GIAMPIETRO FERRI
LA PREROGATIVA DELLA SOSPENSIONE DEL
PROCESSO PENALE PER LE ALTE CARICHE DELLO STATO ESIGE UNA LEGGE COSTITUZIONALE*
1. La sentenza Corte
cost. n. 24/2004: l’illegittimità costituzionale della sospensione del
processo penale per le alte cariche dello Stato prevista dalla legge n.
140/2003
Con la sentenza n.
262/2009, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale della legge 23 luglio 2008, n. 124, recante «Disposizioni in
materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche
dello Stato».
Sul tema vi era un importante
precedente nella giurisprudenza costituzionale[1].
La Corte si era infatti pronunciata —
com’è noto — con la sentenza n. 24/2004,
dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma che stabiliva che «sono
sospesi [...] i processi penali in corso
in ogni fase, stato o grado» nei confronti del Presidente della Repubblica, del
Presidente del Consiglio dei Ministri, dei Presidenti delle Camere e del
Presidente della Corte costituzionale fino alla cessazione della carica o della
funzione. Ciò, «per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti
l’assunzione della carica o della funzione», salvo quanto previsto dagli artt.
90 e 96 Cost. (art. 1, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140[2]).
La Corte aveva accolto la questione
di legittimità in riferimento a due parametri: l’art. 3 e l’art. 24 Cost.
A giudizio della Corte, la norma di
legge impugnata violava l’art. 3 Cost. sotto più profili.
Anzitutto, la previsione di una
sospensione «generale» e «automatica», senza limiti di tempo, creava, per i
titolari di alte cariche, un regime irragionevolmente differenziato riguardo
alla giurisdizione penale, vanificando l’«effettività dell’esercizio della
giurisdizione» stessa[3].
Inoltre, la Corte aveva rilevato che,
accomunando in un’unica disciplina «cariche diverse non soltanto per le fonti
d’investitura, ma anche per la natura delle funzioni», l’art. 1 della legge n.
140/2003 conteneva «gravi elementi di intrinseca irragionevolezza»[4].
Infine, la Corte aveva riscontrato
un’ulteriore violazione dell’art. 3 Cost. perché l’art. 1 sopra citato
distingueva, «per la prima volta sotto il profilo della parità riguardo ai
princìpi fondamentali della giurisdizione», i Presidenti delle Camere, del
Consiglio dei Ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri
componenti degli organi da loro presieduti; non potendo invocarsi, «come
precedente e termine di comparazione, l’art. 205 c.p.p., il quale disciplina un
aspetto secondario dell’esercizio della giurisdizione»[5].
Quanto al secondo parametro, la Corte
aveva osservato che la sospensione dei processi ledeva il diritto di difesa
(art. 24, comma 2). L’imputato, infatti, non potendo rinunciare alla
sospensione del processo, avrebbe dovuto continuare a svolgere l’incarico sotto
il peso di un’accusa per uno o più reati. L’unica strada possibile per
difendersi sarebbe stata quella delle dimissioni. Ma, così facendo, egli
avrebbe rinunciato al godimento di un diritto — quello di ricoprire uffici
pubblici e accedere a cariche elettive — che è garantito dalla Costituzione
(art. 51). Non vi sarebbe stata, allora,
per l’imputato, una vera alternativa al sacrificio di un diritto — quello di
difesa — che è inviolabile.
Secondo la Corte, l’automatismo della
sospensione incideva altresì sul diritto, spettante ai soggetti danneggiati dal
reato, di agire in giudizio per tutelare la propria posizione, in violazione
dell’art. 24, comma 1, Cost. Anche ammettendo che vi fosse la possibilità di
trasferimento dell’azione giudiziaria in sede civile, la parte offesa dal reato
costituitasi nel processo penale avrebbe dovuto infatti soggiacere alla
sospensione prevista dall’art. 75, comma 3, c.p.p.[6].
2. (segue) il “silenzio” della
Corte costituzionale sull’idoneità della legge ordinaria a disciplinare la
materia: dubbi interpretativi
La Corte costituzionale non aveva
però affrontato il problema della possibile violazione dell’art. 138 Cost.[7],
che, pur non comparendo fra i numerosi parametri indicati dal giudice a quo[8],
era stato menzionato nell’ordinanza di rimessione[9].
La Corte aveva concluso affermando
che «resta assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale»[10].
Di qui le incertezze interpretative
in merito all’atto-fonte richiesto per disciplinare la materia[11].
Secondo alcuni, essendo la questione
della forma dell’atto legislativo “prioritaria”, si sarebbe dovuto ritenere
che, non affrontandola, la Corte costituzionale abbia considerato legittimo
l’uso della legge ordinaria[12].
Secondo altri, la Corte
costituzionale, evidenziando che «nel nostro ordinamento» l’esercizio della
giurisdizione è sotto vari aspetti «regolato da precetti costituzionali» e
soprattutto dichiarando che la differenziazione dal punto di vista delle
garanzie tra i presidenti e gli altri componenti degli organi collegiali vìola
l’art. 3 Cost.[13],
avrebbe invece richiesto, sia pure implicitamente, una legge costituzionale per
disciplinare nuovamente la materia[14].
Ma non si è mancato di osservare come
dalla sentenza emergerebbe in realtà che la previsione di una sospensione
generale e automatica del processo penale non potrebbe essere reintrodotta
neppure con legge costituzionale, avendo la Corte costituzionale sottolineato
che alle «origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio
della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione», il quale potrebbe
consentire alcune deroghe, ma per tutelare interessi costituzionalmente
rilevanti e in ogni caso in modo tale da non negare in radice lo stesso
principio di eguaglianza[15].
Cosa che avverrebbe sottraendo alla giustizia, per un periodo di tempo non
definito, i titolari di alte cariche che siano responsabili di reati
extrafunzionali.
3. La sospensione del processo
penale per le alte cariche nella legge n. 124/2008
Il legislatore aveva interpretato la sentenza della
Corte costituzionale n. 24/2004 nel senso che la Corte ha riconosciuto la
possibilità di «tutelare il sereno svolgimento delle funzioni che fanno capo
alle più alte cariche dello Stato» con «legge ordinaria», «senza istituire
nuove forme di immunità ma agendo nel procedimento penale mediante la misura
della sospensione»[16].
Con la legge n. 124/2008[17],
era stata infatti reintrodotta, a tutela delle alte cariche, la garanzia della
sospensione del processo penale, con l’effetto d’impedire lo svolgimento
dell’attività processuale fino alla conclusione del mandato istituzionale
(potendo ciò comportare, a seconda dei casi, lo spostamento della data d’inizio
del dibattimento, l’arresto del dibattimento in corso di svolgimento, il rinvio
del giudizio di secondo grado, ecc.)[18].
Tuttavia, la disciplina dell’istituto
era stata riproposta «in forma aggiornata e rimeditata» per «realizzare un
ragionevole bilanciamento dei diversi interessi in giuoco», tenendo conto dei
rilievi (o, per meglio dire, di alcuni dei rilievi) formulati dalla Corte nella
sentenza del
2004[19].
In particolare, la legge aveva
previsto che la sospensione potesse essere rifiutata (art. 1, comma 2), dando
pertanto all’imputato la possibilità di esercitare il diritto di difesa.
Al fine di evitare, poi, che la
sospensione pregiudicasse il diritto alla tutela giurisdizionale, la legge
aveva disposto che non si applicasse la norma che non consente alla parte
civile costituitasi nel processo penale di trasferire l’azione in sede civile
(art. 75, comma 3, c.p.p.), prevedendo che in caso di trasferimento i termini
per comparire di cui all’art. 163-bis
c.p.c. fossero ridotti alla metà, e il giudice fissasse l’udienza di
trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all’azione
trasferita (art. 1, comma 6).
A possibile tutela della stessa parte
civile, oltre che della pretesa punitiva dello Stato nei confronti degli autori
dei reati, era stata inserita un’altra norma, secondo la quale la sospensione
del processo non avrebbe impedito al giudice di provvedere ai sensi degli artt.
392 e 467 c.p.p. per l’assunzione delle prove non rinviabili (art. 1, comma 3).
La sospensione non comportava pertanto — a differenza di quel che avveniva
durante la vigenza della l. n. 140/2003 — una completa paralisi dell’attività
processuale, essendo salvaguardato il diritto alla formazione della prova.
Le altre differenze rispetto alla
disciplina contenuta nella legge n. 140/2003 erano dettate dall’esigenza di
rispettare il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il
quale — com’è noto — consente di differenziare il trattamento giuridico fra di
essi, ma secondo un criterio di ragionevolezza, non ammettendo dunque
privilegi.
Per evitare che vi fosse un
trattamento di ingiusto favore per i soggetti titolari delle alte cariche, era
stato previsto che la sospensione non potesse essere reiterata (art. 1, comma
5). Il Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato e il Presidente
della Camera non avrebbero più potuto beneficiare della sospensione in caso di
rielezione. Diverso è il discorso per il Presidente del Consiglio dei Ministri,
il quale non è un organo elettivo e non ha un “mandato” temporalmente
prefissato. La legge, pur senza fare esplicito riferimento a tale organo, aveva
introdotto un’eccezione alla regola della non reiterabilità del beneficio
processuale, prevedendo che la sospensione scattasse anche nell’eventualità di
«nuova nomina» nel corso della stessa legislatura (art. 1, comma 5).
Infine, il legislatore aveva escluso dal
novero delle alte cariche dello Stato il Presidente della Corte costituzionale,
per l’evidente diversità dalle altre, sotto il profilo sia della fonte
d’investitura sia delle funzioni[20].
L’esclusione del Presidente della
Corte dal beneficio della sospensione del processo aveva consentito anche di
superare le obiezioni di legittimità costituzionale che vennero sollevate in
riferimento a un altro parametro.
Si è, infatti, sostenuto che la
previsione di una riserva di legge costituzionale in materia di «garanzie di
indipendenza» dei giudici costituzionali (art. 137, comma 1, Cost.) vieterebbe
che sia il legislatore ordinario ad attribuire al Presidente la garanzia della
sospensione dei processi penali per tutta la durata del mandato[21].
4. La sentenza Corte cost. n.
262/2009: il problema della qualificazione giuridica della sospensione del
processo per le alte cariche: istituto processuale o prerogativa?
Essendo stata investita nuovamente
della questione di legittimità costituzionale riguardante la misura della
sospensione dei processi per le alte cariche statali, ma con riferimento
esplicito — nell’àmbito dei parametri indicati dai giudici a quibus — all’art. 138, è evidente che la Corte costituzionale non
avrebbe più potuto eludere (o, se si preferisce, esimersi dall’affrontare
direttamente) il problema dell’atto-fonte idoneo a disciplinare la materia.
Per risolverlo era però necessario
superare un passaggio: occorreva stabilire di che materia si tratti e, quindi,
quale sia la natura giuridica della sospensione.
Il fatto che la sospensione prevista
dalla legge n. 124/2008 sia rinunciabile ha spinto le difese a sostenere che si
tratti non più di una misura posta a tutela della funzione (qual era, secondo
la Corte costituzionale, quella introdotta dalla legge n. 140/2003), ma di uno
strumento di natura strettamente processuale per assicurare il diritto di difesa,
potendo il soggetto investito dell’alta carica avvalersene quando reputi che
l’impegno richiesto dall’attività difensiva non sia compatibile con gli impegni
istituzionali[22].
Ciò, nello stesso modo in cui
l’imputato può invocare il legittimo impedimento a comparire, che è un istituto
— com’è noto — non previsto dalla Costituzione e contemplato dal c.p.p., dunque
da una fonte primaria; anche se va evidenziato che esso prescinde dalla natura
dell’attività che legittima l’impedimento, essendo di generale applicazione.
Inoltre, va detto che il legittimo impedimento non opera in modo automatico,
spettando all’imputato fornire la prova dell’impedimento stesso, che deve
determinare l’assoluta impossibilità a comparire e richiede una valutazione del
giudice circa la fondatezza (art. 420-ter
c.p.p.).
Tuttavia, la tesi che considera la
sospensione come misura diretta a tutelare il diritto di difesa degli imputati
è contraddetta — come ha ricordato la Corte costituzionale — dalla relazione al
disegno di legge presentato dal Ministro della Giustizia Alfano, dal quale ha
tratto origine la legge n. 124/2008, che individua espressamente la ratio della sospensione nell’esigenza di
tutelare i principi di «continuità e regolarità nell’esercizio delle più alte
funzioni pubbliche» e non nel soddisfacimento «di esigenze difensive»[23].
Al di là di ciò, la tesi è smentita
dal fatto che la sospensione non viene estesa a tutti gli imputati che, in
ragione della propria attività, abbiano difficoltà a partecipare al processo
penale, ma solo ai titolari di alte cariche. Ciò, sebbene il diritto di difesa
venga riconosciuto dalla Costituzione alla generalità degli individui[24].
In ogni caso, la previsione di una
presunzione legale assoluta di legittimo impedimento derivante dalla titolarità
della carica sarebbe intrinsecamente irragionevole e sproporzionata rispetto
alla finalità di assicurare il diritto di difesa. Detta presunzione
impedirebbe, infatti, qualsiasi verifica circa l’effettiva sussistenza
dell’impedimento a comparire in giudizio[25],
mentre la giurisprudenza costituzionale esige tale verifica richiedendo che sia
l’autorità giudiziaria a stabilire se e in che limiti gli impedimenti legittimi
derivanti dalla sussistenza di «doveri funzionali» rivestano caratteri di
assolutezza tali da essere equiparati, ai sensi dell’art. 486 c.p.p., a causa
di forza maggiore[26].
In conclusione, deve ritenersi — come
ha argomentato la Corte — che la ratio
della legge impugnata vada individuata nella protezione della «funzione
pubblica», con il fine di assicurare «ai titolari delle alte cariche il sereno
svolgimento» del mandato istituzionale[27].
Anche se non è certo che la sospensione processuale possa effettivamente
contribuire alla serenità istituzionale[28].
Ciò acclarato, la sospensione del
processo non può non rientrare fra le prerogative costituzionali (o immunità in
senso lato), le quali possono assumere varie forme e denominazioni
(insindacabilità, immunità sostanziali, immunità meramente processuali, ecc.),
ma presentano sempre la caratteristica di essere dirette a garantire
l’esercizio della funzione di organi costituzionali, derogando al regime
giurisdizionale comune[29].
La previsione che la misura della
sospensione sia rinunciabile non sembra però incongruente rispetto alla ratio della tutela funzionale[30],
ma dimostra che essa è posta a presidio, se così si può dire, della “funzione
personificata”, mirando a tutelare la funzione pubblica in quanto impersonata
da chi è democraticamente legittimato[31].
Si tratta, dunque, di una prerogativa
del tutto peculiare, assai diversa da quelle previste dalla Costituzione.
La non reiterabilità, che la Corte ha
ravvisato essere incoerente con la ratio
della protezione della funzione (così come con l’ipotizzata ratio della garanzia del diritto di
difesa)[32],
rappresenta un vincolo imposto implicitamente dalla Costituzione e, in
particolare, dal principio di eguaglianza, che non consente di sottrarre una
categoria di cittadini per un periodo eccessivo alla giurisdizione penale.
5. (segue) la sospensione del
processo come materia costituzionale
Il fatto che venga qualificata come
«prerogativa» posta a tutela della funzione non comporterebbe però
necessariamente che la sospensione del processo per le alte cariche statali
debba essere introdotta con legge costituzionale.
È stato, infatti, osservato che la
Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità costituzionale della norma
di legge ordinaria che garantisce l’insindacabilità dei membri del C.S.M. «per
le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, e concernenti l’oggetto
della discussione» (art. 5 legge n. 1/1981)[33].
La Corte, in particolare, ha asserito che le norme contenenti «cause di non
punibilità, stabilite in vista dell’esercizio di determinate funzioni», non
necessariamente devono essere introdotte da fonti di rango costituzionale.
Tuttavia, la Corte costituzionale ha
precisato che esse abbisognano «di un puntuale fondamento, concretato dalla
Costituzione o da altre leggi costituzionali»[34].
Non è, dunque, indispensabile che il
fondamento consista in una «previsione esplicita», ma è pur sempre richiesta
una “copertura” costituzionale, che non manca nel caso dell’immunità per i
componenti del C.S.M.[35],
e anche nel caso delle immunità diplomatiche che «riproducono o, comunque,
attuano norme internazionali generalmente riconosciute»[36].
Tale copertura, invece, non sussiste
per la sospensione dei processi per reati comuni compiuti dai titolari delle
più alte cariche dello Stato, che si configura come un «eccezionale ed
innovativo status protettivo»[37].
In definitiva, deve ritenersi che la
legge ordinaria non sia fonte competente a disciplinare la materia[38].
Il legislatore ha, quindi, violato
l’art. 138 Cost. e insieme ad esso l’art. 3 Cost., introducendo un trattamento
differenziato che lede il principio di eguaglianza sotto tutti i profili già
indicati nella sentenza
n. 24/2004.
L’esclusione dal novero delle alte
cariche del Presidente della Corte costituzionale non ha dunque risolto il
problema della disomogeneità fra le cariche alle quali è concesso il beneficio
della sospensione, la quale permane ed è riconducibile — ha sentenziato la
Corte — sia alle fonti d’investitura, sia alla natura delle funzioni[39].
La risoluzione, in modo convincente,
del problema fondamentale posto dalle ordinanze dei giudici a quibus (quello della fonte idonea a
disciplinare la materia), sul quale la comunità scientifica si attendeva una
risposta chiara, fa comprendere perché la Corte non abbia esaminato le altre
delicate questioni (fra cui la compatibilità con il principio di ragionevole
durata del processo e con il principio di obbligatorietà dell’azione penale),
dichiarandole assorbite.
Ciò, ad eccezione di quella
concernente l’art. 136 Cost., che ha consentito sùbito alla Corte di chiarire
che il precedente sul tema non avrebbe potuto condizionarla nel senso di
riconoscere la legittimità dell’intervento con legge ordinaria (non avendo in
nessun punto la
sentenza del 2004 esaminato la questione dell’idoneità della fonte), e che
è stata respinta perché, «mostrando di prendere in considerazione, sia pure parzialmente, la sentenza» n.
24/2004, il legislatore ha introdotto «una disposizione che non riproduce
un’altra disposizione dichiarata incostituzionale»[40].
Non vi sarebbe, pertanto, violazione del giudicato costituzionale formatosi su
tale sentenza[41].
6. Conclusioni
L’esplicita affermazione, da parte
della Corte costituzionale, che la legge ordinaria «non costituisce fonte di
rango idoneo a disporre in materia» di prerogative per le alte cariche dello
Stato[42]
va senz’altro valutata positivamente e rappresenta un fatto importante perché
conferma il ruolo di garanzia della legge costituzionale.
Poiché però la sentenza qui annotata
ha suscitato reazioni contrastanti, essendosi divisi i commentatori fra quanti
hanno apprezzato l’operato della Corte, mettendo in evidenza la linea di
coerenza della giurisprudenza costituzionale[43],
e quanti hanno invece criticato il cambio di orientamento da parte dell’organo[44],
che avrebbe «messo il Parlamento sulla strada sbagliata», pare opportuno in
conclusione svolgere qualche breve riflessione sul comportamento della Corte
costituzionale nelle vicende esaminate.
Se appare una forzatura imputare alla
Corte la violazione del principio di leale collaborazione fra i poteri dello
Stato, non si può dire tuttavia che essa abbia scelto la linea di condotta più
opportuna per darvi attuazione: che sarebbe stata quella di dichiarare già
nella prima sentenza che la sospensione del processo per le alte cariche dello
Stato può essere introdotta solo con legge costituzionale, dando così al
legislatore un’indicazione che non avrebbe dato àdito a equivoci[45].
Invece, la Corte, rinunciando ad
affrontare direttamente il problema dell’atto-fonte richiesto per disciplinare
la materia, ha posto al legislatore una serie di condizioni che, in alcuni
casi, sono apparse chiare (specialmente, in relazione all’esigenza di
soddisfare il diritto di difesa dell’imputato e il diritto di tutela
giurisdizionale della parte offesa dal reato), mentre, in altri casi, sono
sembrate poco chiare e anche inappropriate (come quando la Corte ha parlato
della mancanza di un «filtro», «senza possibilità di valutazione delle
peculiarità dei casi concreti»[46]);
condizioni che, proprio per il fatto stesso di essere poste in modo così
minuzioso, hanno potuto accreditare la tesi che le argomentazioni della Corte
fossero state formulate nel presupposto dell’ammissibilità di un intervento
legislativo di carattere ordinario[47].
Ciò, anche alla luce
dell’affermazione della Corte secondo cui il «sereno svolgimento delle
funzioni» inerenti alle alte cariche costituisce un «interesse apprezzabile che
può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di
diritto»[48];
la quale è stata preceduta dal riconoscimento che «quello delle sospensioni»
processuali non è un «sistema chiuso», non potendo ritenersi che al legislatore
sia vietato «stabilire altre sospensioni finalizzate alla soddisfazione di
esigenze extraprocessuali»[49].
Senza, dunque, mettere bene in evidenza, come sarebbe stato opportuno, la
differenza fra la sospensione del processo per le alte cariche (che, come ha
riconosciuto successivamente la Corte nella sentenza commentata, ha natura di
«immunità in senso lato») e le altre sospensioni processuali[50].
Non si può, però, non ricordare come
vi fosse almeno un passaggio della sentenza della
Corte costituzionale n. 24/2004 — quello concernente la violazione
dell’art. 3 Cost. in riferimento alla distinzione, sotto il profilo del
trattamento giurisdizionale, fra presidenti e componenti degli organi
collegiali[51]
— dal quale poteva arguirsi la presenza di un ostacolo non superabile con lo
strumento della legge ordinaria[52].
La circostanza che la Corte
costituzionale, quasi a voler certificare la correttezza del discusso operato
del Presidente della Repubblica, abbia avvertito l’esigenza di precisare che le
note dello stesso Presidente con le quali egli ha accompagnato l’autorizzazione
alla presentazione del disegno di legge governativo e la promulgazione della
legge, esponendosi a difesa della legittimità costituzionale del testo, si
basavano sul riconoscimento di «alcune novità» effettivamente rispondenti alle
indicazioni contenute nella sentenza n. 24/2004[53],
potrebbe forse essere il segnale di un disagio dovuto alla consapevolezza di
aver tenuto un comportamento non del tutto lineare, il quale ha reso
problematica la collaborazione fra i poteri dello Stato nel corso della
vicenda.
* La nota è stata pubblicata sulla
«Rivista italiana di diritto e procedura penale», fasc. n. 4/2009, pp.
2081-2090.
[1] Sul precedente della Corte, in generale, cfr. Pedrazza Gorlero (a cura di), Il precedente nella giurisprudenza della
Corte costituzionale, Cedam, 2008 e la letteratura ivi citata.
[2] Recante «Disposizioni per l’attuazione
dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei
confronti delle alte cariche dello Stato». Su tale legge, cfr. Pace,
La legge n. 140/2003 e i principi
costituzionali violati, in Studi in
onore di G. Ferrara, III, Giappichelli, 2005, 15 ss.; Pugiotto, Improcedibilità e sospensione del processo per le alte cariche dello
Stato, in Immunità politiche e
giustizia penale, a cura di Orlandi e Pugiotto, Giappichelli, 2005, 471 ss.
[3] Sentenza Corte
cost. 20 gennaio 2004, n. 24, in Giur.
cost., 2004, 370 ss., in particolare 390 s.
[4] Sentenza Corte
cost. n. 24/2004, cit., 391.
[5] Ossia «i luoghi in cui i titolari delle cinque più
alte cariche dello Stato possono essere ascoltati come testimoni» (ibidem).
[6] Sentenza Corte
cost. n. 24/2004, cit., 390.
[7] Suscitando per ciò le critiche di una parte
considerevole della dottrina: cfr., tra gli altri, Giostra, Sospensione
del processo a tutela della carica istituzionale?, in Dir. e giust., 2004, n. 5, 26; Stammati,
Una decisione condivisibile messa in
forse da un impianto argomentativo perplesso e non persuasivo, in Giur. cost., 2004, 398 ss.; Rescigno, Ci voleva una legge costituzionale!, in Il lodo ritrovato. Una quaestio e un referendum sulla legge n. 124 del
2008, Atti del Seminario di Ferrara del 27 marzo 2009, a cura di Bin, Brunelli,
Guazzarotti, Pugiotto e Veronesi, Giappichelli, 2009, 220; Ruggeri, Il “lodo” irragionevole, ivi,
224.
[8] Oltre agli agli artt. 3 e 24, gli artt. 68, 90, 96,
101, 111, 112 e 117.
[9] «[...] una sola volta, laddove si afferma che l’art.
3 Cost. “è un principio fondante dell’ordinamento, derogabile solo dalla stessa
Costituzione ovvero con modifiche costituzionali a termine dell’art. 138» (Ferraiuolo, Osservazioni, a prima lettura, sull’art. 138 Cost. come parametro di
legittimità nella sentenza n. 262 del 2009, in federalismi.it, 2009, n. 3, 3).
[10] Sulla tecnica dell’assorbimento cfr., nell’àmbito
della dottrina intervenuta sul caso, Mainardis,
Violazione dell’art. 138 Cost.,
“assorbimento improprio” delle censure di incostituzionalità e giudizio in via
incidentale, in Il lodo ritrovato,
cit., 171 ss.
[11] Cfr. Pugiotto,
Letture e riletture della sentenza
costituzionale n. 24/2004, in Giur.
it., 2009, 778 ss.
[12] Cfr., in dottrina, Marzaduri,
La motivazione sorvola sui punti
giuridici più caldi, in Guida al dir.,
2004, n. 5, 59 (il quale evidenzia, tuttavia, che la strada lasciata aperta al
legislatore ordinario non sarebbe stata «facilmente percorribile»); Salerno, La sospensione dei processi penali relativi alle alte cariche dello
Stato davanti alla Corte costituzionale, in Il lodo ritrovato, cit., 14 s.
Merita di essere ricordato che in questo
senso si sono espressi, intervenendo sulla stampa quotidiana, alcuni giudici
della Corte che emise la sentenza n.
24/2004: cfr. Marini, Intervista a il Giornale, 19 giugno 2008; Capotosti,
Intervista al Corriere della Sera, 10 luglio 2008.
[13] Sentenza Corte
cost. n. 24/2004, cit., 390 e 391.
[14] Cfr., nell’àmbito della dottrina prevalente, Nicotra, I poteri in equilibrio. Libertà d’esercizio delle funzioni tra
inviolabilità e giurisdizione, in federalismi.it,
2008, n. 16, 4; Ferri, La sospensione dei processi riguardanti le
alte cariche dello Stato nella l. n. 124 del 2008, in Giur. mer., 2009, 44 e 53-4; Cecchetti,
Appunti sulle questioni sottoposte alla
Corte e sui possibili esiti del giudizio di legittimità costituzionale del
“lodo Alfano”, in Il lodo ritrovato,
cit., 85; D’Andrea, La Corte
chiarirà (salvo ripensamenti) le ragioni dell’incostituzionalità del “lodo
Schifani” decidendo sul “lodo Alfano”, in Forum dei Quaderni costituzionali, 23 luglio 2009; Anzon
Demmig, Il “lodo Alfano” alla
prova del fuoco, in www.associazionedeicostituzionalisti.it,
26 settembre 2009.
Per le opinioni in tal senso espresse in
vario modo dai giuristi sugli organi di stampa, si rinvia a Ferri, La sospensione dei processi, cit.
[15] Cfr. Elia,
La Corte ha fatto vincere la Costituzione,
in Giur. cost., 2004, 397; Brunelli, Un privilegio illegittimo (anche per vizio formale), in Il lodo ritrovato, cit., 59 ss.; Carlassare, La tutela del sereno svolgimento dell’attività delle alte cariche nello
Stato di diritto, ivi, 64 ss.; Grosso, Considerazioni sparse in tema di lodi ritrovati e questioni di
costituzionalità mai perdute. A proposito di alcuni dicta, non dicta e obiter dicta contenuti
nella sentenza n. 24/2004, ivi,
155 s.; Ruotolo, Legge Alfano e vizio da riproduzione di
norme dichiarate incostituzionali, in Giur.
it., 2009, 787.
Nel senso, invece, che la Corte abbia
detto «troppo poco», non evidenziando adeguatamente che il principio di
eguaglianza non consente le «deroghe» introdotte dalla l. n. 140/2003 (e forse
anche dalla l. n. 124/2008), cfr. Sorrentino,
Intervista, in www.partitodemocratico.it,
7 agosto 2008.
[16] Cfr. la Relazione
delle Commissioni I e II riunite del Senato al disegno di legge presentato dal
Ministro della Giustizia Alfano il 2 luglio 2008 (A.S., XVI Leg., D.d.l. e Rel.,
Doc. n. 903-A, 5).
[17] Sulla quale cfr. Bellagamba,
Cecchetti, Frigo, La sospensione
dei processi nel quadro costituzionale delle immunità politiche, in Dir. pen. proc., 2008, 1213 ss.; Carnevale, La legge n. 124/2008 e le sue vicende. Appunti per un’analisi, in Giur. it., 2009, 773 ss.; Ferri, La sospensione dei processi, cit., 43 ss. V. anche i numerosi
interventi pubblicati nel volume Il lodo
ritrovato, cit.
[18] Quanto alla fase delle indagini preliminari, essa
avrebbe dovuto ritenersi esclusa dal meccanismo sospensivo. La Corte
costituzionale, nella sentenza 19 ottobre
2009, n. 262, ha affermato che, «se la sospensione fosse applicata fin
dalla fase delle indagini, vi sarebbe un grave pregiudizio all’esercizio
dell’azione penale [...] per l’estrema difficoltà di reperire mezzi di prova a
distanza di anni», con il rischio di sottrarre l’imputato alla giurisdizione
(cfr. il punto 3 del Considerato in
diritto).
[19] Cfr. la Relazione
delle Commissioni I e II, cit., 5.
[20] Ferri,
La sospensione dei processi, cit., 50
s.
[21] Pinardi,
Immunità procedurale garantita ai giudici
della Corte costituzionale, in Immunità
politiche e giustizia penale, cit., 467.
[22] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 1.2.2. del Ritenuto in fatto.
[23] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 7.3.2.1. del Considerato in diritto.
[24] Ibidem.
[25] Ibidem.
[26] Sentenza Corte
cost. 6 luglio 2001, n. 225, in Giur.
cost., 2001, 1985 (con osservazioni di Spangher,
Cabiddu e Brunelli).
[27] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 7.3.2.1. del Considerato in diritto.
[28] Ferri,
La sospensione dei processi, cit.,
47.
[29] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 7.3.1. del Considerato in diritto.
[30] Dubitano della congruenza, fra gli altri, Anzon Demmig,
Il “lodo Alfano” verso l’approvazione
finale: restano forti i dubbi sulla sua legittimità costituzionale, in Forum dei Quaderni Costituzionali, 17
luglio 2008, 2; Zanon, Il lodo Alfano: le eredità del passato e i difficili
equilibri tra potere politico e potere giudiziario, in Il lodo ritrovato, cit., 303.
[31] Ferri,
La sospensione dei processi, cit.,
47.
[32] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 7.3.2.1. del Considerato in diritto.
In dottrina, cfr., fra gli altri, Ruggeri, Il “lodo” irragionevole, cit., 232.
[33] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 7.3.1. del Considerato in diritto.
[34] Sentenza Corte
cost. 3 giugno 1983, n. 148, in Giur.
cost., 1983, I, 858.
In argomento, cfr. di recente Cassano, I membri del Csm, in Immunità
politiche e giustizia penale, cit., 261.
[35] La «garanzia che il Consiglio è chiamato a offrire»
in merito alla valutazione dei comportamenti dei magistrati (ai fini dei
trasferimenti, delle promozioni, ecc.) richiede che i componenti dell’organo
siano «liberi di manifestare le loro convinzioni, senza venire in sostanza
costretti ad autocensure che minerebbero il buon andamento della magistratura.
In altre parole, è nella logica del disegno costituzionale che il Consiglio sia
garantito nella propria indipendenza» (sentenza n.
148/1983, cit., 859).
[36] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 7.3.1. del Considerato in diritto.
[37] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 7.3.3. del Considerato in diritto.
[38] Ibidem.
[39] Sentenza Corte cost.
n. 262/2009, cit., punto 7.3.2.3.1. del Considerato
in diritto.
[40] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 5 del Considerato
in diritto. Il corsivo è mio.
[41] Cfr., in tal senso, in dottrina, Salerno, La sospensione dei processi, cit., 21 s.; Pinardi, La legge
Alfano e la sentenza n. 24/2004, in Il
lodo ritrovato, cit., 204, nota 5.
[42] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 7.3.3. del Considerato in diritto.
[43] Cfr. Merlini,
Intervista a la Repubblica, 8 ottobre 2009; Balboni,
Una sentenza degna di Elia, in Europa, 9 ottobre 2009; Baldassarre, Intervista a liberal, 9
ottobre 2009; Casavola, Abbassare la febbre, in Il Mattino, 9 ottobre 2009; Pace, Le due ottime ragioni della Consulta, in la Repubblica, 10 ottobre 2009; Ainis,
Lezione alla politica, in La Stampa, 8 ottobre 2009 e La Consulta arsenico e coltelli, ivi, 13 ottobre 2009; Grevi, Costituzionalità, il Colle e la scelta del 2004, in Corriere della Sera, 9 ottobre 2009 e La linea di coerenza dell’Alta Corte, ivi, 20 ottobre 2009; Martino, Coerenza e continuità nelle parole della Corte, in Europa, 22 ottobre 2009.
[44] Cfr. Capotosti,
Intervista a Il Mattino, 8 ottobre 2009; Carrino,
Dai giudici una scelta poco chiara,
in Secolo d’Italia, 8 ottobre 2009; Chiappetti, I vizi rilevati non esistono, in Il Tempo, 8 ottobre 2009; Vaccarella,
Intervista al Corriere della Sera, 8 ottobre 2009; Armaroli, “Kramer
contro Kramer” in scena all’Alta corte, in Il Secolo XIX, 9 ottobre 2009; Zanon,
Intervista al Secolo d’Italia, 9 ottobre 2009; Pecorella,
Intervista a il Giornale, 8 ottobre 2009; Perfetti,
La Corte Costituzionale ha allontanato
ancora di più cittadini e istituzioni, in Libero, 9 ottobre 2009; Caravita
di Toritto, Intervista a il Riformista, 10 ottobre 2009; Vitale, Così l’Alta Corte ha affermato ciò che prima negava, in il Giornale, 10 ottobre 2009 e La Consulta ignora lo status del premier,
ivi, 22 ottobre 2009.
[45] Non «vale obiettare che il parametro non era stato
espressamente indicato nell’ordinanza di rimessione. La stessa Corte non ha
infatti trascurato di rilevare che il riferimento all’art. 138 era “implicito
ma chiaro [...] in tutto l’iter
argomentativo del provvedimento”, e, d’altronde, non poche volte [...] la Corte
rimette a fuoco e, diciamo pure, aggiusta i termini della questione» (Ruggeri, Il “lodo” irragionevole, cit., 224).
[46] Ferri,
La sospensione dei processi, cit.,
55, nota 31.
[47] Cfr. Caravita
di Toritto, E ora introduciamo la
dissenting opinion, in federalismi.it,
2009, n. 20, 2.
[48] Sentenza Corte
cost. n. 24/2004, cit., 391. Cfr., criticamente, Brunelli, Un
privilegio illegittimo, cit., 61.
[49] Ibidem.
[50] Tanto che si è potuto dire, con qualche forzatura,
che un punto «fu scritto con chiarezza nella sentenza: non di immunità si
tratta, ma di una sospensione processuale» (Zanon,
Ma quel Lodo non è vera immunità, in Corriere della Sera, 6 ottobre 2009).
[51] V. supra,
§ 2.
[52] Tale aspetto era stato còlto dai giuristi già in
occasione dei primi commenti alla l. n. 124/2008 (cfr., ad esempio, Marzaduri, Il futuro della norma è già segnato dalla giurisprudenza costituzionale,
in Guida al dir., 2008, n. 32, 9) e
ulteriormente evidenziato nei commenti pubblicati sulla stampa quotidiana a
ridosso della sentenza qui annotata (cfr. Grevi,
L’abito «ordinario» del Lodo Alfano
all’appuntamento della Consulta, in Corriere
della Sera, 4 ottobre 2009).
[53] Sentenza Corte
cost. n. 262/2009, cit., punto 5 del Considerato
in diritto.