Elisabetta Frontoni
Considerazioni a margine della sentenza della
Corte costituzionale n. 340 del 2007: verso un maggiore rigore nel
sindacato sull’eccesso di delega*
1. Con la decisione in commento,
2. La questione di legittimità
costituzionale sottoposta alla Corte dal Tribunale di Catania riguardava l’art.
13, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei
procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria,
nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 della legge
2 ottobre 2001, n. 366) [2].
In particolare, secondo il giudice a quo, questa norma-che ricollega
alla contumacia del convenuto (cui viene equiparata la tardiva costituzione)
l’effetto di una sorta di ficta confessio, dovendosi intendere come non
contestati i fatti affermati dall’attore [3]-si
poneva in contrasto con l’art. 12, comma 2, lettera a) della legge di delega n.
366 del 2001 (e quindi indirettamente con l’art. 76 Cost.), che prevede
soltanto la concentrazione dei procedimenti e la riduzione dei termini, ma non
anche una così sostanziale modifica del procedimento contumaciale [4].
Ed è proprio questo l’aspetto che pare
interessante sottolineare. Il giudice costituzionale, infatti- pur riaffermando
che per la varietà degli oggetti che possono essere delegati al Governo, non è
possibile enucleare una nozione rigida che valga ad indicare cosa siano e
debbano essere i principi e criteri direttivi, cosicché «il Parlamento,
approvando una legge di delegazione non è certo tenuto a rispettare regole
metodologicamente rigorose» [5]-
chiarisce, tuttavia, che non si può lasciare che la determinazione dei principi
e criteri direttivi sia il frutto del libero apprezzamento del legislatore
delegato. Per motivare l’inammissibilità di un’opera di riempimento lasciata
completamente al Governo, la Corte richiama, da un lato, la natura vincolata del
potere conferito all’esecutivo, che anche in virtù di questo aspetto è stato,
dalla più attenta dottrina, qualificato come “nuovo e diverso” da quello
legislativo [6]
e, dall’altro, il carattere derogatorio dell’art. 76 rispetto alla previsione
contenuta nell’art. 70 Cost. [7]
Quanto al primo profilo,
Quanto al secondo aspetto, ricordando
che l’art. 76 Cost. costituisce una deroga a quanto previsto dall’art. 70
Cost.,
Come è noto, l’interpretazione che,
attraverso questa giurisprudenza, il giudice costituzionale ha dato
dell’istituto ha fatto sì che nella prassi esso si allontanasse inesorabilmente
dal modello che i Costituenti avevano così attentamente tracciato.
Non è certo questa la sede per
ripercorrere una storia nota [8],
ma basti ricordare che gli oggetti definiti si sono trasformati in materie dai
confini incerti e i principi e criteri direttivi sono divenuti sempre più
spesso evanescenti, in ragione della labilità ed indeterminatezza con cui sono
stati individuati nella legislazione più recente [9].
Per quanto riguarda in particolare
questi ultimi, il giudice costituzionale ha permesso che essi venissero
determinati per relationem, facendo riferimento ad altri atti normativi,
purché sufficientemente determinati, o anche dal “complessivo contesto
normativo in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalità poste a
fondamento della legge di delegazione”, o ancora, affidando al Governo il
compito di colmare una lacuna contenuta nella legge di delegazione attraverso
lo sviluppo e il completamento di scelte accennate dalle Camere.[10]
Detto in altri termini, la
giurisprudenza costituzionale ha dimenticato che i cosiddetti “limiti minimi”
contenuti nella legge di delega (così come i requisiti di straordinaria
necessità ed urgenza per il decreto legge) sono prima di tutto presupposti di
validità dell’atto di delegazione e solo in via subordinata parametri per la
legittimità del decreto legislativo che sulla sua base viene adottato [11].
La mancanza dei quali, dunque, non può essere sanata dal libero gioco di
riempimento tra legge delega e decreto legislativo cui abbiamo assistito in
questi anni. Questa lettura dell’istituto, più rispettosa delle previsioni
costituzionali, avrebbe forse potuto evitare molti abusi.
3. Dopo aver offerto questa precisa
ricostruzione dell’istituto della delegazione legislativa, seppur abilmente
sintetizzata in una parentesi,
La motivazione colpisce perché, in linea
con la precedente giurisprudenza, il giudice costituzionale, facendo leva sul
libero gioco di riempimento tra legge di delega e decreto legislativo, avrebbe
potuto ritenere la norma censurata come sviluppo e completamento delle scelte
espresse nella delega [14].
Questa lettura sarebbe stata possibile anche in quanto al Governo era stato
affidato il compito, nell’ambito della più ampia riforma dell’intero settore
societario, di dettare nuove norme di procedura; ma in questa decisione lo
scrutinio della Corte si fa particolarmente penetrante.
Ciò emerge anche quando il giudice
costituzionale, riguardo alle finalità della delega, osserva che esse
costituiscono un utile criterio di interpretazione sia della legge di
delegazione, sia delle disposizioni delegate, ma non possono sostituirsi alla
valutazione dei principi e criteri direttivi, così come determinati dalla legge
di delegazione. Anche questa affermazione può essere letta come un ulteriore
tassello per rileggere in modo più aderente al testo costituzionale l’istituto
della delegazione legislativa e per superare quella giurisprudenza secondo la
quale «i principi e criteri direttivi enunciati dalla legge di delegazione
vanno ricostruiti tenendo conto del complessivo contesto normativo e delle
finalità che hanno ispirato il provvedimento…» [15].
4. Dunque, è l’estraneità della
disciplina introdotta rispetto alla tradizione del processo civile, non
sorretta da specifici principi e criteri in tali senso, che porta
L’uso di un tale argomento non è nuovo
nella giurisprudenza costituzionale in tema di delegazione legislativa, essendo
stato utilizzato in più occasioni, soprattutto nel giudicare deleghe per il
riordino o il riassetto di una determinata disciplina [16].
In tutte queste ipotesi, il giudice costituzionale ha optato per una lettura
“minimale” della delega, precisando che, quando la finalità di quest’ultima è
il riassetto di norme precedenti, l’introduzione di disposizioni innovative è
giustificata soltanto se siano stabiliti principi e criteri direttivi volti a
definire in tal senso l’oggetto della delega ed a circoscrivere il potere del
legislatore delegato [17].
Un approccio rigoroso che appare
decisamente in contrasto con quello del Consiglio di Stato. L’organo
consultivo, infatti, chiamato ad esprimere un parere su uno schema di decreto
legislativo per il riassetto, o codice, ha rilevato, con una affermazione di
portata generale, che, in queste deleghe, «nella sostanza, la finalità è la
stessa di quella del riordino normativo, e lo è la qualità dell’intervento. Ciò
che cambia è la portata, per così dire, “quantitativa” dell’intervento
innovativo poiché per i decreti di “riassetto” vi sono criteri di delega più
ampi e incisivi, che autorizzano il legislatore delegato non soltanto ad
apportare modifiche di “coordinamento formale” alla disciplina di rango
legislativo, ma anche a consistenti innovazioni nel merito della disciplina
codificata» [18].
In altri termini, il Consiglio di Stato ha distinto nettamente le deleghe per
il riordino da quelle per il riassetto, chiarendo che queste ultime permettono
innovazioni non consentite alle deleghe della prima specie [19].
La Corte costituzionale, invece, non ha distinto i due tipi di deleghe e ha
adottato per entrambe lo stesso trattamento: le deleghe devono essere intese
come “deleghe a portata ridotta”, non consentendo nessuna innovazione che non
sia sorretta da specifici principi e criteri [20].
Questa giurisprudenza, apparentemente più severa nel sindacare le deleghe, si
risolve di fatto in un modo per salvare atti di delegazione carenti dei
principi e criteri direttivi. Paradossalmente, questa lettura delle deleghe di
riordino (e poi di quelle di riassetto) appare come il “frutto avvelenato”
della stessa giurisprudenza costituzionale in tema di delegazione. In quanto
ritenere, come fa
L’estensione dell’argomento della
lettura minimale ad un’ipotesi inedita è già avvenuta in un’altra importante
decisione, la sentenza
n. 280 del 2004. In questa pronuncia, il giudice costituzionale ha
applicato tale criterio non al rapporto legge di delega-decreto legislativo, ma
al solo atto di delegazione, per valutarne la legittimità [21].
Questa lettura ha permesso alla Corte di salvare la legge di delegazione
depotenziandone la forza [22].
Secondo il giudice costituzionale, infatti, la delega per la ricognizione dei
principi fondamentali in materie di potestà concorrente non consente norme
delegate sostanzialmente innovative. Queste ultime, inoltre, costituiscono solo
un primo orientamento per la legislazione regionale «senza avere carattere
vincolante e senza comunque costituire parametro di validità delle leggi
regionali» [23].
Nella decisione in commento, invece,
come si è cercato di evidenziare,
La decisione appare particolarmente
importante anche in quanto di poco successiva ad un’altra pronuncia sul rito
societario, la sentenza
n. 54 del 2007. In questa decisione
Con la pronuncia in commento, la Corte
ha deciso di andare al di là del semplice monito e di discostarsi dalla
precedente giurisprudenza che ha dilatato, fino a svuotarlo di significato,
quel naturale processo di riempimento che deve legare i due livelli normativ i[24].
Per ora ad essere colpito è stato il decreto legislativo, ma la chiara presa di
posizione sembrerebbe preludere ad un sindacato più rigoroso anche sulla legge
di delega e sulla presenza di quei “limiti minimi” che devono essere
necessariamente posti dal legislatore, perché, come si è ricordato sopra,
presupposti di validità dell’atto. Il giudice costituzionale sembra, infatti,
aver spesso confuso la validità dell’atto di delegazione con la sua capacità
condizionante, cosicché, anche quando il suo scrutinio si è fatto più severo,
ha affermato che, quando la legge di delegazione non è sufficientemente
precisa, ad essere incisa è la sua capacità di delegare un potere di ampia
portata al Governo e non la sua validità.
* Per gentile
concessione della Giurisprudenza Italiana
(ivi, 2008, 5, 1105 e segg.)
[1] Su questa
decisione cfr. P. CARNEVALE, Il vizio da “evidente mancanza” dei presupposti
al debutto quale causa di declaratoria di incostituzionalità di un
decreto-legge. Il caso della sentenza n. 171 del
[2] L’art. 13,
comma 2, del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, prevedeva che «Se il convenuto non
notifica la comparsa di risposta nel termine stabilito a norma dell’art. 2,
comma 1, lettera c), ovvero dell’art. 3, comma 2, l’attore, tempestivamente
costituitosi, può notificare al convenuto una nuova memoria a norma dell’art.6,
ovvero depositare, previa notifica, istanza di fissazione dell’udienza; in
quest’ultimo caso i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto
abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non
contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di
questa; se lo ritiene opportuno, il giudice deferisce all’attore il giuramento
suppletorio».
[3] In tal modo
innovando rispetto alla consolidata giurisprudenza per cui la contumacia nel
processo civile non può assumere alcun significato probatorio-
[4] L’art. 12 della
legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del processo
societario), prevede al primo comma che «il Governo è inoltre delegato ad
emanare norme che, senza modifiche della competenza per territorio e per
materia, siano dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione dei
procedimenti nelle seguenti materie:
a) diritto
societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle
partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
b) materie
disciplinate dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e
successive modificazioni, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e
successive modificazioni,
e, al secondo
comma, che «per il perseguimento delle finalità e nelle materie di cui al comma
1, il Governo è delegato a dettare regole processuali, che in particolare
possano prevedere:
a) la
concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali».
[5] Cfr., in questi
termini, Corte
cost.,sent. n. 250 del 1991.
[6] In tal senso
cfr. E. LIGNOLA, La delegazione legislativa, Milano, 1956, 148 ss.; A.
CERRI, Delega legislativa, in Enc. giur., X, Roma, 1993, 3. Sul
punto anche v. L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996,
205 ss. Il quale rileva che i decreti legislativi subiscono almeno tre specie
di limiti. Innanzitutto, «dato che l’art. 76 impone alla legge delegante di
fissare i principi e criteri direttivi della legislazione delegata, questa non
può essere mai libera nell’individuazione degli interessi da soddisfare e degli
scopi da raggiungere; ma deve ritenersi-stando alle opinioni più
diffuse-discrezionale nel senso tecnico dell’espressione, in quanto vincolata
nei suoi fini. Secondariamente, poiché il suo possibile esercizio va delimitato
anche nel tempo, la potestà legislativa si distacca con nettezza da una
funzione legislativa non temporanea, ma permanente, del tipo spettante al
Parlamento. Infine, avendo riguardo alla disciplina di “oggetti definiti”,
senza poter coinvolgere altre situazioni quantunque connesse, la competenza
esercitabile dal Governo stesso è specializzata per definizione, anziché
generale come quella legislativa ordinaria». Ed è proprio attraverso la
fissazione di tali limiti che la legge di delega trasferisce al decreto
legislativo il valore legislativo. In questo senso, Cfr. F. MODUGNO, L’invalidità
delle legge, II,
[7] Su tale
carattere e sulla necessità di una previsione in Costituzione dell’istituto
della delegazione legislativa, cfr. Corte costituzionale, sent. n. 32 del 1961
ed in dottrina v. L. PALADIN, Commento all’art. 76 Cost., in BRANCA (a
cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1979 1 e ss..
L’art. 77 Cost. precisa poi che la regola è che la funzione legislativa sia
esercitata collettivamente dalle due Camere, l’eccezione è che « il Governo
–l’altro organo attributario della potestà legislativa -la può esercitare
soltanto a condizione di riceverne la delega da parte delle Camere ovvero
autoassumendosi la potestà legislativa “in casi straordinari di necessità ed
urgenza”da svolgersi in atti dotati di efficacia temporanea e precaria da
sottoporre alla conversione in legge parlamentare» Così, F. MODUGNO, Diritto pubblico generale, Bari, 2002,
161.
[8] Per una analisi
delle distorsioni dal modello costituzionale, tra i moltissimi scritti, sia
consentito rinviare anche per la bibliografia ivi citata, ad A. CELOTTO-E.
FRONTONI, Legge di delega e decreto legislativo, in Enc. dir., VI
agg., Milano, 2002, 697 ss.; cfr. anche P. CARETTI-A. RUGGERI ( a cura di), Le
deleghe legislative. Riflessioni sulla recente esperienza normativa e
giurisprudenziale, Milano, 2003; M. RUOTOLO-S. SPUNTARELLI, Commento all’art. 76 Cost., in R.
BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione,
II, Torino, 2006, 1490 e ss.
[9] Sul punto cfr.
C. DE FIORES, Trasformazioni della delega legislativa, Padova, 2000, 68.
[10] Cfr. Corte costituzionale,
sent. nn., 503 del 2000; 199 del 2003; 308 del 2002; 174 del 2005;
In dottrina, cfr., in particolare, D’ELIA, Sulla determinazione rationae
delegationis dei principi e criteri direttivi secondo la giurisprudenza
costituzionale, in Giur. Cost., 2000, 1461 ss.; V. BALDINI, Il procedimento di delegazione legislativa
tra elasticità ed effettività. Riflessioni su una “variabile dipendente” della
democrazia parlamentare, in F. COCOZZA, S. STAIANO (a cura di), I rapporti tra parlamento e governo
attraverso le fonti del diritto:la prospettiva della giustizia costituzionale,
Torino, 2001, 44 ss.; G. FAMIGLIETTI, Delegazione legislativa e Corte
costituzionale, in P. CARETTI-A. RUGGERI (a cura di), Le deleghe
legislative. Riflessioni sulla recente esperienza normativa e giurisprudenziale,
Milano, 2003, 186 ss.; S.M. CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano
(II ed.), Torino, 2007, 283 ss..
[11] Sulla funzione
di norma interposta da riconoscere alle leggi di delega cfr., per tutti, M.
SICLARI, Le «norme interposte» nel giudizio di costituzionalità, Padova,
1992.
[12] Sul nuovo
processo societario cfr., in dottrina, A. CARRATTA, Commento all’art. 13 del
d.lgs. n. 5 del
[13] Una specifica direttiva
in tal senso, come ricorda la Corte, è invece contenuta nel punto n. 23 del
disegno di legge di delega per la generale riforma del processo civile,
approvato dal Consiglio dei Ministri del 24 ottobre 2003 (Atto Camera n. 4578).
[14] Su questo
aspetto cfr., in particolare, la recente sentenza della
Corte cost. n. 426 del 2006.
[15] Sulla
determinazione implicita dei principi e criteri direttivi, affidando al Governo
delegato l’interpretazione delle finalità della delega, tra le molte, cfr. le
sentenze della Corte costituzionale nn. 163 e 126 del 2000; 96 e 259 del 2001 e ord. 248 del 2004.
[16] Sulle deleghe
volte alla codificazione ed al riassetto normativo, v. M. RUOTOLO – S.
SPUNTARELLI., Commento all’art. 76 Cost., in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M.
OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., 1496 ss.; M.
A. SANDULLI (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle
regole. Atti del Convegno (Roma, 17-18 marzo 2005), Giuffrè, 2005.
[17] Sulle deleghe
per il riordino v., in particolare, Corte cost., sent. n. 239 del 2003. Per le
deleghe di riassetto, cfr., Corte cost., sent. n. 170 del
Per arrivare alla declaratoria di
illegittimità costituzionale, il giudice delle leggi ha dovuto ricostruire una
complessa vicenda normativa nella quale si intrecciavano due deleghe
legislative contenute nello stesso testo legislativo, la legge n. 273 del 2002.
La questione sottoposta alla Corte era particolarmente interessante anche
perché il giudice a quo aveva innanzitutto sollevato la questione di
legittimità costituzionale sulla norma del decreto legislativo, ma in via
logicamente subordinata, qualora il giudice costituzionale avesse voluto
ricondurre la previsione del decreto-legislativo alle disposizioni della
delega, aveva impugnato anche queste ultime, denunciandone il contrasto con
l’art. 76 Cost., per mancanza dei principi e criteri direttivi.
Così come sottoposta la questione
di legittimità costituzionale ha offerto alla Corte l’occasione per chiarire,
riprendendo per altro quanto già affermato nella sentenza n. 239 del 2003, che
i decreti legislativi volti al riordino della legislazione precedente, se nella
loro opera di composizione in un testo unitario la molteplicità di disposizioni
vigenti in una materia, possono innovare l’ordinamento, tuttavia devono farlo
solo a fronte di una espressa delegazione in tal senso.
[18] Cfr., Consiglio
di Stato, Adunanza generale, 25 ottobre 2004, n. 2/04 parere (Codice della
proprietà industriale).
[19] Sul punto,
cfr., in dottrina, P. CARNEVALE, Codificazione legislativa e normazione
secondaria del nuovo modello di semplificazione delineato dalla legge n. 229
del 2003 (legge di semplificazione per il 2001), in Diritto e società,
[20] Per un caso
recente del diverso modo di intendere la delega per il riassetto, cfr. Corte
cost. sent. n.
170 del 2007. In questa sentenza la Corte dichiara incostituzionale una
norma del codice della proprietà industriale (quello su cui l’Adunanza Generale
del Consiglio di Stato ha reso il parere n. 2 del 2004) perché viziato da
eccesso di delega, in quanto della delega per il riassetto deve essere data una
lettura minimale. E’ curioso rilevare che anche il Consiglio di Stato aveva
sottolineato l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione, ma,
alla luce del diverso modo di intendere la delega, l’organo consultivo aveva
ritenuto la disposizione incostituzionale perché esorbitante dall’oggetto! Cfr.
il punto 17.2 del parere.
[21] Così G. DI
COSIMO, Deleghe e argomenti, in Le Regioni, 2005, 287 ss. Sulla
delega contenuta nella l. n. 131 del 2003 cfr. G. SERGES, Riassetto
normativo mediante delega legislativa e determinazione dei principi
fondamentali nelle materie di legislazione concorrente, in Le Regioni,
2006, 83 ss.
[22]
Sull’inammissibilità di una simile lettura, seppure relativamente ai rapporti
tra testi unici legislativi e testi unici di mera compilazione, v. in C. ESPOSITO, Testi unici, in Nuovo
dig. it., Torino, 1940, 181 ss.; F. MODUGNO, Diritto pubblico generale,
cit., 137, il quale sottolinea che, se si accetta, come ha fatto Esposito, che
anche il semplice riunire, riprodurre e coordinare comporta una innovazione
sostanziale della legislazione preesistente, allora «la distinzione dei due
tipi di testi unici perde di significato, implicando che tutti i testi unici
siano adottati con legge o atto avente forza di legge e che l’autorizzazione
conferita al Governo a procedere alla formazione di testi unici in una vera e
propria delegazione legislativa». Relativamente alla delega contenuta nella
legge n. 131 del 2003, cfr. G. SERGES, Riassetto normativo mediante delega
legislativa e determinazione dei principi fondamentali nelle materie di
legislazione concorrente, cit., 93. Il quale sottolinea che con il
depotenziamento della delega si arriva a considerare garantite le attribuzioni
regionali.
[23] Cfr., Corte
cost., sent. n. 280 del 2004, punto 3 del Considerato in diritto. Su questa
decisione vedi, in dottrina, M. BARBERO, La
Corte costituzionale interviene sulla
legge “La Loggia”, in www.forumquadernicostituzionali.it;
N. MACCABIANI, I decreti legislativi “meramente ricognitivi”dei principi
fondamentali come atti senza forza di legge?, in www.forumquadernicostituzionali.it;
F. DRAGO, Luci (poche) ed ombre (molte) della sentenza della Corte
costituzionale sulla delega per la ricognizione dei principi fondamentali,
in www.federalismi.it.
[24] Sul naturale
rapporto di riempimento che lega legge di delega e decreto legislativo cfr. Corte
costituzionale sentt. nn. 117 del 1997; 198 del 1998; 308 del 2002; 199 del 2003; 308 del 2002; 174 del 2005; 426 del 2006.
La Corte ha più volte affermato, per arrivare ad escludere l’eccesso di delega,
che le funzioni del legislatore delegato non sono limitate ad una mera
scansione linguistica delle previsioni dettate dal delegante, essendo
consentito al primo di valutare le situazioni giuridiche da regolamentare e di
effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di riempimento che
lega i due livelli normativi, rispettivamente, della legge di delegazione e di
quella delegata