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Elisabetta Frontoni

 

Considerazioni a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 340 del 2007: verso un maggiore rigore nel sindacato sull’eccesso di delega*

 

1. Con la decisione in commento, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale di un decreto legislativo per eccesso di delega, con un rigore che parrebbe richiamare quello che ha caratterizzato la più recente giurisprudenza in tema di decretazione d’urgenza, cui questa decisione sembra idealmente saldarsi. Nel motivare la pronuncia il giudice costituzionale non ricorre al ricco argomentare che ha portato, per la prima volta, alla dichiarazione dell’illegittimità costituzionale di un decreto-legge, e della sua legge di conversione, per la evidente mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza. Tuttavia, è senza dubbio ad una lettura attenta del rapporto tra legge ed atti aventi forza di legge, e delle sue ricadute sulla forma di governo, che anche questa decisione, come la ormai nota sentenza n. 171 del 2007 [1], si ispira. Non è un caso, forse, che proprio quest’ultima pronuncia sia espressamente richiamata come precedente nel punto del considerato in diritto in cui la Corte ricostruisce la legislazione su delega.

2. La questione di legittimità costituzionale sottoposta alla Corte dal Tribunale di Catania riguardava l’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 della legge 2 ottobre 2001, n. 366) [2]. In particolare, secondo il giudice a quo, questa norma-che ricollega alla contumacia del convenuto (cui viene equiparata la tardiva costituzione) l’effetto di una sorta di ficta confessio, dovendosi intendere come non contestati i fatti affermati dall’attore [3]-si poneva in contrasto con l’art. 12, comma 2, lettera a) della legge di delega n. 366 del 2001 (e quindi indirettamente con l’art. 76 Cost.), che prevede soltanto la concentrazione dei procedimenti e la riduzione dei termini, ma non anche una così sostanziale modifica del procedimento contumaciale [4].

La Corte ritiene la questione fondata e sanziona l’eccesso di delega, disattendendo la ricostruzione della Avvocatura dello Stato che, richiamandosi alla precedente giurisprudenza costituzionale, aveva sostenuto rientrare nella fisiologia della delega, ed in particolare in quel naturale processo di riempimento tra legge di delega e decreto legislativo, «il fatto che la legge si limiti a contenere i principi ed i criteri direttivi senza regolare integralmente tutti gli aspetti della fattispecie». Ciò in quanto la delega non potrebbe eliminare ogni margine di scelta nella sua attuazione, anche in considerazione del fatto che, come accade sempre più di frequente, nella legge vengono usate clausole generali quali “ridefinizione”, “riordino” e “razionalizzazione”.

Ed è proprio questo l’aspetto che pare interessante sottolineare. Il giudice costituzionale, infatti- pur riaffermando che per la varietà degli oggetti che possono essere delegati al Governo, non è possibile enucleare una nozione rigida che valga ad indicare cosa siano e debbano essere i principi e criteri direttivi, cosicché «il Parlamento, approvando una legge di delegazione non è certo tenuto a rispettare regole metodologicamente rigorose» [5]- chiarisce, tuttavia, che non si può lasciare che la determinazione dei principi e criteri direttivi sia il frutto del libero apprezzamento del legislatore delegato. Per motivare l’inammissibilità di un’opera di riempimento lasciata completamente al Governo, la Corte richiama, da un lato, la natura vincolata del potere conferito all’esecutivo, che anche in virtù di questo aspetto è stato, dalla più attenta dottrina, qualificato come “nuovo e diverso” da quello legislativo [6] e, dall’altro, il carattere derogatorio dell’art. 76 rispetto alla previsione contenuta nell’art. 70 Cost. [7]

Quanto al primo profilo, la Corte afferma in termini netti che il potere delegato al Governo non è in tutto fungibile con il potere legislativo, in quanto nasce come non libero nel fine. Quella delegata è, infatti, per definizione, una legislazione vincolata e quindi non libera di disporre di quei principi e criteri direttivi che dovrebbero orientarla.

Quanto al secondo aspetto, ricordando che l’art. 76 Cost. costituisce una deroga a quanto previsto dall’art. 70 Cost., la Corte abbandona quell’atteggiamento di eccessivo self- restraint che ha caratterizzato la sua giurisprudenza e ha trasformato il sindacato sull’eccesso di delega in una political question in cui il giudice delle leggi ha preferito non entrare, lasciando che fossero il Parlamento ed il Governo a regolare i loro rapporti.

Come è noto, l’interpretazione che, attraverso questa giurisprudenza, il giudice costituzionale ha dato dell’istituto ha fatto sì che nella prassi esso si allontanasse inesorabilmente dal modello che i Costituenti avevano così attentamente tracciato.

Non è certo questa la sede per ripercorrere una storia nota [8], ma basti ricordare che gli oggetti definiti si sono trasformati in materie dai confini incerti e i principi e criteri direttivi sono divenuti sempre più spesso evanescenti, in ragione della labilità ed indeterminatezza con cui sono stati individuati nella legislazione più recente [9].

Per quanto riguarda in particolare questi ultimi, il giudice costituzionale ha permesso che essi venissero determinati per relationem, facendo riferimento ad altri atti normativi, purché sufficientemente determinati, o anche dal “complessivo contesto normativo in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione”, o ancora, affidando al Governo il compito di colmare una lacuna contenuta nella legge di delegazione attraverso lo sviluppo e il completamento di scelte accennate dalle Camere.[10]

Detto in altri termini, la giurisprudenza costituzionale ha dimenticato che i cosiddetti “limiti minimi” contenuti nella legge di delega (così come i requisiti di straordinaria necessità ed urgenza per il decreto legge) sono prima di tutto presupposti di validità dell’atto di delegazione e solo in via subordinata parametri per la legittimità del decreto legislativo che sulla sua base viene adottato [11]. La mancanza dei quali, dunque, non può essere sanata dal libero gioco di riempimento tra legge delega e decreto legislativo cui abbiamo assistito in questi anni. Questa lettura dell’istituto, più rispettosa delle previsioni costituzionali, avrebbe forse potuto evitare molti abusi.

3. Dopo aver offerto questa precisa ricostruzione dell’istituto della delegazione legislativa, seppur abilmente sintetizzata in una parentesi, la Corte insiste nella motivazione sul carattere di novità della disciplina introdotta. La disposizione, infatti, appare del tutto estranea alla materia da riformare e lontana da quelli che sono i principi che si sono andati consolidando nel processo civile, nel quale alla mancata o tardiva costituzione non è mai stato attribuito il valore di confessione implicita [12]. Proprio questo carattere derogatorio rispetto alla disciplina generale e lontano dalla tradizione giuridica impone al giudice costituzionale uno scrutinio più rigoroso sul rispetto dei principi e criteri direttivi posti a fondamento del decreto legislativo. Secondo la Corte, infatti, la disposizione censurata non può essere ricondotta né ai principi e criteri direttivi né alle finalità della delega. Rispetto ai primi, in quanto la previsione di una ficta confessio non appare rispondere al compito attribuito al Governo di dettare regole processuali volte alla concentrazione del procedimento e alla riduzione dei termini processuali; rispetto alle seconde, in quanto non corrispondente alla più rapida ed efficace definizione dei procedimenti [13].

La motivazione colpisce perché, in linea con la precedente giurisprudenza, il giudice costituzionale, facendo leva sul libero gioco di riempimento tra legge di delega e decreto legislativo, avrebbe potuto ritenere la norma censurata come sviluppo e completamento delle scelte espresse nella delega [14]. Questa lettura sarebbe stata possibile anche in quanto al Governo era stato affidato il compito, nell’ambito della più ampia riforma dell’intero settore societario, di dettare nuove norme di procedura; ma in questa decisione lo scrutinio della Corte si fa particolarmente penetrante.

Ciò emerge anche quando il giudice costituzionale, riguardo alle finalità della delega, osserva che esse costituiscono un utile criterio di interpretazione sia della legge di delegazione, sia delle disposizioni delegate, ma non possono sostituirsi alla valutazione dei principi e criteri direttivi, così come determinati dalla legge di delegazione. Anche questa affermazione può essere letta come un ulteriore tassello per rileggere in modo più aderente al testo costituzionale l’istituto della delegazione legislativa e per superare quella giurisprudenza secondo la quale «i principi e criteri direttivi enunciati dalla legge di delegazione vanno ricostruiti tenendo conto del complessivo contesto normativo e delle finalità che hanno ispirato il provvedimento…» [15].

4. Dunque, è l’estraneità della disciplina introdotta rispetto alla tradizione del processo civile, non sorretta da specifici principi e criteri in tali senso, che porta la Corte alla dichiarazione di illegittimità costituzionale.

L’uso di un tale argomento non è nuovo nella giurisprudenza costituzionale in tema di delegazione legislativa, essendo stato utilizzato in più occasioni, soprattutto nel giudicare deleghe per il riordino o il riassetto di una determinata disciplina [16]. In tutte queste ipotesi, il giudice costituzionale ha optato per una lettura “minimale” della delega, precisando che, quando la finalità di quest’ultima è il riassetto di norme precedenti, l’introduzione di disposizioni innovative è giustificata soltanto se siano stabiliti principi e criteri direttivi volti a definire in tal senso l’oggetto della delega ed a circoscrivere il potere del legislatore delegato [17].

Un approccio rigoroso che appare decisamente in contrasto con quello del Consiglio di Stato. L’organo consultivo, infatti, chiamato ad esprimere un parere su uno schema di decreto legislativo per il riassetto, o codice, ha rilevato, con una affermazione di portata generale, che, in queste deleghe, «nella sostanza, la finalità è la stessa di quella del riordino normativo, e lo è la qualità dell’intervento. Ciò che cambia è la portata, per così dire, “quantitativa” dell’intervento innovativo poiché per i decreti di “riassetto” vi sono criteri di delega più ampi e incisivi, che autorizzano il legislatore delegato non soltanto ad apportare modifiche di “coordinamento formale” alla disciplina di rango legislativo, ma anche a consistenti innovazioni nel merito della disciplina codificata» [18]. In altri termini, il Consiglio di Stato ha distinto nettamente le deleghe per il riordino da quelle per il riassetto, chiarendo che queste ultime permettono innovazioni non consentite alle deleghe della prima specie [19]. La Corte costituzionale, invece, non ha distinto i due tipi di deleghe e ha adottato per entrambe lo stesso trattamento: le deleghe devono essere intese come “deleghe a portata ridotta”, non consentendo nessuna innovazione che non sia sorretta da specifici principi e criteri [20]. Questa giurisprudenza, apparentemente più severa nel sindacare le deleghe, si risolve di fatto in un modo per salvare atti di delegazione carenti dei principi e criteri direttivi. Paradossalmente, questa lettura delle deleghe di riordino (e poi di quelle di riassetto) appare come il “frutto avvelenato” della stessa giurisprudenza costituzionale in tema di delegazione. In quanto ritenere, come fa la Corte, che i decreti legislativi possano sviluppare anche principi e criteri della delega non sufficientemente determinati conduce inesorabilmente a dover dare una lettura minimale della delega quando si vuole sanzionare questi ultimi per eccesso di delegazione. Altrimenti, la Corte dovrebbe chiarire perché a volte ritiene ammissibile il libero gioco di riempimento e altre volte lo nega.

L’estensione dell’argomento della lettura minimale ad un’ipotesi inedita è già avvenuta in un’altra importante decisione, la sentenza n. 280 del 2004. In questa pronuncia, il giudice costituzionale ha applicato tale criterio non al rapporto legge di delega-decreto legislativo, ma al solo atto di delegazione, per valutarne la legittimità [21]. Questa lettura ha permesso alla Corte di salvare la legge di delegazione depotenziandone la forza [22]. Secondo il giudice costituzionale, infatti, la delega per la ricognizione dei principi fondamentali in materie di potestà concorrente non consente norme delegate sostanzialmente innovative. Queste ultime, inoltre, costituiscono solo un primo orientamento per la legislazione regionale «senza avere carattere vincolante e senza comunque costituire parametro di validità delle leggi regionali» [23].

Nella decisione in commento, invece, come si è cercato di evidenziare, la Corte sembra utilizzare il criterio della novità della disciplina introdotta per scrutinare una delega di cui certamente non si può dare una lettura minimale, perché volta a riordinare completamente un intero settore e non semplicemente a riordinare una precedente disciplina o a prevederne il riassetto sotto forma di codice. La sentenza in commento sembra rappresentare quindi un’ipotesi di ulteriore applicazione di tale argomento, che, tuttavia, potrebbe portare ad esiti diversi rispetto alla giurisprudenza richiamata.

5. A spingere la Corte ad un sindacato più attento anche nel giudicare deleghe ampie sembra essere stata un’interpretazione rigorosa delle norme costituzionali. Il giudice costituzionale, infatti, riconducendo l’istituto della delegazione legislativa nell’alveo tracciato dalle disposizioni costituzionali, ha fissato dei paletti certi tra legge di delega e decreto legislativo, superando così la sua precedente giurisprudenza.

La decisione appare particolarmente importante anche in quanto di poco successiva ad un’altra pronuncia sul rito societario, la sentenza n. 54 del 2007. In questa decisione la Corte, pur salvando il decreto legislativo dal vizio di eccesso di delega, tuttavia, ha concluso la motivazione con un monito al legislatore, affermando che in via generale è auspicabile una maggiore specificazione nella determinazione dei principi e criteri direttivi da parte del legislatore delegante per non alterare l’assetto costituzionale delle fonti.

Con la pronuncia in commento, la Corte ha deciso di andare al di là del semplice monito e di discostarsi dalla precedente giurisprudenza che ha dilatato, fino a svuotarlo di significato, quel naturale processo di riempimento che deve legare i due livelli normativ i[24]. Per ora ad essere colpito è stato il decreto legislativo, ma la chiara presa di posizione sembrerebbe preludere ad un sindacato più rigoroso anche sulla legge di delega e sulla presenza di quei “limiti minimi” che devono essere necessariamente posti dal legislatore, perché, come si è ricordato sopra, presupposti di validità dell’atto. Il giudice costituzionale sembra, infatti, aver spesso confuso la validità dell’atto di delegazione con la sua capacità condizionante, cosicché, anche quando il suo scrutinio si è fatto più severo, ha affermato che, quando la legge di delegazione non è sufficientemente precisa, ad essere incisa è la sua capacità di delegare un potere di ampia portata al Governo e non la sua validità.



* Per gentile concessione della Giurisprudenza Italiana (ivi, 2008, 5, 1105 e segg.)

[1] Su questa decisione cfr. P. CARNEVALE, Il vizio da “evidente mancanza” dei presupposti al debutto quale causa di declaratoria di incostituzionalità di un decreto-legge. Il caso della sentenza n. 171 del 2007, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; A. CELOTTO, C’è sempre una prima volta …(La Corte costituzionale annulla un decreto-legge per mancanza dei presupposti), in www.giustamm.it; R. DICKMANN, Il decreto-legge come fonte del diritto e strumento di governo, in www.federalismi.it; A. GUAZZAROTTI, Il rigore della Consulta sulla decretazione d’urgenza: una camicia di forza per la politica?; F. PATERNITI, Dalla astratta sindacabilità al concreto sindacato del decreto privo dei presupposti costituzionali: la Corte passa alle vie di fatto, in www.forumquadernicostituzionali.it; R. ROMBOLI, Una sentenza “storica”: la dichiarazione di incostituzionalità di un decreto-legge per evidente mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; A. RUGGERI, Ancora una stretta (seppur non decisiva) ai decreti legge, suscettibile di ulteriori, ad oggi per vero imprevedibili,implicazioni a più largo raggio ( a margine di Corte cost. n. 171 del 2007, in www.forumquadernicostituzionali.it

[2] L’art. 13, comma 2, del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, prevedeva che «Se il convenuto non notifica la comparsa di risposta nel termine stabilito a norma dell’art. 2, comma 1, lettera c), ovvero dell’art. 3, comma 2, l’attore, tempestivamente costituitosi, può notificare al convenuto una nuova memoria a norma dell’art.6, ovvero depositare, previa notifica, istanza di fissazione dell’udienza; in quest’ultimo caso i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa; se lo ritiene opportuno, il giudice deferisce all’attore il giuramento suppletorio».

[3] In tal modo innovando rispetto alla consolidata giurisprudenza per cui la contumacia nel processo civile non può assumere alcun significato probatorio-

[4] L’art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del processo societario), prevede al primo comma che «il Governo è inoltre delegato ad emanare norme che, senza modifiche della competenza per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti nelle seguenti materie:

a) diritto societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;

b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni,

e, al secondo comma, che «per il perseguimento delle finalità e nelle materie di cui al comma 1, il Governo è delegato a dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere:

a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali».

[5] Cfr., in questi termini, Corte cost.,sent. n. 250 del 1991.

[6] In tal senso cfr. E. LIGNOLA, La delegazione legislativa, Milano, 1956, 148 ss.; A. CERRI, Delega legislativa, in Enc. giur., X, Roma, 1993, 3. Sul punto anche v. L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 205 ss. Il quale rileva che i decreti legislativi subiscono almeno tre specie di limiti. Innanzitutto, «dato che l’art. 76 impone alla legge delegante di fissare i principi e criteri direttivi della legislazione delegata, questa non può essere mai libera nell’individuazione degli interessi da soddisfare e degli scopi da raggiungere; ma deve ritenersi-stando alle opinioni più diffuse-discrezionale nel senso tecnico dell’espressione, in quanto vincolata nei suoi fini. Secondariamente, poiché il suo possibile esercizio va delimitato anche nel tempo, la potestà legislativa si distacca con nettezza da una funzione legislativa non temporanea, ma permanente, del tipo spettante al Parlamento. Infine, avendo riguardo alla disciplina di “oggetti definiti”, senza poter coinvolgere altre situazioni quantunque connesse, la competenza esercitabile dal Governo stesso è specializzata per definizione, anziché generale come quella legislativa ordinaria». Ed è proprio attraverso la fissazione di tali limiti che la legge di delega trasferisce al decreto legislativo il valore legislativo. In questo senso, Cfr. F. MODUGNO, L’invalidità delle legge, II, 1970, in particolare 49 ss. e 91 ss. Il quale definisce i decreti legislativi come “atti con valore legislativo derivato”.

[7] Su tale carattere e sulla necessità di una previsione in Costituzione dell’istituto della delegazione legislativa, cfr. Corte costituzionale, sent. n. 32 del 1961 ed in dottrina v. L. PALADIN, Commento all’art. 76 Cost., in BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1979 1 e ss.. L’art. 77 Cost. precisa poi che la regola è che la funzione legislativa sia esercitata collettivamente dalle due Camere, l’eccezione è che « il Governo –l’altro organo attributario della potestà legislativa -la può esercitare soltanto a condizione di riceverne la delega da parte delle Camere ovvero autoassumendosi la potestà legislativa “in casi straordinari di necessità ed urgenza”da svolgersi in atti dotati di efficacia temporanea e precaria da sottoporre alla conversione in legge parlamentare» Così, F. MODUGNO, Diritto pubblico generale, Bari, 2002, 161.

[8] Per una analisi delle distorsioni dal modello costituzionale, tra i moltissimi scritti, sia consentito rinviare anche per la bibliografia ivi citata, ad A. CELOTTO-E. FRONTONI, Legge di delega e decreto legislativo, in Enc. dir., VI agg., Milano, 2002, 697 ss.; cfr. anche P. CARETTI-A. RUGGERI ( a cura di), Le deleghe legislative. Riflessioni sulla recente esperienza normativa e giurisprudenziale, Milano, 2003; M. RUOTOLO-S. SPUNTARELLI, Commento all’art. 76 Cost., in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, II, Torino, 2006, 1490 e ss.

[9] Sul punto cfr. C. DE FIORES, Trasformazioni della delega legislativa, Padova, 2000, 68.

[10] Cfr. Corte costituzionale, sent. nn., 503 del 2000; 199 del 2003; 308 del 2002; 174 del 2005; In dottrina, cfr., in particolare, D’ELIA, Sulla determinazione rationae delegationis dei principi e criteri direttivi secondo la giurisprudenza costituzionale, in Giur. Cost., 2000, 1461 ss.; V. BALDINI, Il procedimento di delegazione legislativa tra elasticità ed effettività. Riflessioni su una “variabile dipendente” della democrazia parlamentare, in F. COCOZZA, S. STAIANO (a cura di), I rapporti tra parlamento e governo attraverso le fonti del diritto:la prospettiva della giustizia costituzionale, Torino, 2001, 44 ss.; G. FAMIGLIETTI, Delegazione legislativa e Corte costituzionale, in P. CARETTI-A. RUGGERI (a cura di), Le deleghe legislative. Riflessioni sulla recente esperienza normativa e giurisprudenziale, Milano, 2003, 186 ss.; S.M. CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano (II ed.), Torino, 2007, 283 ss..

[11] Sulla funzione di norma interposta da riconoscere alle leggi di delega cfr., per tutti, M. SICLARI, Le «norme interposte» nel giudizio di costituzionalità, Padova, 1992.

[12] Sul nuovo processo societario cfr., in dottrina, A. CARRATTA, Commento all’art. 13 del d.lgs. n. 5 del 2003, in CHIARLONI (a cura di), Il nuovo processo societario, Bologna, 2004, 365 ss.; G. COSTANTINO, Il nuovo processo commerciale: la cognizione ordinaria in primo grado, in Riv. dir. proc., 2003, 387 ss.; A. PROTO PISANI, I lineamenti del nuovo processo societario, in Riv. dir. civ., 2003, I, 547 ss.; C. PUNZI, I Lineamenti del nuovo processo in materia societaria-il processo ordinario, in Riv. trim. proc. civ., 2004, 73 ss.; R. VACCARELLA, La riforma societaria: aspetti processuali, il rito ordinario, in Corr. Giur., 2003, 1501 ss.

[13] Una specifica direttiva in tal senso, come ricorda la Corte, è invece contenuta nel punto n. 23 del disegno di legge di delega per la generale riforma del processo civile, approvato dal Consiglio dei Ministri del 24 ottobre 2003 (Atto Camera n. 4578).

[14] Su questo aspetto cfr., in particolare, la recente sentenza della Corte cost. n. 426 del 2006.

[15] Sulla determinazione implicita dei principi e criteri direttivi, affidando al Governo delegato l’interpretazione delle finalità della delega, tra le molte, cfr. le sentenze della Corte costituzionale nn. 163 e 126 del 2000; 96 e 259 del 2001 e ord. 248 del 2004.

[16] Sulle deleghe volte alla codificazione ed al riassetto normativo, v. M. RUOTOLO – S. SPUNTARELLI., Commento all’art. 76 Cost., in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., 1496 ss.; M. A. SANDULLI (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle regole. Atti del Convegno (Roma, 17-18 marzo 2005), Giuffrè, 2005.

[17] Sulle deleghe per il riordino v., in particolare, Corte cost., sent. n. 239 del 2003. Per le deleghe di riassetto, cfr., Corte cost., sent. n. 170 del 2007. In questa decisione, la Corte ha dichiarato incostituzionale l’art. 134, comma 1, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n.30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), sanzionandone l’eccesso di delega legislativa e dunque la violazione indiretta dell’art. 76 Cost.

Per arrivare alla declaratoria di illegittimità costituzionale, il giudice delle leggi ha dovuto ricostruire una complessa vicenda normativa nella quale si intrecciavano due deleghe legislative contenute nello stesso testo legislativo, la legge n. 273 del 2002. La questione sottoposta alla Corte era particolarmente interessante anche perché il giudice a quo aveva innanzitutto sollevato la questione di legittimità costituzionale sulla norma del decreto legislativo, ma in via logicamente subordinata, qualora il giudice costituzionale avesse voluto ricondurre la previsione del decreto-legislativo alle disposizioni della delega, aveva impugnato anche queste ultime, denunciandone il contrasto con l’art. 76 Cost., per mancanza dei principi e criteri direttivi.

Così come sottoposta la questione di legittimità costituzionale ha offerto alla Corte l’occasione per chiarire, riprendendo per altro quanto già affermato nella sentenza n. 239 del 2003, che i decreti legislativi volti al riordino della legislazione precedente, se nella loro opera di composizione in un testo unitario la molteplicità di disposizioni vigenti in una materia, possono innovare l’ordinamento, tuttavia devono farlo solo a fronte di una espressa delegazione in tal senso.

[18] Cfr., Consiglio di Stato, Adunanza generale, 25 ottobre 2004, n. 2/04 parere (Codice della proprietà industriale).

[19] Sul punto, cfr., in dottrina, P. CARNEVALE, Codificazione legislativa e normazione secondaria del nuovo modello di semplificazione delineato dalla legge n. 229 del 2003 (legge di semplificazione per il 2001), in Diritto e società, 2005, in particolare, 578 ss.; N. LUPO, Dai testi unici misti ai codici: un nuovo strumentario per le politiche di semplificazione.Commento alla legge n. 229 del 2003, in AS., 2004, 159

[20] Per un caso recente del diverso modo di intendere la delega per il riassetto, cfr. Corte cost. sent. n. 170 del 2007. In questa sentenza la Corte dichiara incostituzionale una norma del codice della proprietà industriale (quello su cui l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato ha reso il parere n. 2 del 2004) perché viziato da eccesso di delega, in quanto della delega per il riassetto deve essere data una lettura minimale. E’ curioso rilevare che anche il Consiglio di Stato aveva sottolineato l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione, ma, alla luce del diverso modo di intendere la delega, l’organo consultivo aveva ritenuto la disposizione incostituzionale perché esorbitante dall’oggetto! Cfr. il punto 17.2 del parere.

[21] Così G. DI COSIMO, Deleghe e argomenti, in Le Regioni, 2005, 287 ss. Sulla delega contenuta nella l. n. 131 del 2003 cfr. G. SERGES, Riassetto normativo mediante delega legislativa e determinazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente, in Le Regioni, 2006, 83 ss.

[22] Sull’inammissibilità di una simile lettura, seppure relativamente ai rapporti tra testi unici legislativi e testi unici di mera compilazione, v. in  C. ESPOSITO, Testi unici, in Nuovo dig. it., Torino, 1940, 181 ss.; F. MODUGNO, Diritto pubblico generale, cit., 137, il quale sottolinea che, se si accetta, come ha fatto Esposito, che anche il semplice riunire, riprodurre e coordinare comporta una innovazione sostanziale della legislazione preesistente, allora «la distinzione dei due tipi di testi unici perde di significato, implicando che tutti i testi unici siano adottati con legge o atto avente forza di legge e che l’autorizzazione conferita al Governo a procedere alla formazione di testi unici in una vera e propria delegazione legislativa». Relativamente alla delega contenuta nella legge n. 131 del 2003, cfr. G. SERGES, Riassetto normativo mediante delega legislativa e determinazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente, cit., 93. Il quale sottolinea che con il depotenziamento della delega si arriva a considerare garantite le attribuzioni regionali.

[23] Cfr., Corte cost., sent. n. 280 del 2004, punto 3 del Considerato in diritto. Su questa decisione vedi, in dottrina, M. BARBERO, La Corte costituzionale interviene sulla legge “La Loggia”, in www.forumquadernicostituzionali.it; N. MACCABIANI, I decreti legislativi “meramente ricognitivi”dei principi fondamentali come atti senza forza di legge?, in www.forumquadernicostituzionali.it; F. DRAGO, Luci (poche) ed ombre (molte) della sentenza della Corte costituzionale sulla delega per la ricognizione dei principi fondamentali, in www.federalismi.it.

[24] Sul naturale rapporto di riempimento che lega legge di delega e decreto legislativo cfr. Corte costituzionale sentt. nn. 117 del 1997; 198 del 1998; 308 del 2002; 199 del 2003; 308 del 2002; 174 del 2005; 426 del 2006. La Corte ha più volte affermato, per arrivare ad escludere l’eccesso di delega, che le funzioni del legislatore delegato non sono limitate ad una mera scansione linguistica delle previsioni dettate dal delegante, essendo consentito al primo di valutare le situazioni giuridiche da regolamentare e di effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi, rispettivamente, della legge di delegazione e di quella delegata