Gianpaolo Fontana
C’era una volta il principio iura novit curia
(ovvero considerazioni critiche su una peculiare lettura del
principio iura novit curia operata
dal Consiglio di Stato)*
Prima
ancora di addentrarci in alcune considerazioni critiche veniamo alla
fattispecie concreta dalla quale origina il parere del Consiglio di Stato.
Il
ricorrente - avendo svolto attività di docenza in una scuola paritaria in virtù
di contratto di collaborazione coordinata e continuativa - impugna il
provvedimento di esclusione dal corso abilitante per il quale aveva presentato
domanda, chiedendone per l’effetto l’annullamento, lamentando erroneità e
contraddittorietà della valutazione compiuta dall’amministrazione;
quest’ultima, infatti, pur riconoscendo ai docenti assunti con contratto di
natura subordinata l’attività di servizio per l’intero periodo del contratto, ha
preso in considerazione l’attività d’insegnamento prestata in virtù di
contratto di collaborazione coordinata e continuativa a favore di una scuola
statale paritaria nei soli limiti degli effettivi giorni di servizio,
realizzando per tale via una ingiustificata disparità di trattamento e, quindi,
l’ingiusta penalizzazione del ricorrente.
La
differente modalità di computo dei giorni di servizio, sembrerebbe derivare
dalla diversa natura giuridica del rapporto lavorativo del ricorrente (i.e.
contratto di collaborazione coordinata e continuativa anziché contratto di
lavoro subordinato)[1] e ciò nonostante la
tendenza mostrata dal legislatore, ed evidenziata dal ricorrente, verso la
generale assimilazione del rapporto di Co.co.co. a quello di lavoro dipendente,
specie sotto il profilo previdenziale.
In buona sostanza
l’amministrazione scolastica interessata ha escluso l’insegnante della scuola
paritaria dalla partecipazione al corso abilitante, essendo risultato dalla
domanda che lo stesso avrebbe prestato, nel periodo di tempo preso in
considerazione dalla disposizione normativa primaria (art. 2 della legge n. 143
del 2004) e dal D.M. n. 85 del 18 novembre 2005, solo 154 giorni di servizio a
fronte dei 360 giorni necessari.
A
fronte di tale prospettazione, la sezione consultiva del Consiglio di Stato
constatando <<l’alluvionale produzione normativa di rango primario e
secondario, soprattutto nel settore scolastico>> nonché la congerie di
norme che regolano lo stato giuridico degli insegnanti, << sovente
inconoscibili in quanto affidate non a fonti del diritto oggettivo ma ad
ordinanze, decreti, circolari, determinazioni >>, finisce con il
rimproverare all’amministrazione scolastica di aver omesso di fornire la
propria essenziale collaborazione <<ai fini dell’adeguata conoscenza dei
parametri normativi regolatori della controversia>> e, dunque, di aver
messo in crisi il fondamentale canone processuale condensato nel principio iura novit curia, desumibile dall’art.
112 ( rectius 113) c.p.c.
A
conforto della propria ricostruzione il Consiglio di Stato invoca la nota sentenza della
Corte costituzionale n. 364 del 1988[2] con la quale è
stata sancita la illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p., sulla ignorantia legis in ambito penale, nella
parte in cui non escludeva dalla inescusabilità la ignoranza inevitabile.
Per meglio comprendere
portata e termini dell’argomentazione che sorregge il parere appare opportuno
riportarne i passaggi più significativi; in esso viene testualmente affermato
che <<tenuto conto dell’incontrollabile aumento della produzione
normativa a tutti i livelli della gerarchia delle fonti, per di più non
sorrette da una logica e coscienza comune o da una coerenza con principi e
valori generali ma piuttosto da esigenze particolari e settoriali, spesso
imprevedibili […] appare arduo assegnare ai giudici un obbligo di conoscenza
assoluto e incondizionato, come tale svincolato dall’onere di allegazione e
collaborazione di parte>>. Benché il collegio sia consapevole dello
<< specifico obbligo professionale di ricercare con ogni mezzo possibile
la regola del caso concreto>>, considerato che << sarebbe
certamente pericoloso, per la tutela dei valori fondamentali sui quali si fonda
lo stato, condizionare, di volta in volta, l’esito del giudizio alla prova
della esistenza e portata della legge, da parte degli attori privati del
processo>>, lo stesso, tuttavia, finisce per affermare che << il
principio dell’inammissibilità assoluta della ignoranza della legge da parte
del giudice non può spingersi oltre la soglia dell’impossibile e va commisurato
con gli altri principi del processo, come quello di lealtà e rappresentanza
tecnica, tutti concorrenti al fine fondamentale di non intaccare l’obbligatorietà
della stessa legge e la sua necessaria applicazione al caso di specie>>.
E,
ancora, nel parere si sottolinea come il principio iura novit curia debba essere inteso nel suo giusto limite; detto
limite viene fatto coincidere con le << vere e proprie fonti del diritto
oggettivo>> ossia con << precetti contrassegnati dal duplice
connotato della normatività e della giuridicità con esclusione, quindi, sia di
quelli aventi carattere normativo ma non giuridico (come le regole della morale
o del costume) sia di quelli aventi carattere giuridico ma non normativo in
senso tecnico (come gli atti di autonomia privata o i provvedimenti
amministrativi) o la cui portata normativa è puramente interna.
In
conclusione i giudici amministrativi richiamano l’amministrazione ad assolvere
<<un obbligo-onere di cooperazione istruttoria, sul piano delle
allegazioni, che trascende il mero onere probatorio le quante volte si tratti
di materie affastellate di norme di vario livello gerarchico e perciò di
incerta vigenza e di provvedimenti amministrativi a contenuto sostanzialmente
normativo.
Non è,
del resto, sfuggito al collegio l’onere della parte ricorrente di indicare i
motivi di illegittimità dell’atto, tuttavia essendo essa sfornita del <<
fondamentale apporto della competenza tecnica del difensore>> il parere,
con una evidente inversione degli oneri di allegazione delle norme violate,
finisce per rimproverare all’amministrazione interessata << di non aver
saputo individuare con coerenza e chiarezza la norma applicabile ai casi di
valutazione dei servizi maturati nel periodo di riferimento stabilito dalla
citata ordinanza n. 85/2005>> nonché di non aver dato << supporto
normativo all’affermazione in base alla quale << il servizio prestato dal
ricorrente sarebbe di soli 154 giorni lavorativi>>.
Non
avendo chiaro, dunque, come in due anni di servizio prestati dal ricorrente
siano stati dall’amministrazione riconosciuti solo 154 giorni di servizio, il
parere del Consiglio di Stato conclude per l’accoglimento del ricorso.
2. Il
parere del Consiglio di Stato, oggetto del presente commento, è parso
meritevole di segnalazione in quanto rappresenta un esplicito e significativo
ridimensionamento del fondamentale principio processuale iura novit curia[3] il quale - pur tra
difficoltà applicative non trascurabili - resta un inderogabile caposaldo del
moderno stato di diritto ed, in particolare, dell’esercizio della funzione
giurisdizionale negli ordinamenti ispirati al principio di legalità.
Il
tema della problematica conoscenza delle disposizioni normative applicabili in
giudizio e dei limiti operativi del principio iura novit curia paiono, tuttavia, affrontati con argomenti ed
esiti interpretativi i quali, a sommesso avviso dello scrivente, si prestano a
consistenti e preoccupa(n)ti rilievi critici.
Superato
un primissimo ed istintivo senso di sollievo (per il fatto che anche un sì
autorevole collegio di consulenza giuridico-amministrativa non resti estraneo
alle difficoltà ed alle incertezze connesse all’attività di individuazione
delle disposizioni normative applicabili alle fattispecie concrete e, dunque,
agli effetti di quello che è stato efficacemente definito l’ordinamento
impazzito[4] ed occulto[5]), un appena più
meditato ed accorto esame degli esiti ricostruttivi e delle implicazioni
sottese al parere, finiscono per schiudere la strada ad un sentimento di viva
sorpresa.
Ancor
più che la conclusione alla quale perviene, è l’impianto argomentativo che
sorregge il parere (non privo di talune sviste [6]) a lasciare perplessi
e ciò soprattutto in considerazione della particolare autorevolezza del
collegio dal quale esso proviene e delle aspettative che cittadini e pubbliche
amministrazioni nutrono per la qualificata e pregevole attività consultiva del
Consiglio di Stato[7].
3. Ma tentiamo di
evidenziare gli aspetti di maggiore criticità che paiono emergere dal parere.
In primo luogo il
percorso argomentativo pare condotto in maniera poco convincente, finendo, in
alcuni passaggi, per confondere piani che sarebbero dovuti restare distinti.
In maniera alquanto
disinvolta, il parere finisce per sottrarre gli organi della applicazione del
diritto - quale è il Consiglio di Stato nell’ambito dei ricorsi straordinari al
Presidente della Repubblica – all’obbligo della previa ricerca ed
individuazione d’ufficio della regola del diritto da applicare al caso concreto[8].
Ora, com’è noto, il
principio iura novit curia non trova
assoluta ed incondizionata applicazione, soffrendo limitate eccezioni che,
tuttavia, non paiono ricorrere nel caso di specie[9].
Le ipotesi che limitano la portata applicativa ovvero che escludono del tutto
il ricorso a detto canone processuale sono rappresentate dagli atti giuridici
privi di carattere normativo, da taluni atti normativi privi di pubblicazione, dal
diritto consuetudinario nonché dal diritto straniero ovvero appartenente ad un
altro ordinamento. I più rilevanti problemi di ordine non solo teorico ma anche
pratico nell’applicazione del principio di cui all’art. 113 c.p.c. si
riferiscono alla esatta individuazione degli atti costituenti il diritto
oggettivo rispetto a quelli che, pur forniti del carattere giuridico, non
presentino il carattere della normatività ovvero che pur presentando detto
carattere appartengano ad altri ordinamenti giuridici[10].
Ora anche a prescindere dalla controversa
esistenza nel nostro ordinamento di un generale e tassativo obbligo in capo
alle parti processuali di indicazione delle norme di diritto applicabili[11], stando a quanto
emerge dal parere, risulta che fossero state indicate le norme giuridiche
primarie che, (almeno) in via essenziale, regolavano la materia (art. 2 della
legge n.143 del 2004); ciò non toglie, ovviamente, che la disciplina normativa
indicata fosse ex se sufficiente a definire il caso concreto e quindi priva di
lacune ovvero di antinomie normative da colmare e risolvere attraverso i
consueti canoni ermeneutici.
Il constatare che
l’ambito materiale di disciplina (i.e. il reclutamento professionale dei
docenti) interessato dal prescritto parere, risulti connotato da una produzione
normativa convulsa, alluvionale e contraddittoria spinge la sezione referente
del Consiglio di Stato, da un lato, a negare l’ obbligo di conoscenza assoluto
ed incondizionato come tale svincolato dall’onere di allegazione e collaborazione
di parte e, dall’altro, ad affermare che il principio dell’inammissibilità
assoluta dell’ignoranza della legge da parte del giudice non può spingersi
oltre la soglia dell’impossibile e va commisurato con gli altri principi del
processo come quello di lealtà e rappresentanza tecnica dal quale discenderebbe
un obbligo-onere in capo all’amministrazione di cooperazione istruttoria sul
piano delle allegazioni che trascende il mero onere probatorio.
Pur avendo ben presente
il tramonto di ogni visione ingenuamente illuminista sul ruolo meramente
dichiarativo della funzione giurisdizionale e l’inesistenza di connaturati
attributi di completezza e coerenza dell’ordinamento, pur essendo ben avvertiti
della ormai cronica crisi della concezione giuspositivistica del sistema delle
fonti di produzione normativa, pur considerando sempre utile e consigliabile la
cooperazione istruttoria sul piano delle allegazioni normative, nonostante
tutto ciò, resta di tutta evidenza che permane integro sul giudicante l’obbligo
di ricercare le norme applicabili al caso concreto ovvero quello di verificare
se quelle indicate dalla parte (anche se pubblica) siano davvero pertinenti,
valide ed efficaci:<< è ius
receptum che la previsione di tali indicazioni non impedisce al giudice, proprio
in virtù del principio iura novit curia,
di applicare altre disposizioni o norme qualora egli lo ritenga corretto o
doveroso per adempiere il suo fondamentale dovere di osservanza della
legge>>[12].
Quid iuris, infatti, se vengono
(consapevolmente o meno) indicate disposizioni normative non pertinenti ovvero
annullate dal giudice amministrativo (qualora di rango secondario) ovvero
dichiarate incostituzionali (qualora di rango primario) dal giudice delle leggi
ovvero ancora oggetto di abrogazione[13]
(magari espressa), ovvero derogate da norme speciali ?
Non a caso è stato sostenuto che << la
portata del principio iura novit curia
consiste tuttavia nell’escludere ogni limitazione al potere del giudice di
accertare d’ufficio l’esistenza di fatti che comunque possano influire sulla
vigenza, validità applicabilità ecc., di una disposizione o norma>> [14].
Resta incontrovertibile, dunque, che <<
è sull’interprete che grava per intero il compito di riportare a coerenza
l’insieme delle disposizioni legislative, onde ricavarne la norma del caso,
norma che deve necessariamente essere reperita (nonostante le lacune della
legislazione) e deve essere necessariamente univoca e non smentita da altre
norme concorrenti>>[15].
4. Sotto altro profilo
l’attività del giudice verrebbe oltremodo limitata e svalutata se la ricerca
delle disposizioni normative applicabili venisse condizionata dalla previa e
necessaria indicazione (più o meno corretta ed interessata), delle parti:
<< postulare l’unità, la completezza e la coerenza come dati esistenziali
significa negare il peso dell’attività ermeneutica nella costruzione
dell’ordinamento, intendere quest’ultimo come complesso di norme bell’ e fatte
precedenti l’attività ermeneutica e non come insieme delle norme risultanti
appunto dall’attività interpretativa>>[16].
Temperare, poi, la
portata del fondamentale principio iura
novit curia invocando la concorrenza di altri principi processuali (come
quello di lealtà e di rappresentanza tecnica) di incerta configurazione e,
comunque, non direttamente attinenti al ruolo ed alla funzione del giudicante,
testimoniano l’applicazione di un criterio di bilanciamento per nulla
convincente.
Sarebbe bene, infatti,
non dimenticare che << non contraddittorietà, coerenza e completezza non
sono realtà oggettive già esistenti che vanno soltanto scoperte, ma sono ideali
regolativi che presiedono ad ogni ricostruzione del diritto vigente, cosicché
dovere professionale del giurista è perseguire, fin dove materiale di partenza
lo consente (nota bene), non contraddittorietà, coerenza e completezza>>[17]; come è stato,
infatti, osservato <<la coerenza non è una qualità o caratteristica
dell’ordinamento in atto bensì l’obiettivo, lo scopo da realizzare>>[18] così come la
completezza è una necessità deontologica dell’ordinamento che non va confusa
con la necessità esistenziale[19].
Rispetto a tali precisi
obblighi esegetici ed istituzionali il parere del Consiglio di Stato si chiama
fuori con un atteggiamento palesemente rinunciatario che denota una chiara fuga
dalla << responsabilità interpretativa >> che pure dovrebbe
connotare, in maniera inderogabile, l’esercizio della funzione giurisdizionale[20].
5. E’ sino troppo noto
come i metodi dell’interpretazione essendo molteplici, differenti, in
competizione reciproca ed affidati alla esclusiva responsabilità del singolo
interprete possono dar luogo anche a risultati decisionali diversi[21]; ma nel predetto
parere, ciò che maggiormente sorprende, è che non è dato comprendere quale
metodo, in concreto, sia stato seguito; resta, invero, la sensazione che il
collegio abbia preferito risparmiarsi una faticosa indagine sulle disposizioni
normative applicabili.
Le difficoltà (anche
consistenti) di ricostruzione ed interpretazione del contesto normativo non
possono offrire al giudice l’alibi per l’abdicazione alla propria funzione
istituzionale[22]; il rifiuto ovvero
la non curanza del giudice nel reperire la norma applicabile al caso concreto,
infatti, risulta non condivisibile per, almeno, due ordini di motivi, uno di
metodo e l’altro di natura pratico-sostanziale.
Quando il giudice adotta
la decisione del caso concreto senza aver adempiuto all’obbligo di reperimento
ed interpretazione (quale essa sia) della norma di diritto, finisce fatalmente
per infrangere un suo dovere fondamentale (quello della applicazione in
giudizio di una regola iuris precostituita e da ricavare dall’ordinamento dato,
facendo ricorso ai metodi ermeneutici ed ai criteri esegetici che egli ritenga
più opportuni) e per sottrarsi alle regole fondamentali dello stato di diritto
che inibiscono al giudice, con la totale pretermissione del vincolo normativo,
la creazione pura e libera del diritto.
Siamo, dunque, fuori da
ogni disputa sulla natura più o meno creativa dell’attività interpretativa e
sui problemi connessi alla cd sovra- interpretazione dei testi normativi[23]; nel nostro caso
il giudice, per quanto possa suonare paradossale, risolvendo la controversia
sottoposta alla sua cognizione (nel nostro caso nel fornire il parere
all’autorità di governo di accogliere il ricorso presentato dall’insegnante)
pare non faccia applicazione di alcuna regola del diritto appartenente e
ricavata dall’ordinamento, ma crea la regola di diritto in maniera del tutto
autonoma per, poi, applicarla al caso concreto finendo, dunque, per
trasformarsi in legislatore assoluto (legibus
solutus, appunto) tramite un incondizionato e puro atto di creazione del
diritto; si viene, dunque, a creare una situazione tale per cui << non
osservando il diritto il giudice verrebbe a concedere alla parte un diritto
(soggettivo) che non le spetta o a negarle un diritto(soggettivo) che le
spetta>>[24].
Ciò che emerge dal
parere, infatti, è l’assenza di ogni sforzo di ricerca ed interpretazione delle
disposizioni normative applicabili al caso concreto e la indisponibilità a
servirsi di quegli strumenti, pure attingibili, che possono soccorrere il
giudice nel reperire la norma applicabile al caso concreto[25].
A ben vedere, infatti, il
parere suggerisce di accogliere il ricorso proposto non già perché viene
accertata la violazione del diritto contestata dal ricorrente ovvero perché si
confuta la interpretazione fornita dall’amministrazione procedente delle norme
disciplinatrici la materia ma perché non si comprendono le ragioni (di mero
fatto?) che hanno condotto all’adozione del provvedimento di esclusione dal
corso di abilitazione. A ben vedere, allora, se il parere si fosse determinato
a suggerire l’accoglimento del ricorso in ragione esclusiva della mancata prova
fornita dall’amministrazione dei fatti impeditivi del riconoscimento in capo al
ricorrente dei 360 giorni di servizio nel periodo considerato (così come
previsto dall’art. 2, comma 1 lett. c), della legge n. 143 del 2004) non vi
sarebbe stato alcun bisogno di invocare il mancato assolvimento degli oneri di
cooperazione istruttoria sul piano normativo nonché di scomodare una
considerevole limitazione del principio iura
novit curia.
La decisione sarebbe
stata quella dell’accoglimento del ricorso ma facendo applicazione delle
normali e consuete regole processuali ovvero per la mancata allegazione dei
fatti e non delle norme.
6. Oltre alle perplessità
di natura metodologica non mancano, invero, obiezioni anche di ordine
pratico-sostanziale.
Ad accogliere, infatti,
le tesi prospettate nel suindicato parere le quali, come visto, tendono a
ridimensionare il principio iura novit
curia nei confronti dei soggetti giudicanti (istituzionalmente tenuti a far
rispettare le regole di diritto ed a sanzionarne la violazione) si farebbe
assai fatica a pretendere l’osservanza delle norme di diritto da parte dei
comuni cittadini, consentendo, a lungo andare, per tale via, lo sfaldamento
dell’ordinamento, la perdita della sua capacità di ordinazione e, dunque, il
senso stesso dell’ordinamento giuridico.
Ancor più sorprendentemente,
poi, la sezione referente non limita la portata delle proprie affermazioni agli
organi di consulenza e/o applicazione del diritto non giurisdizionali (quale
essa pure era nell’occasione) finendo, al contrario, per estenderle ai giudici
propriamente detti e considerati[26]. In verità è noto
come la funzione consultiva del Consiglio di Stato tenda sempre di più ad
avvicinarsi a quella giurisdizionale propriamente detta, condividendone oltre
alla funzione di garanzia del principio di legalità anche forme e garanzie di
esercizio[27].
Il parere non pare
sufficientemente avvertito della circostanza che il principio iura novit curia, per come codificato
nell’art. 113 c.p.c, si situa in un nevralgico crocevia di regole processuali e
sostanziali che concorrono a delineare la posizione istituzionale del giudice
nell’ordinamento e rinvengono il proprio fondamento e garanzia in precisi
principi ordinamentali anche di rango costituzionale.
La soggezione alla legge
e l’obbligo di giudicare sono, infatti, due situazioni soggettive che connotano
la funzione giurisdizionale e che, da un lato, assicurano il funzionamento
della giustizia statale e, dall’altro, radicano il divieto del ricorso alla
violenza ed alla giustizia privata nella risoluzione delle controversie[28].
Sotto altro profilo, poi,
che il giudice al quale sia devoluta una qualsiasi controversia sia
giuridicamente tenuto a risolverla, facendo applicazione delle norme del
diritto oggettivo vigenti (e ciò anche a prescindere dalle diverse indicazioni
e prospettazioni normative effettuate dalle parti coinvolte nel giudizio) è
principio che, ad un tempo, implica e garantisce: il principio di legalità
(applicato sia alle decisioni giudiziarie sia ai provvedimenti dei pubblici
poteri); la soggezione del giudice alla legge (art.101 Cost.)[29]; l’autonomia e
l’indipendenza della magistratura (art. 104 Cost.); il principio di doverosità
delle decisioni giudiziarie (e, dunque, il divieto del non liquet[30]); il principio di
separazione dei poteri; il principio di sovranità popolare e la conseguente
connotazione democratica della nostra forma di Stato (art. 1 Cost.); il
principio di certezza del diritto; il principio di uguaglianza dei cittadini
dinnanzi alla legge (ex art. 3, primo comma, Cost.); e, last but not least, lo stesso principio di obbligatorietà delle
norme (art. 54 Cost.) e con esso la stessa funzione regolativa del diritto.
Prima di mettere in
discussione un principio di così ampia portata[31],
di rilevanza sistemica e dalle implicazioni costituzionali così pregnanti era
lecito attendersi dalla sezione del Consiglio di Stato una maggiore cautela ed
accortezza.
7. Il carattere non
sufficientemente meditato della struttura argomentativa del parere risulta,
infine, avvalorato dall’invocazione della sentenza n. 364 del 1988 la quale,in
verità, fu resa in un contesto e con motivazioni del tutto differenti.
E’
sufficiente rileggere alcuni passaggi della celebre pronuncia del giudice delle
leggi per comprendere come la stessa attenesse al rapporto tra soggetti privati
e legge penale ed al dovere di conoscenza delle leggi gravante sui destinatari
dei precetti penali << incombono sul privato preliminarmente strumentali
specifici doveri d’informazione e conoscenza>>[32].
Come risulta evidente, infatti, la portata della decisione di
incostituzionalità non può essere estesa a soggetti ed ambiti diversi rispetto
a quelli espressamente e chiaramente individuati dalla Corte
costituzionale:<<il fondamento costituzionale della scusa
dell’inevitabile ignoranza della legge penale vale soprattutto per chi versa in
condizioni soggettive di inferiorità e non può certo essere strumentalizzata
per coprire omissioni di controllo, indifferenze ecc. di soggetti dai quali,
per la loro elevata condizione sociale e tecnica, sono esigibili particolari
comportamenti realizzativi degli obblighi strumentali di diligenza nel
conoscere le leggi penali>> e ancora << ove (a parte i casi di
carente socializzazione dell’agente) la mancata previsione dell’illiceità del
fatto derivi dalla violazione di obblighi di informazione giuridica, che sono,
come s’è avvertito, alla base di ogni convivenza civile deve ritenersi che
l’agente versi in evitabile e, pertanto, rimproverabile ignoranza della legge penale>>
[33].
8. La
sezione del Consiglio di Stato con il proprio parere, dunque, non si è limitata
a constatare l’esistenza di limiti del principio iura novit curia ma, ben diversamente, ha finito per contribuire
attivamente a metterlo in crisi, non ottemperando minimamente ad esso.
Ora non si ignorano di
certo le difficoltà e le incertezze che l’interprete (ancorchè qualificato)
incontra nell’attività di reperimento delle disposizioni normative regolative
dei casi concreti nonché nella loro corretta interpretazione ed applicazione in
ragione di tutte quelle vicende compendiate nella crisi della legge[34] e che vanno dalla
inflazione normativa alla sciatteria della tecnica legislativa, dai processi di
decodificazione e negoziazione alla generale amministrativizzazione della
legge, dalla ambiguità, vaghezza ed oscurità dei contenuti prescrittivi alla
imprevedivibilità e contraddittorietà delle decisioni giurisdizionali; è questo
aspetto, mai sufficientemente deprecato, del nostro ordinamento giuridico,
ipertrofico e disordinato come pochi altri[35].
A ben vedere, dunque, la
coerenza e completezza dell’ordinamento non rappresentano affatto qualità
intrinseche e precostituite ma presuppongono l’attività e lo sforzo
ricostruttivo ed esegetico dell’interprete (specie se qualificato) al fine di
rimediare ai guasti rappresentati dalla crisi della legge.
E, allora, quanto più un
ordinamento è disordinato e complesso tanto più diventa necessaria l’attività
di interpretazione dei giudici ed il loro sforzo di ricondurlo ad unità,
coerenza e completezza[36]; la coerenza e la
completezza, del resto, vanno ricercati, perseguiti e realizzati proprio a
livello applicativo essendo per certi versi inevitabile che la legislazione,
per il suo stesso incessante prodursi e riprodursi, sia ridondante e
contraddittoria.
Sotto un profilo più
generale sarebbe, allora, bene riflettere che la crisi della legge e le sue
patologiche conseguenze si realizzano non solo sul piano della legis-latio ma anche sul terreno della
interpretazione ufficiale e della applicazione giurisdizionale.
Il modo peggiore,
tuttavia, per aggravare le disfunzioni ed il cattivo rendimento del sistema
normativo è rappresentato non già da decisioni errate, incongrue e, per questo,
criticabili ma proprio da una apparente fuga dalla decisione ben rappresentata
dal predetto parere che finisce per alterare ruolo e funzione del giudice e
degli organi di applicazione del diritto.
Pare di poter dire che la
sezione del Consiglio di Stato autrice del parere de quo abbia rinunciato in partenza
a fornire il proprio contributo esegetico finendo per contribuire, ben
diversamente, al deficit di obbligatorietà, al pericolo di dissoluzione
prescrittiva dell’ordinamento ed alla creazione incontrollata del diritto
giurisprudenziale i quali paiono fenomeni ben più gravi e deprecabili della
cattiva ed imperfetta applicazione delle norme di diritto.
In conclusione sia
consentito rilevare che larga parte degli effetti negativi implicati alla
cattiva, erronea e contraddittoria ed incerta applicazione del diritto (che
tanto allarme e spesso disaffezione creano nei consociati e nei destinatari
finali delle norme) trovano un decisivo fattore di produzione proprio quando la
funzione giurisdizionale e consultiva viene svolta nei modi che hanno contrassegnato
il parere in esame.
* In corso di pubblicazione sulla Rivista Giurisprudenza Italiana
[1] Siffatta quaestio
interpretativa, benché appaia centrale nel caso di specie, viene del tutto
ignorata dal parere del Consiglio di Stato in esame.
[2] Corte cost., n. 364
del 1988 in Giur. It., 1988, I, 1, 1076.
[3] L’art. 113 c.p.c. testualmente recita << nel
pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che
la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità>>.
[5] V. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, III
ed., 1992, 306.
[6] La sezione
invoca il principio iura novit curia desumendolo dall’art. 112 c.p.c.
anziché dall’art. 113 c.p.c.
[7] La perplessità
risulta viepiù giustificata alla luce del fatto che le sezioni consultive del
Consiglio di Stato si trovano, di frequente, ad offrire il proprio contributo
tecnico-giuridico sul terreno della semplificazione normativa e dei rimedi
utili a contrastare la cd crisi della legge, fenomeno che, notoriamente,
attiene anche alla difficile individuazione delle norme applicabili alle
fattispecie concrete; più di recente v. parere del Consiglio di Stato, sez.
consultiva per gli atti normativi, 21 maggio 2007, n 2024; in dottrina si
rinvia alle considerazioni di NOCILLA, Le funzioni del Consiglio di Stato
nelle politiche di semplificazione:il senso di un’esperienza, in Giur.
It., 2007, 1035 e segg.
[8] Sul principio
in argomento v. PIZZORUSSO, voce<< Iura
novit curia (Ordinamento italiano>> in Enc. Giur., Roma, 1989; G. U. RESCIGNO, L’atto normativo,
Bologna, 1998, 18-19; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, XIV ed.,
2002, 89 e segg.;
[9] Sul punto v. V.
CRISAFULLI, Lezioni di diritto
costituzionale, Le Fonti normative,
II.1, Padova, 1993, 13-14; PIZZORUSSO, voce << Iura novit curia>>, cit.,2.
[10] In via generale
si ravvisa una presunzione assoluta di conoscenza da parte del giudice della
norme contenute in atti soggetti a pubblicazione e, quindi generalmente
conoscibili; le difficoltà pratiche nell’applicazione del principio, dunque, si
pongono per gli atti normativi non soggetti a pubblicazione ovvero per gli
atti, pur soggetti a pubblicazione ma di dubbia o controversa normatività; a
fronte di orientamenti giurisprudenziali alquanto oscillanti e disomogenei pare
che, più di recente, si sia consolidato un indirizzo estensivo e generalizzato
sull’applicazione del principio iura novit curia anche alle ipotesi più
controverse; è stato, infatti, ritenuto applicabile il principio in argomento
sia agli statuti comunali sia i regolamenti edilizi rispettivamente da Cass.
civ., sez. un.,16 giugno 2005 n. 12868 e Consiglio di Stato, sez. IV, 17
dicembre 2003, n. 8280. L’applicabilità del principio viene, poi, affermata
anche in relazione al diritto consuetudinario (v. GUASTINI, Le fonti del
diritto e l’interpretazione, Milano, 1993, 264) mentre per ciò che attiene
al diritto straniero parte della dottrina ha ritenuto ad esso, pure,
applicabile detto principio ( v. MICHELI, Jura novit curia, in Riv.
dir. proc., 1961,575 e segg.) mentre attualmente l’art. 14, comma 1, della
legge n. 218 del 1995 prevede che << l’accertamento della legge straniera
è compiuto d’ufficio dal giudice >> e che a tal fine egli <<può
avvalersi oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali,
di informazioni acquisite per il tramite del Ministero di grazia e
giustizia>> e, ancora, << può altresì interpellare esperti o istituzioni
specializzate>>.
[11] Cfr PIZZORUSSO,
voce << Iura novit curia>>,
cit.,3.
[12] Così
PIZZORUSSO, voce << Iura novit
curia>>, cit.,2.
[13] Sull’obbligo
del giudice di applicare lo ius superveniens intervenuto in grado di
appello v. Cass., 16859/2003.
[14] Così
PIZZORUSSO, voce << Iura novit
curia>>, cit., 1. E’, del resto, ammesso dalla stessa giurisprudenza
che << ove sia dedotta in modo specifico una censura di violazione di
legge con indicazione erronea della norma violata, di individuare quella
effettivamente applicabile in virtù del principio iura novit curia>> così Tar Lazio, sez. I, n 1934.del 2004
ma, ex plurimis, si vedano anche Consiglio di Stato, sez. VI, 11 maggio
2007, n. 2306; Cass., 12 aprile 2006, n. 8520; Cass., 2 febbraio 1995, n. 1222;
Cass. 15 ottobre 1991, n. 10847.
[15] Così BIN, Il sistema delle fonti. Un’introduzione,
paper edito sul forum web dei Quad.
Costit., 3
[16] Così MODUGNO, Diritto
pubblico generale, Roma-Bari, 2002, 33.
[17] Così G. U.
RESCIGNO, Il giurista come scienziato,
in Dir. Pubbl., n. 3/2003, 856.
[18] Così MODUGNO, Appunti
per una teoria del diritto. La teoria del diritto oggettivo, III ed.,
Torino, 2000, 103-104.
[19] Cfr. MODUGNO, Appunti per una teoria del diritto.
La teoria del diritto oggettivo, cit., 112-113; << tutti i giuristi
ritengono che sia loro dovere professionale ricostruire il diritto in modo non
contraddittorio, coerente e completo>> così G. U. RESCIGNO, Il giurista come scienziato, cit., 855.
[20] Sul punto v.
MARINELLI, Studi sul diritto vivente, Napoli, 2008, 85 e segg.
[21] In argomento v.
ZACCARIA, Il giudice e l’interpretazione, in Pol. Dir., n.
3/2006, 465; VIOLA-ZACCARIA, Diritto e interpretazione.Lineamenti di teoria
ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 1999, 215.
[22] <<
L’obbligo del giudice di decidere le controversie che gli vengono sottoposte ha
come naturale corrispettivo il suo potere di stabilire la regola giuridica
applicabile, e ciò anche quando manchi una chiara ed univoca disposizione. In
altre parole, il dover rendere comunque il giudizio trova il suo necessario
complemento nella competenza del giudice a risolvere i casi di oscurità,
ambiguità, vaghezza, imprecisione, lacunosità, antinomicità del dettato
normativo>> così MARINELLI, Studi
sul diritto vivente, cit., 7.
[23] Sulle diverse tipologie e teorie
dell’interpretazione cfr. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti
normativi, Milano, 2004, spec. 79 e segg.; LUZZATI, L’interprete e il
legislatore, Milano, 1999, 87 e segg.; MODUGNO, Appunti dalle lezioni di
teoria dell’interpretazione, Padova,1998, 1 e segg.
[24] Così S. SATTA, in Iura novit curia, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1955, 380
[25] Il riferimento
va in particolare all’art 13 del D.p.r . 24 novembre 1971 n. 1199 il quale,
proprio in relazione ai ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica,
prevede che << l’organo al quale è assegnato il ricorso, se riconosce che
l’istruttoria è incompleta o che i fatti affermati nell’atto impugnato sono in
contraddizione con i documenti può richiedere al ministero competente nuovi
chiarimenti o documenti ovvero ordinare al ministero medesimo di disporre nuove
verificazioni>>.
[26] La natura giurisdizionale della funzione consultiva
del consiglio di Stato ed, in particolare, del ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica pur ammessa dalla Corte di Giustizia delle Comunità
europee è stata, invece, esclusa dalla Corte costituzionale italiana con la
sentenza n. 254 del 2004; sul tema v. A. PATRONI GRIFFI, Accesso incidentale
alla corte costituzionale e tutela dei diritti: note minime anche a
proposito delle Authorities, Relazione al convegno sul tema Politica,
Economia, e Giustizia.La tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini come
fattori di garanzia, Roma, 1 marzo 2006 reperibile sul sito
www.giustizia-amministrativa.it; NOCILLA, Funzione consultiva e Costituzione,
in www.giustizia-amministrativa.it; LEO TARASCO, La funzione consultiva come
attività (para)giurisdizionale: questione di costituzionalità deferibile anche
nel ricorso straordinario al Capo dello Stato in Foro amm., n.
12/2003, 3874 e segg. ; M. ESPOSITO, Ricorso straordinario al Presidente
della Repubblica e giudizio incidentale di legittimità costituzionale:
anacronismi decisori del giudice delle leggi in Giur. Cost., 2004,
2249 e segg.
[27] << L’evoluzione della funzione consultiva del
Consiglio di Stato […] sembra rendere, pertanto palese il distacco da qualsiasi
forma di consulenza su attività concrete dell’amministrazione ed il suo
concentrarsi […] su funzioni di giustizia e di garanzia oggettiva della
conformità alla legge ed ai valori costituzionali delle norme chiamate ad
innovare l’ordinamento amministrativo>> così PAJNO, voce <<
Consiglio di Stato>> in Dizionario di dir. pubbl., II, Milano,
2006, 1323; i pareri resi nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente
della Repubblica sono stati considerati, del resto, <<attività consultiva
in funzione sindacatoria o, se si vuole, di controllo>> e, comunque,
espressione di <<una funzione paragiurisdizionale>> così NOCILLA, Funzione
consultiva e Costituzione, cit.
[28] Sul punto v.
MARINELLI, Ermeneutica giudiziaria,
Milano, 1996, 227.
[29] Sul punto, in particolare, cfr. GUASTINI, Il
giudice e la legge, Torino,1995, spec. 49-51.
[30] Il divieto di non
liquet trovava il proprio esplicito riconoscimento nell’art. 4 del codice napoleonico;
si ritiene che esso sia talmente connaturato alla funzionalità del moderno
stato di diritto da non richiede espresse codificazioni; un riferimento a tale
principio, tuttavia, viene individuato nell’art. 12 delle disp. prel. c.c.
nella parte in cui prescrive il ricorso ai principi generali del diritto per la
soluzione delle controversie; in tal senso v. GUASTINI, L’interpretazione
dei documenti normativi, Milano, 2004, 229.
[31] II dovere
giuridico di conoscenza è stato in dottrina affermato anche in relazione ai
precedenti giudiziari, sul punto v. MARINELLI, Ermeneutica giudiziaria,
cit.,259 e segg. e 267 e segg.
[32] Cfr. Corte cost. n.
364/1988 punto 18 del considerato in diritto.
[33] Cfr. Corte cost. n.
364/1988 punto 27 del considerato in diritto.
[34] Sulla crisi
della legge v. AINIS, La legge oscura, cit.; MODUGNO-CELOTTO-RUOTOLO, Considerazioni
sulla crisi della legge, in MODUGNO, Appunti per una teoria generale del
diritto, cit., 325 e segg.; LUCIANI, La crisi del diritto nazionale, in
Storia d’Italia. Legge, diritto e giustizia, Vol. 30, ed. Il sole 24 Ore,
Milano, 2006, 1005 e segg.; MODUGNO-NOCILLA, Crisi della legge e sistema
delle fonti, in Dir. Soc., 1989.
[35] L’indifferibile necessità di rimediare alla crisi
della legge, in particolar modo, sotto il profilo della inflazione legislativa
e del riassetto del sistema normativo ed amministrativo hanno condotto, negli
ultimi tempi, il legislatore ad adottare politiche di semplificazione e
codificazione oltre a tecniche di buona redazione degli atti normativi rispetto
alle quali il Consiglio di Stato è venuto via via assumendo un ruolo di
primissimo piano; sul tema, più di recente, CELOTTO-MEOLI, voce <<
Semplificazione normativa (dir. pubbl.)>>, in Dig. Pubbl., agg.to,
II, Torino, 2008, 806 e segg. v. F. PATRONI GRIFFI, La semplificazione
amministrativa, intervento al convegno sul tema Il sistema
amministrativo a dieci anni dalla riforma Bassanini, Università di Roma
Tre, 31 gennaio 2008; CARNEVALE, Le politiche sulla legislazione:
codificazione e semplificazione, in AA.VV.,La funzione legislativa, oggi,
a cura di Ruotolo, Napoli, 2007, 55 e segg.; in particolare sul ruolo del
Consiglio di Stato nelle politiche di semplificazione v. NOCILLA, Le
funzioni del Consiglio di Stato nelle politiche di semplificazione:il senso di
un’esperienza, in Giur. It., 2007, 1035 e segg.
[36] BIN, Il sistema delle fonti. Un’introduzione,
cit.,2.