- 25-07-2024
Con la sent. n. 149 del 2024, la Corte riscontra due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, quinto comma, cod. pen.
- La prima, argomentata sull’asserito eccesso di delega ex art. 76 Cost., è dichiarata infondata, ritenendo il giudice costituzionale che il criterio di delega volto all’introduzione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ben possa implicare la necessità di una ulteriore specificazione della sua portata operativa, sicché risulta del tutto coerente con tale criterio che il legislatore delegato, non affidandosi unicamente alla pena prevista per il reato base, abbia ritenuto che la tenuità è in re ipsa da escludere allorché un determinato reato – pur astrattamente riconducibile entro la soglia di pena prevista dal primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. – integri, per la ricorrenza di una o più circostanze aggravanti a effetto speciale o autonome, un’ipotesi assimilabile ad una fattispecie autonoma di reato, connotata da particolare gravità proprio per il concorso di quelle aggravanti. Laddove, rappresenta, invece, un piano svolgimento della ratio della delega il fatto che il legislatore delegante abbia consentito che beneficino della causa di non punibilità in parola gli imputati per reati puniti con pena superiore alla soglia fissata nel primo comma dell’art. 131-bis cod. pen., allorché ad essi accedano circostanze attenuanti ad effetto speciale.
- Anche la seconda questione, formulata, peraltro, in via subordinata è dichiarata infondata: con tale questione il rimettente aveva ritenuto incostituzionale l’art. 131-bis, comma 5, cod. pen., per contrasto con l’art. 3 Cost., limitatamente alle parole «[i]n quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69», assumendo che la scelta di non consentire il bilanciamento comporterebbe che la causa di non punibilità sia applicabile ai reati per i quali la fattispecie base sia contrassegnata da limiti edittali elevati ma per i quali sussista una circostanza attenuante ad effetto speciale, mentre la stessa causa di non punibilità non sarebbe applicabile a quei reati, connotati da una fattispecie base punita mitemente, ma per i quali la sussistenza di una circostanza ad effetto speciale elevi particolarmente i limiti edittali, pur quando il fatto risulti in concreto di particolare tenuità e ricorrano delle attenuanti ad effetto comune. L’infondatezza è qui motivata dalla Corte attribuendo alla norma in scrutinio una «solida ragionevolezza», derivante dal fatto che «il legislatore fa dipendere la scelta relativa all’applicazione o non applicazione di un dato istituto […] dalla sussistenza di una circostanza aggravante che, comminando una pena distinta da quella prevista per la fattispecie base […], esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata; e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna».