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Salvatore Aloisio - Roberto Pinardi*

 

Il ruolo degli organi di garanzia statutaria alla luce di una visione complessiva delle competenze loro assegnate: tra aspettative e pessimismi eccessivi?

 

 

Sommario: 1. Introduzione. Scopo dell’indagine. – 2. La normativa regionale presa in considerazione. – 3. Le «altre» competenze degli organi di garanzia statutaria in materia di referendum regionali. – 3.1. Il controllo sull’ammissibilità delle richieste. – 3.2. …e sulla loro regolarità. – 3.3. La correzione dei quesiti e la loro «concentrazione»; la verifica sulla «proseguibilità» delle operazioni referendarie. – 3.4. Ulteriori funzioni assegnate alle Consulte in tema di referendum regionali. – 4. Il controllo sull’ammissibilità degli atti di iniziativa legislativa. – 5. Altri compiti in materia di procedure partecipative. – 6. La competenza in tema di conflitti di attribuzione. – 6.1. I soggetti dei conflitti. – 6.2. L’oggetto dei conflitti. – 6.3. Le conseguenze della sent. n. 200 del 2008 (considerazioni critiche). – 7. Le «altre» competenze sparse tra gli statuti. – 8. Per concludere: il ruolo degli organi di garanzia statutaria tra aspettative e pessimismi eccessivi.

 

 

1. Se non più di un lustro addietro si identificava, negli organi di garanzia statutaria, «una delle principali novità di questa seconda stagione di elaborazione ed approvazione degli statuti»[1], oggi, al contrario, una parte della dottrina appare propensa a parlare di «una vera e propria “perdita di interesse”» delle Regioni nei confronti degli organi in questione, o anche di «una sorta di ripensamento … circa l’incidenza potenziale e reale» degli stessi che potrebbe preludere ad una loro «eclissi»[2].

Ora, sicuramente un ruolo significativo in questo cambiamento di prospettiva va ascritto alla giurisprudenza della Corte costituzionale. La quale, infatti, si è incaricata, com’è noto, di fornire, man mano, varie indicazioni sulla natura e dunque sui poteri, limitati, attribuibili alle Consulte statutarie[3], infrangendo, così, «il sogno»[4] – che già prima, in verità, appariva (giuridicamente) impraticabile[5] – di poter istituire delle “Corti costituzionali regionali”.

D’altro canto, tuttavia, non va sottaciuto come queste pronunce del giudice delle leggi[6] e la stragrande maggioranza dei contributi dottrinali apparsi in materia non procedano da uno sguardo d’insieme delle competenze attribuite agli organi in questione, quanto piuttosto da considerazioni che riguardano, in maniera esclusiva o quanto meno prevalente, la funzione principale ad essi affidata, ossia il controllo sulla «statutarietà» delle fonti regionali.

In quest’ottica, pertanto, le presenti note si pongono quale primo obiettivo quello di colmare questa lacuna procedendo ad un’analisi complessiva delle “altre” funzioni assegnate alle Consulte nei diversi ordinamenti regionali. Ciò che dovrebbe consentirci, per un verso, di dimostrare come tali attribuzioni rivestano, in realtà, un’importanza tutt’altro che marginale all’interno del complesso delle competenze affidate agli organi di garanzia; e per l’altro di elaborare qualche breve riflessione sul ruolo, più o meno incisivo, che potranno svolgere, in futuro, detti organi, entro un quadro di riferimento più ampio e dunque maggiormente significativo di quello sin qui utilizzato per procedere ad analoghi tentativi.

 

2. Le riflessioni che seguono avranno ad oggetto il seguente quadro normativo (relativo, complessivamente, a quindici Regioni).

Faremo riferimento, anzitutto, agli statuti di tredici Regioni ad autonomia ordinaria[7], tanto a quelli in vigore quanto alle bozze discusse o in fase di discussione, ed alle relative leggi regionali istitutive degli organi di garanzia, nonché alla disciplina (statutaria e primaria) della Regione Calabria, nonostante l’abrogazione dell’art. 57 dello Statuto di questa Regione che ha eliminato la Consulta regionale[8] (e che è avvenuta con l’adozione della l.r. 19 gennaio 2010, n. 3), ritenendo, infatti, il caso calabrese di un rilievo tale, anche per i suoi nessi con la giurisprudenza costituzionale, da non poter comunque essere ignorato.

Più precisamente, per quel che concerne gli statuti in vigore di queste Regioni e le leggi attuative sugli organi di garanzia (che verranno citate, nel prosieguo dello scritto, facendo esclusivo riferimento al nome della Regione senza ulteriori precisazioni) abbiamo preso in considerazione i seguenti atti normativi:

Statuto Regione Abruzzo e l.r. 11 dicembre 2007, n. 42;

Statuto Regione Calabria, come modificato con l.r. 19 gennaio 2010, n. 3 e l.r. 5 gennaio 2007, n. 2;

Statuto Regione Campania;

Statuto Regione Emilia-Romagna e l.r. 4 dicembre 2007, n. 23;

Statuto Regione Lazio e  l.r. 21 dicembre 2007, n. 24;

Statuto Regione Liguria e l.r. 24 luglio 2006, n. 19;

Statuto Regione Lombardia;

Statuto Regione Piemonte e l.r. 26 luglio 2006, n. 25;

Statuto Regione Puglia;

Statuto Regione Toscana e l.r. 4 giugno 2008, n. 34 e succ. mod.;

Statuto Regione Umbria e l.r. 31 luglio 2007, n. 27.

Mentre per quanto riguarda le Regioni ad autonomia ordinaria che non hanno ancora adottato il nuovo Statuto (e cioè Basilicata, Molise e Veneto) la ricerca fa riferimento alle bozze ad oggi disponibili[9], in alcuni casi anche piuttosto risalenti nel tempo, considerandole comunque un utile elemento aggiuntivo per valutare le tendenze in atto.

Abbiamo inoltre tenuto in considerazione la delibera di legge statutaria della Sardegna del 7 marzo del 2007 (d’ora in poi delib. st. Sardegna), in quanto, pur non avendo superato, come noto, lo scoglio del referendum confermativo[10], essa resta l’unico interessante tentativo di intervento, sul tema, da parte di una Regione ad autonomia speciale.

Infine, per quel che concerne le procedure partecipative ed in particolare i referendum regionali si farà frequente riferimento alle seguenti leggi regionali adottate (o modificate), in materia, dopo l’approvazione dei nuovi statuti: Abruzzo n. 44 del 2007; Emilia Romagna, n. 34 del 1999 (così come modificata, da ultimo, dalla l.r. n. 8 del 2008); Piemonte n. 4 del 1973 (così come modificata, tra l’altro, dalla l.r. n. 25 del 2006, capo II); Toscana n. 62 del 2007; ed Umbria n. 14 del 2010 (d’ora in poi indicate, per semplicità, come l. ref. Abruzzo, Emilia Romagna, ecc.).

 

3. Tra le «altre» competenze che le Regioni hanno assegnato agli organi di garanzia statutaria vi sono alcune importanti funzioni che si collocano all’interno di procedure partecipative. Ci riferiamo, in primo luogo, ai compiti affidati alle Consulte in materia di referendum regionali.

 

3.1. Questa attribuzione consiste, innanzitutto, in un controllo che viene effettuato dagli organi in parola circa l’ammissibilità delle richieste referendarie. Ed esprime, pertanto, al pari della funzione di verifica della conformità delle fonti allo Statuto, la natura «garantista» delle Consulte regionali[11]. Ciò che appare ancora più evidente se solo si considera che la previsione di questa competenza tende ad ovviare ad un preciso problema, largamente evidenziato, in dottrina, nel periodo di vigenza dei vecchi statuti, i quali affidavano, infatti, siffatto compito[12] o all’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale – e, laddove questo non si fosse pronunciato all’unanimità, al Consiglio stesso in seconda battuta – oppure, direttamente, all’Assemblea legislativa regionale[13]. Generando però, in tal modo, una specie di “cortocircuito” istituzionale, giacché non soltanto il giudizio di ammissibilità veniva effettuato da un organo politico, inadatto, come tale, a svolgere quelle complesse valutazioni di natura tecnico-giuridica che la funzione, viceversa, richiede, ma soprattutto chi esercitava il controllo era lo stesso organo titolare della potestà legislativa regionale e dunque autore dell’atto alla cui abrogazione era finalizzata la richiesta da valutare: con buona pace, pertanto, di quei caratteri di imparzialità e neutralità che un compito del genere, al contrario, esige[14].

In quest’ottica, quindi, non può certo stupire se, una volta istituite le Consulte statutarie e configurate, le stesse, come organi autonomi ed indipendenti[15], le Regioni hanno ritenuto opportuno affidar loro il compito, che a livello statale viene svolto dalla Corte costituzionale di sindacare l’ammissibilità delle richieste referendarie. Ciò che è avvenuto, salvo eccezioni[16], in rapporto a proposte di natura consultiva o propositiva, nonché, in tutte le Regioni esaminate, per quel che concerne richieste di referendum abrogativo[17], tanto che questa risulta essere, accanto a quella “principale”, l’unica “altra” funzione generalmente assegnata alle Consulte regionali.

Ma in cosa si sostanzia, più in particolare, il controllo affidato, in materia, agli organi di garanzia statutaria?

Anzitutto, quanto ai parametri cui deve attenersi la verifica di cui si discute, accanto ai limiti che attengono alla materia su cui incide la consultazione popolare[18], le Consulte si troveranno ad applicare alcuni criteri relativi alla formulazione del quesito referendario. Varie Regioni, infatti, hanno ripreso, alla lettera, i canoni elaborati, al riguardo, dalla giurisprudenza costituzionale, disponendo che le Consulte statutarie debbano valutare, ai fini dell’ammissibilità delle proposte abrogative, se il quesito risulta «chiaro»[19] – ovvero formulato «in termini semplici»[20] – ed «univoco»[21] e se le disposizioni oggetto della richiesta possano dirsi «omogenee»[22] e «coerenti»[23].

Ora, a proposito di questa species di criteri di ammissibilità merita conto porre in evidenza come la loro applicazione ai casi concreti (ancor più che quella concernente i divieti di natura materiale) darà vita, assai probabilmente, a decisioni connotate da un alto grado di discrezionalità (e quindi di variabilità) delle valutazioni effettuate dall’organo decidente. Come dimostra, del resto, in maniera inequivocabile, quanto avviene, al medesimo riguardo, a livello nazionale[24]. Non mi pare, infatti, convincente la tesi di chi afferma, forse un po’ ingenuamente, che esisterebbe, al contrario, uno «stacco», sul punto, tra le Consulte regionali e la Corte costituzionale determinato dalla «dipendenza del parere dell’organo statutario dall’attuazione pedissequa del disposto legislativo»[25] (il quale, tra l’altro, si limita, spesso, ad enunciare il criterio di controllo). Mentre piuttosto v’è da chiedersi se gli organi di garanzia statutaria saranno in grado di sopportare le polemiche di natura politica che scaturiranno, com’è facile prevedere, da decisioni basate sull’applicazione di questi canoni di ammissibilità, pur essendo privi – per lo meno inizialmente – di quella forte carica di legittimazione istituzionale che la Corte, al contrario, si è conquistata, nel tempo, con il proprio operato.

Quanto agli effetti dell’atto che conclude questa fase procedimentale, vorrei evidenziare come, al di là della scarsa precisione terminologica con cui lo stesso è stato definito, talvolta, dal legislatore statutario[26], in tutti gli ordinamenti regionali presi in considerazione le valutazioni effettuate dagli organi di garanzia rivestono natura (sostanzialmente) decisoria. E questo sia che venga recisamente stabilito che la Consulta «decide sull’ammissibilità dei referendum regionali»[27] o che una sua eventuale «decisione di inammissibilità conclude il procedimento»[28] o ancora che il Consiglio statutario regionale non soltanto «verifica», ma anche «dichiara» l’ammissibilità delle richieste esaminate[29]; sia, al contrario, che si preveda che un altro è l’organo formalmente incaricato di comunicare, all’esterno, l’esito del controllo effettuato, come accade, più precisamente, in Abruzzo, Umbria e Piemonte, dove è comunque la Consulta a valutare l’ammissibilità dei referendum, ma sulla stessa «provvede», in seguito, il Presidente della Giunta o il Consiglio regionale, sempre, però, «sulla base»[30] o «in osservanza»[31] del parere adottato dall’organo di garanzia.

Il carattere vincolante delle decisioni in oggetto ha fatto correttamente affermare che alle Consulte statutarie sono affidate, in materia, «funzioni provvedimentali» o comunque «compartecipi di questo carattere»[32]. Con le conseguenze che ne derivano a proposito del regime giuridico cui sono sottoposti gli atti in parola a partire dalla loro impugnabilità in sede giurisdizionale[33]. Questa conclusione è avvalorata dal fatto che la causa giuridica di queste decisioni è la medesima dei provvedimenti assunti, in passato, dai Consigli regionali (o dai loro Uffici di presidenza), nell’ammettere, o meno, l’iniziativa referendaria. E del resto, come è stato giustamente posto in rilievo, «non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che», in  quest’ambito di competenza, «gli statuti possano assegnare ai collegi di garanzia la funzione di assumere provvedimenti amministrativi finali», dato che la materia del referendum è «fra quelle riservate alla competenza normativa statutaria ex art. 123, c. 1, Cost.»[34].

 

3.2. Se quanto detto sinora ha riguardato il controllo sull’ammissibilità delle richieste di referendum, va osservato che numerose Regioni hanno assegnato agli organi di garanzia importanti mansioni anche per quel che concerne la verifica sulla regolarità delle stesse. Attribuendo, dunque, alle Consulte regionali funzioni che, a livello statale, sono esercitate non soltanto dalla Corte costituzionale ma anche dall’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione.

Le Consulte, infatti, verificano, decidono o quanto meno deliberano, a seconda dei casi, sulla regolarità delle proposte di referendum abrogativo[35] – «sulla base», in quest’ultima ipotesi[36],  del verbale loro trasmesso, dopo i controlli effettuati, dal responsabile del procedimento referendario – in Abruzzo (St., art. 77, c. 1 e l. ref., artt. 9, c. 1; e 12, c. 3), Emilia Romagna (legge istitutiva della Consulta, art. 11, c. 5; e l. ref., artt. 18, c. 7; e 20, c. 7), Piemonte (St., art. 81, c. 1 e l. ref., art. 18, c. 2), Puglia (St., art. 18, c. 5) e Toscana (St., art. 78, c. 1 e l. ref., artt. 26 e 33). Mentre la medesima competenza è tuttora contemplata dall’art. 11, c. 5, St. Calabria, nonostante l’eliminazione dallo stesso dell’art. 57 che prevedeva l’istituzione dell’organo di garanzia[37] e si ritrova, inoltre, nelle bozze statutarie del Molise (art. 59, c. 4) e del Veneto (art. 64, c. 2) nonché nell’art. 35, c. 1, lett. d.) della delib. st. Sardegna. E questo senza menzionare la circostanza che è senz’altro ben possibile che anche altre Regioni finiranno per assegnare, agli organi di garanzia, funzioni analoghe, procedendo all’adozione della legge attuativa dello Statuto in materia di istituti di democrazia diretta[38], sicché forse sintetizza meglio l’attuale situazione l’affermazione secondo cui gli unici due ordinamenti che hanno optato, ad oggi, per una soluzione diversa sono, a quanto consta, l’Umbria ed il Lazio[39].

Sotto questo profilo, pertanto, le Consulte saranno chiamate a pronunciarsi sul rispetto dei limiti modali e temporali che sono sanciti, dalle diverse discipline regionali, a pena di illegittimità-irregolarità delle richieste presentate dai promotori, dovendo valutare, ad esempio, se le sottoscrizioni necessarie sono state raccolte entro il termine previsto per il deposito della domanda abrogativa, oppure se il numero definitivo delle firme valide o delle delibere consiliari ritualmente adottate, nell’ipotesi di richieste avanzate da Enti locali, è almeno pari alla quota prevista per la prosecuzione dell’iter referendario.

Delle verifiche svolte e delle decisioni adottate sarà poi compito dell’organo di garanzia dare atto con apposito verbale. Il quale, peraltro, potrà essere impugnato, dai promotori, in sede giurisdizionale, come già posto in evidenza a proposito delle pronunce relative all’ammissibilità delle richieste.

 

3.3. In alcune Regioni, inoltre, sono state attribuite alle Consulte statutarie anche altre funzioni che sono sempre esercitate, a livello statale, dall’Ufficio centrale presso la Corte di cassazione[40]. Ci riferiamo, più precisamente: (A) alla potestà di correggere i quesiti esaminati; oppure (B) di procedere alla loro «concentrazione»; o ancora (C) di decidere sulla proseguibilità delle operazioni referendarie nel caso di eliminazione o modifica della normativa sottoposta a consultazione popolare.

(A) Con la prima delle funzioni menzionate si è attribuito all’organo di garanzia statutaria il compito di correggere il quesito o in sede di verifica della regolarità della richiesta, affinché la domanda da porre agli elettori risulti formulata «in modo chiaro ed univoco»[41], o a seguito della concentrazione con un altro quesito che venga valutato, dalla stessa Consulta, «analogo»[42], o a causa della necessità di tener conto dell’adozione di una normativa superveniens nella medesima materia interessata dall’iniziativa dei promotori e dunque dell’esigenza, che si potrebbe prospettare, di modificare la richiesta abrogativa oppure di trasferirla integralmente dalla vecchia alla nuova disciplina[43].

Un’ipotesi di correzione sui generis è quella contemplata dall’art. 22, c. 2, St. Emilia Romagna, il quale affida all’organo di garanzia il compito di scindere in quesiti «omogenei» le richieste di referendum ex art. 123, c. 3, Cost., qualora queste facciano riferimento a «modifiche» dello Statuto «relative a più argomenti». Questa previsione, tuttavia, presuppone, con ogni evidenza, che si possa dar vita, nel caso di specie, a consultazioni referendarie parziali, in quanto aventi ad oggetto solo alcune delle disposizioni contenute nella delibera statutaria. Mentre siffatta eventualità è stata esclusa, dalla Corte costituzionale, con la sent. n. 445 del 2005, e sulla base di buoni argomenti[44], ad iniziare dall’analisi del tenore testuale dell’art. 123, dal quale si evince, infatti, a chiare lettere, che il referendum confermativo deve riguardare l’intero testo dello Statuto oppure della legge statutaria con cui si procede alla sua revisione.

(B) Un’altra funzione attribuita alle Consulte è quella di esprimersi sulla concentrazione dei quesiti «che presentano uniformità o analogia di materia»[45]. Anche se non mancano, al riguardo, scelte alternative, come quella compiuta dall’art. 18, c. 5, l. ref. Piemonte, il quale dispone, infatti, che alla concentrazione provveda l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, sentiti i promotori, «con decisione assunta a maggioranza dei suoi componenti».

(C) Alle Consulte, inoltre, in cinque Regioni[46], è stato affidato il compito di valutare l’incidenza dell’eliminazione o della modifica della normativa oggetto di richiesta abrogativa sulla procedibilità delle operazioni referendarie. In analogia, dunque, a quanto previsto, a livello statale, dall’art. 39 della l. n. 352 del 1970, così come «riscritto», dalla Corte costituzionale, con la nota sent. n. 68 del 1978.

In proposito le diverse discipline regionali tengono distinte, in buona sostanza, le seguenti due ipotesi principali: a) la normativa ricompresa nel quesito abrogativo è stata eliminata tout court; oppure b) si procede alla modifica della stessa, o anche alla sua abrogazione (parziale o totale), ma sempre accompagnata, da una nuova disciplina della materia interessata dalla richiesta dei promotori.

Nel primo caso, mentre alcune Regioni contemplano la necessità di una delibera o quanto meno di un parere espresso da parte delle Consulte[47], altre, al contrario, individuano nel Presidente della Giunta l’organo che provvede all’interruzione della procedura – che, si noti, in quest’ipotesi soluzione è del tutto obbligata – senza alcun coinvolgimento degli organi di garanzia[48].

Nel secondo, invece, in considerazione – ritengo – della maggior complessità giuridica delle valutazioni da compiersi[49] e del fatto che l’esito cui la verifica può condurre comporta, alternativamente, l’interruzione o viceversa la prosecuzione dell’iter abrogativo, in tutti gli ordinamenti regionali che contemplano questa competenza si prevede che siano le Consulte a deliberare direttamente in merito[50] o quanto meno ad adottare un parere vincolante che verrà poi esternato, a secondo dei casi[51], o dal Consiglio regionale o dal Presidente della Regione.

 

3.4. Si ricorda, infine, che in alcune Regioni sono state assegnate agli organi di garanzia funzioni, più o meno significative, anche in relazione a fasi dell’iter referendario successive al controllo sull’ammissibilità e sulla regolarità della richiesta. Due esempi: a) in Abruzzo è compito della Consulta «comunica[re] l’esito del referendum al Presidente della Giunta che lo proclama» (ai sensi dell’art. 77, c. 1 St.); b) in Emilia Romagna l’art. 11, c. 5 della legge istitutiva della Consulta statutaria prevede che questa, dopo averne verificato la regolarità, «determina i tempi di indizione … dei referendum consultivi ed abrogativi».

 

4. Le Consulte, inoltre, si occupano dell’ammissibilità (e talvolta della regolarità) degli atti di iniziativa legislativa popolare in sette Regioni[52]. Mentre in tre di queste (Emilia Romagna, Liguria e Puglia) la verifica riguarda anche progetti di legge presentati da Enti locali.

I parametri cui le Consulte devono rapportare le loro valutazioni vanno, per esemplificare, dalla necessità di controllare l’esistenza del quorum richiesto[53], all’esigenza di far rispettare alcuni divieti di carattere materiale[54], alla verifica della circostanza che l’atto esaminato si sostanzi, in effetti, in un «testo redatto in articoli»[55] (e sia accompagnato, laddove richiesto[56], da una «relazione illustrativa»), al sindacato concernente il rispetto di alcuni limiti di natura temporale, come quello che contempla il divieto di esercizio dell’iniziativa popolare nei sei mesi antecedenti la scadenza del Consiglio regionale[57].

Va detto, inoltre, che, anche in questa ipotesi, alla pronuncia che conclude la fase di controllo deve riconoscersi «natura provvedimentale»[58]. Per ragioni analoghe e con le medesime conseguenze circa il regime giuridico dell’atto adottato dall’organo di garanzia che si sono già poste in rilievo, nel par. 3.1, a proposito delle decisioni con cui le Consulte si esprimono sull’ammissibilità delle richieste referendarie.

 

5. Rammentiamo, infine, per dovere di completezza – e sempre in relazione a funzioni assegnate agli organi di garanzia in materia di procedure partecipative – che in Emilia Romagna alla Consulta statutaria sono stati assegnati due compiti ulteriori[59]: a) verificare l’ammissibilità di questioni di «rilevante interesse, … proposte anche in termini generali» all’attenzione dell’Assemblea legislativa, da parte di Enti locali; b) dichiarare inammissibili le richieste di «istruttoria pubblica» il cui oggetto risulti, «anche in parte, coincidente» con quello di proposte di referendum consultivo già presentate.

 

6. La competenza delle Consulte di garanzia in materia di conflitti di attribuzione è, tra quelle ulteriori, la più liminare rispetto alla competenza assunta come principale, vale a dire il controllo di legittimità statutaria degli atti normativi. Tuttavia, presenta una serie di peculiarità tali da giustificare la decisione di molti statuti di inserire una voce a sé stante relativa a questo tema.

Su quindici Regioni prese in esame solo tre (Campania, Puglia e Umbria) non fanno alcun riferimento esplicito alla funzione di risoluzione dei conflitti. Anche se, in verità, gli statuti di Campania e Umbria (rispettivamente artt. 57, c. 2 e 82, c. 1) prevedono il rilascio da parte delle Consulte di pareri sulle questioni interpretative delle norme statutarie, dizione a cui potrebbe essere ricondotto l’esercizio di una funzione simile, pur se non esplicitamente menzionata.

Nonostante le formule utilizzate dagli altri statuti siano leggermente diverse tra loro, è possibile delinearne due tipologie.

Una prima, la più comune, attribuisce alle Consulte non tanto il potere di risolvere (né tanto meno di giudicare, in analogia a quanto dispone l’art. 134 Cost.) i conflitti di attribuzione[60] bensì «quello (più fumoso) di pronunciarsi in ordine “all’interpretazione dello Statuto” nei conflitti interorganici»[61]: così, infatti, pur con toni lievemente diversi, gli statuti dell’Abruzzo (art. 80), della Calabria (art. 57) del Lazio (art. 60, c. 6), del Piemonte (art. 92, c. 1), della Lombardia (art. 59), e le bozze di Statuto del Veneto (art. 64), della Basilicata (art. 61, c. 2) e del Molise (art. 59).

La seconda tipologia di previsioni, anche in questo caso non identiche tra loro, ha in comune il riferimento diretto all’intervento dell’organo di garanzia sul conflitto. In Toscana (art. 57, c. 4) il Collegio di garanzia «si pronuncia» sui conflitti di attribuzione. Le altre Regioni, con normative riconducibili a questa tipologia di intervento, prevedono il rilascio di pareri da parte degli organi di garanzia statutaria. Così lo Statuto della Liguria, art. 75, c. 1, lett. b), secondo cui la Consulta esprime pareri sulla ripartizione delle competenze tra gli organi regionali nonché la delibera statutaria sarda, art. 36, c. 1, lett. c), in base alla quale la Consulta esprime pareri sui conflitti di competenza ed infine lo Statuto dell’Emilia-Romagna, all’art. 69, c. 1, lett. d), dove è previsto che la Consulta esprima parere su conflitti di competenza tra gli organi previsti dallo stesso.

 

6.1. Un aspetto rilevante riguarda l’individuazione, da parte della normativa regionale, dei soggetti tra i quali può intercorrere il confitto.

Anzitutto, tutte le Regioni che prevedono la competenza in esame la riferiscono al conflitto tra organi regionali.

La diffusa previsione di una competenza degli organi di garanzia in merito ai conflitti interorganici delle Regioni è di particolare rilievo non soltanto in rapporto al ruolo che potranno svolgere gli organi in parola, ma anche – ed ancor prima – come argomento a sostegno dell’utilità delle Consulte statutarie. A differenza del controllo di statutarietà delle leggi regionali che, sia pure con limiti e difficoltà relative al suo effettivo svolgimento[62], è di competenza della Corte costituzionale, la risoluzione di conflitti tra “poteri” regionali sfugge, infatti, a qualsiasi controllo sia da parte della Corte costituzionale sia da parte dei giudici comuni. Sicché la previsione di questa competenza ha il merito di coprire una “zona franca” di conflitto, lasciata alla mera composizione politica, attribuendola ad organi caratterizzati da alcuni elementi atti a garantirne l’indipendenza, «venendo così ad offrire garanzia ad una situazione altrimenti … sprovvista di tutela»[63].

Alcuni statuti regionali, inoltre, prevedono l’intervento delle Consulte nei conflitti insorti tra Regione ed Enti locali[64].

In proposito, si ricorda, ha avuto occasione di pronunciarsi la Corte costituzionale, con la sent. n. 200 del 2008, ritenendo che il carattere vincolante delle decisioni della Consulta calabrese dovesse mantenersi nell’ambito dell’organizzazione regionale, ma non potesse riguardare gli Enti locali, «la cui autonomia è costituzionalmente garantita dall’art. 114, primo e secondo comma, Cost.»[65]. Con ciò la Corte ha quindi implicitamente riconosciuto che nei confronti degli organi regionali le pronunzie delle Consulte statutarie possono rivestire, al contrario, valenza vincolante, anche se questo aspetto è fortemente attenuato – come vedremo – dall’ammissibilità di interventi solo preventivi, vale a dire non rivolti ad atti già in vigore, limite che risulta molto penalizzante per i conflitti tra organi. La conseguenza della sentenza in parola è comunque il fatto che «la decisione sull’eventuale conflitto di competenza tra organi regionali ed Enti locali pronunciata dalla Consulta statutaria, mentre risulta essere vincolante per i primi, non può esserlo per i secondi»[66].

Il ruolo dell’organo di garanzia nei conflitti tra Regione ed Enti locali pare, dunque, diretto più che ad un’imposizione unilaterale di condotte ai litiganti, all’indicazione della corretta interpretazione delle norme da cui scaturisce il conflitto, confidando in una spontanea adesione delle parti. Le quali, si noti, trattandosi di un conflitto intersoggettivo, hanno comunque a disposizione gli ordinari metodi di ricorso giurisdizionale, nell’ambito dei quali il parere della Consulta potrà assumere un peso rilevante e comunque direttamente proporzionale all’autorevolezza degli argomenti prospettati.

 

6.2. Per lo più, le diverse normative regionali non dispongono nulla di preciso in relazione agli atti che possono determinare un conflitto. In linea di massima, pertanto, è da ritenere che un conflitto possa sorgere a seguito di qualsiasi atto o condotta, anche omissiva[67].

La l.r. d’attuazione dell’Emilia-Romagna, più precisamente, all’art. 13, c. 1 indica come oggetto «atti o comportamenti» adottati da un organo statutario, mentre al c. 3 precisa che nella richiesta debbono essere indicate le norme legislative o regolamentari inerenti l’attribuzione statutaria contestata nonché atti o comportamenti che rappresentino dei precedenti nell’esercizio della funzione in discussione. Al c. 2, inoltre, precisa che l’Assemblea e il CAL possono chiedere l’intervento della Consulta avverso la Giunta anche per un atto compiuto da un Assessore.

Ancora più dettagliata e netta la scelta della l.r. Toscana, che all’art. 12, c. 2 dispone: «il conflitto è sollevato avverso atti non normativi o condotte, anche omissive, ritenuti lesivi delle norme statutarie regolanti il riparto delle competenze fra gli organi regionali».

La Corte costituzionale, peraltro, affermando che, in questa sede, «ogni valutazione sulla legittimità di atti, legislativi o amministrativi, successiva alla loro promulgazione o emanazione è estranea alla sfera delle attribuzioni regionali»[68] ha mostrato di accomunare i vari tipi di atti (normativi e non) per i quali è possibile si determini un conflitto, focalizzando, quindi, la propria attenzione non tanto sulla natura degli stessi quanto piuttosto sul momento dell’intervento dell’organo di garanzia. È pertanto sugli aspetti procedurali e sulle conseguenze delle pronunce delle Consulte che è necessario, ora, volgere il nostro sguardo.

 

6.3. La drastica conclusione cui giunge la sent. n. 200 del 2008, se condotta alle sue estreme conseguenze, «rischia», infatti, «di svuotare del tutto di contenuto reale la competenza a decidere sui conflitti di competenza, dal momento che la loro esistenza è percepibile solamente dopo che l’atto contestato è stato definitivamente approvato ed ha iniziato a svolgere i suoi effetti»[69]. Sicché si capisce per quale motivo l’affermazione in oggetto, in quanto riferita ai conflitti, ha suscitato – a mio avviso fondatamente – numerose critiche in dottrina, basate sulla valutazione dell’irrilevanza del momento dell’intervento dell’organo rispetto agli effetti del suo atto[70]. Né va sottaciuto che questa presa di posizione potrebbe avere conseguenze così rilevanti da indurre a chiedersi se la Corte costituzionale non avrebbe dovuto, a rigore, prendere in considerazione anche l’ipotesi di una (estesa) illegittimità costituzionale consequenziale[71].

Ora, a parere di chi scrive, per valutare la portata di questa affermazione del giudice delle leggi è necessario ricordare, rapidamente, la disciplina della Calabria relativa al momento in cui sorge il conflitto e alle sue conseguenze – disciplina su cui verteva il ricorso deciso dalla Corte – nonché effettuare una rapida panoramica della normativa in merito adottata in altre Regioni, dalla quale si possono evincere alcune possibili soluzioni alternative.

La Corte, con la sent. n. 200, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 7, c. 3 e quella dell’art. 8, c. 4 della l.r. istitutiva della Consulta calabrese. Queste disposizioni disciplinavano, più in particolare, l’ipotesi di un conflitto riguardante atti già formati, prevedendo che solo in questi casi il ricorso potesse essere successivo, nonché la possibilità, per il Consiglio regionale, di «rideliberare» in senso contrario alle decisioni della Consulta. Altre disposizioni, inoltre (art. 8, c. 1 e 2), prevedevano, per quanto riguarda le conseguenze delle decisione dell’organo di garanzia, che «gli organi regionali e gli altri soggetti istituzionali interessati» si dovessero attenere «alle decisioni della Consulta» e che le stesse fossero «vincolanti», oltre che per enti e organi della Regione, «per i soggetti interessati».

Le decisioni della Consulta calabrese, dunque, sarebbero risultate vincolanti per tutti i soggetti prima menzionati. Sicché, in caso di dichiarazione di incompetenza di un atto, essi si sarebbero trovati nella necessità di non applicare la disciplina ritenuta contraria allo Statuto. Gli effetti della decisione della Consulta sarebbero stati, quindi, non identici nella forma ma molto vicini nella sostanza ad un annullamento dell’atto impugnato. E proprio la considerazione di questa conseguenza e non il mero intervento successivo avrebbe dovuto rappresentare, a mio avviso, la ragione dell’illegittimità delle norme calabresi[72].

Sul punto, viceversa, la maggior parte degli statuti e, laddove presenti, delle normative d’attuazione, non entra nel dettaglio. E soprattutto, quando è previsto un intervento di interpretazione dello Statuto in relazione ai conflitti, le Regioni, in genere, non prevedono sostanzialmente alcuna conseguenza, eccetto l’obbligo di motivare il dissenso dal parere espresso dalla Consulta, nel caso di inadempimento di quanto dalla stessa stabilito[73].

Due Regioni, invece, dispongono che qualora gli organi destinatari di un parere a seguito di conflitto non ritengano di adeguarvisi debbano sottoporre la questione al Consiglio regionale, di modo che l’atto oggetto del parere non subisce effetti, se non a seguito di un’eventuale valutazione in tal senso da parte dell’Assemblea rappresentativa[74]. Tra quelle presenti nel panorama normativo delle Regioni riteniamo questa la soluzione più efficace ed al tempo stesso indenne da dubbi di legittimità, e ciò vale tanto per il Lazio, che riferisce chiaramente l’esame della Consulta ad atti già in vigore, quanto per la Liguria, anche se in questo caso il momento di collocazione dell’intervento dell’organo di garanzia risulta, in effetti, meno chiaro[75].

In definitiva, quindi, è possibile affermare che se gli effetti delle decisioni in materia di conflitti della Consulta calabrese potevano avere conseguenze simili nella sostanza ad una decisione giurisdizionale di annullamento dell’atto, non è senz’altro così per le altre Regioni. Niente si oppone, dunque, a che le Consulte «esprimano il loro parere in ordine a conflitti aventi ad oggetto atti già definitivi ed efficaci a condizione che la decisione … non produca … un sostanziale annullamento dell’atto»[76]. Esse non si pongono, infatti, in questo modo, «come veri “arbitri” risolutori»[77], ma come soggetti che agiscono, pur a fronte di atti vigenti, in ambito pregiudiziale, col fine di proporre la soluzione più corretta e non vincolando i destinatari ad accoglierla. Sicché la pronunzia delle Consulte non risulta, in ultima analisi, un atto impositivo, bensì un parere propositivo, a cui gli organi configgenti – a seconda dei casi – si adeguano spontaneamente o a seguito della decisione di un terzo soggetto dotato di poteri decisionali (l’Assemblea legislativa).

 

7. La normativa regionale esaminata assegna, infine, alle Consulte statutarie molteplici altre funzioni, estremamente diversificate tra loro. Nel tentativo di fornirne un elenco ordinato proviamo a suddividerle nelle seguenti tre categorie principali.

a) Ad un primo ambito di competenze sono riconducibili le previsioni di tre Regioni, che conferiscono all’organo di garanzia funzioni relative alla valutazione delle cause che determinano incompatibilità o decadenza degli organi politici ed alla gestione delle crisi conseguenti.

Lo Statuto abruzzese, all’art. 80, c. 3, prevede che la legge elettorale debba demandare al Collegio non meglio individuati «compiti amministrativi inerenti lo svolgimento delle elezioni». Mentre l’art. 86, c. 2 dispone che «nel caso di annullamento delle elezioni, il Collegio per le garanzie statutarie nomina una Commissione di tre cittadini eleggibili al Consiglio regionale, sorteggiandoli da una lista di dodici nomi predisposta dal Consiglio regionale e rinnovata ogni cinque anni. La Commissione indice le elezioni entro tre mesi e provvede all’ordinaria amministrazione di competenza della Giunta e agli atti improrogabili da sottoporre alla ratifica del nuovo Consiglio». La legge attuativa non aggiunge altro in merito.

Nello Statuto dell’Emilia-Romagna si prevede che la Consulta «prende atto degli eventi che causano l’anticipata cessazione dalla carica degli organi elettivi e dichiara la modalità di amministrazione ordinaria della Regione fino all’elezione dei nuovi organi elettivi, secondo le norme dello Statuto» (art. 69, c. 1, lett. a). Ecco, quindi, che, mentre la normativa abruzzese appare limitata alla sola ipotesi di annullamento delle elezioni, quella emiliano-romagnola attiene a tutti i casi di anticipata cessazione dalla carica degli organi elettivi regolate dallo Statuto (artt. 32 e 48). Tale disciplina, inoltre, come specificato dall’art. 15 della l.r. attuativa, prevede un meccanismo, meno insolito, di prorogatio ed assunzione dei poteri legislativi da parte della Giunta uscente, “controllata” dalla Consulta, e di successiva ratifica da parte della nuova Assemblea legislativa.

Concentrata, infine, sull’attribuzione alla Consulta del potere di contestare e decidere sulle cause che producono la decadenza dalle cariche risulta essere la delibera statutaria sarda. Dove, all’art. 35, è previsto che la Consulta: «e) contesta ai componenti della Giunta le cause di incompatibilità e decide su di esse ai sensi dell'articolo 26; f) decide sulla sussistenza delle cause di incompatibilità previste dagli articoli 27 e 28 per il Presidente, i consiglieri e gli assessori ed esercita i poteri ed adotta gli atti previsti dai medesimi articoli; g) dichiara la sussistenza dell’impedimento permanente del Presidente della Regione».

b) Rientrano in una seconda species di funzioni alcune disposizioni che prevedono la possibilità di richiedere un parere dell’organo di garanzia su atti particolari. Innanzitutto, sulla legittimità del Regolamento del Consiglio regionale[78]. La  procedura è per molti versi simile a quella riguardante gli altri atti normativi adottati dal Consiglio ma vale tuttavia la pena di segnalarla perché, in assenza di un’esplicita previsione il Regolamento consiliare sarebbe da ritenere sottratto al parere dell’organo di garanzia. Va inoltre ricordato che, sia pur in un quadro dottrinale diviso e a fronte di una giurisprudenza costituzionale oscillante, la posizione più recente della Corte costituzionale è per l’insindacabilità dei regolamenti consiliari, che a differenza delle leggi regionali sono, dunque, sottratti al sindacato di costituzionalità[79].

Si ricordano, inoltre, i pareri obbligatori richiesti dallo Statuto del Lazio (art. 68, c. 6, lett. c), per i regolamenti delegificanti; da quello calabrese (art. 44, c. 2) per i testi unici presentati, previa legge, dalla Giunta al Consiglio, tenuto ad approvarli con unico voto; nonché la previsione dello Statuto della Lombardia (art. 60, c. 1, lett. a) della presentazione al Consiglio regionale di una relazione sui progetti di legge in materia statutaria.

Da notare, infine, la scelta della Campania (art. 57, c. 2) di inserire tra gli atti per i quali la Consulta può esprimere parere, oltre alle leggi ed ai regolamenti, gli «atti preparatori con i quali la Regione partecipa alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari, degli schemi di accordo con Stati esteri e degli schemi di intese con enti territoriali interni ad altro Stato».

c) In una terza categoria residuale si possono infine ricomprendere due competenze previste:

1) dall’art. 47, c. 1, lett. c), St. Puglia, il quale dispone, infatti – con formula, in verità, non proprio cristallina – che la Consulta «esprime parere non vincolante nella valutazione delle capacità dei soggetti non pubblici che la Regione individua per il conferimento dei compiti di per sé pubblici»;

2) dagli statuti del Piemonte, art. 92, c. 1, lett. b), e della Lombardia, art. 60, c. 1, lett. e), i quali prevedono espressamente – e sia pure in modo diverso tra loro – un parere delle Consulte sul carattere invasivo delle competenze regionali da parte di atti adottati dallo Stato o da altre Regioni. Laddove, peraltro, come è stato correttamente posto in rilievo[80], anche nelle altre Regioni, dove è genericamente prevista la possibilità, da parte degli organi di garanzia, di fornire pareri preventivi, questi potrebbero essere richiesti in materia anche se non espressamente contemplati, ciò che rafforza la probabilità che, similmente a quanto è accaduto per gli analoghi Consigli Consultivi spagnoli[81], la funzione delle Consulte di fornire pareri in ordine ai ricorsi contro leggi statali possa assumere, nella prassi, una considerevole rilevanza e frequenza.

 

8. In conclusione, pertanto, alla luce della panoramica offerta nelle pagine precedenti e delle riflessioni che questa ha sollecitato, possiamo svolgere, come ci eravamo prefissi, alcune brevi considerazioni sul ruolo che potranno assumere gli organi di garanzia statutaria nei prossimi anni.

Da una parte riteniamo che il potere affidato agli organi in parola di sospendere l’approvazione delle leggi regionali risulti, anche dopo gli interventi, in materia, del giudice delle leggi, (se non proprio «rilevantissimo»[82] quanto meno) significativo. Conclusione, questa, che appare sostenibile sulla base di molteplici considerazioni, tra le quali ricordiamo, in estrema sintesi, le seguenti:

a) la decisione delle Consulte è pur sempre vincolante in ordine alla procedura da seguire nel prosieguo dell’approvazione dei disegni di legge sottoposti al suo sindacato[83];

b) essa comporta l’insorgere di una responsabilità politica di tipo diffuso a carico del legislatore regionale nel caso in cui il disegno di legge venga riapprovato senza tener conto del parere espresso dall’organo di garanzia[84];

c) in ogni caso la pronuncia della Consulta rappresenta un “segnale” (non rivolto direttamente, ma che può giungere facilmente) al Governo statale, suggerendo, quindi, allo stesso di attivarsi per l’esercizio dell’impugnazione in via diretta. E potrebbe inoltre concorrere a determinare la prospettazione di questioni in via incidentale[85], tanto più laddove il contenuto del dictum dell’organo di garanzia si presentasse in sintonia con precedenti ricavabili dalla giurisprudenza della Corte.

D’altra parte, come si è avuto modo di constatare dall’analisi sin qui condotta, le “altre” competenze diffusamente assegnate alle Consulte statutarie rivestono un’importanza tutt’altro che marginale[86]. Attribuendo, tra l’altro, a detti organi la titolarità di poteri che hanno, come s’è visto, una valenza (in molti casi) decisionale e che risultano, comunque, nel loro complesso, più incisivi di quelli attribuiti alle stesse Consulte nel controllo sulla statutarietà delle fonti regionali.

In quest’ottica, quindi, in primo luogo, occorre evidenziare il ruolo che potranno assumere gli organi di garanzia statutaria, anche in ragione dell’indipendenza loro garantita nei confronti del circuito politico regionale, a tutela del corretto funzionamento della forma di governo della Regione. Con le loro decisioni, ad esempio, sui conflitti sorti tra organi della stessa – in rapporto ai quali le Consulte giungono, come s’è detto, a coprire una zona precedentemente affrancata da qualsivoglia forma di composizione non politica della controversia – o sulla regolarità-ammissibilità di richieste di referendum presentate da minoranze consiliari o ancora nell’applicazione dei poteri loro assegnati in materia di incompatibilità, decadenza o cessazione anticipata degli organi elettivi e di gestione delle crisi conseguenti.

In secondo luogo, non va sottaciuta l’importanza di alcune funzioni che sono affidate alle Consulte statutarie a garanzia del buon andamento del rapporto tra Regione apparato e Regione comunità (o, detto altrimenti, a tutela della «forma di Regione»)[87]: si pensi solo alla possibilità di esprimersi sulla regolarità-ammissibilità delle richieste di referendum o di atti di iniziativa legislativa provenienti dalla società civile.

In terzo luogo, infine, si deve evidenziare il ruolo che potranno esercitare le Consulte regionali a presidio degli interessi degli Enti locali nonché, più in generale, di un corretto rapporto tra le diverse autonomie territoriali[88]. Attraverso le decisioni adottate sui conflitti tra Regione ed Enti locali o sulla regolarità-ammissibilità di iniziative legislative da parte di quest’ultimi o ancora esprimendosi, laddove previsto, sull’ammissibilità di questioni di rilevante interesse che siano proposte da Enti locali all’attenzione del Consiglio regionale.

Sulla carta, pertanto, prima che le Consulte inizino ad operare a pieno regime[89], si può affermare con una certa tranquillità che se è vero, per un verso – come già rilevato in premessa – che illusorie e (soprattutto) costituzionalmente infondate apparivano le aspettative iniziali di chi riteneva addirittura possibile la creazione di Corti costituzionali regionali, eccessiva, però, dal lato opposto, appare l’opinione di chi prende spunto da singoli avvenimenti accaduti in qualche Regione per giungere, oggi, ad ipotizzare una perdita di interesse generalizzata nei confronti degli organi di garanzia e dunque un loro ruolo, all’interno dei diversi ordinamenti regionali, tutt’altro che incisivo[90]. Anche se poi, naturalmente, molto dipenderà, come sempre, (non tanto da astratte previsioni normative, quanto piuttosto) dalla concreta implementazione dell’organo nel tessuto dei rapporti istituzionali entro cui si troverà ad operare, dall’autorevolezza dei suoi componenti e delle decisioni di volta in volta adottate e dalla capacità di dialogo che saprà dimostrare nei confronti dei suoi interlocutori: in una parola dalla credibilità che le Consulte statutarie sapranno conquistarsi sul campo[91]. Con un’avvertenza: i tempi con cui si valuta l’impatto sul funzionamento del sistema di organi di consulenza e controllo sono ben più dilatati di quelli utilizzabili con riferimento ad organi legislativi o esecutivi. E questo tanto per la minor frequenza degli interventi, quanto per il loro diverso impatto sulle dinamiche politico-istituzionali.



* Salvatore Aloisio è ricercatore di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Modena e Reggio Emilia, Roberto Pinardi è professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Nell’ambito di una comune riflessione, Salvatore Aloisio ha curato la stesura dei parr. 2, 6 e 7; Roberto Pinardi dei parr. 3, 4 e 5. Indistinguibile, invece, è l’apporto dei due Autori nei parr. 1 e 8.

Questo scritto è destinato agli Studi in onore di Franco Modugno.

[1] In termini R. Romboli, Collegio di garanzia (art. 57), in P. Caretti - M. Carli - E. Rossi (a cura di) Statuto della Regione Toscana. Commentario, Torino, 2005, 283.

[2] Così, infatti, C. Napoli, L’eclissi degli organi di garanzia statutaria? in Quad. cost. 2010, 109-110 (corsivo testuale).

[3] Per una rassegna della giurisprudenza costituzionale sul tema (sentt. nn. 378 del 2004, 12 del 2006 e 200 del 2008) cfr., ad esempio, P. Torretta, La Consulta e le «Consulte regionali)»: ancora una pronuncia del giudice delle leggi sul ruolo dei garanti statutari, in Giur. cost. 2008, 5151 ss.; e C. Combi, Gli organi regionali di garanzia statutaria, in www.osservatoriosullefonti.it, 3/2008, 8 ss.

[4] Per riprendere il titolo di un altro scritto di R. Romboli, La natura amministrativa degli organi di garanzia statutaria e delle relative decisioni: la Corte costituzionale infrange il sogno di un’Alta corte per la Regione calabrese, in Foro it. 2009, I, 1348.

[5] In ragione, a tacer d’altro, del principio di unicità della giurisdizione costituzionale, nonostante la lettura dello stesso fornita da M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni. Verso le Costituzioni regionali?, Bologna, 2002, 444 ss., ma diffusamente criticata in dottrina: v. ad esempio, in proposito, A. Cardone, Gli organi di garanzia statutaria tra suggestioni del diritto comparato, paletti della Corte costituzionale ed apodittiche ricostruzioni del sistema delle fonti, in M. Carli - G. Carpani - A. Siniscalchi (a cura di), I nuovi statuti delle Regioni ordinarie, Bologna 2006, 279-80 e 289; A. D’Aloia - P. Torretta, La legge regionale nei nuovi statuti, in R. Bifulco (a cura di), Gli statuti di seconda generazione, Torino, 2006, 206 nota 118; e R. Romboli, Collegio, cit., 285.

[6] A parte un passaggio relativo ai conflitti di attribuzione endoregionali di cui si darà conto nel prosieguo dello scritto: v. infatti, infra, parr. 6.1 ss.

[7] Lo Statuto della Regione Marche non istituisce un organo di garanzia e quindi non lo si è preso in considerazione.

[8] Ma non tutti i riferimenti statutari alla stessa: cfr., sul punto, A. Spadaro, Ancora sugli organi di garanzia statutaria, fra tante luci e qualche ombra, in www.forumcostituzionale.it, par. 5; C. Napoli, L’eclissi, cit., 107 ss.; e S. Gambino, Statuti regionali, Consulte statutarie e Corte costituzionale, in  www.federalismi.it n.3/2010, par. 1.

[9] Consultate sul sito www.astrid-online.it.

[10] Cfr. infatti, in proposito, Corte costituzionale, sent. n. 149 del 2009.

[11] Così, esattamente, R. Romboli, Collegio, cit., 292 (sul punto cfr., amplius, le riflessioni svolte in sede di considerazioni conclusive).

[12] Anche in ragione della giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, con la sent. n. 42 del 1983, aveva da un lato escluso che il controllo di ammissibilità sui referendum regionali potesse essere assegnato ad organi giurisdizionali e dall’altro negato di poter attrarre a sé tale competenza.

[13] Sulla disciplina precedente l’adozione dei nuovi statuti cfr. ad esempio G. Tarli Barbieri, I referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione di cui all’art. 123 Cost., in M. Carli (a cura di), Il ruolo delle Assemblee elettive, I, Torino, 2001, 192-193.

[14] In tema, per tutti, anche per ulteriori riflessioni e rimandi bibliografici, cfr. G. Falcon, «Diritto» al referendum regionale e giudizio di ammissibilità nella prospettiva della giurisdizione, in Le Regioni 1983, 264 ss.

[15] Sulla configurazione dei nuovi organi di garanzia come indipendenti dal circuito politico regionale cfr., tra gli altri, L. Panzeri, Considerazioni introduttive sul potere di rinvio presidenziale delle leggi regionali e sugli altri possibili istituti «compensativi», in Le Regioni 2005, 133; e A. Spadaro, Ancora, cit., 2 e 12 (il quale parla di «autorità amministrative indipendenti … sia pure sui generis»).

[16] V. ad esempio, in questo senso, l’art. 68, c. 6, lett. a) St. Lazio, il quale affida al Comitato di garanzia il compito di verificare l’ammissibilità dei referendum abrogativi e propositivi ma non di natura consultiva.

[17] Cfr. infatti, in proposito, St. Abruzzo, art. 80, c. 1, lett. b); Calabria, art. 57, c. 5, lett. d) (ma v. anche l’art. 11, c. 5); Campania, art. 57, c. 3; Emilia-Romagna, art. 20, c. 6; Lazio, art. 68, c. 6, lett. a); Liguria, art. 75, c. 1, lett. c); Lombardia, art. 51, c. 5; Piemonte, art. 81, c. 1; Puglia, art. 47, c. 1, lett. b); Toscana, art. 57, c. 4; Umbria, art. 82, c. 1; nonché le bozze di Statuto della Basilicata, art. 59, c. 2; del Molise, art. 59, c. 4 e del Veneto, art. 64, c. 2; e la delib. st. Sardegna, art. 35, c. 1, lett. d).

[18] I legislatori statutari, infatti, hanno esercitato la loro creatività, disponendo che siano esclusi dalla possibilità di referendum abrogativo tutta una serie articolata di leggi e regolamenti regionali (la cui puntuale elencazione esula, peraltro, dagli scopi di questo scritto).

[19] Così gli statuti Abruzzo, art. 77, c. 1; e Liguria, art. 10, c. 3 (anche in relazione a richieste di referendum consultivo).

[20] Come sta scritto nelle leggi ref. Abruzzo, art. 5, c. 5; Emilia Romagna, art. 14, c. 6; Toscana, art. 25, c. 3; ed Umbria, art. 18, c. 5.

[21] Cfr., a tal proposito, lo St. Emilia Romagna, art. 20, c. 6 (e 21, c. 2 per quel che concerne richieste di referendum consultivo); Liguria, art. 10, c. 3 (anche con riguardo a proposte di referendum consultivo); Lazio, art. 63, c. 2 (che parla, tuttavia, di richiesta «unitaria», anche in relazione a richieste di referendum propositivo); nonché le leggi ref. Abruzzo, art. 5, c. 4; e Toscana, art. 25, c. 3.

[22] V., in tal senso, gli statuti Abruzzo, art. 77, c. 1; Emilia Romagna, art. 20, c. 6 (e 21, c. 2  in rapporto a proposte di referendum consultivo); e  Lazio, art. 63, c. 2; nonché le bozze di Statuto del Molise, art. 5, c. 4; e del Veneto, art. 14, c. 5; e la l. ref. Toscana, art. 27, c. 1 (anche in relazione a referendum di natura consultiva: v. l’art. 52, c. 1).

[23] Cfr., al riguardo, quanto previsto dalle leggi ref. Abruzzo, art. 10, c. 1; Emilia Romagna, art. 14, c. 4 e 6; Toscana, art. 27, c. 1; e Umbria, art. 22, c. 1.

[24] V. per tutti, da ultimo, il quadro offerto, in proposito, da A. Pertici, Il giudice delle leggi ed il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, Torino, 2010, 167 ss.

[25] Cfr., in tal senso, R. Billè, Gli organi di garanzia statutaria: semplici consulenti o reali custodi dello Statuto regionale?, in Dir. e soc. 2008, 434 (corsivo non testuale), in rapporto a quanto previsto dall’art. 20, c. 6, St. Emilia Romagna.

[26] Per questa osservazione si rinvia a C. Mignone, I collegi regionali di garanzia statutaria come organi autori di provvedimenti amministrativi, in Quad. reg. 2007, 291 e 296 ss.

[27] Testualmente St. Campania, art. 57, c. 3; ma v. anche, in senso analogo, St. Lombardia, art. 51, c. 5; le bozze di St. della Basilicata e del Veneto, rispettivamente artt. 59, c. 2 e 64, c. 2; la delib. st. Sardegna, art. 35, c. 1, lett. d); la l.r. Calabria n. 2 del 2007 (istitutiva dell’organo di garanzia), art. 7, c. 2, lett. d); e la l. ref. Emilia Romagna, art. 15, c. 1.

[28] Così l. ref. Toscana, artt. 27, c. 6 e 52, c. 6; ma v. pure, non dissimilmente, quanto si legge nell’art. 75, c. 6, St. Liguria, il quale prevede, infatti, non senza qualche evidente imprecisione di natura terminologica (su cui cfr. A. Gardino Carli, La «rigidità» dello Statuto e la Consulta statutaria: dagli intenti iniziali alla attuazione concreta, in Quad. reg. 2005, 838; e C. Mignone, I collegi, cit., 301) che: «Il parere negativo» della Consulta statutaria «sull’ammissibilità… delle richieste referendarie comporta la loro decadenza» (corsivo non testuale).

[29] Cfr. St. Puglia, art. 18, c. 5.

[30] In termini l. ref. Abruzzo, art. 11, c. 1; e l. ref. Umbria, art. 23, c. 1.

[31] Come recita l’art. 19, c. 2 della l. ref. Piemonte.

[32] Così C. Mignone, I collegi, cit., 296.

[33] In tema, ampiamente e per tutti, si veda l’approfondita analisi di C. Mignone, I collegi, cit., spec. 314 ss.

[34] Così, ancora, C. Mignone, I collegi, cit., 293, richiamandosi espressamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 2004. Più in generale, sulla natura di organi amministrativi che deve riconoscersi alle Consulte statutarie e sul fatto che siffatta classificazione non può essere messa in dubbio a causa della potestà assegnata a tali organi di adottare atti decisori con efficacia vincolante cfr. Corte costituzionale, sent. n. 200 del 2008, in Giur. cost. 2008, spec. 2268.

[35] Ma anche consultivo (v. ad esempio le leggi ref. dell’Abruzzo, art. 32, c. 3; e della Toscana, art. 50, c. 1) e statutario (così St. Puglia, art. 47, c. 1, lett. b; e l. ref. Toscana, art. 9). In Piemonte, invece, sulla regolarità delle richieste di referendum ex art. 123 Cost. si esprime l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale «sentita» la Commissione di garanzia (cfr. l.r. n. 22 del 2004, artt. 7, c. 1 e 9, c. 1, così come modificati dalla legge istitutiva della Commissione).

[36] Che è quella della disciplina prevista in Abruzzo ed Emilia Romagna (e subito richiamata, nel testo, nel prosieguo della trattazione).

[37] Sul punto cfr. A. Spadaro, Ancora, cit., 9.

[38] Si pensi, per fare solo un esempio, a quanto dispone lo Statuto lombardo, all’art. 60, c. 1, lett. c), laddove, per l’appunto, ci si limita a rinviare alla futura «legge in materia di iniziativa popolare e di referendum» la più precisa individuazione dei provvedimenti e dei pareri che potranno essere adottati, in proposito, dalla Commissione garante dello Statuto.

[39] Nella prima Regione, infatti, la verifica materiale e la delibera sulla regolarità delle richieste di referendum abrogativo è compito svolto dal responsabile del procedimento (ai sensi dell’art. 21, c. 4, 5 e 6 l. ref.); nella seconda, invece, l’istituzione del Comitato di garanzia statutaria non ha comportato alcuna modifica delle funzioni attribuite, in materia, all’Ufficio centrale regionale per il referendum (così come dispone, espressamente, la legge istitutiva del Comitato, all’art. 13, c. 3).

[40] In tema cfr., volendo, R. Pinardi, L’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, Milano, 2000, rispettivamente 175 ss.; 190 ss. e 256 ss.

[41] Come dispone l’art. 27, c. 3, della l. ref. Toscana (ma v. anche, in rapporto a richieste di referendum consultivo, l’art. 52, c. 3, della stessa legge; e l’art. 35, c. 5, della l. ref. Emilia Romagna). Questa funzione, si noti, non è prevista, a livello statale, dalla l. n. 352 del 1970.

[42] Cfr., al riguardo, quanto previsto dall’art. 22, c. 2, della l. ref. Emilia Romagna; dall’art. 26, c. 2, della l. ref. Umbria; e dall’art. 14, c. 2, della l. ref. Abruzzo, il quale, però, dispone che sia il Presidente della Regione a provvedere alla correzione «su conforme parere del Collegio regionale per le garanzie statutarie».

[43] In proposito si vedano gli artt. 10, c. 5 e 8, e 17, c. 4, l. ref. Abruzzo; St. Emilia Romagna, art. 20, c. 4; l’art. 36, c. 2 e 3, l. ref. Toscana; e gli artt. 22, c. 5 e 8, e 29, c. 4, l. ref. Umbria.

[44] Per un commento adesivo alla pronuncia de qua cfr. F. Benelli, L’unicità del referendum sugli statuti regionali e la giusta logica del «tutto o niente», in Le Regioni 2006, 532 ss.

[45] Viene così ripresa, alla lettera, la formula, tutt’altro che felice, che si legge nell’art. 32, c. 4, della l. n. 352 del 1970: cfr., in tal senso, gli artt. 14, c. 1, l. ref. Abruzzo; 22, c. 1, l. ref. Emilia Romagna; 28, c. 1, l. ref. Toscana; e 26, c. 1, l. ref. Umbria.

[46] Ma si tenga ancora presente l’avvertenza poc’anzi formulata circa la forte probabilità che anche in altri ordinamenti regionali si finisca per assegnare, agli organi di garanzia, competenze analoghe, nel momento in cui si procederà all’adozione della normativa attuativa in tema di istituti di democrazia diretta.

[47] Così, infatti, la l. ref. Emilia Romagna, artt. 19, c. 3 e 25, c. 1; e la l. ref. Piemonte, art. 32, c. 1 e 3; nonché, ma per la sola ipotesi in cui l’abrogazione totale sia intervenuta prima del controllo di ammissibilità, le leggi ref. Abruzzo, art. 10, c. 4; ed Umbria, art. 22, c. 4.

[48] Cfr. l. ref. Toscana, art. 36, c. 1; ma anche le leggi ref. dell’Umbria e dell’Abruzzo (agli articoli, rispettivamente, 29, c. 1 e 17, c. 1) se l’abrogazione interviene successivamente alla verifica dell’ammissibilità del referendum.

[49] Le Regioni, infatti, per identificare la fattispecie in cui può dirsi, in effetti, che la disciplina sottoposta a referendum è stata modificata in senso “sostanziale” (e che dunque è impossibile trasferire il quesito dalla vecchia alla nuova disciplina), utilizzano, in genere, la medesima formula testuale che si legge nella sent. n. 68 del 1978. Sicché il compito, tutt’altro che agevole, che viene affidato agli organi di garanzia è quello di valutare se la nuova normativa ha modificato «i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente o i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti»: per un’analisi dei non pochi problemi di natura interpretativa cui ha dato vita l’applicazione della formula testé richiamata mi sia permesso rinviare a R. Pinardi, L’Ufficio, cit., 280 ss.

[50] V. la previsione contenuta negli artt. 19, c. 4 e 25, c. 2 della l. ref. Emilia Romagna.

[51] Nel primo senso, infatti, v. la l. ref. Abruzzo, artt. 10, c. 7 e 8; 11, c. 1 e 17, c. 2 e 3; nel secondo le leggi ref. Umbria, artt. 22, c. 7 e 8; 23, c. 1 e 29, c. 2 e 3; Piemonte, art. 32, c. 2 e 3; e Toscana, art. 36, c. 2, 3 e 5.

[52] Cfr. infatti gli statuti dell’Abruzzo, art. 80, c. 1; dell’Emilia Romagna, art. 18, c. 3; della Liguria, art. 75, c. 6; della Lombardia, art. 50, c. 3; della Puglia, art. 47, c. 1, lett. b); la delib. st. Sardegna, art. 35, c. 1, lett. b); e la bozza di Statuto del Veneto, art. 64, c. 2.

[53] Come previsto, ad esempio, dall’art. 18, c. 3 St. Emilia Romagna.

[54] Tra i limiti di questa natura che si riscontrano con maggior frequenza ricordo l’esclusione dell’iniziativa popolare per la revisione dello Statuto (in Emilia Romagna, Lombardia e Puglia) e per le leggi tributarie e di bilancio (in Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Puglia e Sardegna).

[55] Come è disposto da tutti gli statuti delle Regioni menzionate a nota 52.

[56] V. ad esempio gli statuti Abruzzo, art. 31, c. 2; e Lombardia, art. 34, c. 2.

[57] Così gli artt. 18, c. 4 St. Emilia Romagna; 15, c. 3 St. Puglia; e 32, c. 4 della delib. st. Sardegna.

[58] Cfr., sul punto, C. Mignone, I collegi, cit., 311.

[59] V. infatti, rispettivamente, gli artt. 11, c. 1 e 6; e 50-quinquies della l.ref. Emilia Romagna.

[60] Precisano trattarsi di conflitto «di competenza» la Sardegna, l’Emilia-Romagna, il Lazio e la Lombardia.

[61] D. Baldazzi, Gli organi di garanzia statutaria: arbitri o vittime della politica regionale?, in Le Istituzioni del federalismo 2005, 862.

[62] La limitatezza e la dubbia efficacia del controllo esercitabile dalla Corte costituzionale, per lo scarso interesse del Governo ad impugnare in via diretta leggi regionali sospette di violazione dello Statuto e per le difficoltà di raggiungere lo stesso obiettivo in via incidentale, sono state sottolineate da più parti. Tra gli altri, v. T. Groppi, Quale garante per lo Statuto regionale, in Le Istituzioni del federalismo 2001, 843 ss.; M. Olivetti, Nuovi, cit., 443; L. Panzeri, La tutela della «rigidità statutaria» alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale: quali prospettive per gli organi di garanzia regionali?, in Giur. cost. 2005, 821-822; R. Romboli, Collegio, cit. 284.

[63] Così R. Romboli, Collegio, cit., 292. Sottolinea questo aspetto – escludendo altresì, mediante il richiamo di giurisprudenza amministrativa relativa agli Enti locali, la possibilità di intervento del giudice amministrativo in tali controversie – D. Baldazzi, Le «Consulte di garanzia statutaria» tra dispute dottrinali e concrete possibilità di azione (commento a Corte cost. n. 200 del 2008), in Le Istituzioni del federalismo 2008, 211-212. In questo senso particolarmente chiaro C. Mignone, I collegi, cit., 294, il quale spiega che per i conflitti di competenza tra organi della Regione non è previsto «un giudice particolare (come la Corte costituzionale)» né è possibile «configurare una controversia interorganica radicabile davanti a giudici ordinari o amministrativi», mentre la giurisdizione potrà essere adita solo da terzi, qualora risulti lesa una loro situazione soggettiva.

[64] Così la Calabria (art. 57, c. 5, lett. b); il Piemonte (art. 92, c. 1, lett. a); e il Veneto (art. 64, c. 3, lett. b). Peculiare la scelta dello Statuto abruzzese che all’art. 71, c. 5 riserva al CAL un particolare tipo di ricorso al Collegio di garanzia, a tutela degli Enti locali, che se non è strettamente ascrivibile alla categoria dei conflitti intersoggettivi, vi si avvicina molto. Anche la Toscana, pur prevedendo unicamente i conflitti tra organi regionali, dispone che la richiesta di intervento del Collegio di garanzia possa pervenire anche dal CAL, quando riguarda la presunta violazione delle norme statutarie in materia di Enti locali (art. 57, c. 2 St.).

[66] R. Romboli, La natura ed il ruolo degli organi di garanzia statutaria alla luce delle leggi regionali di attuazione degli statuti e della giurisprudenza costituzionale, in www.forumcostituzionale.it, 12. Sul punto v. anche P. Torretta, La Consulta, cit., 5159.

[67] In questo senso depongono le normative che contengono previsioni generiche: così l’Abruzzo (art. 71, c. 5 St.) dove nel precisare lo specifico potere di ricorso attribuito al CAL (pur non strettamente riferito al conflitto) sono indicate come oggetto le leggi ed i provvedimenti riguardanti gli Enti locali; anche il generico riferimento della legge calabrese (art. 7, c. 3) a leggi e regolamenti non è preclusivo dell’impugnazione di altri atti, ma indica semplicemente un’eccezione che vale per gli atti normativi; lo stesso vale per la l.r. laziale che all’art. 16, c. 5 prescrive, in maniera generica, l’indicazione dell’atto da cui il conflitto deriva.

[68] Cfr. sent. 200 del 2008, cit., 2269.

[69] R. Romboli, La natura ed il ruolo, cit., 12; v. anche, nel medesimo senso, C. Napoli, La Consulta statutaria calabrese: tra incertezze legislative e parziali, in Le Regioni 2008, 967.

[70] Con diversi toni ed argomenti v. A. Ruggeri, Il doppio volto della Consulta statutaria calabrese (a margine di Corte cost. n. 200 del 2008), in Le Istituzioni del federalismo 2008, 161 ss.; M. Carli, Il chiarimento non c’è stato (a proposito degli organi di garanzia statutaria previsti dai nuovi statuti delle Regioni ordinarie), in Giur. cost. 2008, 2274; R. Romboli, La natura ed il ruolo, cit., 18. Va rimarcato che anche la dottrina precedente favorevole al controllo esclusivamente preventivo (A. Gardino Carli, La «rigidità», cit., 845; T. Groppi, Quale garante, cit., 847; A. Cardone, Gli organi, cit., 293), si riferisce al controllo di legittimità statutaria in senso stretto e non ai conflitti tra organi, materia in cui l’intervento preventivo dell’organo di garanzia è più difficilmente immaginabile.

[71] A. Ruggeri, Il doppio, cit., 160, ravvisa acutamente il problema, a suo avviso evitato dalla Corte attraverso un intervento che non ha fatto crollare l’intero impianto della legge, così riuscendo ad evitare di dover pervenire ad una dichiarazione di illegittimità consequenziale «forse persino estesa» – ammesso che sia possibile, precisa l’Autore – «alle norme statutarie e non, di altre Regioni relative a tali organi di garanzia».

[72] Più ampiamente mi sia consentito rinviare a S. Aloisio, Un piccolo (e claudicante) passo verso la definizione dei poteri degli organi di garanzia statutaria, in Giur. cost. 2008, 2280 ss.

[73] In termini generali v. leggi r. Abruzzo, art. 5; e Piemonte, art. 7, c. 3 (e St. art. 92). Analoga la disciplina dell’Emilia-Romagna (art. 69 St. e artt. 2, c. 3 e 12 l.r. attuativa) che pure prevede, nella legge, norme apposite in tema di conflitti. La bozza del Molise statuisce, in generale, che i pareri siano comunicati al Presidente del Consiglio regionale e al Presidente della Giunta i quali, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, promuovono idonee iniziative per l’eventuale adeguamento. Infine, la Toscana prevede (l.r. art. 13) come effetti del giudizio sul conflitto che riconosca le ragioni del richiedente, l’obbligo, per l’organo interessato, «di riesaminare l’atto o di riconsiderare la condotta», ma  qualora questi non intenda accogliere i rilievi del Collegio, dovrà solo darne comunicazione scritta e motivata, nei termini previsti.

[74] V. art. 16, in part. c. 2 e 3, l.r. Lazio; e artt. 75, c. 5 St. e 5, c. 3 l.r. Liguria.

[75] L’art. 5, c. 3 della l.r. sembra prevedere, infatti, un intervento successivo, mentre il reg. del Consiglio regionale, all’art. 136, c. 4, parla di sospensione dell’iter, ed in tal modo lascia spazio all’idea di interventi preventivi, in itinere appunto, anche se ciò contrasta con la natura del conflitto.

[76] Così R. Romboli, La natura amministrativa, cit., 1352.

[77] R. Romboli, La natura amministrativa, cit., 1350.

[78] Cfr. St. Abruzzo art. 18, c. 2; e St. Lombardia art. 60, c. 1, lett. b).

[79] Cfr. sent. n. 288 del 1987. Sul punto, per tutti, T. Martines - A. Ruggeri - C. Salazar, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2002, 40 ss. in part. 42-43.

[80] Da A. Spadaro, Dal «custode della Costituzione» ai «custodi degli statuti». Il difficile cammino delle Consulte regionali statutarie, in Le Regioni 2006, 1095.

[81] In tema si veda, tra gli altri, R. Romboli, Collegio, cit. 284.

[82] Testualmente A. Spadaro, Ancora, cit., 13.

[83] Cfr., sul punto, A. Spadaro, Ancora, cit., 14.

[84] Sottolinea, sotto questo profilo, l’importanza dell’obbligo imposto al Consiglio regionale di motivare l’intenzione di distaccarsi dal parere della Consulta T. Groppi, La “Consulta” dell’Emilia Romagna nel quadro dei nuovi organi regionali di garanzia statutaria, in Le Istituzioni del federalismo 2005, 83. Anche L. Panzeri, La tutela, cit., 827-828, rileva «l’incidenza sul piano politico di una valutazione negativa» delle Consulte regionali che comporti, a prescindere da ogni meccanismo di aggravamento, la riapprovazione da parte del Consiglio del testo oggetto della valutazione.

[85] V. già, in questo senso, A. Spadaro, Dal «custode, cit., 1093.

[86] Come sembra confermare il dato empirico per cui tutti i pareri ad oggi adottati dalle Consulte regionali riguardano, per l’appunto, le loro competenze “minori” (v. le informazioni fornite a nota 89).

[87] O «organizzazione generale della Regione»: per questa terminologia cfr. A. Spadaro, Ancora, cit., 1-2.

[88] In senso favorevole all’esercizio di un ruolo siffatto da parte delle Consulte statutarie v. ad esempio A. Mastromarino, Gli organi di garanzia statuaria nelle regioni a regime ordinario: uno sguardo d’insieme, in www.forumcostituzionale.it, 21; e P. Torretta, La Consulta, cit., 5160.

[89] A quanto consta, infatti, la situazione, al momento, è la seguente: a) in Liguria si è insediata (il 20 settembre 2007) la Consulta statutaria che è intervenuta in due occasioni, emettendo una valutazione sull’ammissibilità di un’istanza di referendum abrogativo ed una valutazione sull’ammissibilità di un progetto di legge di iniziativa popolare; b) il 10 gennaio 2009 in Emilia-Romagna si è insediata, sia pure in virtù di una norma transitoria (l’art. 40 della l.r. n. 22 del 2008) che ne prevede una composizione ridotta e funzioni limitate, la Consulta di garanzia statutaria, la quale ha approvato due delibere entrambe relative ad una proposta di legge di iniziativa popolare; c) la Commissione di garanzia del Piemonte si è insediata il 28 marzo del 2008 ed ha finora emesso quattro pareri, relativi il primo a un conflitto di attribuzione tra organi regionali, il secondo ad una proposta di legge di iniziativa popolare, gli ultimi due sul carattere invasivo delle attribuzioni regionali da parte di leggi o atti aventi forza di legge dello Stato; d) in Toscana, la legge d’attuazione, risultata troppo rigida relativamente ai criteri di composizione dell’organo, è stata modificata dalla l.r. n. 61 del 2009, successivamente, il 10 febbraio 2010, il Consiglio regionale ha nominato i componenti del Collegio di garanzia; e) a fine luglio 2010 il Consiglio regionale abruzzese ha eletto i membri di sua competenza del Collegio.

[90] Cfr., in tal senso, C. Napoli, L’eclissi, cit., 109-110, la quale giunge a siffatta conclusione procedendo dalla constatazione dell’abrogazione della Consulta statutaria calabrese e pur dopo aver posto in evidenza le notevoli incongruenze che caratterizzano il processo logico che ha condotto a tale risultato.

[91] In questo senso v. già le riflessioni svolte da R. Romboli, Collegio, cit., 290.