Con la sent. n. 142 del 2024, la Corte costituzionale ha esaminato l’impugnativa di varie disposizioni della legge della Sardegna n. 9 del 2023. Oltre le questioni definite nel senso dell’inammissibilità o dell’infondatezza, rilevano, invece, in quanto ritenute fondate quelle concernenti gli artt. art. 123, comma 11, 128, comma 1, lett, a) e 131, comma 1, lett. a, nella parte in cui aggiungeva la lett. f-bis) all’art. 15, comma 1, della legge sarda n. 23 del 1985
Di questi tre accoglimenti, il primo è deciso in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale, per contrasto con l’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, con l’art. 4 del decreto assessoriale n. 2266/U del 1983, nonché con gli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia e riguarda il consentito superamento delle soglie volumetriche nelle costruzioni senza, tra l’altro, rispettare le condizioni cui al legislatore regionale è lecito introdurre deroghe alle norme fondamentali di riforma economico-sociale (mancato recepimento negli strumenti urbanistici, come prescritto dall’art. 2-bis t.u. edilizia, nonché mancato rispetto del principio di proporzionalità). La norma regionale impugnata viene, dunque, ricondotta ad legitimitatem con l’espunzione da parte della Corte dell’inciso «degli indici volumetrici.
Il secondo accoglimento è deciso in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e riguarda la possibilità di riutilizzo degli immobili con difformità sanate con condono concessa in violazione del divieto di riconoscimento di benefici edilizi per gli immobili abusivi, pur condonati, che, quale principio dell’ordinamento giuridico della Repubblica costituisce limite della potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna.
Il terzo accoglimento è deciso in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale per il tramite dell’art. 6 t.u. edilizia e concerne l’illegittimo inserimento nell’elenco delle opere consentite senza titolo abilitativo e senza previa comunicazione, previsto dall’art. 15, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, degli interventi finalizzati al posizionamento di pergole bioclimatiche, intese come pergole aperte almeno su tre lati, coperte con elementi retraibili tipo teli o lamelle anche orientabili e motorizzabili, per consentire il controllo dell’apertura e della chiusura, tanto in aderenza a fabbricato esistente che isolate. Secondo la Corte, infatti, le pergole climatiche sono caratterizzate da una copertura a lamelle sì orientabili, ma non retraibili. In difetto pertanto di una protezione completamente retrattile, l’opera è da assimilare a una tettoia in quanto genera uno stabile spazio chiuso e richiede un apposito titolo edilizio.