ALFONSO CELOTTO
FUORI RUOLO DEI
PROFESSORI UNIVERSITARI: QUANDO IL LEGISLATORE CAMBIA IDEA*
(Corte
costituzionale, sentenza n. 236 del 2009)
1. Per valutare compiutamente l’attesa
decisione della Corte costituzionale sul fuori ruolo dei professori
universitari occorre ricostruire l’evoluzione storica dell’istituto.
I passaggi fondamentali sono cinque. Questo
peculiare regime è stato: a) introdotto
nel 1947; b) modificato per i professori entrati in servizio dopo il 1980; c)
ridotto a tre anni nel 1995; d) eliminato per i professori entrati in servizio
dopo il 2005; e) abolito retroattivamente per tutti i professori nel 2007.
Più specificamente, occorre partire dal testo unico
delle leggi sull'istruzione superiore (R.D. 31 agosto 1933 n. 1592), che,
all’art. 110, prevedeva che i professori universitari venissero collocati a
riposo compiuto il 75° anno di età.
a) Fu il decreto legislativo del Capo provvisorio
dello Stato 26 ottobre 1947, n. 1251, ratificato, con modificazioni, dalla
legge 4 luglio 1950, n. 498, a disporre che i professori universitari, compiuto
il settantesimo anno di età, «assumono la qualifica di professori fuori ruolo
fino a tutto l’anno accademico durante il quale compiono il settantacinquesimo
anno (art. 1, primo comma)». Si disponeva che i professori fuori ruolo
conservavano le prerogative accademiche inerenti allo stato di professori di
ruolo, con l’integrale trattamento economico ad esso relativo, ed erano tenuti
a svolgere attività scientifica e didattica, avuto riguardo alle disponibilità
degli istituti e dei mezzi e specialmente in relazione alle esigenze delle
ricerche sperimentali.
Tale disciplina era integrata dalla legge 18 marzo
1958, n. 311, ove si specificava anche che i professori fuori ruolo potevano
essere eletti all’ufficio di rettore o di preside e che, ai fini della
determinazione del numero legale richiesto per la validità delle adunanze del
Consiglio di facoltà, si teneva conto della loro presenza soltanto se
intervenuti all’adunanza.
b) La riforma universitaria del 1980 confermava
l’istituto del fuori ruolo.
In particolare, la legge-delega 21 febbraio 1980,
n. 28, all’art. 12, primo comma, lettera p) stabiliva tra i criteri direttivi che, per i professori ordinari da
inquadrare in ruolo a seguito di concorsi successivi a quelli banditi alla data
di entrata in vigore della legge, il collocamento fuori ruolo decorresse
dall’anno accademico successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di
età, mentre il pensionamento doveva avere luogo cinque anni dopo il
collocamento fuori ruolo. Invece, per i professori ordinari in servizio alla
data di entrata in vigore della legge e per quelli da inquadrare a seguito di
concorsi già banditi alla stessa data, il collocamento fuori ruolo dopo il
compimento del sessantacinquesimo anno di età, sarebbe stato disposto soltanto
a domanda.
In sede di esercizio della delega, l’art. 19 del
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 stabiliva il collocamento fuori ruolo dei
professori ordinari al compimento del sessantacinquesimo anno di età e il
collocamento a riposo cinque anni dopo il collocamento fuori ruolo, mentre, per
i professori ordinari in servizio alla data di entrata in vigore della legge n.
28 del 1980 e per quelli nominati in ruolo a seguito di concorsi già banditi
alla medesima data, si stabiliva che sarebbero state applicate «le norme già
vigenti», salva la richiesta anticipata di collocamento fuori ruolo.
Con legge 7 agosto 1990, n. 239, si stabiliva che
il collocamento fuori ruolo dei docenti di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 382
del 1980 «è opzionale, fermo restando il collocamento a riposo dall’inizio
dell’anno accademico successivo al compimento del settantesimo anno di età».
Con l’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 503 si dava facoltà ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici
non economici (compresi i professori universitari) di permanere in servizio per
un periodo massimo di un biennio oltre i limiti del collocamento a riposo (per
cui anche il fuori ruolo si poteva spostare avanti di due anni).
c) Con legge 28 dicembre 1995, n. 549, la durata
del collocamento fuori ruolo dei professori universitari veniva ridotta a tre
anni, sia per i vincitori di concorsi successivi all’entrata in vigore della
legge n. 28 del 1980, sia per quanti beneficiavano della disposizione transitoria
di cui all’art. 110 del d.P.R. n. 382 del 1980.
d) Con legge 4 novembre 2005, n. 230, il
collocamento a riposo dei professori universitari (ordinari e associati),
nominati secondo le disposizioni della legge stessa, era previsto al termine
dell’anno accademico nel quale si compiva il settantesimo anno di età, compreso
il biennio di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992. Inoltre, veniva
abolito il collocamento fuori ruolo (art. 1, comma 17); ma – punto importante -
per i professori in servizio alla data di entrata in vigore della legge, era
fatto salvo lo stato giuridico e il trattamento economico in godimento (art. 1,
comma 19 della legge n. 230 del 2005).
e) Infine, con l’art. 2, comma 434, della legge n.
244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), viene disposta l’abolizione del
fuori ruolo, con progressiva riduzione del medesimo per i professori che già ne
godessero. In particolare, stabilito che il periodo di fuori ruolo dei
professori universitari, precedente alla quiescenza, era ridotto a due anni
accademici a decorrere dal 1° gennaio 2008 e coloro che, alla data indicata,
erano in servizio come professori nel terzo anno accademico fuori ruolo,
venissero posti in quiescenza al termine dell’anno accademico. A decorrere dal
1° gennaio 2009, il detto periodo di fuori ruolo era ridotto ad un anno
accademico e coloro che, alla medesima data, erano in servizio come professori
nel secondo anno accademico fuori ruolo, venissero posti in quiescenza al
termine dell’anno accademico. Infine, a decorrere dal 1° gennaio 2010, il
periodo di fuori ruolo dei professori universitari era definitivamente abolito
e coloro che, alla medesima data, erano in servizio come professori nel primo
anno accademico fuori ruolo fossero posti in quiescenza al termine di tale
anno.
2. La Corte costituzionale affronta la questione di costituzionalità del
fuori ruolo solamente riguardo ai professori per i quali fosse stato già
disposto con formale provvedimento amministrativo il collocamento fuori ruolo.
Il giudice delle leggi ragiona sulla base dei
principi dell’applicazione della legge nel tempo, avvalendosi di canoni
giurisprudenziali consolidati, in tema di affidamento e retroattività.
Il punto nodale è proprio nella differenziazione
tra i professori che sono già in posizione di fuori ruolo e i professori ancora
in servizio che, secondo la normativa previgente, sarebbero andati in fuori
ruolo prima della quiescenza.
Lo spartiacque è il momento di entrata in vigore
della nuova disciplina (il 1° gennaio 2008). Come osserva la Corte “per i
professori non ancora posti fuori ruolo al momento di entrata in vigore della
legge – non titolari, dunque, di un affidamento qualificato – il periodo di
fuori ruolo avrebbe potuto anche essere disciplinato diversamente, senza alcuna
salvaguardia di posizioni giuridiche, ma simile salvaguardia era invece
necessaria nei confronti dei ricorrenti. Ne consegue che la disciplina di
diritto transitorio in argomento tratta, dunque, nello stesso modo, salva la
differenza della entità della riduzione (rispettivamente di un anno o di due
anni), situazioni radicalmente diverse e, precisamente, posizioni di stato in
atto (quelle di coloro che già si trovavano in posizione di fuori ruolo) e mere
aspettative (quelle dei professori ancora in servizio)” (par. 5 Cons.
diritto).
Aspettativa e affidamento. Questo è il punto.
Tradizionalmente si è molto discusso di quando una
situazione di mera aspettativa in sé non tutelabile, si consolidasse in
affidamento e divenisse, quindi, tutelabile.
Nel caso del fuori ruolo, la Corte costituzionale
individua agevolmente il punto che consente la tutelabilità nella
circostanza di essere già stati posti in regime di fuori ruolo e, quindi, nel
già avere perfezionato tale peculiare status.
La Corte differenzia lo scrutinio di costituzionalità
della posizione dei professori ancora in servizio (quelli che del fuori ruolo
avevano soltanto una aspettativa) rispetto alla posizione dei professori che in
fuori ruolo già erano (e quindi godevano di un affidamento qualificato).
Per questi primi non può che rilevare come “il fine di
abolire per il futuro l’istituto del collocamento fuori ruolo per tutti i
professori universitari rientra nella discrezionalità del legislatore e, del
resto, s’inserisce in un indirizzo legislativo già in precedenza perseguito
(artt. 17 e 19 della legge n. 230 del 2005, la quale tuttavia fece salvo lo
stato giuridico e il trattamento economico in godimento per i professori in
servizio alla data di entrata in vigore della legge stessa)”.
Differente
è la situazione per i professori già fuori ruolo. La Corte osserva come debba
essere compiuto un “necessario bilanciamento …
con la tutela da riconoscere al legittimo affidamento nella sicurezza
giuridica, nutrito da quanti, sulla base della normativa previgente, hanno conseguito
una situazione sostanziale consolidata.
In
questa prospettiva va notato che la contrazione del periodo di fuori ruolo, già
in corso di svolgimento, operata dalla norma censurata, riguarda una posizione
giuridica concentrata nell’arco di un triennio, interessa una categoria di
docenti numericamente ristretta, non produce significative ricadute sulla
finanza pubblica, non risponde allo scopo di salvaguardare equilibri di
bilancio o altri aspetti di pubblico interesse e neppure può definirsi funzionale
all’esigenza di ricambio generazionale dei docenti universitari, ove si
consideri che essi, con l’inizio del fuori ruolo, perdono la titolarità della
cattedra che rimane vacante. Il sacrificio imposto ai docenti interessati, che
già si trovano nello stato di fuori ruolo, dunque, si rivela ingiustificato e
perciò irragionevole, traducendosi nella violazione del legittimo affidamento –
derivante da un formale provvedimento amministrativo – riposto nella
possibilità di portare a termine, nel tempo stabilito dalla legge, le funzioni
loro conferite e, quindi, nella stabilità della posizione giuridica acquisita”
(par 6.3 Cons. diritto).
Si
tratta di una precisazione che si allinea ad un consolidato orientamento circa
l’operatività della c.d. retroattività impropria. La Corte, con riferimento ai
rapporti di durata, ha più volte affermato il principio secondo cui il
legislatore, in materia di successione di leggi, dispone di ampia
discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di
quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi
perfetti, salvo – in caso di norme retroattive – il limite imposto in materia
penale dall’art. 25, secondo comma, Cost., e comunque a condizione che la
retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e
non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente
protetti.
3. Ad una prima lettura, la sentenza n. 236 del
2009 sembra del tutto condivisibile. Il legislatore non poteva travolgere
il fuori ruolo dei professori che già ne godessero e bene ha fatto la Corte a
dichiarare incostituzionale la legge del 2007.
Tuttavia, re melius perpensa, la decisione
non convince a pieno. Davvero la posizione rispetto al fuori ruolo dei
professori universitari ancora in servizio è soltanto di mera aspettativa?
Forse, a ben vedere, gran parte dei professori
universitari in servizio alla data di entrata in vigore della legge finanziaria
per il 2008 godevano di un qualcosa in più di una aspettativa al fuori ruolo.
Sappiamo che non è agevole distinguere tra
aspettativa, affidamento e diritto quesito. Ma partiamo da uno dei tentativi
dottrinari di differenziare il livello di consolidamento delle situazioni
giuridiche: “La tutela dell’affidamento presuppone un’aspettativa legittima: non il
semplice credere che un dato evento si verificherà (aspettativa semplice), né
la convinzione, fondata su informazioni attendibili, che esso accadrà
(aspettativa ragionevole); ma piuttosto la previsione del permanere o del
modificarsi di una determinata situazione, sulla base di una razionale
conoscenza ed esperienza e della vigenza di una determinata disciplina
giuridica” (così Lorello, La tutela del legittimo affidamento tra
diritto interno e diritto comunitario, Torino, 1998, 157).
Cerchiamo
di applicare tale graduazione al caso del fuori ruolo.
All’entrata
in vigore della legge finanziaria per il 2008, vanno differenziate tre
posizioni:
a)
i professori entrati in servizio dopo il 2005;
b)
i professori entrati in servizio prima del 2005 ed ancora
in servizio;
c)
i professori entrati in servizio prima del 2005 e già in
fuori ruolo.
Esclusi i primi, che non possono vantare alcuna
posizione soggettiva rispetto al fuori ruolo in forza della legge n. 230 del 2005,
la Corte costituzionale prende in considerazione la seconda e la terza
categoria, ritenendo gli uni titolari di “mera aspettativa” e gli altri di
“affidamento qualificato”.
A ben vedere i professori già in fuori ruolo al
2008 non sono titolari di un legittimo affidamento, bensì di un vero e proprio diritto
già perfetto. Sono stati collocati fuori ruolo con la disciplina del fuori
ruolo triennale e avevano pieno diritto a goderne per l’intero triennio. In
questo, la decisione della Corte che qui si commenta giunge a conclusioni
condivisibili, anche se non qualifica correttamente la posizione soggettiva.
I professori in servizio al 2005 e non ancora in
fuori ruolo al 1° gennaio 2008 godono di una posizione giuridica più
consolidata della mera aspettativa. Non soltanto erano stati assunti nella
vigenza dell’istituto del fuori ruolo, ma soprattutto – questo è il punto – si
sono visti confermare l’applicazione del fuori ruolo dal legislatore e
solamente due anni prima dell’entrata in vigore della legge finanziaria del
2005. Erano (e sono) titolari di un legittimo affidamento al fuori ruolo!
Voglio dire, che – ad avviso di chi scrive – la
Corte costituzionale ha effettuato una impropria degradazione delle
posizioni di affidamento nel fuori ruolo dei professori universitari,
ritenendo titolari di un affidamento
quelli che invece godevano un diritto già perfetto e titolari di una mera
aspettativa quanti avevano un vero affidamento.
Sappiamo bene, come più volte la Corte
costituzionale ha ribadito, che il legislatore ben può “cambiare idea” rispetto
alla gestione dei rapporti di durata. Tuttavia le modifiche “non possono
trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni
sostanziali poste in essere da leggi precedenti” (così tra le molte, sent. n. 349 del
1985; ma trae posizione è ribadita anche nella sentenza in commento).
A ben
riflettere i professori universitari, assunti dopo il 2005 e ancora in servizio
al 1° gennaio 2008, non hanno solamente una aspettativa al collocamento fuori
ruolo prima della quiescenza. Ma un vero e proprio affidamento legittimo, reso legittimo e rinforzato dalla legge n.
230 del 2005, che - eliminando l’istituto del fuori ruolo per i nuovi assunti -
lo ha confermato per i professori ancora in servizio.
Il
legislatore non può volere e disvolere liberamente: incontra il limite della
ragionevolezza e della non arbitrarietà. E, a ben vedere, non può non apparire
irragionevole ed arbitrario il comportamento del legislatore che nel 2007
cambia radicalmente idea rispetto a quanto disposto nel 2005, eliminando un
istituto pochi mesi prima confermato.
Mi
pare che, al caso dell’eliminazione del fuori ruolo anche per i professori che
si erano visti confermare l’istituto dalla legge n. 230 del 2005, si attaglino
perfettamente le tradizionali considerazioni di Guarino, il quale quasi
cinquant’anni fa osservava: ove il legislatore venisse meno all’impegno di
arrecare al privato il beneficio legislativamente promesso, in ragione dei
principi di affidamento e buona fede, il rapporto così costituito “si
risolverebbe in un inganno a danno del soggetto privato, tanto più ingiusto, in
quanto lo Stato avrebbe fatto ricorso al suo atto più impegnativo, la legge,
per creare per il privato un vero e proprio trabocchetto” (così Guarino, Sul regime costituzionale delle leggi di incentivazione e di indirizzo,
in Scritti di diritto pubblico
dell’economia e di diritto dell’energia, Milano, 1962, 143; ampiamente
ripreso da Pace, Leggi di incentivazione e vincoli sul
legislatore futuro, ora in Id., Potere costituente, rigidità costituzionale,
autovincoli legislativi, Padova, 1997, 153 ss.).
Ora, per eliminare il “trabocchetto” teso dal
legislatore ai professori universitari che sarebbero dovuti legittimamente
andare in fuori ruolo nei prossimi anni, occorrerà attendere un nuovo
intervento della Corte costituzionale (o del legislatore).