ANGELA DI CARLO
LA DIFESA DEL MAGISTRATO
AMMINISTRATIVO O CONTABILE IN SEDE DISCIPLINARE
1. Le disposizioni oggetto della declaratoria di incostituzionalità.
D’ora in poi anche i magistrati
amministrativi o contabili, sottoposti a procedimento disciplinare, potranno
ricorrere alla difesa tecnica di un avvocato. È quanto ha stabilito
Il tribunale rimettente,
dopo aver affermato la rilevanza della questione, ha sostenuto la non manifesta
infondatezza della stessa in riferimento agli articoli 3, 24 e 108 della
Costituzione. Le disposizioni censurate sarebbero, a suo giudizio, in contrasto
con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e con il principio di
indipendenza dei giudici speciali previsto all’art. 108, comma 2, Cost., in
quanto tali norme, limitando le facoltà difensive del magistrato amministrativo
o contabile, finirebbero in sostanza «per menomare in parte anche il valore dell’indipendenza»,
così come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 497 del
2000[2]
a proposito dei magistrati ordinari. Le argomentazioni sviluppate dai giudici
costituzionali in quell’occasione sono state richiamate dal rimettente anche a
sostegno delle proprie considerazioni in merito al contrasto tra l’art. 3 Cost.
e le disposizioni impugnate. Quest’ultime, infatti, a detta del tribunale
amministrativo, porrebbero in essere una irragionevole disparità di trattamento
tra i magistrati amministrativi o contabili e i magistrati ordinari, per i
quali il divieto di ricorrere alla difesa da parte di un avvocato in sede di
disciplinare è venuto meno proprio con la sentenza n. 497 del
2000, che ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2,
del r.d.lgs n. 511 del 1946.
2. L’art. 108 Cost. come
parametro chiave della pronuncia di incostituzionalità.
La sentenza n. 87 del
2009 ha riconosciuto ai magistrati contabili e, in forza del rinvio operato
dall’art. 10, comma 9, della legge n. 117 del 1988 all’art. 34, comma 2, della
legge n. 186 del 1982, ai magistrati amministrativi la facoltà di avvalersi, se sottoposti a procedimento
disciplinare, di un avvocato del libero foro, in linea con quanto la medesima
Corte aveva già stabilito in riferimento ai magistrati ordinari nella citata sentenza n. 497 del
2000.
Sorge, allora, spontaneo
chiedersi se fosse davvero necessaria una nuova pronuncia in materia per le magistrature
amministrativa e contabile o se fosse, invece, possibile estendere a tali
magistrati, già in forza della sentenza n. 497 del
2000, la facoltà allora riconosciuta ai magistrati ordinari[3].
L’art. 32 della legge n. 186 del 1982 contiene, infatti, un espresso rinvio
alle norme in materia di sanzioni e procedimento disciplinare previste per i
magistrati ordinari, ma limita tale rinvio a quanto non diversamente disposto
dalla medesima legge, motivo per cui la dottrina ha interpretato in vario modo
la disposizione.
Da un lato, è stato,
infatti, sostenuto che l’inciso dell’art. 32, che limita il rinvio a «quanto
non diversamente disposto dalla presente legge», escluda il rinvio alle norme
sulla magistratura ordinaria in merito al procedimento, essendo quest’ultimo
compiutamente disciplinato dai successivi articoli 33 e 34[4].
Dall’altro, si è affermato che la non chiara formulazione della norma
permetterebbe, invece, di applicare alle altre magistrature le disposizioni sul
procedimento per i magistrati ordinari che «introducono ulteriori garanzie
procedimentali», tra le quali rientra indubbiamente la possibilità di avvalersi
della difesa tecnica da parte di un avvocato[5].
Fondata o meno che sia
sul piano teorico, va rilevato che la questione circa la possibile estensione
in via automatica della facoltà riconosciuta ai magistrati ordinari non deve
essersi posta in concreto successivamente alla sentenza del 2000, se da tale
pronuncia sono trascorsi ben nove anni prima che il problema venisse sottoposto
all’attenzione della Corte anche in merito alle magistrature speciali. Quel che
è certo, tuttavia, è che nella sentenza n. 497 del
2000 i giudici costituzionali avevano già posto le basi per la successiva
pronuncia. Allora, infatti,
Ed è proprio la garanzia
dell’indipendenza della magistratura a rappresentare lo snodo fondamentale
delle argomentazioni poste dalla Corte alla base della dichiarazione di
incostituzionalità delle norme che, in sede disciplinare, impongono ai
magistrati amministrativi o contabili di avvalersi esclusivamente della difesa
di un collega.
A sostegno di tale
affermazione, sarà utile richiamare brevemente i parametri costituzionali
violati, a detta del tribunale rimettente, dalle norme oggetto di censura. Si
tratta dell’art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento che tali
disposizioni creerebbero tra magistrati ordinari e magistrati amministrativi o
contabili; dell’art. 24 Cost., per la menomazione che l’obbligo di ricorrere
alla difesa da parte di un collega magistrato produrrebbe al diritto di difesa
del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare; infine, dell’art. 108
Cost., per l’incapacità del sistema di garanzie, predisposte in favore del
magistrato incolpato, di assicurare la sua indipendenza anche nel corso del
procedimento disciplinare.
Un’attenta lettura della
sentenza in commento alla luce di tali parametri induce a ritenere che, se la
questione di legittimità costituzionale non fosse stata sollevata anche in
riferimento all’art. 108 Cost., i soli articoli 3 e 24 Cost. non sarebbero
stati, di per sé, sufficienti a condurre alla declaratoria di
incostituzionalità delle disposizioni impugnate, per le ragioni che seguono.
L’esplicita previsione in
Costituzione di differenti modi di esercizio del potere giurisdizionale,
corrispondenti alla magistratura ordinaria e alle magistrature speciali, si è
tradotta sul piano della legislazione ordinaria nella predisposizione di
discipline autonome, le cui diversità ordinamentali sono molteplici. Tra queste
- per quel che qui rileva – vi è la differente natura che il legislatore ha
voluto attribuire al procedimento disciplinare. Giurisdizionale per quanto
concerne i magistrati ordinari[7],
amministrativa per quel che riguarda i magistrati amministrativi o contabili[8].
In riferimento a tale
diversa natura del procedimento, la Corte ha in passato affermato che «il
diritto di difesa non si estende, nel suo pieno contenuto, oltre la sfera della
giurisdizione, sino a coprire ogni procedimento contenzioso di natura
amministrativa»[9],
pur dovendosi garantire anche in tali casi il contraddittorio, al fine di
salvaguardare quel nucleo essenziale di valori inerenti i diritti inviolabili
della persona tutte le volte in cui, dal procedimento, possa derivare una
sanzione che incida su beni costituzionalmente protetti.
Circostanza che i giudici
costituzionali hanno, tra l’altro, ribadito di recente, in occasione di un
ricorso avente ad oggetto le norme che escludono che un agente di pubblica
sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, possa avvalersi della difesa
tecnica di un avvocato. In tale pronuncia[10]
la Corte, nel dichiarare non fondata la questione in riferimento ai medesimi
parametri costituzionali di cui si discute, ha nuovamente osservato che la
garanzia costituzionale del diritto di difesa è limitata al procedimento
giurisdizionale e che «l’esercizio della funzione disciplinare nell’ambito del
pubblico impiego, della magistratura e delle libere professioni si esprime con
modalità diverse che caratterizzano i relativi procedimenti a volte come
amministrativi, a volte come giurisdizionali […] in rispondenza a scelte del
legislatore, la cui discrezionalità in materia spazia entro un ambito molto ampio».
In quell’occasione come
nel caso che ha dato adito alla sentenza n. 87 del
2009, la natura amministrativa del procedimento disciplinare determina,
quindi, una parziale applicazione del diritto di difesa, che il legislatore può
diversamente regolare e adattare alle speciali esigenze dei singoli
procedimenti, «purché non ne siano pregiudicati lo scopo e le funzioni» (Corte
cost. sentenze
n. 159 del 1972, n. 119 del 1974
e n. 62 del 1975).
Pertanto, secondo
Alla luce della
richiamata giurisprudenza costituzionale appare, pertanto, ragionevole
sostenere quanto sopra affermato: se la questione di legittimità costituzionale
avverso le norme che limitano le facoltà difensive del magistrato
amministrativo o contabile fosse stata sollevata soltanto in riferimento agli
articoli 3 e 24 Cost., il giudice delle leggi avrebbe senz’altro dichiarato
infondata la questione, sulla base di quanto affermato nella precedente sentenza n. 182 del
2008 a proposito degli agenti di pubblica sicurezza.
Stante, dunque, la natura
amministrativa di entrambi i procedimenti disciplinari, che cosa conduce a
dichiarare incostituzionale per le magistrature speciali ciò che la medesima
Corte ha ritenuto ragionevole per gli agenti di pubblica sicurezza?
La risposta ci consente
di tornare ad occuparci del principio di indipendenza della magistratura.
3. La garanzia dell’indipendenza del magistrato in sede disciplinare.
Nel sistema di garanzie
previsto dalla Costituzione a tutela dei soggetti preposti alla funzione
giurisdizionale, il principio di indipendenza svolge un ruolo fondamentale. Ne
è prova il fatto che le norme costituzionali in materia di organizzazione
giudiziaria, relative tanto alla giurisdizione nel suo complesso quanto ai
singoli magistrati, sono tutte finalizzate, direttamente o indirettamente, alla
tutela del medesimo interesse pubblico[12]:
l’indipendenza, per l’appunto.
Di tale garanzia si
occupano, nello specifico, l’art. 104 Cost., che a proposito della magistratura
ordinaria stabilisce che essa «costituisce un ordine autonomo e indipendente»,
e l’art. 108 Cost., che al secondo comma attribuisce al legislatore ordinario
il compito di assicurare l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni
speciali. La diversa formulazione delle due disposizioni evidenzia, peraltro,
come i Costituenti si siano preoccupati di predisporre, direttamente nella
Carta costituzionale, un complesso di garanzie quanto più ampio e completo per
la magistratura ordinaria - l’unica a costituire un ordine in senso proprio -
mentre, per quanto concerne le magistrature speciali, si siano limitati a riconoscerne
l’indipendenza, rinviando al legislatore la determinazione delle forme e dei
modi per rendere effettiva tale garanzia[13].
Sulla base di tale
distinzione operata dalla Costituzione, la giurisprudenza costituzionale ha
costantemente affermato che, pur sussistendo un’innegabile unitarietà in senso
lato dell’esercizio della giurisdizione, nell’ambito di tale unitarietà
«trovano collocazione gli specifici e diversi ordinamenti delle indicate
magistrature, corrispondenti ai motivi di tradizione storica accolti dal
Costituente»[14].
Si tratta di una differenziazione organizzativa che i giudici costituzionali
hanno ritenuto non pregiudichi di per sé «il corretto esercizio della funzione
giurisdizionale», dal momento che gli art. 102 e 103 Cost. «espressamente
riconoscono l’esistenza di modi diversi di esercizio di tale funzione,
identificabili nella magistratura ordinaria e nelle altre magistrature, le
quali, in coerenza con tali aspetti differenziati, conservano peculiarità di
ordinamento quanto alla rispettiva organizzazione ed alle relative garanzie
costituzionali»[15].
E proprio in riferimento
a queste ultime, la diversa disciplina che ha connotato nel tempo i magistrati
speciali sembra aver risentito dell’idea che
Se questo è il quadro sul
quale va ad incidere la sentenza che si commenta, pare allora potersi affermare
che con tale pronuncia
In materia di
responsabilità disciplinare, la necessità di garantire l’indipendenza del
magistrato rileva in modo particolare «perché la prospettiva dell’irrogazione
di una sanzione può condizionare il magistrato nello svolgimento delle funzioni
che l’ordinamento gli affida».
In altre parole – e per
tornare a quanto si diceva nel precedente paragrafo – la natura amministrativa
del procedimento disciplinare relativo ai magistrati amministrativi e ai
magistrati contabili attiene ad una scelta che il legislatore ha compiuto
nell’esercizio della discrezionalità che gli è propria. Ciò, in linea di
principio, dovrebbe comportare un’applicazione più attenuata delle garanzie
difensive derivanti dall’art. 24 Cost., non trattandosi di un procedimento a
carattere giurisdizionale[18].
Tuttavia, ogni qual volta sia controversa la responsabilità disciplinare di un
magistrato, la necessità che venga garantita pienamente la sua indipendenza
impone che, anche in tale sede, sia assicurata la massima espansione del
diritto di difesa, diversamente da quanto avviene in riferimento ad altre
categorie di pubblici dipendenti per i quali non sussiste tale esigenza[19].
Il riconoscimento del
principio di indipendenza quale valore irrinunciabile per i magistrati di ogni
giurisdizione consente di ricostruire la portata generale di tale principio in
sede disciplinare, alla luce della giurisprudenza costituzionale che negli anni
ha provveduto a smantellare alcuni istituti di chiaro stampo corporativo.
Il tassello conclusivo
del quadro tracciato dalla giurisprudenza costituzionale è rappresentato dalla
più volte citata sentenza
n. 497 del 2000, efficacemente definita in dottrina “una rivoluzione
copernicana” «sviluppatasi sui tre distinti piani della legislazione, della
dottrina e della giurisprudenza costituzionale, che nel rapporto tra ordine dei
magistrati e mondo esterno ha sottratto al primo la posizione di centro
dell’universo giuridico rappresentato dall’insieme delle prerogative (prestigio
e indipendenza del corpo) che con il procedimento disciplinare si riteneva di
dover tutelare e rafforzare»[23].
Con tale pronuncia
La nuova concezione di
indipendenza nel quadro della responsabilità disciplinare del magistrato ha,
quindi, costituito la premessa teorica per la dichiarazione di
incostituzionalità della norma che limitava le facoltà difensive del magistrato
ordinario e, ora, anche per quella concernente il magistrato amministrativo o
contabile.
4. La difesa tecnica nel procedimento disciplinare come garanzia della
massima espansione del diritto di difesa: il preludio a nuove aperture da parte
della Corte?
Nel momento in cui
Nella sentenza in
commento, i giudici costituzionali, pur ritenendo ancora giustificabile la
difesa da parte di un altro magistrato, in quanto «ritenuto in possesso
dell’idoneità tecnica per assumere una siffatta difesa», affermano la manifesta
irragionevolezza del divieto di farsi assistere da un avvocato, che è «la
figura alla quale l’ordinamento riconosce in primo luogo questa funzione». Una
conclusione che oggi può apparire ovvia, ma che in realtà è frutto della svolta
compiuta in materia dalla Corte – e da tempo auspicata in dottrina[25]
- con la più volte citata sentenza n. 497 del
2000.
Proprio in
quell’occasione
La stessa Corte
costituzionale, pur non essendo potuta entrare nel merito della questione prima
della decisione del
Quel che è interessante
notare, tuttavia, è che, trattasi di autodifesa o di difesa da parte di un
collega, il ragionamento della Corte in merito alle facoltà difensive del
magistrato sottoposto a procedimento disciplinare fino al
Con la sentenza n. 497 del
2000
È, quindi, evidente che
con la sentenza
n. 87 del 2009 il giudice delle leggi non ha fatto altro che estendere alle
magistrature speciali le argomentazioni sviluppate in riferimento ai magistrati
ordinari al termine di un lungo iter giurisprudenziale, sia per quanto concerne
il superamento del divieto di ricorrere alla difesa tecnica in sede
disciplinare sia per quanto attiene alla riconfermata possibilità di avvalersi
della difesa di un collega. Si tratta di un’estensione che si presenta quale
corollario dell’equiparazione di tutte le magistrature sul piano
dell’indipendenza effettuata dalla Corte, equiparazione che prescinde dalla
natura del procedimento disciplinare mediante il quale viene accertata la
responsabilità del magistrato. E proprio tale ultima circostanza offre lo
spunto per svolgere alcune considerazioni conclusive.
L’apertura realizzata
dalla Corte con la sentenza in commento appare indubbiamente apprezzabile, ma
solleva qualche interrogativo in merito al rapporto tra la premessa di partenza
e la conclusione cui pervengono i giudici costituzionali. Se, infatti,
l’esigenza di assicurare l’indipendenza del magistrato è tale da comportare la
necessità che ogni qual volta vi sia il rischio di indebiti condizionamenti,
interni od esterni, il valore in questione non subisca alcuna irragionevole
compressione, ci si chiede se da una simile premessa non si possa giungere a
dubitare della ragionevolezza del persistere di procedimenti disciplinari
aventi differente natura.
In altre parole, posto
che l’aver disciplinato il procedimento relativo ai magistrati amministrativi e
contabili secondo gli schemi del procedimento amministrativo rientra, come già
detto, nella discrezionalità del legislatore, che ben avrebbe potuto - e
potrebbe - circondare l’accertamento
della responsabilità disciplinare dei magistrati speciali con le garanzie
proprie del procedimento giurisdizionale[31],
sorge spontaneo domandarsi se dalla sentenza in esame si possa ricavare
l’affermazione, sia pur implicita, della strumentalità del modello
giurisdizionale rispetto ad una effettiva tutela del valore dell’indipendenza.
Ciò in quanto
In conclusione, pur non
essendo ancora possibile affermare l’esistenza di un binomio
giurisdizionalità-indipendenza, se il passo in avanti compiuto dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 87 del
2009 non si rivelerà un’isolata apertura, non è azzardato ipotizzare che un
ulteriore avvicinamento tra le garanzie assicurate in sede disciplinare alle
diverse magistrature possa condurre verso una riforma della conformazione del
procedimento disciplinare delle magistrature amministrativa e contabile[32].
[1] Tar
Piemonte, sez. I, 30 luglio 2008 n.
[2] Corte cost., 16
novembre 2000, n. 497, in Giur.
cost., 2000, 3830, con note di R.
Pinardi, Un avvocato per il giudice
od un giudice come avvocato? Luci ed ombre di una pronuncia (comunque)
apprezzabile, ivi, 3841; F. dello Sbarba, La difesa dei magistrati da parte degli avvocati nei giudizi
disciplinari, ivi, 3849; F.
Biondi, Il diritto di difesa,
l’indipendenza del magistrato e la tutela del prestigio dell’ordine giudiziario
nel procedimento disciplinare, ivi,
3857. Su tale sentenza si avrà modo di tornare
ampiamente in seguito, in quanto essa costituisce il tassello conclusivo di una
lunga vicenda giurisprudenziale, che ha condotto, infine, la Corte a dichiarare
l’illegittimità costituzionale della norma – art. 34, comma 2, del r.d.lgs 31
maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura) – che impediva ai
magistrati ordinari di avvalersi di un avvocato del libero foro in sede
disciplinare.
[3] A proposito della possibilità di
estendere alle altre magistrature in modo automatico le modifiche in senso più
favorevole riguardanti espressamente una sola magistratura, si fa presente un
orientamento giurisprudenziale in materia di trattamento economico dei
magistrati. Tale giurisprudenza, muovendo dalla premessa che nella disciplina
in esame il legislatore fosse costituzionalmente vincolato ad una sorta di
agganciamento reciproco ed automatico del trattamento economico di tutte le
magistrature e degli avvocati dello Stato, aveva delineato il principio in base
al quale «ogni mutamento di trattamento economico in favore di una delle
categorie di magistrati si ripercuote automaticamente e si estende in via
interpretativa in favore delle altre, anche senza bisogno di una norma ad hoc». A sostegno del principio
dell’assoluta parità retributiva tra magistrati, la giurisprudenza aveva
richiamato quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del
1978, laddove si constatava come «dato obiettivo costantemente rilevabile
nella disciplina legislativa di tale materia» fosse l’assoluto parallelismo tra
il trattamento economico dei magistrati ordinari e quello degli altri
magistrati, in ossequio alla necessità che, alla stregua del principio della
proporzionalità retributiva sancito dall’art. 36 Cost., la retribuzione fosse
prevista dalla legge «in misura identica per le corrispondenti qualifiche di magistrati
ordinari e di quelli del Consiglio di Stato». Si veda Tar Lazio, sez. I, 15 luglio 1981 n.
[4] In tal senso, v. Levi Sandri, Sul nuovo ordinamento della giustizia amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 1983, 418. Il citato articolo 33 della legge n.
186 del 1982 disciplina la titolarità dell’azione disciplinare ed istruttoria
del procedimento, mentre l’articolo 34 - oggetto di censura nella sentenza in
esame – regola la fase di trattazione del procedimento e la relativa decisione.
[5] Cfr. R.
Chieppa, Ordinamento della
giurisdizione amministrativa, in Enc.
Giur. Treccani, XXII, Roma, 1990,
[7] Sulla natura giurisdizionale del
procedimento disciplinare dinanzi alla sezione del CSM, si veda Corte cost., 2
febbraio 1971, n. 12, in Giur. cost.,
83, con nota di G. Zagrebelsky, La sezione disciplinare del Consiglio
superiore della magistratura come giudice a quo: possibili implicazioni. In
tale pronuncia la Corte osserva come il legislatore abbia conferito, in modo
esplicito e non controvertibile, «carattere giurisdizionale alla funzione ora
esercitata dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura» affinché «al provvedimento destinato ad incidere sullo stato
dell'interessato, adottato con un atto che la legge definisce
"sentenza" (cfr. la rubrica dell'art. 35 del r.d.l. n. 511 del 1946)
e contro il quale è ammesso il ricorso alle Sezioni unite della Cassazione
(art. 17, ultimo comma, legge 24 marzo 1958, n. 195), si addivenga con le
garanzie che sono proprie e tipiche della funzione giurisdizionale». Tuttavia, F. Biondi, Il diritto di difesa, l’indipendenza del magistrato e la tutela del
prestigio dell’ordine giudiziario nel procedimento disciplinare, in Giur. cost., 3857, fa notare come «la
Corte, successivamente, non solo non era andata esente da “ripensamenti” (sent. n. 100 del
1981), ma soprattutto, per lungo tempo, non aveva tratto da essa (la natura giurisdizionale del procedimento,
ndr) le dovute conseguenze, tanto
che la dottrina affermava che il procedimento disciplinare si trovava in “un
limbo non ben definito”».
[8] Il carattere indiscutibilmente
amministrativo del procedimento disciplinare a carico dei magistrati
amministrativi o contabili è dimostrato da numerosi elementi. Tra questi, si
ricorda la natura dell’organo competente, i soggetti titolari dell’azione
disciplinare, la forma del provvedimento, le regole che disciplinano il
procedimento, il regime delle impugnazioni. Per una panoramica a riguardo, si
rimanda a L. Salvato, Osservazioni sul procedimento disciplinare
nei confronti dei magistrati amministrativi, in Giust. civ., 2002, 9, 2172.
[9] Corte cost.,13
luglio 1995, n. 356, in Giur. cost.,
1995, 2631. La Corte tradizionalmente esclude che il diritto di difesa possa
essere invocato in riferimento ad un procedimento amministrativo, ancorché
disciplinare. Cfr., ad esempio, la sentenza 239 del
1988, relativa al procedimento disciplinare nel pubblico impiego; la sentenza 380 del
1992, in riferimento alla difesa nel procedimento disciplinare innanzi ai
Consigli nazionali degli ordini forensi; la sentenza n. 57 del
1995, che esclude la riferibilità dell’art. 24 ad un procedimento a
carattere disciplinare; nonché, del medesimo anno, le sentenze nn. 71,
128 e 210.
[10] Corte cost. 30
maggio 2008, n. 182, in Giur. cost.,
2008. La questione di legittimità costituzionale ha ad oggetto l’art. 20, comma
2, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale
dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi
procedimenti), nella parte in cui impone all’agente sottoposto a procedimento
disciplinare di farsi assistere da un difensore appartenente alla propria
Amministrazione, escludendo in tal modo il ricorso ad un avvocato del libero
foro.
[12] Sul punto, G. Landi, voce Magistrato
(dir. vig.), in Enc. dir., vol.
XXV, Milano, 1990, 199. Sempre sull’indipendenza in generale, A. Meloncelli, voce Giurisdizione (disciplina costituzionale della), in Enc. giur. Trecc., vol. XIX, 1989, Roma;
U. Goldoni, voce Magistrati e magistratura, ivi, vol. XXIII, 1991, Roma.
[13] G.
Landi, voce Magistrato (dir. vig.),
cit., rileva a tal proposito che «non si può nemmeno far torto ai Costituenti
per non aver dettato, per gli altri ordini di magistratura, qualche
disposizione diretta, perché […] le singole magistrature hanno caratteristiche
ed esigenze proprie, che mal si prestano ad essere regolate in un testo
sintetico, qual è (o dovrebbe essere) una carta costituzionale». A suo
giudizio, pertanto, il problema risiede nella «constatata inettitudine del
legislatore ordinario», che non ha provveduto a dare compiuta attuazione alle
direttive della Costituzione.
[15] V. sentenze Corte cost. 16
gennaio 1978, n. 1; 4 dicembre 2000, n.
542; 21
dicembre 2001, n, 434.
[16] La diffidenza manifestata in sede di
Assemblea costituente nei confronti delle magistrature speciali ha, tra
l’altro, condotto all’enunciazione del divieto contenuto nell’art. 102, comma
2, Cost., laddove si prevede che «non possono essere costituiti giudici
straordinari o giudici speciali». Divieto, peraltro, da leggersi in combinato
disposto con la VI disposizione transitoria e finale della Costituzione.
[17] A tal proposito, A. D’Aloia, Autonomia e indipendenza dei giudici delle magistrature speciali:
riforme legislative e orientamenti della Corte costituzionale, in Pitruzzella-Tarchi (a cura di), Giudici e giurisdizioni nella giurisprudenza
della Corte costituzionale, Torino, 1997, 78, osserva che la Corte
costituzionale si è quasi sempre orientata nel senso di «giustificare le
pesanti disomogeneità di assetto “statutario” tra i diversi complessi
magistratuali, condividendo sostanzialmente la rappresentazione del sistema
costituzionale della giurisdizione secondo una logica di differenziazione netta
tra la magistratura ordinaria, punto di riferimento centrale dell’istituzione
“giustizia”, e le altre magistrature, collocate lungo una linea di progressiva
specialità, incidente in modo sensibile sulla conformazione dei livelli di
autonomia e indipendenza». Da ultimo, A.
Bertoldini, La Corte
costituzionale sancisce l’illegittimità costituzionale del divieto posto ai
magistrati amministrativi e contabili di avvalersi di un avvocato di fiducia
nel procedimento disciplinare, in Foro
Amm. CDS, 2009, 3, 629.
[18] V. sul punto nota 9.
[19] Si richiama a tal proposito la sentenza n. 182 del
2008 relativa agli agenti di pubblica sicurezza (v. nota 10). In merito
alla difesa tecnica nell’ambito dei procedimenti disciplinari a carico di
professionisti, si veda anche Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2007, n. 835,
laddove si afferma che «l’assenza della difesa tecnica non è pertanto causa di
nullità del procedimento e non confligge con i principi costituzionali del
diritto di difesa, ben potendo il professionista farne a meno, attesa la natura
squisitamente tecnica delle questioni coinvolte». Nello stesso senso, Cass.
civ., S.U., 9 dicembre 2004, n. 23000; Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2006, n.
12119.
[20] Così F.
Biondi, Il diritto di difesa,
l’indipendenza del magistrato e la tutela del prestigio dell’ordine giudiziario
nel procedimento disciplinare, cit., 3857 e ss, la quale a sua volta
richiama F. Rigano, Status costituzionale dei giudici e
applicabilità della disciplina del pubblico impiego, in Giur. cost., 1992, 2221 e S.
Panizza, L’assistenza al
magistrato nel procedimento disciplinare tra Corte costituzionale e Sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in Giur. cost., 1995, 559.
[21] Tra le tante, si veda Corte cost. 2
febbraio 1971, n. 12; 22 giugno 1992, n.
289; 8
giugno 1994, n. 220; 13 aprile 1995, n.
119.
[22] Ci si riferisce, oltre alle norme in
materia di tutela del diritto di difesa del magistrato (v. sentenze nn. 220
del 1994 e 119
del 1995), a quelle relative alla segretezza delle udienze dinanzi alla
sezione disciplinare del CSM (v. sentenza n. 12 del
1971, nonché il successivo intervento del legislatore con la l. n. 74 del
1990), all’imprescrittibilità dell’azione disciplinare (v. sentenze nn. 145
del 1976 e 196
del 1992) ed alla mancata tipizzazione degli illeciti previsti nel r.d.lgs
n. 511 del 1946 (v. sentenza n. 100 del
1981).
[23] F.
dello Sbarba, La difesa dei
magistrati da parte degli avvocati nei giudizi disciplinari, in Giur. cost., 2000, 3850.
[24] Così R.
Pinardi, Un avvocato per il
giudice od un giudice come avvocato? Luci ed ombre di una pronuncia (comunque)
apprezzabile, in Giur. cost., 2000, 3845.
[25] Numerosi i contributi in tal senso.
Tra i tanti, si segnala G. Fici, L’assistenza difensiva nel giudizio
disciplinare a carico dei magistrati, in Giust. civ., 1986, 2522, per il quale la difesa tecnica costituiva
già allora la soluzione ottimale, sacrificata per l’esigenza di tutelare altri
interessi ritenuti meritevoli; V. Mele, La responsabilità disciplinare dei
magistrati, 1987,
secondo il quale l’unica ragione sostanziale che ha determinato la scelta
legislativa è quella diretta a mantenere nell’ambito della corporazione ogni
conoscenza ed ogni valutazione degli illeciti disciplinari dei magistrati; G. Silvestri, La difesa del magistrato nel
procedimento disciplinare tra garanzia oggettiva e tutela corporativa, in Giur. cost., 1994, 1837, il quale giudica il divieto di avvalersi di un avvocato «un
retaggio di un tempo in cui la sanzione disciplinare a carico del magistrato
era affare che interessava la corporazione e lo stesso magistrato, non la
collettività»; C. Montali, Il procedimento disciplinare a carico dei
magistrati ordinari, in Riv. Trim.
dir. proc. civ., 1997, 1073, che osserva come il giudice costituzionale
abbia mostrato scarsa sensibilità verso i problemi relativi all’indipendenza
interna in un momento così delicato per il magistrato, quale è per l’appunto
l’esser sottoposto a procedimento disciplinare.
[26] Consiglio sup. magistratura, 28
maggio 1974.
[27] Corte cost. 8
giugno 1994, n. 220, in Giur cost.,1994,
1832, con nota di G. Silvestri, La difesa del magistrato nel procedimento disciplinare tra garanzia
oggettiva e tutela corporativa, 1837.
[28] Corte cost. 13
aprile 1995, n. 119, in Giur cost.,1995,
547, con nota di S. Panizza, L’assistenza al magistrato nel procedimento
disciplinare tra Corte costituzionale e Sezione disciplinare del Consiglio
superiore della magistratura, 559.
[29] Così G.
Silvestri, La difesa del
magistrato, cit, 1837. Anche G. Fici, L’assistenza difensiva nel giudizio disciplinare a carico dei
magistrati, cit., osserva come «sia stata immanente la preoccupazione che
attraverso la presenza nella
procedura di soggetti estranei alla magistratura potesse essere aperta una
breccia in quell’alone di sacralità e segretezza che, invece, per il prestigio
dell’Ordine giudiziario, si riteneva fosse necessario mantenere».
[30] Sempre G. Fici, L’assistenza
difensiva nel giudizio disciplinare a carico dei magistrati, cit., 2525. V. Mele, La responsabilità disciplinare dei magistrati, cit., osserva anche
che sussiste il rischio di una sudditanza psicologica nei confronti del
collegio giudicante da parte del magistrato che assume la difesa di un collega,
dal momento che tale organo costituisce pur sempre una sezione interna al
Consiglio superiore della magistratura, cui spetta ogni valutazione in merito a
promozioni, trasferimenti, incarichi direttivi e, più in generale, alla
carriera dei magistrati.
[31] A tal proposito, vale la pena ricordare che il legislatore, per quanto concerne l’ulteriore magistratura speciale prevista dall’art. 103 Cost., nell’istituire il Consiglio della magistratura militare con la legge 30 dicembre 1988, n. 561 al fine di colmare una lacuna normativa, «ha preso a modello il Consiglio superiore della magistratura, sino a definire le attribuzioni e le procedure dell’istituto che si andava a costituire mediante rinvio alle attribuzioni ed alle procedure previste per l’organo di garanzia dell’indipendenza della magistratura ordinaria», finendo così per configurare come giurisdizionale il procedimento disciplinare che si svolge dinanzi ad esso (Corte cost. 1 marzo 1995, n. 71).
[32] In tal senso anche L. Salvato, Osservazioni sul procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati
amministrativi, cit, il quale sostiene la necessità di approfondire
l’indifferibilità di una riforma che assicuri, in sede disciplinare, piena
tutela al principio di indipendenza della magistratura amministrativa.