rinvio alle norme comunitarie e parametro
doppiamente interposto, in Giur.
cost.,1993, p. 2051.
Così G. DI
COSIMO, Riflessi della legge di delega
sul giudizio di costituzionalità del decreto legislativo, in U. DE SIERVO
(a cura di), Osservatorio sulle fonti
2001, Torino, 2002, p. 215.
Così R. ARENA, Il rapporto Parlamento – Governo alla
luce delle dinamiche della normazione: la giurisprudenza costituzionale sulla
delegazione legislativa, in A. RUGGERI (a
cura di), La ridefinizione della forma di governo attraverso la giurisprudenza
costituzionale, 2006, p. 108.
Cfr. Corte
cost., 5 febbraio 1999, in Giur. cost.,
1999, p. 137 ss. Sulla giurisprudenza costituzionale in materia di decreti
legislativi delegati a partire dalla sentenza n. 15 del
1999, cfr. G. DI COSIMO, Riflessi
della legge di delega, cit.; G. FAMIGLIETTI, Delegazione legislativa e Corte costituzionale, in P. CARETTI - A.
RUGGERI (a cura di), Le deleghe
legislative: riflessioni sulla recente esperienza normativa e
giurisprudenziale: atti del convegno, Pisa, 11 giugno 2002, Milano, 2003,
p. 185-204; R. CHIEPPA, Il controllo di
legittimità costituzionale. A proposito della delega legislativa, in S.
TRAVERSA (a cura di), Scienza e tecnica
della legislazione: lezioni, Napoli, 2006, p. 19 – 44; R. ARENA, Il rapporto Parlamento – Governo, cit.
Su cui, cfr. G.
D'ELIA, Sulla determinazione ratione
delegationis dei principi e criteri
direttivi secondo la giurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., 2000, p. 1461- 1465.
Sulla ratio dei decreti «correttivi» si vedano
in particolare N. LUPO, Deleghe e decreti
legislativi “correttivi”: esperienze pratiche, problemi, prospettive, Milano,
1996, 161 p.; M. CARTABIA, I decreti
legislativi «integrativi e correttivi»: il paradosso dell’effettività?, in Rass. parl., 1997, p. 45 – 83; A.
SPADARO, I decreti legislativi
integrativi e correttivi: un Fehlerkalkül all’italiana? Ovvero il «calcolo dei vizi» come previsione di riforme…
riformande, in V. COCOZZA – S. STAIANO, I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto: la
prospettiva della giurisprudenza costituzionale: atti del Convegno di Napoli
svoltosi nei giorni 12 e 13 maggio 2000, Torino, 2001, I, p. 567 –
575.
Come
efficacemente messo in rilievo dalla dottrina, che in proposito parla di
«paradosso dell’effettività», «l’effettività costituirebbe ad un tempo il
presupposto dei decreti legislativi correttivi e integrativi e la loro
potenziale vittima» per la potenziale «precarietà» delle norme contenute nei
decreti legislativi «principali». Cfr. M. CARTABIA, I decreti legislativi «integrativi e correttivi», cit., p. 82.
Corsivo
dell’Autore. Cfr. L. PALADIN, Le fonti, cit.,
p. 219. Contra, M. PATRONO, Utilizzo «rinnovato» della delega
legislativa, in Dir. e soc., 1980,
p. 661 – 723.
Corsivo
dell’Autore. Cfr. M. CARTABIA, I decreti
legislativi «integrativi e correttivi», cit., p. 72.
Corsivo
dell’Autore. Cfr. M. CARTABIA, I decreti
legislativi e correttivi, cit., p. 82. Approda alle medesime conclusioni,
deducendole tuttavia proprio dal presupposto della inautonomia della delega «correttiva» rispetto alla «principale»,
M. RUOTOLO, Il requisito del “tempo
limitato” per l’esercizio della delega “principale” e la sua possibile elusione
ad opera dei decreti integrativi e correttivi. Il caso del “terzo” decreto
correttivo del codice ambiente, in R. ZACCARIA, Aspetti problematici nella evoluzione delle fonti normative. Atti dei
seminari promossi dal Comitato per legislazione e dalle Università di Firenze,
Genova, Perugia e LUISS di Roma, Roma, Camera dei deputati, 2008, p. 350
– 352.
Sulla
discordanza tra le suddette ricostruzioni della dottrina e la giurisprudenza
costituzionale, cfr. N. LUPO, Quale
sindacato sui decreti legislativi correttivi?, in Giur. cost., 2000, p. 3210 – 3222.
Sulla
giurisprudenza costituzionale in materia, cfr. L. IANNUCCILLI – A. DE
VITA (a cura di), Deleghe
e decretazione correttiva e integrativa nella giurisprudenza costituzionale.
Cfr. Corte cost. 26
giugno 2001, n. 206, in Giur. cost., 2002,
1537 ss.
Su tali
problematiche, cfr. N. LUPO, Una delega
legislativa può essere inserita nella conversione di un decreto – legge?, in Iter legis, 2003, p. 43-57.
Cfr. Corte cost. 17
marzo 1998 n. 63, in Giur. cost., 1998,
p. 668 ss. secondo la quale la legge di conversione contenente una delega
legislativa «ha un duplice contenuto con diversa natura ed autonomia: l’uno […]
di conversione del decreto – legge […], adottato in base alla previsione
dell’art. 77, terzo comma della Costituzione; l’altro […] di legge di delega ai
sensi dell’art. 76 della Costituzione».
Cfr. XV
legislatura, o.d.g. Russo 9/2114-B/3 (22 febbraio 2007), relativo all'A.C.
2114-B, Conversione in legge del decreto – legge 28 dicembre 2006, n.
300, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. Sulla
vicenda cfr. XV legislatura, Comitato per la legislazione, Resoconto
stenografico 28 novembre 2006, Audizione del Ministro per i rapporti con il
Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti, sulle modalità di
produzione normativa di origine governativa. Sulla prassi della presentazione
nel corso della XV legislatura di ordini del giorno contenenti rilievi espressi
dal Comitato per la legislazione, volendo, cfr. E. ALBANESI, Qualità della legislazione pretermessa nella
legge ed o.d.g. al Governo nella XV legislatura, in: Osservatoriosullefonti.it
, n. 2, 2008.
Su cui cfr. M.
RUOTOLO, Il requisito del “tempo
limitato”, cit., p. 354 ss. e P. MILAZZO, Turn – over della maggioranza, cit., p. 10 –
11.
Cfr. XV
legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni - Comitato per la
legislazione, 17 ottobre 2007.
Cfr. XVI
legislatura, Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di
Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in
materia di immigrazione, Resoconto stenografico 15 ottobre 2008, Audizione del
Ministro dell’Interno Roberto Maroni.
Su tali profili,
cfr. N. LUPO, La nuova disciplina del
parere su atti normativi del Governo nel Regolamento della Camera e le sue
possibili conseguenze sul sindacato giurisdizionale, in V. COCOZZA –
S. STAIANO, I rapporti tra Parlamento e
Governo attraverso le fonti del diritto: la prospettiva della giurisprudenza
costituzionale: atti del Convegno di Napoli svoltosi nei giorni 12 e 13 maggio
2000, Torino, 2001, I, p. 701 – 735.
Segnala lo
scarso utilizzo da parte dell’Opposizione di questo come di altri istituti
«propri» delle minoranze P.L. PETRILLO, La
perenne campagna elettorale dell’Opposizione parlamentare in Italia e in Gran
Bretagna, in Quaderni
dell’Osservatorio elettorale, 2004, p. 81-118.
Cfr. XIII
legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, Comitato
per la legislazione, 29 febbraio 2000; XIV legislatura, Bollettino delle Giunte
e delle Commissioni parlamentari, Comitato per la legislazione, 17 luglio 2002;
XV legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari,
Comitato per la legislazione, 17 ottobre 2007.
Oltre ai pareri
sui tre schemi dei decreti legislativi «correttivi» in materia di immigrazione,
si segnala la richiesta di parere sullo schema di decreto legislativo recante
attuazione delle direttive 2006/86/CE e 2006/17/CE che attuano la direttiva
2005/23/CE per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la
notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni
tecniche per la codifica, la lavorazione, lo stoccaggio e la distribuzione,
nonché per la donazione, l’approvvigionamento e il controllo, di tessuti e cellule
umane. Si vedano, rispettivamente, XVI legislatura, Bollettino delle Giunte e
delle Commissioni parlamentari, Comitato per la legislazione, 26 giugno e 2
luglio 2008 e XVI legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni
parlamentari, Comitato per la legislazione, 23 luglio 2008.
Si tratta della
richiesta di parere del Comitato avanzata nella XV legislatura, già citata
nella nota n. 71.
Cfr. gli
articoli 2, primo comma, della legge comunitaria 2004 e 2, primo comma, della
legge comunitaria 2006.
Tali profili
sono evidenziati da A. ADINOLFI, Regole
più restrittive per il ricongiungimento familiare attraverso modifiche al
decreto di attuazione della direttiva comunitaria 2003/86, in corso di
pubblicazione in Guida al diritto.
Si parla di
contrasto dei tre decreti legislativi con lo «spirito» delle direttive comunitarie
nel parere alternativo per la I Commissione Affari costituzionali della Camera
dei deputati sugli schemi dei tre decreti. Cfr. XVI legislatura, Bollettino
delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, I Commissione Affari
costituzionali, 3, 10 e 16 luglio 2008.
Modifiche che
hanno condotto a mantenere inalterato l’effetto sospensivo del ricorso avverso
la decisione di rigetto della domanda di asilo.
Constata come il
potere di stralcio presidenziale con riferimento al parametro dell'omogeneità
sia stato, dopo qualche «timido tentativo», nei fatti trascurato e come la
prassi abbia dato vita a disegni di legge collegati “fuori sessione”
caratterizzati da «disposti estremamente eterogenei», N. LUPO, Costituzione e bilancio. L'art. 81 della
Costituzione tra interpretazione, attuazione e aggiramento, Roma, 2007, p.
121.
Questi i titoli
dei Capi del Titolo I del disegno di legge: Capo I – Impresa; Capo II
– Innovazione; Capo III – Energia; Capo IV – Infrastrutture;
Capo V – Liberalizzazioni e deregolazione; Capo VI –
Semplificazioni; Capo VII – Piano industriale della Pubblica
Amministrazione; Capo VIII – Giustizia; Capo IX – Privatizzazioni.
Il coinvolgimento
della II Commissione Giustizia nell'esame di un disegno di legge che riforma
sostanzialmente il processo civile si è in definitiva sostanziato
nell'espressione di un parere (sia pure rinforzato) alle Commissioni I e V
congiunte. Si veda in proposito XVI legislatura, Bollettino delle Giunte e
delle Commissioni parlamentari, II Commissione Giustizia, 15 settembre 2008.
Si tratta di: a)
delega per il riassetto delle disposizioni in materia di internazionalizzazione
delle imprese (art. 7); b) delega per il riassetto finalizzato alla celere
realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica a banda larga
(art. 14); c) delega per la disciplina della localizzazione nel territorio
nazionale di impianti di produzione elettrica nucleare (art. 15); d) delega per
la riforma dei servizi pubblici locali (art. 21); e) delega di riassetto
normativo per la revisione della disciplina in tema dei lavori usuranti (art.
23); f) delega per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del
lavoro, della salute e delle politiche sociali (art. 24); g) delega volta alla
ridefinizione del rapporto di vigilanza (art. 24); h) delega volta alla
razionalizzazione del ruolo del segretario comunale nei comuni con popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti (art. 30); i) delega per il riassetto volto al
riordino del CNIPA, del FORMEZ e della SSPA (art. 46); l) delega per la
modifica del Codice dell'amministrazione digitale (art. 49); m) delega per
l'ottimizzazione dell'attività della SACE Spa (art. 70).
La disposizione
di delega è infatti così formulata: «il Governo è delegato ad adottare, entro
sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più
decreti legislativi di riassetto normativo, al fine di concedere ai lavoratori
dipendenti impegnati in particolari lavori o attività e che maturano i
requisiti per l’accesso al pensionamento a decorrere dal 1° gennaio 2008 la
possibilità di conseguire, su domanda, il diritto al pensionamento anticipato
con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori
dipendenti, secondo i princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 1, comma
3, lettere a), b), c), d), e), f) e g), della legge 24 dicembre 2007, n.
247».