ALBERTO MARIA BENEDETTI
ATTI SOGGETTI A TRASCRIZIONE,
PARCHEGGI E POTESTÀ LEGISLATIVA DELLE REGIONI*
1. La fonte
(regionale?) degli obblighi di trascrizione.
Gli obblighi di trascrizione non discendono dalla natura di
un atto, ma da i suoi effetti.
L’appartenenza di un atto all’elencazione contenuta all’art.
2643 c.c. (Atti soggetti a trascrizione) è condizione sufficiente ma non necessaria affinché l’atto
debba essere trascritto, beneficiando così di quegli effetti dichiarativi
delineati all’art. 2644 c.c.; ed infatti si può trascrivere anche un atto che
non viene menzionato nell’elenco di quelli previsti dall’art. 2943 c.c., perché
il successivo il successivo art. 2645 c.c.[1]
dispone la trascrizione di qualunque altro atto o provvedimento che
produca gli effetti previsti dall’art. 2643 c.c.[2];
emerge così la centralità, ai fini della trascrizione, dell’effetto rispetto
all’atto, perché, anche se l’atto non trova collocazione nell’elencazione
dell’art. 2643 c.c., basta che produca taluno degli effetti ivi contemplati
perché possa essere trascritto[3].
Non solo. E’ sufficiente che l’atto produca effetti anche
solo assimilabili[4]
a quelli descritti all’art. 2643 c.c., perché, in giurisprudenza, si ritenga
l’atto trascrivibile[5].
Il quadro appena tratteggiato sembra giustificare
l’osservazione di chi registra (per criticarlo) un “uso intensivo” [6]
dello strumento pubblicitario, probabilmente non del tutto in linea con la
natura eccezionale che pure si è soliti riconoscere ai meccanismi di
pubblicità.
Ma tant’è, l’uso del combinato disposto degli artt. 2643 e
2645 c.c. per ampliare il novero degli atti (e degli effetti) trascrivibili
sembra essere oggetto di una larga approvazione da parte degli studiosi che si
sono occupati di questi temi.
Fatta questa premessa, è possibile affrontare la questione
oggetto di queste pagine: può una legge regionale prevedere un obbligo di trascrizione?
Ed ancora: può disporre una trascrizione di un atto che non rientri nell’elenco
dell’art. 2643 c.c.?
2. Sulla trascrizione
(per legge regionale) dell’atto di asservimento a pertinenza di un’area
destinata a parcheggio: Corte cost. n.
318/2009.
Il Governo impugna la
norma regionale eccependo ch’essa ha introdotto un’ipotesi di trascrizione non
prevista dalla legge statale, così violando l’art. 117, 2° comma, lett. l),
cost.
Gli
artt. 2643 e 2645 c.c., secondo
Ciò
constatato, l’analisi si estende alla normativa urbanistica e, in particolare,
alle norme che disciplinano il regime giuridico dei parcheggi degli immobili di
nuova costruzione: il vincolo gravante sulle aree di parcheggio – si legge in
motivazione - è stato considerato come
un diritto reale di uso, di natura pubblicistica, che la legge pone a favore
dei condomini del fabbricato cui il parcheggio accede. In quanto tale “è
senz’altro assimilabile, quanto agli effetti che ne derivano, al «diritto di
uso sopra beni immobili», il cui atto costitutivo o modificativo è soggetto a
trascrizione, in quanto rientrante nel catalogo degli atti contemplati
dall’art. 2643 cod. civ. Pertanto, anche l’atto di asservimento che costituisce
quel vincolo va trascritto, a sensi dell’art. 2645 cod. civ.”.
L’analisi del diritto nazionale vigente e vivente sorregge,
dunque, la legittimità dell’art. 19, 2° comma, della legge Regione Liguria n.
16/2008: essa difetta di carattere innovativo e, pertanto, non invade la
competenza esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile” (art. 117, 2° comma, lett. l) Cost.),
mantenendosi piuttosto nell’alvo della competenza concorrente sul “governo del territorio” (art. 117, 3° comma,
Cost.).
Vale la pena di riportare le parole (chiare e significative)
che chiudono il ragionamento dei giudici costituzionali, preannunziando il
dispositivo favorevole alla disposizione oggetto del ricorso governativo: “(…)
le norme regionali in questione non hanno introdotto ipotesi di trascrizione
non previste dalla normazione statale, ma si collocano appunto nel quadro di
detta legislazione, sicchè la denunziata violazione della competenza esclusiva
dello Stato in materia di ordinamento civile deve essere esclusa”.
Per riassumere: la legge regionale si limita a disporre la
trascrizione di un atto già trascrivibile secondo il diritto nazionale e, ad abundantiam, l’elenco degli atti soggetti
a trascrizione è comunque “aperto” [anzi: non è neppure un elenco, come pure si
legge in motivazione] ed è tarato sugli
effetti degli atti, non sulla loro natura.
La decisione merita condivisione, sia nel merito che nella
tecnica decisionale di cui, in quest’occasione,
Nel merito, l’illustrata ricostruzione della questione
concernente l’individuazione degli atti trascrivibili corrisponde,
sostanzialmente, a quanto già riferito nel paragrafo introduttivo di questo
scritto e, dunque, si presenta come un ritratto piuttosto fedele del diritto
vivente: se si guarda la disposizione regionale impugnata – e la si raffronta
al diritto privato del codice civile – si osserva facilmente che essa non
innova, non deroga, non muta; al contrario riafferma, applica, ribadisce regole
già previste dal diritto nazionale in materia di trascrizioni, o, comunque, con
esso coerenti. La stessa decisione della Corte – per certi aspetti -
contribuisce a consolidare con l’autorevolezza propria di un giudice
costituzionale quell’interpretazione che nella stessa sentenza si dà, forse con
un po’ troppo ottimismo, per acquisita: l’elenco degli atti (e degli effetti)
trascrivibili è “aperto”, e, conseguentemente, non esiste quel principio di
tassatività degli atti trascrivibili che il Governo lamentava fosse stato
violato dalla norma impugnata[8].
Se, poi, l’atto di asservimento a pertinenza ha l’effetto di far sorgere un diritto d’uso
su un immobile, allora la norma impugnata non fa che disporre la trascrizione di un atto già pacificamente
trascrivibile ex art. 2643, 1° comma, n. 4, c.c.; e quand’anche fosse qualcosa di diverso
–
Anche la tecnica utilizzata dalla Consulta per argomentare la
decisione merita condivisione, per l’atteggiamento meno radicale e più
calibrato che sembra emergere dallo “stile” di questa pronunzia. Non si
dichiara l’illegittimità della norma regionale censurata sulla base del suo
(spesso solo presunto) oggetto privatistico, come pure più volte è accaduto in
passato, bensì si sceglie di condurre un’analisi più concreta che, muovendo
dall’interpretazione della disposizione impugnata, ne valuta l’impatto rispetto
al diritto privato nazionale. Un approccio che, finalmente, sembra recuperare
quel vecchio orientamento che, poco prima della riforma del Titolo V, aveva
caratterizzato la giurisprudenza costituzionale[9]
e che, se pure a livello di mero obiter
dictum, era stato oggetto di un’importante riproposizione in una recente
decisione[10].
3. (Segue). Sullo stop (per legge regionale) alla
liberalizzazione delle aree destinate a parcheggio.
La decisione della Corte sfiora, senza affrontarla, un’altra
importante questione che, forse, poteva orientare verso una decisione diversa[13], ma che la difesa erariale non ritenne di
indicare tra i motivi del ricorso: la legge regionale della Liguria, infatti,
nel consentire l’asservimento gli spazi destinati a parcheggio a vincolo
pertinenziale a favore degli immobili, si potrebbe porre in contrasto con
l’art. 12, comma 9, della l. n. 246/2005 laddove dispone: “ Gli spazi per
parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli
pertinenziali di sorta né da diritti d'uso a favore dei proprietari di altre
unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse”.
In Liguria la regola parrebbe ribaltata: il costruttore, se
vuole essere esonerato dall’obbligo di corrispondere il contributo di
costruzione, deve formalizzare l’atto di asservimento a pertinenza del
parcheggio rispetto all’unità immobiliare, con relativa trascrizione nei
registri immobiliari.
Occorre però chiedersi: la liberalizzazione dei posti auto,
che la giurisprudenza ha giustamente riferito agli immobili di nuova
costruzione[14],
costituisce un principio del diritto privato nazionale che le Regioni non
possono adattare od a cui non sono titolate ad apportare deroghe? E, nel
merito,
La risposta, anche qui, dovrebbe intanto muovere dall’esatta
interpretazione della disposizione sopra menzionata, sulla formulazione della
quale, peraltro, non sono mancate giuste e fondate critiche da parte della
dottrina[15]:
essa sembra voler ribaltare il passato, cancellando proprio quei diritti di uso
di natura pubblicistica (costituiti sui parcheggi delle nuove costruzioni a
favore dei proprietari degli immobili di cui i parcheggi sono pertinenze) che
erano stati al centro della precedente legislazione “interventista”.
La norma, pur nella sua ambiguità, non pone limiti
all’autonomia privata, semmai li toglie: essa cancella i vincoli pubblicistici
prima vigenti[16],
limitandosi solo a prevedere che i parcheggi ci debbano essere, ma lasciando ai
privati la libertà di scegliere a chi e come assegnare i diritti di uso di
queste aree. Per tale ragione, la norma non vieta né direttamente né
indirettamente il volontario asservimento del parcheggio a pertinenza
dell’immobile[17],
che, dunque, permane del tutto lecito anche sotto la nuova disciplina, e
relativamente all’ambito cui essa può essere applicata.
La legge regionale non ribalta questa regola ma, semmai, ne
fa puntuale applicazione: essa, infatti, non pone nuovi vincoli pubblicistici
sulle aree destinate a parcheggio, ma dispone che se il costruttore vuole
essere esonerato dagli oneri di costruzione deve effettuare l’asservimento
dell’area parcheggio a pertinenza dell’immobile, mediante una scelta che,
evidentemente, permane nell’alveo di una scelta volontaria[18]
e non obbligatoria.
Ciò precisato, non si può peraltro escludere radicalmente che
una Regione, entro certi limiti, possa introdurre sul proprio territorio un
vincolo pubblicistico simile a quello cancellato dalla fonte statale con la l.
246/2005: è vero, infatti, che se l’adattamento del diritto privato statale
riguarda un’area del diritto privato, come quella dei limiti alle facoltà di
disposizione riconosciute al proprietario di un bene, che oppone una “bassa”
resistenza all’adattamento regionale, una Regione può legittimamente dettare
regole diverse da quelle previste dalla legge statale. D’altra parte la
proprietà, giusto l’art. 832 c.c., deve esercitarsi nell’ambito dei limiti
stabiliti dall’ “ordinamento giuridico”, nell’ambito del quale un posto di non
secondario rilievo viene occupato dalle leggi emanate dalle Regioni nell’ambito
delle loro competenze[19]:
nelle quali si possono trovare nuovi “limiti” ai diritti proprietari, così come
norme che, in varia misura, possono concorrere alla “conformazione” del diritto
di proprietà relativamente a beni che, per la loro natura peculiare, possono
giustificare un interesse a legiferare da parte delle Regioni.
In quel caso, allora,
si tratterebbe di verificare la ragionevolezza della deroga
regionalmente localizzata[20]:
sotto il profilo della c.d.
ragionevolezza intrinseca – cioè della connessione con una materia
assegnata alla competenza regionale – una norma del genere potrebbe rientrare
nella materia concorrente “governo del territorio”, poiché la disciplina del
regime di circolazione dei parcheggi destinati agli immobili di nuova
costruzione può rappresentare un indubbio ed importante fattore di
programmazione dell’assetto territoriale di una determinata regione; sotto il
profilo della ragionevolezza estrinseca – cioè della tollerabilità maggiore o
minore della disuguaglianza che l’adattamento è in grado di determinare –
sembra potersi riconoscere che un vincolo d’uso regionalmente definito non
necessariamente produce un’offesa intollerabile del principio di eguaglianza
che, davvero, sembra esagerato scomodare in relazione alla conformazione della proprietà
delle aree destinate al parcheggio[21].
Tant’è vero che, nella stessa legislazione statale, la “liberalizzazione” non è
generalizzata, ma permangono, come pure rilevato dai giudici di legittimità[22],
almeno tre tipologie di parcheggi, corrispondenti ad altrettanti regimi
giuridici, nell’ambito delle quali esiste ancora [ed esisterà fino a che
rimarranno in piedi gli immobili interessati] il vincolo pubblicistico
pertinenziale.
Dunque non sembra che una scelta regionale diversa da quella
effettuata dal legislatore statale con la l. 246/2005 possa rappresentare un
grave vulnus ad un’eguaglianza che, anzi, una legislazione statale
all’insegna di un’ampia differenziazione non sembra preoccuparsi di proteggere.
3. Contratto e diritto privato delle regioni: due decisioni a
confronto.
Nella sentenza 318/2009
s’avverte una tecnica decisoria relativamente nuova, che sembra influire, come
si è già rilevato, anche sul dispositivo finale: la norma ligure si salva
perché se ne è accertata la compatibilità con il diritto nazionale (vigente e
vivente), nonostante l’appartenenza del suo oggetto all’ordinamento civile, e a
doppio titolo [la norma si occupa di trascrizioni e di pertinenze al contempo].
Vale la pena,
allora, confrontare questa decisione con un’altra pronunzia di poco tempo
prima, di metodo e tenore ben diversi. Di fronte ad una legge regionale
pugliese che mirava a limitare l’autonomia dei soggetti che operano nella
catena di distribuzione dei farmaci, inibendo loro di ridistribuire le quote di
spettanza in modo diverso da quello previsto dalla legge nazionale, la Corte[23],
nel dichiarare incostituzionale quella disposizione, aveva evidenziato che:
- la legge nazionale fissa le quote di spettanza
secondo determinati parametri espressi in percentuale, restando inteso che una
modifica delle stesse è “implicitamente rimessa all’autonomia contrattuale dei
soggetti del ciclo produttivo attraverso convergenti manifestazioni di
volontà”;
- l’art. 117,
2° comma, lett. l) Cost. ha codificato il limite del “diritto privato” così
come affermatosi nella giurisprudenza ante riforma 2001;
- detto
limite non è assoluto [perché si possono introdurre “adattamenti” giustificati
e ragionevoli]; ma il contratto, e specificatamente l’autonomia dei privati,
non può essere oggetto di discipline regionali;
- la legge
regionale pugliese limita l’autonomia contrattuale e merita di essere
dichiarata incostituzionale.
Un obiter dictum interessante, un decisum più
scontato e meno coraggioso: se, invece,
A bene vedere, alcune delle cose date per scontate in quella
decisione non lo sono affatto.
Intanto non è scontato che la protezione dell’autonomia
privata rappresenti un valore oggetto diretto o indiretto di tutela
costituzionale, tale da rappresentare un limite per il legislatore (statale o
regionale che sia)[24]: è certo, semmai, che l’autonomia dei privati,
lungi dall’essere assoluta, è inquadrata in un sistema di limiti variamente
costruiti, e volti a funzionalizzarne l’esercizio ad interessi e valori
d’ordine generale e che la “legge” (nazionale, ma non solo) è chiamata ad
individuare. Come attesta, d’altra parte, la stessa formulazione letterale
dell’art. 1322 c.c., che valorizza i “limiti” entro i quali l’ordinamento deve
racchiudere l’espressione dell’autonomia riconosciuta ai privati attraverso lo
strumento contrattuale.
Dunque la tutela dell’autonomia privata non costituisce un
vincolo di fonte superiore per legislatore, sia esso statale o, nell’ambito
delle proprie competenze, regionale.
In seconda battuta, la norma pugliese poteva essere
giustificata da quella competenza concorrente sulla salute che alle Regioni è
assegnata dall’art. 117, 3° comma, Cost.: se, come è stato scritto[25]:, la
“salute” offre all’interprete una “doppia anima” [quella sociale: diritto dei cittadini ad ottenere prestazioni
sanitarie, dallo Stato, dalle Regioni; quella di libertà: diritto al rispetto
della propria salute nei rapporti privatistici e nei confronti della pubblica
amministrazione], la norma pugliese poteva collocarsi proprio nella prima
dimensione del diritto alla salute, più vicina alla competenza legislativa
regionale, avendo ad oggetto disposizioni concernenti il delicato settore della
vendita e della distribuzione dei prodotti farmaceutici[26].
Ed
infatti, proseguendo un momento nell’analisi di ciò che avrebbe potuto accadere
(ma che non è accaduto), gli scenari che si potevano prospettare, di fronte
alla disposizione pugliese, erano diversi e variegati.
Se la
norma regionale avesse voluto operare un sia pure implicito rinvio a leggi
statali che, in realtà, non pongono
divieti, la disposizione contestata sarebbe stata priva di forza coattiva, in
quanto richiamante un divieto che non esiste; un rinvio sostanzialmente non
operativo e, come tale, incapace di violare il riparto di competenze fissato in
Costituzione.
Se, invece,
il divieto fosse già contenuto nelle leggi statali di settore, la legge
pugliese poteva egualmente salvarsi, siccome non innovativa e meramente
riproduttiva di norme statali d’identica portata, come deciso, appunto, nella
sentenza sopra riportata a proposito di una norma della Regione Liguria.
Se,
ancora, la legge pugliese avesse posto un divieto non previsto dal diritto
nazionale – servendosi di una disposizione a carattere imperativo assistita da
una nullità virtuale delle intese contrattuali che la violano –
Tre
scenari che sarebbero dovuti passare attraverso un’interpretazione del diritto
statale che, in quell’occasione,
Possono, a
certe condizioni.
Lo scoglio da superare non è tanto
l’eguaglianza [se si eccettuano, naturalmente, quei contratti nei quali essa
assume un ruolo primario, come accade per il lavoro subordinato e nei contratti
dei consumatori o quelle parti del diritto generale dei contratti più legati
alla tutela giurisdizionale dei contraenti], quanto l’uniformità[28],
intesa come aspirazione all’identità globale delle regole sul contratto, sempre
più identificato come un istituto fortemente «neutro» [nel senso di: esente da
ideologie, valori, peculiarità ascrivibili a questo o a quell’ordinamento
nazionale] che necessita di una disciplina uguale, anche e soprattutto a
livello sopranazionale.
Rompere
l’uniformità non è facile, certo, né probabilmente è auspicabile: ma non sembra
eccessivo ipotizzare che la differenziazione regionale possa emergere in quei
settori del contratto – come l’integrazione, la costruzione del regolamento,
l’individuazione di norme dispositive, la disciplina di certi contratti tipici
– nei quali interessi localmente definiti possono giustificare l’emanazione di
norme (sul contratto) di matrice regionale che, se connesse con una competenza
esclusiva o concorrente, possono superare il vaglio di ragionevolezza,
realizzando quell’adattamento al diritto privato nazionale che
Non bisogna poi
trascurare il fatto che leggi o disposizioni regionali sul contratto sono già
diritto vigente, nella misura in cui sono sfuggite al controllo di
costituzionalità: è il caso, ad esempio, delle norme regionali sui contratti di
sponsorizzazione[29],
su divieti di alienazioni di alloggi di edilizia pubblica[30],
sui certificati da allegare ai contratti di compravendita immobiliare[31],
sugli obblighi di stipulare contratti di assicurazioni per chi esercita
determinate attività[32], o delle norme di rango statutario che, nel
prevenire i conflitti di interessi dei titolari di pubbliche funzioni
regionali, definiscono e disciplinano una (sorta di) negozio fiduciario[33].
Ed anche nel settore del consumo – pur attraversato da più pressanti esigenze
di tutela dell’eguaglianza e caratterizzato dalla forte presenza di norme
imperative statali – le Regioni sono intervenute spesso offrendo un plus
di tutela alle categorie protette [un buon esempio è dato dalla recente Legge
Piemonte n. 24/2009: Provvedimenti per la tutela dei consumatori e degli
utenti][34].
Dal confronto
tra le due decisioni, emesse a poco tempo l’una dall’altra, la sentenza n.
318/2009 ne esce meglio della sentenza n.
295/2009c’è da sperare, infatti, che – riconosciuta la legittimità di “adattamenti” regionali al diritto privato
nazionale –
* Per gentile concessione della
Rivista le Regioni.
[1] Norma identificata come “uno dei pilastri
della nuova legislazione in tema di pubblicità immobiliare” da S. Pugliatti, La trascrizione, nel Tratt.
Cicu-Messineo, XIV, t. 2, Milano, ediz. 1989, 449.
[2] La giurisprudenza, per vero
piuttosto risalente, sembra assegnare all’art. 2645 c.c. una portata estensiva
del dettato dell’art. 2643 c.c: ad esempio Cass., 6 giugno 1968, n. 1711, in Foro it., 1968, I, c. 3016, in una
fattispecie in tema di concessione di occupazione di suolo demaniale, afferma
infatti che «l’art. 2645 c.c., nel disporre che debba esser reso pubblico
mediante trascrizione, oltre ai contratti menzionati specificamente nell'art.
2643, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili
o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati in detto
articolo, ha inteso provvedere a quei diritti immobiliari assimilabili ai
diritti reali tipici in quanto si traducono in un peso della proprietà
immobiliare, come, ad es., certi diritti reali anomali ed alcune figure di
obbligazioni propter rem».
[3] La tesi “aperturista” è condivisa,
tra gli altri, da l. ferri- p. zanelli,
Della trascrizione immobiliare, nel Comm.Scialoja-Branca,
Bologna-Roma, 1995, 199; r. triola,
Trascrizione, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 940;
contra F. Gazzoni, La
trascrizione immobiliare, nel Comm. Schlesinger, Milano, ediz. 1998,
593 ss. Per un quadro delle questioni relative ai rapporti tra l’art. 2643 c.c.
e l’art. 2645 c.c. può vedersi il recente contributo di A. Zaccaria – S. Troiano, Il sistema pubblicitario,
in Diritto civile, diretto da N.
Lipari e P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, Milano, 2009 IV, II, 19 ss.
[4] Sul problema della tassatività degli
effetti si rinvia a G. Mariconda, La trascrizione, nel Tratt. dir. priv., diretto da P.
Rescigno, 19, I, Torino, 1985, 100 ss.
[5] Ricorre infatti la massima secondo la quale «la
trascrizione e richiesta per tutti i negozi che pongono in essere o
trasferiscano diritti che producano effetti non solo identici, ma anche
soltanto similari a quelli dei contratti di cui all’art. 2643 c.c.» (Cass., 22
luglio 1969, n. 2764, in Foro it.,
1970, I, c. 210; Cass., 11 novembre 1969, n. 3664, in Giust. civ., 1970, I, p. 431; Cass., 22 novembre 1969, n. 3805, in Foro it., 1970, I, c. 4469; Cass., 15
gennaio 1986, n. 174, in Vita not.,
1986, I, p. 663). Sulla stessa linea anche la giurisprudenza amministrativa:
Cons. Stato, 30 aprile 2009, n. 2768, in Vita
not. 2009, p. 832 (come già Cons. Stato, 30 maggio 2002, n. 3016, in Foro amm. CDS 2002, p. 1217).
[6] G.
Gabrielli, Pubblicità legale e
circolazione dei diritti: evoluzione e stato attuale del sistema, in Riv. dir. civ., 1988, I, 425, in partic.
443.
[7] Tra i privatisti hanno riflettuto
sul tema, tra gli altri: a.m. benedetti,
Il diritto privato delle Regioni, Bologna, 2008; v. roppo, Diritto dei contratti, ordinamento civile,
competenza legislativa delle Regioni. Un lavoro complicato per
[8] In effetti, non esiste in nessuna
decisione della Cassazione un’esposizione così chiara e netta del carattere
aperto dell’elenco degli atti trascrivibili: qui, se vogliamo,
[9] Corte cost., 6
novembre 2001, n. 352, in Foro it., 2002, I, 638 [oggetto di un
richiamo, nel periodo successivo, in Corte cost., 28 luglio 2004, n. 282, in Foro it., 2005, I, 28]. In questa decisione,
i giudici costituzionali ammisero che le Regioni potevano emanare norme di
diritto privato, purchè l’adattamento regionale del diritto privato nazionale
apparisse giustificato e ragionevole, e, dunque, non lesivo del principio di
eguaglianza.
[10] Corte cost., 13
novembre 2009, n. 295, in Contratti, 2010, 2, con nota di A.M.
Benedetti.
[11] Salvo in un paio di occasioni in cui
[12] In dottrina in questa direzione possono
vedersi A.M. Benedetti, Il
diritto privato delle Regioni, cit. e v.
roppo, Diritto privato regionale?, cit.
[13] Questione sollevata da L. D’Angelo, Diritto privato delle
regioni. Quale compatibilità costituzionale?, in www.forumcostituzionale.it
[14] Per tutte Cass., 1 agosto 2008, n.
21003 e Cass., 24 febbraio 2006, n. 4264, in Giur. it., 2006, 2049.
[15] M.
Costantino, La “liberalizzazione”
dei trasferimenti degli spazi per parcheggi di cui all’art. 41 sexies, l. n. 1150 del 1942, in Contr.
impr., 2007, 1461 ss.; P. Sirena,
L’applicazione della nuova legge si determina in base all’avvenuta
costruzione del parcheggio, in Notariato, 2006, 334 ss.; per un
panorama sui problemi sollevati dalla norma citata nel testo vedasi N.
Muccioli, L’attuale disciplina dei posti auto: jus novum e
conflitto tra fonti del diritto, in Nuova giur. civ. comm., 2007,
II, 369 ss.
[16] In tal senso M. Costanza, Aree destinate a parcheggio: luogo di
vincoli o bene liberamente disponibile?, in Diritto privato. Studi in
onore di Antonio Palazzo, 3, Proprietà e rapporti obbligatori,
Torino, 2009, 157 ss., in partic. 160.
[17] Così anche P. Sirena, L’applicazione della nuova legge si determina
in base all’avvenuta costruzione del parcheggio, cit., 335 e E. Bergamo, Gli spazi per parcheggi
tra passato e futuro, in Giur. it., 2006, in partic. 2052.
[18] E’ pacifico che la costituzione del
rapporto pertinenziale necessita di un elemento oggettivo (destinazione del
bene a servizio di un altro) e soggettivo (volontà dell’avente diritto di
creare il predetto vincolo di strumentalità): per tutte si veda Cass. civ., 28
aprile 2006, n. 9911.
[19] Sulla legislazione regionale che,
direttamente o indirettamente, identifica limiti al diritto di proprietà si
rinvia ad A.M. Benedetti, Il diritto privato delle Regioni, cit.,
278 ss.
[20] Sul “test di ragionevolezza” può
vedersi v. roppo, Diritto
privato regionale?, cit., 11 ss.
[21] Non pare irragionevole che il
territorio e le sue caratteristiche possano dare luogo a “limiti” al diritto di
proprietà non previsti a livello nazionale, sempre che, ovviamente,
l’intervento legislativo regionale sia giustificato da una materia che alla
Regione è attribuita a titolo di competenza esclusiva o concorrente.
[22] Cass. civ., 1 agosto 2008, n. 21003,
in Giust. civ., 2009, 3, 637.
[24] Tutti i tentativi di costruire
l’autonomia privata sulla Costituzione non sembrano andati a buon fine: sul
punto si veda per tutti c.m. bianca,
Il contratto, Milano, 2000, 30 ss.; Corte cost., 21
marzo 1969, n. 37, in Foro it., 1969, I, 788 esclude una tutela
diretta dell’autonomia privata, a favore di una tutela solo indiretta
attraverso la libertà di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost.
[25] Così r.
de matteis, Responsabilità e
servizi sanitari. Modelli e funzioni, Padova, 2007, 14 (a cui si fa
richiamo per un’analisi dei possibili diversi significati del diritto alla
salute: ivi, 12 ss.).
[26] E non sembra irragionevole che una
Regione che voglia occuparsi di distribuzione dei farmaci – con lo scopo di
introdurre meccanismi di controllo dei prezzi – utilizzi anche una disposizione
legislativa che introduca limiti all’autonomia privata degli operatori
coinvolti nella catena di distribuzione e vendita dei farmaci.
[27] Su contratto e competenze
legislative regionali si vedano v. roppo,
Diritto dei contratti, ordinamento civile, competenza legislativa delle
Regioni. Un lavoro complicato per
[28] Quell’uniformità che, ad esempio,
[29] Legge Valle d’Aosta n. 3/2004 (Nuova
disciplina degli interventi a favore dello sport).
[30] Legge Molise n. 14/2005 (Norme in
materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica);
Legge Valle D’Aosta n. 32/2004 (Disposizioni per le attività di
coordinamento, promozione e sostegno della comunicazione e dell’informazione
regionale).
[31] Legge Piemonte n. 13/2007 (Disposizioni
in materia di rendimento energetico nell'edilizia).
[32] Legge Basilicata n. 22/2009 (Norme
in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da
fondo).
[33] Legge regionale statutaria Sardegna
n. 1/2008 (art. 27, 1° e 2° comma).
[34] Sulle competenze regionali in tema
di diritto dei consumatori si veda anche s.
giova, Ordinamento civile e diritto privato regionale, cit., 211 ss.
[35] Cui faceva richiamo Roppo nel titolo
di un suo importante contributo in materia (Diritto dei contratti,
ordinamento civile, competenza legislativa delle Regioni. Un lavoro complicato
per
[36] Una conferma sembra venire da Corte cost., 26 marzo
2010, n. 122: viene bocciata una legge piemontese sull’utilizzo del
software libero, rilevandone la contrarietà e/o l’incompatibilità rispetto alla
normativa statale sul diritto autore.